Il Giappone torna a uccidere le balene. Allora boicottiamo i prodotti giapponesi!

Il Giappone ha annunciato che riprenderà a uccidere le balene, senza se e senza ma. Come fa la Norvegia. Ma possiamo fare di più che restare semplicemente a guardare. Boicottiamo i prodotti giapponesi, ce ne sono un’infinità! E scriviamo al governo norvegese. Facciamo sentire le nostre voci e facciamo pesare il nostro denaro.

Le balene sono animali socievoli, pacifici, intelligenti. Somigliano dunque ai migliori tra gli esseri umani. Sono perfino in grado di immedesimarsi empaticamente in esseri di altre specie, come testimoniano tutti quelli che le hanno studiate vivendo per lungo tempo a contatto con loro. Le balene allevano i loro piccoli con attenzione e amore, li proteggono, giocano con loro, li educano; formano branchi che sono grandi famiglie allargate e hanno relazioni affettuose e solidali che durano tutta la vita. Le balene sono longeve, non si sa esattamente quanto; si sa che ci sono balene di sessanta e ottanta anni, e si sa che le balene hanno ricordi tenaci e sentimenti profondi. Le balene franche abbracciano i loro piccoli con le pinne laterali, li tengono sul ventre mettendosi a pancia in su e con una delle pinne li accarezzano a lungo per calmarli quando sono agitati. Le balene hanno una cultura complessa; i maschi delle megattere compongono lunghe canzoni, che durano dai quindici ai trenta minuti, che seguono le stesse regole musicali delle canzoni e composizioni umane, che spesso sono in rima come i nostri poemi, che si trasmettono e vengono ripetute da tutti i maschi della tribù con piccole variazioni e abbellimenti che ognuno apporta; canzoni che hanno significati precisi anche se noi non li abbiamo ancora capiti, e le rime servono, come servivano a noi umani, per ricordarle meglio.

Le balene sono state portate sull’orlo dell’estinzione da una caccia spietata condotta furiosamente per più di un secolo a scopo di lucro. Dall’invenzione del cannone spara arpione, nel 1864, all’anno della moratoria sulla caccia alla balena, nel 1986, le balenottere azzurre sono passate da 250.000 a 10.000, le balenottere comuni da 600.000 a 50.000, le megattere dalle lunghe canzoni da 150.000 a 25.000.

Oggi le balene sono minacciate dall’apocalittico inquinamento degli oceani e dalla pesca industriale che sta svuotando i mari e le fa morire di fame; si calcola che 300.000 balene vengano uccise ogni anno dall’inquinamento, dalla fame, dalle reti lunghe decine di chilometri della pesca industriale, dagli scontri con navi e navigli vari, ciononostante i giapponesi hanno deciso di  infischiarsene di tutto ciò, di uscire dalla Commissione Baleniera Internazionale, l’organismo che regola e pone dei freni alla caccia alle balene, e di riprendere a cacciarle senza se e senza ma.

Questo comportamento potrebbe essere una sintesi del capitalismo estremo dei tempi in cui viviamo: non si molla una fonte di profitto, non si rinuncia a una preda, non si retrocede di fronte alla distruzione del bene comune, anzi, ci si accanisce per distruggerle e farne un possesso esclusivo. E la balena, con la sua pacifica maestà, i difensori delle balene con la loro umana compassione, sono nemici da togliere di mezzo per dominare e trionfare. Soldi, privilegi, potere: questo è il sistema in cui viviamo e il sistema che ci sta uccidendo; un sistema demente e disumano che selezione ai suoi vertici i più disumani e dementi. La compagnia di pesca industriale Kyodo Senpaku Kaisha, con la complicità del governo giapponese che la sovvenziona abbondantemente e ne porta avanti gli interessi, e con l’acquiescenza delle istituzioni sovranazionali, ha perpetrato finora il massacro delle balene mascherato da ricerca scientifica. Non è la sola, ci sono anche i norvegesi a massacrare le balene, e senza neanche mascherarsi. Ora anche i giapponesi hanno deciso di gettare la maschera e sfidare con arroganza e disprezzo ambientalisti e scienziati che da decenni lottano per la sopravvivenza e la salvaguardia dei cetacei. D’altro canto, come i pirati che sono, gli equipaggi delle baleniere giapponesi solcano gli oceani armati fino ai denti, tanto che Sea Shepherd ha rinunciato a contrastarli: non aveva più i mezzi per farlo, il governo giapponese ha fatto una legge che equipara i difensori delle balene a terroristi internazionali, dando agli assassini di balene la facoltà legale di uccidere anche gli umani difensori delle stesse. Il consumo di carne di balena è ormai residuale anche in Giappone, le flotte baleniere costano ai contribuenti di ogni dove molto di più di quello che guadagnano i loro padroni. Perché dunque tanta ostinazione norvegese e giapponese? Proviamo a pensarci un po’ su. Intanto, dando per scontato che la malattia mentale circoli allegramente nel mondo moderno e soprattutto nei ceti dominanti di tale mondo, uccidere le balene li fa sentire potenti, padroni della vita, supereroi negativi, che è la cosa che gli piace di più. Poi, qualcosa ci avranno investito nella flotta baleniera, e dunque bisogna che l’investimento renda a tutti i costi e, se adesso non rende, domani chissà. Infatti governo giapponese e governo norvegese si pongono l’obiettivo di diffondere e pubblicizzare il consumo di carne di balena e, avendo per ora la quasi esclusiva di questa caccia, far fare tanti soldini ai loro capitalisti-balenekillers. Stanno già studiandosi di esportare la carne di balena in tutto il mondo, dopo aver modificato le leggi internazionali che ne proibiscono  l’esportazione, la vendita e il consumo negli altri paesi. Come faranno? Ma è semplice! Come il capitalismo globale ha ottenuto tante altre leggi: corrompendo, minacciando, accordando e accordandosi. I soldi non hanno odore, non si sente il puzzo di morte e decomposizione nelle carte di credito e nelle azioni bancarie. E poi, però, come faranno a convincere el pueblo a consumare carne di balena? Che domanda. In una società in cui buona parte della gente è quasi totalmente sconnessa dalla realtà, dove convinti animalisti mangiano bistecche di manzi allevati intensivamente, ambientalisti viaggiano in SUV, difensori dei diritti umani si vestono con le magliette fatte dalle schiave del Bangladesh, volontarie del canile indossano giacconi col collo di pelo di cane o di coyote trucidati crudelmente, antimperialisti vanno su e giù per il pianeta in aereo consumando ettolitri di petrolio per il quale sono stati distrutti interi paesi dall’imperialismo… che problema ci sarà? Qualche film in cui gente di successo mangia delle belle bistecche di balena, qualche cuoco famoso che le cucina in televisione, un esperto dietologo che dice quanto fa bene la carne di balena per mantenerci giovani e in forma anche a cent’anni… et voilà, l’ennesimo sporco gioco è fatto! Ma noi, che del tutto sconnessi dalla realtà non siamo, vediamo di non farci prendere in contropiede. Dunque, per questi signori (chiamiamoli così, anche se non lo pensiamo) l’unica cosa che conta è il denaro, e allora solo nel denaro possiamo colpirli e, visto che governo giapponese e governo norvegese sono attivi complici della carneficina a scopo di lucro, boicottiamoli. Boicottiamo le loro economie. Una bella letterina all’ambasciata norvegese (emb.rome@mfa.no) per dire che non andremo in Norvegia e non compreremo i loro prodotti fino a che non cesserà la caccia alla balena. Forse non inciderà molto sull’economia di un paese che vive di petrolio ma, visto che tengono così tanto anche ai soldi che procura la carne di balena, forse ci faranno un pensierino. Quanto al Giappone, i prodotti delle sue multinazionali sono tra noi, in quasi tutte le case (o i garage) occidentali. Casio, Sony, JVC Kenwood, Pentax, Nikon, Canon, Mitsubishi, Panasonic, Epson, Toshiba, Seiko, Honda, Mazda, Nissan, Subaru, Suzuki, Toyota, sono tra quelle più conosciute.

Non compriamo più i loro prodotti finché il governo giapponese sosterrà la caccia alla balena. “Dividi et impera” è il motto dei dominatori, ma possiamo dividere anche loro. “Dividi l’Impero” è lo scopo dei boicottaggi. Sarà meglio per il governo giapponese perseguire gli interessi della Kyodo Senpaku Kaisha o quelli delle altre compagnie giapponesi? E questi interessi dipendono da noi consumatori. Il 2019 forse sarà l’anno del massacro indiscriminato delle balene. O forse sarà l’inizio della fine di un capitalismo piratesco giunto ormai alla pazzia furiosa, e che sta contagiando la cultura e i sentimenti di tutti. Solo noi possiamo deciderlo, con le nostre lotte ma anche coi nostri comportamenti coerenti e consapevoli. Non sarà comodo ma sarà felicemente liberatorio, umano e dignitoso.

Fonte: ilcambiamento.it

Imidacloprid per fermare la Xylella in Puglia, stop dell’Ue: “Uccide le api”

Imidacloprid

Stop all’uso di Imidacloprid sugli ulivi pugliesi colpiti da Xylella. Un decreto del governo Gentiloni ne aveva imposto l’impiego per fermare la diffusione del batterio.

I rischi per l’ambiente e gli insetti impollinatori sono però troppo alti: l’Unione Europea ha bloccato il decreto del precedente esecutivo.

Scopriamo il percorso che ha portato al blocco del provvedimento.

Imidacloprid: lo stop Ue

La motivazione dello stop dell’Unione Europea al decreto Martina che imponeva il ricorso all’Imidacloprid sulle piante infette da Xylella è molto semplice:

«Rischi per le api in caso di usi esterni dell’Imidacloprid».

I pesticidi neonicotinoidi, è ormai risaputo, sono dannosi per le api. Per questo sono stati di recente vietati in Ue, anche se l’uso è ancora consentito nelle serre permanenti. L’Imidacloprid è, insieme a clothianidin e thiamethoxam, uno dei pesticidi banditi sul territorio europeo, per la coltivazione all’aperto. Ecco perché il decreto Gentiloni, che ne imponeva l’impiego sugli ulivi pugliesi, non doveva essere approvato. Spiegano da Bruxelles:

«Le autorità italiane erano tenute a presentare dati di conferma per gli usi ancora consentiti. Inoltre era previsto un riesame dei nuovi dati scientifici relativi ai rischi per le api derivanti dall’uso di Imidacloprid entro due anni».

Riesame che non è ancora arrivato. Un portavoce della Commissione Ue ha rincarato la dose:

«Le autorità italiane avrebbero dovuto notificare alla Commissione europea l’inserimento di un pesticida soggetto a restrizioni nell’elenco delle sostanze potenzialmente utilizzabili contro la cicala vettore della Xylella fastidiosa contenuto nel decreto del febbraio 2018 sulle misure di emergenza contro il batterio».

La Commissione, ha aggiunto il portavoce, “è a conoscenza del fatto che nel decreto ministeriale in questione l’Imidacloprid è elencato tra le sostanze che potrebbero essere usate. Tuttavia questo utilizzo richiederebbe innanzitutto un’autorizzazione specifica da parte delle autorità italiane, che non è stata ancora emessa, pertanto il suo uso è vietato. Esiste inoltre l’obbligo per le autorità italiane di notificare la misura alla Commissione”.

Il decreto del governo Gentiloni

Insomma, il “decreto Martina” non doveva essere emanato. Il provvedimento, che porta il nome dell’ex ministro dell’Agricoltura del governo Gentiloni, imponeva l’obbligo di utilizzare gli insetticidi in Puglia, per contrastare la diffusione di Xylella fastidiosa sugli ulivi.

Contro il decreto, in Europa hanno presentato esposti sia Diem25, il movimento fondato da YanisVaroufakis, e il Movimento 5 Stelle. Diem25 sosteneva che il decreto fosse illegittimo, perché mai notificato a Bruxelles. Rosa D’Amato, eurodeputata pentastellata, aveva inoltre presentato un’interrogazione sull’argomento il 23 aprile.

«Le nostre denunce sono state confermate – ha dichiarato D’Amato all’indomani della pronuncia UE – Questopesticida è nocivo per le api e di conseguenza comporta gravi rischi per l’agricoltura e l’economia del territorio. La vicenda dimostra ancora una volta come, fin dal principio, le autorità italiane si siano piegate alle lobby dei pesticidi. Abbiamo più volte denunciato i rischi connessi all’uso intensivo di queste sostanze, oggi i fatti e la stessa Efsa ci danno ragione. Serve un cambiamento di paradigma per affrontare davvero la crisi dell’agricoltura e dell’economia pugliesi, concentrando le misure per combattere la xylella sulla promozione di trattamenti e coltivazioni biologiche. Il nuovo governo rimedierà agli errori del precedente».

Accogliendo le istanze di M5S e Diem25, l’Ue ha di fatto bloccato il decreto Martina.

Imidacloprid e gli altri neonicotinoidi: tutti i rischi per gli impollinatori

Le evidenze scientifiche che condannano l’impiego dei pesticidi neonicotinoidi sono ormai numerose. Troppe per essere ignorate. E infatti l’Unione Europea, come accennato, ha vietato l’impiego all’aperto di Imidacloprid e altre sostanze simili. Quali sono le conseguenze dell’uso di questo tipo di pesticidi sulle api? Le ricerche sul tema sono diverse. Ricordiamo per esempio che l’Università svizzera di Berna ha dimostrato come i neonicotinoidi causano una diminuzione del 39% nella produzione dello sperma dei maschi di Apis Mellifera. Inoltre, il 32% dei fuchi maschi esposti atali pesticidi non abbia raggiunto i 14 giorni di età, momento in cui questi insetti raggiungono la maturità sessuale. Il Centre for Ecology and Hydrology (CEH) di Wallingford, nel Regno Unito, ha inoltre dimostrato che i neonicotinoidi fanno diminuire drasticamente la presenza di api selvatiche. Fino al meno 30 per cento è stato registrato nei campi di colza.

Fonte: ambientebio.it

IEA: “”Senza un cambiamento delle politiche energetiche l’inquinamento dell’aria ucciderà sempre più persone”

È la prima volta che l’Agenzia Internazionale per l’Energia, che normalmente si limita a statistiche sui consumi energetici ed emissioni di gas serra, si rivolge in maniera così esplicita alla politica, ma l’inquinamento atmosferico è ormai crisi globale385775_1

“L’inquinamento atmosferico uccide più di sei milioni di persone nel mondo ogni anno, ma i governi finora sono stati troppo lenti nel dare risposte adeguate. Bisogna che affrontino urgentemente la questione senza lasciarla al solo settore privato”.

La richiesta arriva da un rapporto speciale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia. È la prima volta che l’IEA, che normalmente si limita a statistiche sui consumi energetici e le emissioni di gas serra da essi derivanti, si rivolge in maniera così esplicita alla politica, ma secondo i suoi esponenti l’inquinamento dell’aria non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita. A livello sanitario si tratta della quarta più grande minaccia mondiale, dopo l’ipertensione arteriosa, la cattiva alimentazione e il fumo. E l’industria energetica ne è una delle cause principali. Il rilascio in atmosfera di sostanze nocive come il particolato, gli ossidi di zolfo e gli ossidi di azoto, che causano gravi difficoltà respiratorie, malattie cardiovascolari, ictus e morti premature, è dovuto principalmente alla produzione e all’uso di energia non regolamentata o inefficiente. Senza risposte adeguate decessi e patologie sono destinati ad aumentare vertiginosamente, dice il rapporto: si stima ed esempio che le morti premature annuali attribuibili all’inquinamento dell’aria arriveranno a 4,5 milioni nel 2040 dai circa 3 milioni attuali. Nonostante il calo delle emissioni globali previsto nei prossimi 24 anni in alcuni dei principali paesi del mondo, l’IEA sostiene che le politiche energetiche esistenti e quelle in programma non riusciranno a migliorare la qualità dell’aria. Eppure secondo l’agenzia basterebbe uno sforzo tutto sommato contenuto: con un aumento di appena il 7% degli investimenti totali in energia, corrispondente a circa 4,7 miliardi di dollari, entro il 2040 si riuscirebbero a contenere le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico entro i 2,8 milioni. Per usare al meglio queste risorse ogni paese dovrebbe darsi un obiettivo a lungo termine basato sull’uso di energie rinnovabili, sul miglioramento dell’efficienza energetica e sul controllo delle emissioni, come ad esempio nel settore agricolo, dove gli ossidi di azoto e l’ammoniaca, derivanti dai fertilizzanti, sono più potenti della co2 in termini blocco del calore nell’atmosfera, e possono combinarsi con altre emissioni per formare gas più nocivi. “I dati dell’IEA  parlano chiaro. I veri imputati sono carbone e petrolio e causano milioni di morti premature ogni anno – ha scritto il Wwf in una nota – Se da un lato la responsabilità del settore dell’energia sulla salute globale è enorme, dall’altro l’Agenzia segnala come il comparto potrebbe ridurre significativamente l’inquinamento applicando le politiche di riduzione delle emissioni, ponendosi degli obiettivi e monitorandone i risultati. A questo il Wwf aggiunge che il segnale più importante emerso dal rapporto è l’assoluta necessità di uscire dall’era fossile al più presto, entro i prossimi 20 anni, per transitare verso un sistema globale di produzione di energia basato sulle rinnovabili. Questo risponderebbe a quanto previsto dall’Accordo di Parigi sul Clima che punta a limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi C. Il carbone e il petrolio non saranno mai puliti. Anche se gli altri inquinanti “mortali” dovessero venir ridotti in modo significativo –e non siamo a questo punto, comunque-  i combustibili fossili continuerebbero ad emettere CO2, il gas serra più pericoloso per il clima, quindi per la salute del Pianeta che ci ospita, per la nostra Casa Comune.

Fonte: ecodallecitta.it

Auto lussuose che ammiccano nelle pubblicità, mentre lo smog ci uccide

Vetture lussuose, che ci dipingono viaggi e ci trasportano nelle verdi campagne d’Irlanda, motori che sono una musica, comfort come a casa. Ecco cosa ci “raccontano” le pubblicità delle auto…mentre noi soffochiamo per lo smog…

Marìca Spagnesi collabora anche con il progetto llht.org

“Il lusso è l’abitudine a consumi di elevata gamma qualitativa e di costo. È uno stile di vita e di comportamento che privilegia l’acquisto e il consumo di prodotti e oggetti, spesso superflui”. Così dice Wikipedia. Spudoratamente, invece, significa “senza pudore, in modo sfacciato, sfrontato”.trafficosmog

E guarda caso il lusso senza vergogna è quanto affermano come diritto le pubblicità di tantissime automobili. Insomma si tratta di auto i cui produttori non si vergognano di sbandierare il lusso. Perché dovrebbero? E perché dovremmo vergognarcene noi se la guidiamo? Abbiamo il sacrosanto diritto a un po’ di lusso quotidiano. Non importa se ci indebiteremo per i prossimi anni per comprarle, se magari non abbiamo un lavoro o l’abbiamo perso da poco. Oppure se ne abbiamo uno che non ci permetterebbe questi “lussi”. I messaggi (molti messaggi perché adesso molte pubblicità sono proposte a capitoli quasi come si trattasse di una serie tv a puntate) sembrano non tenere conto di questo. Anzi, più hai problemi e difficoltà, più sei triste e infelice, più hai diritto a consolarti e a coccolarti. Se hai bisogno di attenzione, amore e coccole, sei il cliente migliore. Se soffri di bassa autostima e vivi male il confronto con gli altri non ne parliamo. Siamo disposti ad ascoltare senza farci caso un’immensità di bugie. Lo sappiamo già, per carità, e non voglio certo dire che si tratti di una pubblicità ingannevole. Non, almeno, a un certo livello. Sono sicura che le caratteristiche tanto decantate dalle pubblicità ci sono tutte: leggerezza, spazio, aerodinamicità, connettività, comfort e tutto il resto ma il modo in cui vengono presentate fa pensare. Se tante case automobilistiche ci basano intere campagne pubblicitarie significa che puntare sul sentirsi un po’ sopra gli altri e in possesso di un oggetto di “lusso” ci fa sentire bene e saremmo disposti a spendere e a fare sacrifici pur di averlo. Ma vediamo per quali altre ragioni ci dicono che dovremmo acquistare le auto di lusso.

“Per i vostri viaggi lunghi”

Cosa ci viene alla mente quando sentiamo o leggiamo questo? Be’, magari un lungo e romantico viaggio per le semideserte lande islandesi, magari in buona compagnia… O in montagna costeggiando la foresta primigenia… E’ esattamente questo che si vuole evocare nei nostri ricordi o nei nostri desideri. E infatti le immagini che rappresentano le prestazioni delle macchine sono di solito di questo tipo. Peccato, però, che per la maggior parte di noi non si intenda esattamente quello per “lungo viaggio”. Il nostro lungo viaggio con questa macchina si svolgerà molto probabilmente e per la stragrande maggioranza dal punto A al punto B della città insostenibile in cui viviamo immersi nello smog, nel traffico infernale delle ore di punta (cioè 24 ore su 24) per fare ben 8 km in un’ora e mezza. Se è una giornata senza intoppi e senza imprevisti particolari, naturalmente.

“I test hanno confermato che i nuovi motori offrono un’esperienza sonora piacevole e dinamica”

Cosa vi viene in mente quando leggete “un’esperienza sonora piacevole e dinamica”? Forse certe musiche composte da Verdi o da Orff? Forse qualche gruppo underground o punk? Poco importa. A ciascuno verrà in mente qualcosa di bello, rilassante o energizzante. Il rumore del motore spacciato per musica! Impareremo a sognare e ad emozionarci al magico suono del motore che non fa rumore ma produce “un’esperienza sonora”…Siamo talmente abituati al rumore delle auto nelle città, che non riusciamo neppure più a sentirlo, neppure più ad esserne disturbati. Non avevo mai fatto caso al rumore continuo e profondo del continuo passare di macchine che viene dal raccordo non lontano da casa mia. Non fino a quando non me l’ha fatto notare un amico: un sottofondo continuo. La colonna sonora della nostra vita. E visto che c’è, come tutte le cose brutte che ci circondano, impariamo a conviverci, ad accettarle e poi, un bel giorno, ci si convince, o ci convincono, che sono anche belle. E’ perché ci sono. E’ così che il frastuono delle macchine è diventato “musica”. Del resto, adesso che le case automobilistiche riescono a produrre motori sempre più silenziosi i guidatori più “raffinati” hanno protestato chiedendo a gran voce di ripristinare la musica della macchina. Detto e fatto, alcune macchine sono state dotate di impianti per il rumore artificiale in modo tale che il guidatore senta il rumore a cui è abituato anche se il motore non lo fa più. Ci sono addirittura diverse accordature come se il motore fosse un vero e proprio strumento musicale. E così, quando saliamo in macchina possiamo azionare l’accordatura che ci piace di più e partire…

“Un’oasi di benessere”

Sedili con possibilità di regolazione con funzione massaggio, memory, climatizzazione e regolazione in larghezza delle imbottiture. Un vero e proprio oggetto di lusso, arte scultorea, precisione, architettura leggera, motori di ultima generazione. Qui si tratta di tecniche di distrazione: non devo concentrarmi sul fatto che resto ore incollata in macchina in città ma sul fatto che, tanto, ho la funzione massaggio e che la macchina “si prende cura della mia schiena e del mio benessere”. Si sta forse acquistando un’opera d’arte? La tua macchina è la tua casa? Dobbiamo desiderare di non scendere più? Cioè dovremmo essere attratti da quella prospettiva perché in macchina si sta talmente bene, talmente coccolati e a nostro agio che l’unico nostro desiderio sarebbe di viverci dentro. Molti di noi ci vivono già sempre in macchina, non è affatto una novità. E visto che è così, tanto vale organizzarci e farne un’esperienza memorabile: in fondo passare delle ore in macchina, imprecando nel traffico e causando inquinamento, spreco, perdita di tempo ed energie, rumore, caos, incidenti e stress, è bellissimo. Perché la macchina mi fa il massaggio col sedile riscaldato, inonda di esotiche fragranze l’abitacolo ed è un oggetto di vero lusso. Potremmo desiderare di più? Poco importa se è solo un’illusione. Ne abbiamo bisogno e non riusciamo a capire che si tratta di un miraggio. In questi giorni alcune città italiane hanno superato il limite di guardia dei livelli di polveri sottili presenti nell’aria. Il livello di allerta resta altissimo. Dovremmo forse cominciare a pensare a un modo per tapparci le orecchie al canto delle sirene di queste pubblicità e iniziare finalmente a guardarci intorno. Dovremmo forse cominciare a pensare a un modo per starne fuori, dalle macchine, e non a sistemi sofisticati e innovativi per rendere un’esperienza indimenticabile e straordinaria starci dentro e desiderare di non uscirne più. Prima che il vero lusso diventi quello di avere aria pulita da respirare.

Fonte: ilcambiamento.it

Chi uccide i fiumi toscani?

E’ un vero e proprio allarme fiumi e in questo momento la situazione in Toscana è drammatica. Interventi disastrosi distruggono ecosistemi e mettono a rischio la sicurezza idraulica del territorio. E purtroppo la Toscana non è l’unica Regione dove tali scempi si stanno moltiplicando…fiumitoscana

E’ un vero e proprio allarme fiumi e in questo momento la situazione in Toscana è drammatica. Interventi disastrosi distruggono ecosistemi e mettono a rischio la sicurezza idraulica del territorio. E purtroppo la Toscana non è l’unica Regiove dove tali scempi si stanno moltiplicando… Stiamo provocando con le nostre mani uno dei più gravi danni al sistema idraulico naturale. Il reticolo di torrenti, ruscelli, fiumi che si snodano a meandri nella piatta pianura padana, o che precipitano in forre e gole delle montagne e colline del centro Italia sono oggetto, da oltre cinquant’anni di un attacco feroce fatto di canalizzazioni, briglie, dighe, cementificazioni e addirittura, in molti casi, di interramenti, che significa che il fiume viene fatto passare in canali sotterranei artificiali. All’attacco umano, che si prefigge insensatamente di tenere sotto controllo una delle forze più potenti della natura, ovvero l’acqua, cercando di costringerla in spazi forzati e di impedirne il naturale andamento, si è contrapposta la realtà delle cose. Da quando l’opera di distruzione dei fiumi è cominciata, si sono moltiplicati gli eventi catastrofici, che hanno colpito la popolazione e l’economia di intere zone. E tuttavia si continua ad ignorare questa realtà, a non conoscere e non capire che cosa sono e come funzionano i corsi d’acqua. Si vedono i fiumi come semplici elementi del paesaggio da tenere sotto controllo, e non come ecosistemi dalla struttura complessa, in continuo mutamento e sorretti da un equilibrio dinamico molto fragile. Ma l’ignoranza in tema fluviale è sempre stata funzionale al lucro di persone senza scrupoli, pronte ad arricchirsi a scapito della sicurezza dei territori. Dopo la grande cementificazione d’Italia, che ha portato ai tragici eventi che si ripetono ogni anno con interi paesi costruiti in aree alluvionali, oggi i fiumi subiscono l’enorme pressione del nuovo sistema delle imprese coinvolte nel mercato dell’energia da biomasse. Avete capito bene. Infatti, tra le energie alternative risultano esserci le centrali termoelettriche a biomasse, che a seconda della dimensione hanno bisogno di grandi quantità di materia vegetale per poter funzionare (ed essere economicamente remunerative). Come al solito in Italia, grazie ad amministratori compiacenti e poco lungimiranti, c’è chi riesce a trasformare una opportunità di contrasto al drammatico problema dei cambiamenti climatici in una speculazione inaccettabile: è lecito alimentare una centrale termoelettrica a biomassa, a bilancio CO2 teoricamente neutro, al costo della distruzione diretta di un ecosistema? La cosiddetta “ripulitura” dei corsi d’acqua sta comportando in più parti la distruzione completa di tutta la vegetazione riparia, anche secolare, che le rive dei fiumi, gli argini e le naturali casse di espansione ospitano. Oggi si taglia quella vegetazione che l’evidenza, l’esperienza, le indicazioni in normativa e, se non bastasse, numerosi studi scientifici dimostrano necessaria per la funzionalità ecologica del fiume, oltre ad essere utilissima nello smorzare la furia delle piene, nel depurare le acque dagli inquinanti, nel proteggere le sponde dall’erosione. Macchine potentissime radono al suolo tutto, dai pioppi e dagli ontani di trenta metri di altezza fino ai cespugli, riducendoli poi in trucioli e schegge; smuovono la terra che poi le piogge porteranno via producendo frane e smottamenti. Tutto questo è cronaca di questi giorni anche in provincia di Siena, come ha denunciato il WWF, per una serie di interventi autorizzati dalla Provincia e dal nuovo Consorzio di Bonifica Toscana Sud, che negli ultimi tre anni hanno abbattuto la vegetazione su oltre 50 km di fiumi e torrenti. “Siamo molto preoccupati” – dichiara Tommaso Addabbo, presidente del WWF Siena. “Da un lato c’è lo Stato, che legifera e recepisce direttive comunitarie che imporrebbero il raggiungimento di un “buono stato ecologico” degli ecosistemi d’acqua dolce entro il 2015, come previsto dalla Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE. Dall’altro non solo non si procede in modo deciso a sanare i danni del passato, ma in molti casi si persevera nella distruzione della naturalità, in un quadro amministrativo sconcertante”. “Per la sicurezza del territorio sono necessari interventi pianificati e selettivi, mirati esclusivamente a garantire la stabilità idraulica del sistema, preservando l’integrità delle sponde e la funzionalità ecologica del fiume, come chiesto dalla normativa. Alcuni enti l’hanno finalmente recepito, e stanno modificando, seppur lentamente, i loro progetti in tal senso. Altri enti, come recentemente fatto sul fiume Arbia dal Consorzio di Bonifica Toscana Sud, mettono ancora in atto la distruzione totale”. “Ma il problema non è da addebitarsi ai soli Consorzi di Bonifica. Anche le Province hanno le loro responsabilità con concessioni di taglio rilasciate a privati, praticamente senza alcuna prescrizione, con risultati disastrosi”.

Fonte: ilcambiamento.it

Ucciso Goccia il delfino mascotte del Golfo degli Aranci, la sua carne venduta al mercato nero

E’ stato trovato ucciso Goccia il cucciolo di delfino mascotte nel Golfo degli Aranci. Catturato dai bracconieri he hanno preso la sua carne, il mosciame, per venderla al mercato nero delle delicatessen alimentari

Il cucciolo di delfino Goccia è stato ucciso da bracconieri che hanno prelevato la sua carne per venderla al mercato nero sotto forma di musciame. La carcassa del delfino è stata trovata da un bagnante a Cala Moresca. Il cucciolo che aveva un’età di 3 mesi viveva nella Riserva naturalistica di Golfo Aranci, nell’Area Marina Protetta tra Tavolara e Coda Cavallo. Una delle volontarie, Patrizia Sale, che segue i tursiopi nel Golfo degli Aranci ora si dice preoccupata per le sorti degli altri componenti del branco. Per Emanuele Deiana, consigliere nazionale dell’ENPA ci troviamo davanti a un fatto gravissimo e inaccettabile:

Un gesto di una violenza così efferata da far gelare il sangue. Mi chiedo chi possa essere stato così disumano da compiere un simile scempio sul corpo del cucciolo di cetaceo e poi gettarlo via, abbandonandolo su una spiaggia, come se si trattasse di un rifiuto e non di un essere senziente a cui è stata tolta la vita.

La Protezione animali è dunque decisa a intervenire e presenterà una denuncia contro ignoti poiché è evidente che il cucciolo di delfino è stato catturato con il fine di prelevare la sua carne, come spiega ENPA:

le operazioni di sezionamento praticate sul tursiope, al quale sono state asportate le parti commestibili, debbono fare ricondurre il tragico fatto al mercato nero del musciame.

Ricordiamo che il delfino è una specie protetta e dunque non può essere pescato così come stabilito dalla convenzione di Washington, dalla Direttiva 92/43/CEE e dal regolamento CE 338/97 che riprende gli accordi Cites (Convenzione Internazionale sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) che include pure il divieto di acquisto, offerta di acquisto, e acquisizione in qualunque forma e per fini commerciali dei cetacei. Ma nel mondo accade che al contrario questi mammiferi siano catturati e massacrati in barba alle leggi come accade in Giappone nella baia di Taiji. Precisa Ilaria Ferri direttore scientifico dell’Enpa a proposito del consumo di carne di delfino essiccata che vi può essere un pericolo per la salute umana:

Anche perché gli esemplari presentano un alto rischio di contaminazione da sostanze xenobiotiche e parassiti, altamente pericolosi per la salute umana. La questione, dunque, chiama in causa aspetti di natura non soltanto penale, ma anche sanitaria.youfeed-delfino-ucciso-per-essere-mangiato-in-sardegna

Per questo, l’Enpa rinnova l’appello alle autorità competenti affinché vengano intensificati i controlli tesi a prevenire e reprimere il commercio illegale di carne di delfino, che alimenta un mercato nero molto profittevole per i trafficanti. «Appelli che – conclude Deiana – l’Enpa ha più volte lanciato nei mesi passati ma che ad oggi sembrano essere rimasti inascoltati.» (7 ottobre)

Fonte:  ENPAGEApress
Foto | magazine Excite