Il senso della vita in una passeggiata nell’orto

Invischiati in un eterno vortice che ci mangia tempo di vita, non riusciamo spesso più a trovare il senso dell’esistenza. Allora, proviamo a fermare la corsa dentro e fuori di noi. Proviamo ad assaporare il senso della vita attraverso la bellezza della natura che ci ricorda chi siamo e perché siamo qui. La natura è semplice, straordinaria e gratuita, il senso è lì.potager , fleurs et outils de jardinage

Probabilmente lo stato in cui versa il mondo e la crisi dell’umanità (che sta andando verso la propria autodistruzione) sono dovuti anche al fatto che tanti non riescono a trovare un senso all’esistenza. Siamo prigionieri in questa continua frenesia, che diventa inquietudine, una ricerca costante di qualcosa che ci acquieti, che ci appaghi in qualche modo; spesso si pensa debbano essere il consumo, il possesso, il successo, i soldi, l’apparire, la fama. O magari si pensa che una famiglia, uno stipendio regolare e le varie sicurezze materiali, possano darci quelle risposte esistenziali che cerchiamo costantemente e che sono parte integrante del genere umano.  C’è chi per trovare queste risposte si rivolge anche alle varie religioni che sono piene di dottrine, dogmi, credenze, divisioni e che sono quanto mai di più lontano da se stessi e se possibile ostacolano ancora di più la vera conoscenza. Oppure c’è chi ci si rivolge a meditazioni in tutte le salse, pratiche di tutti i tipi, guru, santoni, esperti, ognuno con la sua bella ricetta in mano, spesso pagata a caro prezzo dagli eterni insoddisfatti. Nonostante questi tentativi, la vita è sempre più complicata, difficile; siamo compressi fra mille impegni, il tempo si riduce costantemente in un tentativo impossibile di poter assorbire la valanga di stimoli che ci bombarda ogni giorno. In queste condizioni, il senso dell’esistenza diventa sempre più vago e il disagio aumenta e spesso si tramuta in disperazione. Cercando le cause delle difficoltà interiori è molto facile dare la colpa agli altri della propria insoddisfazione. I nemici a cui additare sono tanti: i colleghi, il datore di lavoro, il proprio compagno o compagna, gli immigrati, i diversi, i più deboli che da sempre sono la valvola di sfogo delle frustrazioni dei veri deboli, quelli che devono per forza prendersela con qualcuno non volendosela prendere con gli unici responsabili della propria situazione cioè se stessi. Per cercare e trovare risposta diverse a quelle fin qui citate, suggerisco a chiunque di coltivare un orto piantando alcuni alberi, magari da frutto o trovare un orto qualsiasi in cui ci sia permesso passeggiare anche per poco tempo al giorno e osservare. Osservare, perché vedere avviene costantemente e sempre più distrattamente, osservare invece implica attenzione e attenzione significa scoperta. In qualsiasi periodo dell’anno, ma soprattutto in primavera ed estate, si può osservare qualcosa che rimette al centro l’essenza della vita e fa capire dove sta il senso che si cerca costantemente e disperatamente in situazioni e persone che non lo daranno mai perché è dentro di noi e la natura ci fa da riflesso. Ogni giorno anche in un orto di poche decine di metri quadrati si osservano cose straordinarie. Vedere crescere dei frutti, degli ortaggi è qualcosa che ogni volta è stupefacente. Non serve veramente granché altro per comprendere il profondo significato dell’esistenza, che è fatta per meravigliarsi di quello che la natura nella sua infinita saggezza e capacità ci offre costantemente. Una ricchezza indicibile che non può che lasciare esterrefatti ogni volta nella sua semplicità e allo stesso tempo ricchezza e maestosità  eccezionale. E’ qualcosa che ha probabilmente delle similitudini con la crescita dei propri figli, perché ogni giorno si nota qualcosa di diverso e ogni giorno non è mai uguale ad un altro. E poter dare anche ai propri figli questa possibilità di vedere da vicino come funzionano le fantastiche leggi della vita e della natura è un insegnamento che nessuna tecnologia al mondo potrà mai eguagliare, in nessun caso e in nessun modo. Un insegnamento che rimarrà per sempre, a differenza delle nozioni che si dimenticano presto. E non c’è solo l’aspetto dell’osservazione ma anche la soddisfazione di poter coltivare il proprio sostentamento; chi lo ha provato sa perfettamente cosa significa in termini di senso del proprio lavoro e gratificazione per la propria perseveranza e passione nella cura e osservazione della natura. Il tripudio di fiori, foglie, ortaggi, alberi che esplodono di vita è il miglior viaggio dentro la natura e dentro se stessi che si possa fare. Non c’è bisogno di chissà quali paradisi tropicali quando il paradiso è di fronte o vicino a noi. Un viaggio che riempie di consapevolezza, bellezza e senso. Ma bisogna saper osservare, saper fermare la corsa dentro e fuori di noi e assaporare il senso attraverso la bellezza della natura che ci ricorda chi siamo e perché siamo qui. La natura è semplice, straordinaria e gratuita, il senso è lì.

Fonte: ilcambiamento.it

«Ricordate la vostra umanità»: compie 60 anni il Manifesto Russel-Einstein

Nel 1955, di fronte al pericolo di una guerra nucleare che avrebbe cancellato l’umanità, il fisico Albert Einstein, insieme al filosofo e matematico Bertrand Russel, diede vita al documento noto come Manifesto Russel-Einstein, un’analisi delle conseguenze che la bomba atomica aveva causato durante la seconda guerra mondiale e di quelle che avrebbe potuto causare ulteriormente. Dopo 60 anni ci ritroviamo sul baratro, immersi in guerre perenni, dove di nuovo dominano le rivalità tra Usa e Russia, tra Occidente e Medio Oriente. Sull’orlo di una terza guerra mondiale: allora, rileggiamoci quei passi.manifesto_russel_einstein

«Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo, un continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la morte, perchè non sappiamo dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, come esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se vi riuscirete, si apre la via verso un nuovo paradiso; se no, avete di fronte il rischio di morte universale».

Così scrivevano nel 1955 Albert Einstein, Bertrand Russel, Max Born, Percy W.Blidgeman, Leopold Infeld, Frederic Joliot-Curie, Herman J. Muller, Linus Pauling, Cecil F. Powell, Joseph Rotblat e Hideki Yukawa. Quel documento nasceva da una situazione considerata limite, l’ultimo costone di roccia su un precipizio. Nel marzo 1954 gli Stati Uniti aveva testato la bomba all’idrogeno sull’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico, una bomba mille volte più potente di quella sganciata su Hiroshima. Il peschereccio giapponese Lucky Dragon si trova a 130 chilometri dall’atollo ma il fallout radioattivo uccise un membro dell’equipaggio e fece ammalare gravemente gli altri. In Inghilterra al professor Joseph Rotblat, scienziato polacco che aveva abbandonato il Progetto Manhattan per ragioni morali quando era divenuto chiaro che la Germania non avrebbe sviluppato armi nucleari, venne chiesto di apparire in un programma della BBC per parlare proprio dell’esperimento di Bikini. Gli venne chiesto di parlare degli aspetti tecnici della bomba H, mentre l’arcivescovo di Canterbury e il filosofo Bertrand Russell avrebbero discusso di quelli morali. La bomba H, ne era convinto Rotblat, avrebbe prodotto una quantità enorme di fallout altamente pericoloso e lo scienziato si disse grandemente preoccupato delle conseguenze mortali sugli esseri viventi se tali bombe fossero state utilizzate in una guerra. Confidò queste preoccupazioni anche a Russell, consultarono alcuni fisici, tra cui Einstein, e si arrivò al documento noto come Manifesto Russel-Einstein (peraltro la firma su quello scritto fu l’ultimo cosa che Einstein fece prima di morire). Il Manifesto venne presentato pubblicamente il 9 luglio 1955. Contiene i seguenti passaggi:

«Questo è dunque il problema che vi presentiamo, orrendo e terribile, ma non eludibile: metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? La gente non vuol affrontare questa dicotomia, perchè abolire la guerra è difficile».

«Ma forse quel che osta maggiormente alla piena comprensione della situazione è il termine “umanità”, che suona vago e astratto. La gente fa fatica ad immaginare che il pericolo riguarda le loro stesse persone, i loro figli e nipoti, e non solo un vago concetto di umanità. Essi faticano a comprendere che davvero essi stessi, ed i loro cari, corrono il rischio immediato di una mortale agonia».

Nel 1957, partendo proprio dal Manifesto Russell-Einstein, un gruppo di scienziati appartenenti ad entrambi i fronti della Guerra Fredda si incontrarono nel piccolo villaggio di Pugwash, in Nuova Scozia, presso la residenza del filantropo Cyrus Eaton: l’obiettivo, ancora una volta, era cercare una soluzione per evitare una catastrofe nucleare. Da lì partirono diversi cicli di incontri ai quali parteciparono anche diplomatici, in maniera informale, non in rappresentanza dei loro paesi. Tutto ciò ha poi gettato le basi per negoziati internazionali che hanno portato a trattati quali lo START (che proibiva le armi chimiche e biologiche), il Nuclear Nonproliferation Treaty (NPT) e il Comprehensive Test Ban Treaty (CTBT). Lo stesso Gorbachev ammise che gli scienziati di Pugwash lo avevano aiutato a comprendere come la politica nucleare fosse troppo pericolosa. Le Pugwash Conferences sono nel tempo cresciute e oggi gli inviti vengono inviati dal segretariato generale delle Nazioni Unite. Nel 1995 a vincere il premio Nobel per la pace furono, insieme, Joseph Rotblat and l’organizzazione delle Pugwash Conferences. Ma cosa è rimasto di quegli ideali? Oggi come declinare quella consapevolezza per comprendere ciò in cui siamo immersi? Gli errori sono dunque inutili? O forse chi vive il momento non è in grado di mantenere la lucidità necessaria per capire quando è ora di rimettere in discussione la strada intrapresa? Alla cerimonia di Oslo del 1995 era presente il fisico John Avery, oggi lektor emeritus e professore associato al Dipartimento di chimica dell’università di Copenaghen. «Mai come oggi il pericolo di una catastrofe nucleare è stato più all’ordine del giorno – dice Avery – Ci sono 16.300 armi nucleari oggi nel mondo; di queste, 15.300 sono in mano a Russia e Stati Uniti. Diverse migliaia sono pronte ad essere innescate nel giro di pochi minuti». Bruce G. Blair, del Brookings Institute, sottolinea come «questo sistema sia un incidente che sta aspettando di succedere». Secondo Fred Ikle della Rand Corporation, «nessuno può dire che non accadrà mai un incidente fatale o un’azione non autorizzata». «Malgrado il numero delle armi atomiche sia stato ridotto di circa la metà dalla Guerra Fredda, la potenza esplosiva delle armi attuali è equivalente a circa mezzo milione di bombe come quella di Hiroshima» spiega Avery, che non manca di sottolineare come le armi nucleari siano anche nelle basi militari che determinati paesi, come ad esempio gli Usa, hanno installato in nazioni “amiche”. «Pare che gli Usa vogliano installare una base NATO anche in Ucraina – continua Avery – e non v’è dubbio che ci saranno armi nucleari e possiamo solo immaginare come la Russia reagirà. Non abbiamo imparato niente dal passato? Pochi politici o militari sono in grado di immaginare le conseguenze di una guerra con armi termonucleari. Recenti studi hanno dimostrato che i fumi dalle città in fiamme e macerie raggiungerebbero anche la stratosfera dove rimarrebbero per decenni, diffondendosi in tutto il mondo, oscurando il sole, bloccando il ciclo idrologico e distruggendo lo strato dell’ozono. L’effetto sull’agricoltura nel mondo sarebbe devastante e peggiorerebbero le condizioni dei miliardi di persona oggi già malnutrite. Pensiamo a quanto accaduto a Chernobyl e Fukushima. Si distruggerebbe la civiltà umana e la maggior part della biosfera». E non dimentichiamo che le isole del Pacifico, compresi l’atollo di Bikini e Enewetak, sono state oggetto di 67 test nucleari dal 1946 al 1958. Gli abitanti delle isole Marshall hanno sofferto pesantissimi problemi di salute e ambientali, pagando anche con morti. Il 21 luglio 2014 gli Stati Uniti hanno presentato una mozione perché venga respinta la causa intentata dalla Repubblica delle Isole di Marshall alla Corte Internazionale di Giustizia

Fonte: ilcambiamento.it

Langhe e Monferrato diventano patrimonio Unesco dell’umanità

Il sì definitivo del comitato dell’Unesco è arrivato oggi: la zona delle Langhe e del Monferrato è diventata patrimonio dell’umanità.langhe-01

Gli affascinanti paesaggi di Langhe-Roero e Monferrato, in Piemonte, sono diventati a tutti gli effetti patrimonio mondiale dell’umanità. Oggi, 22 giugno 2014, dal comitato dell’Unesco, riunito a Doha, nel Qatar per la 38esima sessione annuale del Comitato mondiale Unesco, ha dato il sì definitivo alla candidatura, facendo arrivare il nostro Paese a ben 50 siti riusciti a ottenere questo importante riconoscimento dal 1979 ad oggi. A finire oggi nella World Heritage List dell’Unesco (qui l’elenco completo) sono 29 comuni in sei diverse aree nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo per una superficie complessiva di 10.789 ettari. Lo scorso anno, lo ricordiamo, a diventare patrimoni dell’umanità erano stati l’Etna e le Ville Medicee in Toscana. I motivi di questa decisione sono presto detti. Ecco cosa scrive l’Unesco nel comunicato che annuncia la promozione di quest’area del Piemonte:

I paesaggi culturali vitivinicoli del Piemonte di Langhe-Roero e Monferrato sono una eccezionale testimonianza vivente della tradizione storica della coltivazione della vite, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale, rurale e di un tessuto economico basati sulla cultura del vino. […] I vigneti di Langhe-Roero e Monferrato costituiscono un esempio eccezionale di interazione dell’uomo con il suo ambiente naturale: grazie ad una lunga e costante evoluzione delle tecniche e della conoscenza sulla viticoltura si è realizzato il miglior adattamento possibile dei vitigni alle caratteristiche del suolo e del clima, tanto da diventare un punto di riferimento internazionale. I paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato incarnano l’archetipo di paesaggio vitivinicolo europeo per la loro grande qualità estetica.

E’ di massima soddisfazione il commento del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino:

Il territorio ha saputo costruire e mantenere nel tempo un paesaggio culturale, legato al mondo del vino, eccezionale e unico nel suo valore ed espressione della altissima qualità della produzione vitivinicola della nostra regione. La proclamazione di oggi rappresenta un tassello fondamentale della strategia turistica complessiva dalle amministrazioni che si sono succedute alla guida della Regione Piemonte: ritengo che sia un punto di partenza e non di arrivo, perché è da questo momento in avanti che bisognerà lavorare per sfruttare al meglio, con progetti e idee innovative, il ritorno di questo riconoscimento.

Anche il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha speso qualche parola su questo importante riconoscimento:

I paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato sono un esempio eccezionale di un paesaggio culturale inteso come prodotto della secolare interazione tra uomo e natura, plasmato dalla continuità di una tradizione antica di produzione vinicola di eccellenza mondiale. Questo riconoscimento è motivo di speciale orgoglio per il Mibact, data l’estrema selettività con cui da qualche anno l’Unesco valuta le proposte per nuovi siti.

Importanti anche le parole di Maurizio Martina, attuale ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali:

È un riconoscimento fondamentale per affermare il valore culturale della nostra agricoltura. È la prima volta, infatti, che l’Unesco riconosce un paesaggio vitivinicolo italiano quale bene unico al mondo, patrimonio dell’umanità per la sua eccezionalità rurale e culturale. È un risultato prezioso che rafforza il posizionamento a livello di mondiale di alcune delle produzioni vitivinicole più pregiate e apprezzate del nostro Paese. Al tempo stesso l’Unesco ha riconosciuto l’essenzialità dell’agricoltura e degli agricoltori quali sentinelle nella conservazione del paesaggio.langhe-02

Foto | BORGHY52

Fonte: ecoblog.it

Qual è il peso dell’umanità e degli animali domestici sul pianeta?

Homo sapiens più i suoi animali da allevamento rappresenta il 97% della biomassa dei mammiferi terrestri.

Chi ancora pensa che “là fuori” ci sia ancora un’abbondante quatità di animali selvatici dovrebbe forse rivedere le sue convinzioni. L’infografica che trovate più sotto riporta la biomassa animale dei mammiferi terrestri sul nostro pianeta (1). Ogni quadratino rappresenta 1 milione di tonnellate (Mt). La massa complessiva dei mammiferi è pari a circa 1230 Mt. Al centro dell’immagine, in rosso, vediamo il cospicuo peso dell’umanità, pari a circa 360 Mt (2), ovvero il 29% del totale. Gli animali da allevamento, in giallo, pari a circa 840 Mt (68%). In questo gruppo bovini sono preponderanti, con mezzo miliardo di tonnellate. I mammiferi selvatici, in verde, rappresentano meno del 3% del totale, circa 33 Mt, ridotti ormai a sopravvivere nei parchi naturali e in poche aree residuali di montagna, foresta e terra incolta. Questa immagine parla da sola per renderci conto di quale sia il nostro impatto ambientale sulla classe degli animali più simili a noi. I quadratini verdi spariranno nell’arco di qualche decennio, se crescerà il numero degli allevamenti intensivi e degli animali da compagnia (3).Human-impact-on-planet

(1) L’immagine qui sopra è la versione colorata di un’infografica apparsa sul sito xkcd. La fonte dei dati è l’opera di Smil, The earth’s biosphere: evolution, dynamics and change. Il contributo dei mammiferi marini (cetacei) è comunque marbinale (meno di 1 Mt). E’ da notare che altre famiglie animali hanno biomasse comparabili a quelle di tutti i mammiferi: formiche 300 Mt, termiti 445 Mt, krill 379 Mt, Cianobatteri 1000 Mt.

(2) La massa media corrisponde a 50 kg, visto che sono inclusi anche i bambini e le bambine.

(3) L’aumento di cani e gatti incide più di quanto ci si immagini sulla domanda complessiva di carne.

Fonte: ecoblog.it

Cambiamenti climatici, un quinto del patrimonio mondiale dell’umanità a rischio

L’innalzamento delle acque conseguente al riscaldamento globale potrebbe sommergere numerosi monumenti: dalla Statua della Libertà alla Torre di Pisa, dalla Torre di Londra all’Opera House di Sydney, da Venezia e Napoli alle città della lega anseatica

Un quinto dei siti patrimonio mondiale dell’umanità sono a rischio scomparsa a causa dell’innalzamento del livello marino conseguente ai cambiamenti climatici. Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters ha preso in esame i siti dell’Unesco che potrebbero andare perduti con l’innalzamento del livello marino nei prossimi 2000 anni. In gioco ci sono molti luoghi e monumenti che sono importanti simboli delle culture di appartenenza: la Statua della Libertà che annuncia l’ingresso a New York e l’Opera House di Sydney, vera e propria icona dell’architettura australiana, la Torre di Londra e i centri storici di Venezia e Napoli. Per molti scienziati l’allagamento potrebbe avvenire molto prima della scadenza bimillenaria. È relativamente certo che vedremo i primi effetti del fenomeno nel ventunesimo secolo. In genere quando si parla di cambiamento climatico si analizzano le conseguenze economiche o ambientali; noi abbiamo voluto dare uno sguardo alle implicazioni culturali,

ha spiegato Ben Marzeion dell’Università di Innsbruck (Austria) presentando lo studio da lui coordinato.

Oltre alle città già citate, sarebbero a rischio anche San Pietroburgo e le città della Lega Anseatica (Amburgo, Lubecca e Brema), molte delle città del sud est asiatico che si affacciano sul mare, la città di Bruges attraversata dai canali. Anche la Torre pendente di Pisa potrebbe essere sommersa, nonostante disti alcuni chilometri dal mare.

Gli scienziati mettono in guardia dal rischio di sottovalutazione del rischio allagamenti, visto che nello studio non vengono presi in considerazione gli aumenti del livello temporanei, quelli provocati dalle sempre più frequenti tempeste, come quelle che si sono abbattute sulle coste britanniche in autunno e in inverno.High Water In Venice For The Last Day Of The Carnival

Fonte:  The Guardian

Nicholas Stern: abbiamo un budget di carbonio limitato e ne abbiamo speso già metà

Per mantenere gli aumenti di temperatura entro i 2°C e dare una chance all’umanità futura, il budget cumulativo di carbonio che possiamo immettere in atmosfera è pari a circa 780 miliardi di tonnellate, ma oltre metà, pari a 420 miliardi tonnellate lo abbiamo già speso. Dobbiamo spendere in modo saggio la metà rimanente e non eccedere, ci dice Nichola SternIPCC-previsioni-emissioni-temperatura-586x459

Ben più importante dei budget economici e finanziari è il budget di carbonio spendibile dall’umanità. Se i primi sono infatti legati a convenzioni sociali che riflettono rapporti di potere tra individui e gruppi, il secondo è basato sull’evidenza fisica che l’inquinamento da CO2 altererà in modo irreversibile il clima terrestre. Lo sottolinea l’economista, Lord Nicholas Stern, che già nel 2006 aveva pubblicato un celebre rapporto in cui stimava che l’effetto serra ci sarebbe costato più di due guerre mondiali. Mentre un demenziale ministro conservatore arriva ad affermare che il global warming potrebbe fare bene all’economia inglese, il più brillante economista ambientale europeo evidenzia il fatto che, per restare entro i 2°C di aumento a fine secolo, l’umanità ha un budget di carbonio limitato e che ai ritmi attuali potremmo esaurire nell’arco di 15-25 anni. Questa valutazione mi sembra eccessivamente ottimistica, visto che secondo l’IPCC il budget di carbonio relativo ai 2°C è pari a circa 780 miliardi di tonnellate  (Gt, vedi il grafico in alto (1)). Poiché tra il 1870 e oggi abbiamo già speso oltre la metà di questa cifra, cioè 420 Gt, ne rimangono solo 360 Gt, ovvero poco più di 50 t per ogni abitante del pianeta (2). Ai ritmi di emissione attuale (9,4 Gt) esauriremmo questo budget in 5 anni e 4 mesi. Si tratta in ogni caso di un orizzonte temporale molto breve, per cui secondo Stern  i colloqui per la riduzione delle emissioni devono iniziare subito per arrivare ad un accordo chiaro e vincolante entro la conferenza di Parigi del 2015. C’è invece chi, come il climatologo Ken Caldeira, è molto critico verso la nozione di budget del carbonio, perché afferma che veicolerebbe l’idea che ci sono emissioni di CO2 permesse, mentre le emissioni sono sempre dannose e pericolose.

(1) I quattro scenari considerati dall’IPCC sono noti come Representative Concentration Pathways (RCP) e prendono il loro nome dal valore in W/m² del forcing radiativo a fine secolo: 2,6 – 4,5- 6,0- 8,5, corrispondenti a concentrazioni atmosferiche di 440-560-740 e 1240 ppm. Come si può vedere dal grafico in alto, corrispondono a budget di carbonio pari a 776, 1226, 1417 3 2979 Gt. La scala x in basso riguarda le emissioni cumulative di carbonio, quella in alto le emissioni di CO2 che sono ovviamente proporzionali alle prime secondo il fattore 44/12=3,667,  sulla base delle masse molecolari.

(2)  L’intervallo di confidenza del budget di carbonio per l’RCP 2,6 è pari a 600-1000 Gt, di cui 180-580 Gt ancora spendibili, ovvero da 25 a 80 t pro capite.

Fonte: ecoblog

Per un lavoro più umano, dignitoso, ecologico: la ricetta dei “terroristi” di Etinomia

Gli Stati generali del Lavoro, la tre giorni di incontri che si è tenuto in  Val di Susa dal 27 al 29 settembre, sono finiti in mezzo al calderone nell’attacco mediatico che la stampa italiana sta portando avanti contro il movimento No Tav. Abbiamo intervistato due delle organizzatrici per farci svelare quali diabolici piani eversivi avessero in mente.etinomia_stati_generali_lavoro

Li hanno accostati ai terroristi, alle Brigate rosse. Li hanno chiamati ‘violenti’, ‘antiprogressisti’. È in atto un attacco mediatico di portata enorme contro il movimento No-Tav e tutto ciò che vi gira attorno. E nel calderone ci finisce un po’ di tutto, indiscriminatamente, compresi gli Stati generali del lavoro, organizzati dal movimento No-Tav assieme ad Etinomia, associazione di imprenditori virtuosi valsusini, attaccati a più riprese da riviste e quotidiani come Panorama ed Il Giornale. Ecco quanto scrive Il Giornale: “Dal 27 al 29 settembre a Vaie, in Valsusa, sono in programma gli Stati generali del lavoro organizzati da Etinomia, associazione poco conciliante. Nell’opuscolo si parla di “grandi opere inutili”, e di “grande mobilitazione contro i lavori”. Inoltre si citano le manifestazioni di massa di ottobre che culmineranno il 19 con una giornata di “sollevazione generale” da siti come www.infoaut.org.” Chiari segnali, secondo il quotidiano, della natura eversiva ed anarco-insurrezionalista dell’evento. Panorama non è da meno e riconduce ad incontri come questo la militarizzazione della zona voluta da Alfano. Ora, il fatto è che il sottoscritto, assieme al direttore del Cambiamento Daniel Tarozzi, è stato invitato a partecipare ai tavoli di discussione degli Stati generali del lavoro. Dunque volevo essere sicuro di non ritrovarmi in un covo di terroristi e brigatisti, magari con qualche talebano e salafita. Chissà, mi sono detto, forse dietro a tutto questo c’è lo stesso Osama Bin Laden, che in realtà non è morto e si è rifugiato in Val di Susa per tramare contro l’Occidente. Dunque quale modo migliore per approfondire la faccenda che contattare gli organizzatori e farci spiegare di cosa si tratta? Così abbiamo parlato con due delle organizzatrici, Giuliana Cupi ed Eleonora Ponte.

I recenti articoli di Panorama ed Il Giornale lasciano intendere che gli Stati generali del Lavoro organizzati da Etinomia assieme al movimento No-Tav rappresentino un pericolo per la sicurezza pubblica. Ci spieghi che tipo di evento è e di cosa si parlerà, di modo che le persone possano farsi un’opinione corretta?

Giuliana Cupi: Penso che la definizione più bella, ironica, intelligente e deflagrante degli Stati Generali del Lavoro l’abbia data Eleonora Ponte, che ne è stata la diretta ispiratrice: “Noi a Vaie avremo la bomba atomica!”. Gli SGL saranno un’esplosione di idee e persone innovative, decise a trovare soluzioni ribaltando di 180° l’approccio al lavoro che ormai viene ripetuto dappertutto come uno sterile mantra a base di crisi, crescita, PIL, sacrifici, Europa che ci chiede di chinare la testa e via delirando. Da noi si parlerà di significato di lavoro, necessità – più che opportunità – di lavorare meno e meglio, reddito di cittadinanza, interesse negativo, nuove forme di finanziamento del lavoro, filiere cortissime, sanità e diritto a esistere e lo si farà in 8 tavoli (di cui uno dedicato agli amministratori) aperti ai contributi di tutti. L’accademia e la cattedra saranno molto lontane…

Perché oggi in Italia non si può affermare che il TAV e gran parte delle grandi opere sono inutili, soprattutto in un momento in cui si tagliano i fondi allo stato sociale, senza essere tacciati di violenza o di terrorismo?

Giuliana Cupi: Perché queste “grandi opere inutili e imposte”, per riprendere la definizione che se n’è data al Forum di Stoccarda cui io pure ho partecipato, sono funzionali all’economia dello sfruttamento dell’uomo e della natura, dei capitali concentrati nelle mani di pochi, delle mafie (quelle che tutti conoscono come tali e quelle che hanno aspetto perbene e rassicurante), dei mercati che dettano ormai apertamente legge arrivando a indicare senza troppi giri di parole come debbano essere modificate le Costituzioni troppe permissive in materia di diritti dei lavoratori e come bisogna riallocare le risorse sottratte allo Stato sociale, giudicato e fatto giudicare inutile e improduttivo. Questo è l’anello di congiunzione tra pessima economia e pessima politica che provoca le reazioni di cui parli: ormai il denaro e chi lo manovra è padrone anche politicamente in maniera ben più ardita di un tempo, quindi opporsi ai suoi interessi significa essere eversivi. Purtroppo, nonostante i tanti esempi che abbiamo tutti sotto gli occhi, è ancora troppo poco chiaro quanto terrore e quanta violenza siano seminati proprio da questo genere di potere e non certo da chi vi oppone.

In che situazione è il lavoro oggi in Italia? E quali sono le alternative che Etinomia propone?

Giuliana Cupi: Il disastro è sotto gli occhi di tutti, ma quello che penso sia ancora peggio è, come dicevo prima, che i mezzi di informazione più popolari si guardano bene dall’evidenziarne la vera causa. Quando si piange sull’ennesima perdita di PIL e si invoca la crescita, questa entità ormai quasi metafisica e miracolosa, si omette colpevolmente di dire che questo stato di cose non è una disgrazia che ci è piovuta addosso, ma una ovvia conseguenza di un sistema squilibrato, quello capitalistico, che mostra la corda. La crescita infinita in natura non esiste – con la nefasta eccezione della cellula tumorale, che non per nulla prolifera indisturbata -, ma il sistema in cui siamo è costruito proprio su questo. Ora che non c’è quasi più nulla da costruire e da smerciare e soprattutto non ci son più soldi per comprarlo, esso mostra il suo vero volto di spietata aggressività: la festa è finita, qui il mercato è saturo, bisogna riconvertirsi in lavoratori a basso salario e ancor meno diritti per tappare i buchi della follia finanziaria e per invadere di altra roba gli angoli di mondo dove si comincia a poter spendere, insomma il disegno è farci diventare la Cina dei cinesi… Come ho cercato di spiegare prima, le idee che circoleranno agli Stati Generali del Lavoro sono di segno opposto. Un lavoro umano, che contribuisca cioè alla crescita del singolo e della collettività, che non assorba tutta l’esistenza, che costruisca cose vere e che nutra il territorio in cui nasce e che da questo sia nutrito. Idee ormai rivoluzionarie, appunto: le stesse che hanno ispirato Etinomia fin dall’inizio della sua storia.

Quali sono i principi guida della vostra associazione?

Eleonora Ponte: Etinomia è nata da un gruppo di piccoli e medi imprenditori della val di Susa che si sono trovati a discutere, nelle lunghe notti di presidio prima dell’installazione del cantiere militare a Chiomonte, del sistema di sviluppo e produzione capitalistico occidentale, così come lo abbiamo conosciuto finora, che dimostra drammaticamente di essere alle corde. Le grandi opere come il TAV ne sono l’emblema. Queste persone si sono quindi fermate a riflettere e discutere di come si possa cambiare rotta, di come l’economia possa e debba diventare etica (il nome Etinomia deriva da ETIca coniugata con ecoNOMIA). L’associazione si è subito data un manifesto etico in cui prima di tutto gli attori della vita economica del territorio si impegnano a sviluppare la loro attività facendo sì che la ricaduta economica prevalente sia sul territorio stesso, al fine di sottrarre le ricchezze alla grande finanza internazionale su cui non si ha alcun controllo, e l’attività produttiva sia rispettosa dell’ambiente e della vita delle persone.

Da tempo abbiamo l’impressione che esistano due Italie, una vecchia decrepita, aggrappata al potere, che cerca di mantenere con ogni mezzo lo status quo, e un’altra invece che sta cambiando, che è da anni all’avanguardia su tematiche come i beni comuni, il rispetto dell’ambiente, l’etica nel lavoro; e che la prima cerchi di combattere e soffocare con ogni mezzo la seconda. Cosa ne pensi?

Giuliana Cupi: Che è tragicamente vero e che chiunque sia consapevole di questa guerra in atto abbia il dovere verso se stesso e verso la comunità di spiegarlo a tutti, nello sforzo di illuminare altre coscienze e di sabotare questo processo: eventi come gli Stati Generali del Lavoro succedono proprio per questo. Purtroppo l’Italia numero 1 può contare su un formidabile apparato propagandistico e non mi riferisco solo alle arcinote proprietà berlusconiane, ma proprio a quei canali televisivi, radiofonici e giornalistici che dovrebbero rappresentare il Paese colto, moderno, all’avanguardia e che sono invece i massimi portatori delle idee profondamente reazionarie di cui sopra. La mia esperienza personale di cittadina e di informatrice (tramite il sito www.fabionews.info, N.d.R.) mi porta a dire che la speranza, non solo per l’Italia numero 2, ma per tutti, anche per quelli che ancora non se ne son resi conto, consiste nello smettere di essere soggetti passivi: non “subìre” l’informazione, la politica e l’economia, ma crearne di nuove, anche in minima parte, anche nel piccolo centro o quartiere in cui si vive, organizzare serate per spiegare temi importanti, appassionarsi a problemi locali, comprare in un GAS o farsi un orto. Cose piccole, ma che alla fine incidono e che – altro punto fondamentale – costringono positivamente a uscire di casa, a incontrare gente, a fare comunità. L’atomizzazione fa il gioco di chi ci vuole spaventati e soli, la solidarietà e l’essere inseriti in diverse reti ci fanno sentire protetti nei grandi cambiamenti che ci attendono. Anche di questo si parlerà agli SGL.

In definitiva, cosa rispondete a chi vi accusa velatamente di violenza e di essere un pericolo per l’ordine pubblico?

Giuliana Cupi: Di partecipare in prima persona, senza paura e senza preconcetti. Posso scommettere che chi lo farà ne uscirà almeno un po’ cambiato e desideroso di proseguire sulla nuova strada.

Fonte: il cambiamento

Il cibo non è una merce. In memoria dell’agricoltura siciliana

“Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie”.cibo_3

“Il cibo non è una merce. Il cibo non è un insieme di nutrienti chimici. Esso è una rete di rapporti tra un gran numero di esseri viventi, umani e non umani, tutti dipendenti gli uni dagli altri e tutti radicati nel terreno e nutriti dalla luce del sole (Pollan). Ma questo – come sostiene “Terra e LiberAzione” – è possibile solo ad un’azienda agro-energetica che appartenga ad un territorio che abbia la sovranità alimentare e l’indipendenza”. La terra e l’uomo che la coltiva sopravvivono, ormai da tempo, a laceranti crisi che lasciano segni profondi non solo nella nostra economia ma anche nelle nostre coscienze. Gli squarci provocati dagli uomini che hanno avuto in mano le sorti politiche dell’arte di coltivare il suolo e l’illusione contadina di abbandonare la passione per la terra ed avvicinarsi al profitto praticando la strada larga della chimica e dell’inquinamento, hanno provocato la diaspora nelle campagne e la disgrazia nella popolazione rurale. La ruralità spiccata della nostra Isola digerì il primo impatto con tutto ciò che arrivò da Oriente per consegnarlo ad un Continente altrimenti affamato, divenendo pilastro del Mediterraneo. Tempo perso. Secoli di storia e di esperienza svenduti, ai giorni nostri, per poche palline colorate da banditori idioti su mercati che non controllano più o che non possono più controllare. È la Morte. Ma la morte è una lunga attesa; essa dà all’uomo sempre l’occasione di convertirsi, di ritrovarsi, di ribellarsi all’inganno prima di passare oltre la linea di demarcazione. Allo stato attuale sembra incombere il Pericolo di perdere le nostre aziende agricole, di perdere la nostra Terra, per sempre. E questo è il Pericolo.diserbanti

L’occasione di cambiamento e salvezza dove sta? Innanzitutto, dobbiamo essere coscienti che uscire dalla crisi non è solo un fattore economico, ma è principalmente un fattore umano. L’uomo senza la conoscenza non è un attore, ma un servo, uno schiavo. Noi, senza nemmeno accorgercene siamo divenuti schiavi di quelle transnazionali alle quali interessa solo il Profitto, schiavi dei Poteri Forti che hanno provocato fame e sradicamento nel mondo distruggendo intere Civiltà e creato in noi la paura del diverso, di tutto quello che proviene dal mare, dal grano canadese, dall’ortofrutta africana ecc. La paura è giustificata perché questi prodotti hanno distrutto i nostri mercati, hanno inquinato le nostre mense, lasciano invenduti i nostri prodotti. Ma il potere a questi prodotti – non sempre e necessariamente cattivi – lo abbiamo dato noi, perché abbiamo sostituito la nostra ricca biodiversità con lo standard delle multinazionali. Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie. Qualcuno propone una Riforma Agraria, noi proporremmo piuttosto una Riforma Agronomica e Agroenergetica. Ne riparleremo. Il problema non nasce in questi ultimi anni, ma, in tempi recenti, si profilò già alla fine della II Guerra Mondiale, quando le fabbriche di munizioni rimasero con i magazzini pieni di Nitrato d’Ammonio che era stato utilizzato per fabbricare gli esplosivi. Dopo una breve ricerca i fabbricanti di armi scoprirono che il solito amico Fritz, Haber di cognome, un tedesco di origine ebraica, aveva capito, nel 1906, come dare il Nitrato d’Ammonio ai vegetali. Costui aveva anche inventato i gas mortali sparsi nelle trincee durante la I Guerra Mondiale e lo Zyklon B usato per gasare gli ebrei nei campi di sterminio. Testati, poi, durante la guerra del Vietnam e usati come Defolianti per scovare i terribili Vietcong, che difendevano le loro risaie, nascondendosi nella vegetazione delle loro foreste. Da qui vennero fuori i gloriosi diserbanti che nelle pubblicità vengono definiti come “protettori delle colture dai loro nemici naturali”.semi_zucca

Se poniamo attenzione vediamo, quindi, che per fare agricoltura stiamo utilizzando due “sistemi di distruzione di massa”. La natura ringrazia insieme al consumatore per la strage “diferita” che stiamo provocando. Differita perché non si muore subito ma dopo avere consumato una buona dose di prodotti farmaceutici per curare la salute rimpinguando anche le casse dell’industria farmaceutica che qualche mese fa voleva inoculare nel sangue della popolazione mondiale qualche schifezza a pagamento, con tanto di promozione ministeriale. Forse potremmo abbassare pure l’IRAP se mangiassimo sano. Ciò non bastò, perché l’industria non si accontentò di vendere i suoi “elisir”, ma rivolse l’attenzione anche alla cosa più importante per il contadino: il seme, “a simenza”. A questo punto nasce l’altro inganno. Con il pretesto di risolvere la fame nel mondo gli “scienziati” attivano una serie di mutagenesi indotte per modificare il mais, il grano tenero poi e per ultimo il grano duro. Così il lavoro svolto dai contadini negli ultimi 10.000 – 15.000 anni, che selezionarono, “con la loro ignoranza”, centinaia di popolazioni di frumento, rispettandone la natura e adeguandole alla moltitudine di microclimi, consegnando alle generazioni future un tesoro di biodiversità vegetale, venne messo al bando per promuovere il risultato ottenuto “dalla scienza” in una notte del 1974 con l’ausilio di un cannone ai Raggi Gamma del Cobalto inventandosi le Varietà di grano nanizzato – iperproduttivo che necessita di nitrato d’ammonio, di diserbanti e di antifungini, la cui caratteristica, oltre a quella dell’iperglutine è quella di avere perduto la diversità ed acquisito l’omogeneità. “Ovviamente le nuove varietà sono meno capaci di rispondere adattativamente ai futuri cambiamenti climatici o alla comparsa di parassiti” – disse il Prof. Luigi Monti, durante la sua Laudatio Academica all’Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze Biotecnologiche, in occasione del Conferimento della Laurea honoris causa a Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, l’artefice della mutagenesi indotta applicata sui cereali nel suo progetto Campo Gamma, – ed infine aggiunse: “Esiste, quindi, una contraddizione tra il miglioramento genetico e la conservazione della biodiversità, nel senso che le nuove varietà riducono la diversità genetica presente nell’ecosistema”. Fu sincero però.semi_mano1

Lo stesso lavoro lo si sta facendo sull’umanità a discapito dell’identità e della diversità dei popoli. Le nostre aziende non hanno più la sovranità sul seme, quindi, non abbiamo neppure quella alimentare. E se il rapporto tra lo schiavo ed il padrone si risolve nella dazione o meno del cibo possiamo dire che oggi siamo schiavi. Credo, poi, che gli agricoltori non si rendano conto di cosa abbiano studiato a nostro danno. L’agricoltore vende il grano a 15 – 16 euro a quintale, ossia a 10 euro in meno di quanto gli costa produrlo. Eppure i raccolti continuano di anno in anno. Perché? Di fronte al prezzo basso, il contadino, per pagare le fatture, l’Inps, onorare i debiti e mantenere i figli ha una sola possibilità: produrre di più. Per aumentare le rese di qualche quintale per ettaro si impoverisce la terra, si usano anche terreni marginali e si abusa di concimi chimici. Ma più aumenta l’offerta di grano, più cala il prezzo. Spirale di follia. L’agricoltore continua a misurare il suo lavoro in base ai quintali/ettaro, facendo magari a gara con il circondario, mentre va verso il fallimento. Per il mercato, anche se fallisce un agricoltore, non è un problema, la terra continua a produrre. Inoltre, i contributi che vanno nelle tasche degli agricoltori, in realtà aiutano i compratori di grano a prezzi stracciati. Saranno sempre i governi a guidare l’agricoltura. Oggi, le nostre aziende agricole sono dei Centri di Trasformazione di Combustibili Fossili in Cibo. Un inganno, un bluff pare ci sia alla base di questa crisi. Consolidatosi nell’arco di pochi lustri, divenuto verità difesa con convinzione a tutti i livelli. Il cibo non è una merce.

Fonte: il cambiamento

Il 1978 è stato l’anno più felice per l’umanità

Sulla base dell’indicatore di vero progresso (GPI) una ricerca di economisti ecologici mostra che dopo gli anni ’70 è aumentato il PIL, ma non la qualità della vitaGPI-commentato-586x316

Secondo uno studio anglo-americano-australiano pubblicato su Ecological Economicsil migliore anno della nostra vita è stato il 1978, e mi dispiace per voi se non eravate ancora nati (personalmente sono grato per averlo vissuto, e alla grande …). I ricercatori hanno confrontato la consueta misura del PIL in cui tutte le attività economiche vengono sommate alla rinfusa, con il più rigoroso GPI (Genuine Progress Indicator), in cui alle singole attività  viene assegnato un segno più o un segno meno in base al fatto che esse aumentino o diminuiscano la qualità della nostra vita. Hanno ad esempio un segno meno il comparto degli armamenti, le spese processuali, il crimine, le spese sanitarie per inquinamento, le ore perse nel traffico, gli interventi di bonifica ambientale. Tutte queste attività non vengono sommate, ma sottratte dal PIL. Hanno invece un segno più attività normalmente non considerate perché non retribuite come la cura dei parenti o il volontariato.

I ricercatori hanno analizzato il GPI di ben 17 nazioni che rappresentano il 53% della popolazione mondiale e il 59% del PIL. Mentre quest’ultimo è in crescita costante a partire dagli anni ‘50, il GPI pro capite è aumentato fin verso la fine degli anni ‘70 per poi lentamente diminuire. L’anno del picco è stato appunto il 1978, più o meno nello stesso periodo in cui l’impronta ecologica ha superato la biocapacità del pianeta.

In pratica, nonostante le grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi 40 anni,i costi ambientali e sociali hanno superato la crescita della ricchezza monetaria. Afferma Robert Costanza, uno degli autori:

“Non stiamo realizzando profitto sociale. In particolare, le crescenti diseguaglianze di reddito e il degrado ambientale sono i maggiori fattori che spingono il GPI verso il basso.”

Secondo i ricercatori il GPI pro capite cresce fino a che il PIL pro capite arriva a 7000 $ all’anno ($ 2005), dopo di che inizia leggermente a scendere. Detto altrimenti la ricchezza ulteriore non ci fa vivere meglio. Il GPI non è certo un indicatore perfetto, ma sicuramente è un’approssimazione assai migliore rispetto al PIL. Lo stato del Maryland ha iniziato a tenere in considerazione il GPI nella sua attività di pianificazione economica ed altri stati USA ci stanno pensando. Potrebbe esse l’inizio della fine dell’assurda dittatura del PIL.

Fonte: ecoblog

James Hansen: le scelte energetiche di oggi decideranno del futuro dell’umanità

Il pianeta ha abbastanza combustibili fossili di cattiva qualità da fare esplodere l’effetto serra. Secondo Hansen l’umanità deve salvare il proprio futuro con una completa decarbonizzazione entro il 2030Terra-dallo-spazio-586x419

“Ci sono abbastanza risorse fossili per scatenare l’effetto serra in modo esplosivo, con feedback fuori controllo che dureranno per secoli”. In un’intervista al Guardian, il prof. James Hansen, ex direttore del Goddard Space Institut e ed uno dei più importanti climatologi del pianeta, ha anticipato le conclusioni di un articolo che apparirà a breve sulle Philosophiocal Transactions della Royal Society. Il lavoro di Hansen non riguarda tanto la modellizzazione climatica, quanto la ricostruzione delle correlazioni tra CO2temperatura e livello dei mari negli ultimi 65 milioni di anni. Secondo Hansen, sulla base delle passate esperienze del pianeta, la combustione di tutte le riserve fossili accessibili pomperebbe talmente tanta CO2 in atmosfera da poter fare salire la temperatura dai 16 ai 25 gradi nell’arco di qualche secolo. In queste condizioni sarebbe impossibile coltivare i cereali e si ridurrebbe drasticamente lo strato di ozono, rendendo di fatto la terra inabitabile agli umani. Andremmo incontro a simili effetti anche bruciando solo 1/3 del carbone, delle sabbie bituminose o dell’olio di scisto che si trovano sotto terra. Hansen non è un catastrofista; come spiega in un’altra intervista su Euractive, la ricetta per evitare di  rendere la terra inabitabile è semplice: investire nelle energie rinnovabili e mettere un prezzo al carbonio emesso in atmosfera. Solo pagando alla società il vero costo della combustione è possibile riaggiustare le cose. Secondo Hansen, anche le compagnie fossili potrebbero avere un futuro se investissero le loro risorse in energie pulite invece che corrompendo i governi o finanziando i negatori della realtà.

 

Fonte: ecoblog