Trivelle, il Consiglio regionale della Puglia approva la mozione per reintrodurre il Piano delle Aree

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Legambiente: “È un primo passo in avanti in difesa del mare dopo il referendum del 2016. Ora si mobilitino anche le altre regioni e i parlamentari pugliesi sul divieto di airgun”.

“L’approvazione in Consiglio regionale della mozione per la reintroduzione del Piano delle Aree, abrogato dallo Sblocca Italia, è sicuramente un primo passo in avanti per porre un freno alle ricorrenti attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi nei nostri mari, attraverso uno strumento di pianificazione che consente di avere un quadro degli effetti cumulativi delle attività petrolifere in corso. Il presidente del consiglio regionale si faccia ora promotore di questa proposta nella Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni. Chiediamo, poi, al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, di istituire un tavolo regionale istituzionale permanente sul mare e sulla blue economy”.
Così Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia, all’indomani dell’approvazione del Consiglio regionale della Puglia della mozione del Movimento Cinque Stelle per reintrodurre il Piano delle Aree abrogato dallo Sblocca Italia.
“Ora è importante che anche altre Regioni italiane si mobilitino seguendo l’esempio della Puglia e che i parlamentari pugliesi diano un segnale forte attraverso una iniziativa di legge da presentare alle Camere che dica “stop” all’airgun come metodo di ricerca degli idrocarburi in mare. L’approvazione della mozione in consiglio regionale pugliese, quasi all’unanimità, dimostra che la battaglia per portare in Parlamento gli appelli della rete no triv non ha colore politico, ma un unico obiettivo: dire “basta” a questa insensata e dannosa corsa all’oro nero” conclude Tarantini.

Fonte: ecodallecitta.it

Trivelle, Consiglio di Stato boccia ricorsi. Legambiente: ‘Basta a questa inutile e dannosa corsa al petrolio’

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“E’  ora di avere il coraggio di dire basta a questa dannosa corsa al petrolio e all’utilizzo dell’airgun per la ricerca di idrocarburi – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – È assurdo quando deciso dal Consiglio di Stato che, nel bocciare i due ricorsi presentati in appello dalla Regione Puglia e dalla Regione Abruzzo, ha sottovalutato gli enormi  impatti negativi che l’utilizzo massiccio di questa tecnica di indagine ha nei confronti delle specie marine e sull’intero ecosistema marino. Per questo al futuro governo e alla maggioranza che lo sosterrà chiediamo di dare attuazione agli impegni presi nella precedente legislatura, in sede di dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera negli anni passati – ma a cui fino ad oggi non è stato dato seguito –  e di vietare l’utilizzo di questo metodo per la ricerca di idrocarburi in mare che non porta vantaggi in termini economici alla collettività, di conoscenza scientifica e ambientale, ed è a favore esclusivamente delle compagnie che detengono i titoli e le concessioni minerarie”.

La tecnica dell’airgun – il metodo di ricerca più utilizzato nel settore delle attività estrattive – prevede il rapido rilascio di aria compressa nell’acqua, generando onde a bassa frequenza e rappresenta un’importante fonte di inquinamento acustico dell’ambiente marino. Sono numerosi gli studi internazionali e nazionali che confermano la dannosità dell’utilizzo di questa tecnica che può avere ripercussioni sulla fauna marina anche a diversi chilometri di distanza dal punto di effettiva esplosione. Legambiente sottolinea inoltre che le due istanze di prospezione, che riguardano circa 30mila chilometri quadrati di mare e che coinvolgono le coste adriatiche dall’Emilia alla Puglia, sono solo la punta dell’iceberg del problema. Sono infatti 6 i pareri VIA positivi rilasciati dal Ministero dell’Ambiente nel settembre 2017, in meno di un meseper un totale di 3.860 kmq che prevedono l’autorizzazione a effettuare attività di ricerca sempre nelle stesse aree. “Alla luce di questi dati – conclude Zampetti – riteniamo indispensabile la redazione di un Piano delle Aree che prenda in considerazione le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, per avere un quadro degli effetti cumulativi delle attività petrolifere previste in corso”.

Fonte: ecodallecitta.it

Trivelle entro 12 miglia, il ministero aggira il divieto. Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia: ‘Inaccettabile’

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Le associazioni : “Il meccanismo introdotto dal MISE consente alle società petrolifere titolari di concessioni entro le 12 miglia dalla costa già rilasciate di modificare il programma di sviluppo originario e quindi costruire nuovi pozzi e piattaforme”

Inaccettabile per Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia il decreto ministeriale che deroga al divieto di nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 aprile. È la smentita definitiva di tutte le parole spese dal governo durante il periodo referendario di aprile scorso per dire che il referendum sollevava questioni di lana caprina, in particolare perché la legge escludeva già nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Il meccanismo introdotto dal MISE consente, infatti, alle società petrolifere titolari di concessioni entro le 12 miglia dalla costa già rilasciate di modificare, e quindi ampliare, il loro programma di sviluppo originario per recuperare altre riserve esistenti, e dunque costruire nuovi pozzi e nuove piattaforme. Fino all’altro ieri, nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia potevano essere realizzati solo se già previsti dal programma di sviluppo originario. Ora chi ha la concessione può farci sostanzialmente quello che vuole per tutta la vita utile del giacimento. Per le tre associazioni ambientaliste è gravissimo che il governo proceda in questo modo su una questione così delicata, escludendo il Parlamento e non tenendo minimamente conto della volontà chiarissima espressa da 15 milioni di italiani nonostante il mancato raggiungimento del quorum al referendum contro le trivelle.

Fonte: ecodallecitta.it

Legambiente: «Sul referendum trivelle allarmismo strumentale»

Referendum 17 aprile. Legambiente: «Allarmismo strumentale, l’alternativa al gas delle trivelle esiste già, con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia. Ma il governo blocca gli investimenti nel biometano».

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L’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – non è sotto i nostri mari ma nei territori, e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”.

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente risponde che sono tutte bugie, citando numeri e studi. Il gas estratto nelle piattaforme oggetto del referendum non arriva al 3% dei consumi nazionali. E, com’è noto, il gas nel nostro Paese arriva attraverso i gasdotti.

“I numeri sono chiarissimi – prosegue Zanchini – già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. Il problema è che questi interventi sono bloccati proprio dalle scelte del Governo”.

Legambiente ha messo a confronto i dati sulle estrazioni di gas nei mari italiani con il potenziale di sviluppo del biometano in Italia, calcolato dal Cib (Consorzio italiano biogas), e i risultati fanno comprendere il grande vantaggio che l’Italia trarrebbe da questa scelta. Si potrebbero, infatti, realizzare impianti distribuiti in tutto il Paese per produrre biogas e biometano, dalla digestione anaerobica dei rifiuti o di biomasse e scarti agricoli, con vantaggi rilevanti nei territori, sia in termini economici che occupazionali, che di risoluzione dei problemi di smaltimento dei rifiuti. Secondo i dati dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole. Ma il problema, denuncia Legambiente, è che questi investimenti sono bloccati da barriere assurde. In primis il fatto, incredibile, che il biometano non possa essere immesso nella rete Snam. Da anni viene, infatti, ritardata l’approvazione di un decreto che dovrebbe permettere qualcosa di assolutamente scontato e nell’interesse generale. Uno stop che ha come unica motivazione quella di non aprire alla concorrenza nei confronti di quei gruppi che distribuiscono gas, come Eni, che sono proprio coloro che possiedono larga parte delle concessioni di gas nei nostri mari. Non si comprende la ragione dei rinvii da parte del Governo Renzi, come dei provvedimenti che hanno tagliato gli incentivi alle rinnovabili, se non con una politica che ha guardato solo a favorire le fossili come quella che, a partire dal decreto Sblocca Italia, ha caratterizzato l’azione del Governo. Del resto, a dimostrare i privilegi di cui godono le estrazioni di idrocarburi è un dato che ha dell’incredibile: 20 delle 26 concessioni che estraggono gas entro le 12 miglia dalla costa non pagano le royalties. La ragione sta nel fatto che sotto una certa quantità l’estrazione è “gratis”, come se quelle risorse non appartenessero agli italiani ma fossero proprietà privata dei gruppi energetici. “Altro che referendum inutile – aggiunge Edoardo Zanchini -. In Italia è in corso un vero e proprio conflitto tra interessi. Fino ad oggi il Governo Renzi, con lo Sblocca Italia e le scelte contro le rinnovabili, è stato dalla parte dei grandi gruppi energetici che controllano petrolio e gas. Il 17 aprile si vota anche per dare un segnale chiaro al Governo, perché l’interesse dei cittadini italiani è quello di cambiare questa realtà fatta di rendite e privilegi e di puntare sulle fonti rinnovabili per creare lavoro in Italia, opportunità per i territori e fermare davvero i cambiamenti climatici”.

 

Fonte: ilcambiamento.it

Il ministro Galletti contro il referendum trivelle del 17 aprile

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Gian Luca Galletti è il ministro dell’Ambiente, ma è un ministro dell’Ambiente del Governo Renzi e, come tale, si adegua alle direttive provenienti dal vertice di Palazzo Chigi: pertanto il prossimo 17 aprile o non andrà a votare o voterà no. In un’intervista rilasciata al Corriere Galletti ha spiegato che “col referendum si affronta il problema delle trivelle con l’ideologia, invece io dico di affrontarlo dal punto di vista scientifico”. La giustificazione di Galletti è che in un’economia basata al 90% sul petrolio occorre comunque acquistare questa risorsa dall’estero, quindi meglio autoprodurlo; il ministro cita Norvegia, Svezia e Gran Bretagna come paesi spesso citati come green che trivellano più dell’Italia e prefigura anche le conseguenze, secondo lui deleterie, che avrebbe la vittoria del sì: un disinvestimento di chi ha le concessioni con maggiori pericoli per l’ambiente. Naturalmente Galletti chiama in causa gli effetti sull’occupazione e stima in 10mila i posti di lavoro che si verrebbero a perdere nel caso di una vittoria del fronte del sì.

Galletti parla poi dei progetti relativi allo sviluppo sostenibile:

“Abbiamo in campo progetti importantissimi, che abbiamo accelerato anche dopo l’emergenza di quest’inverno sulle polveri sottili. Abbiamo un bando di 900 milioni per l‘efficientamento energetico, un altro bando in arrivo di 250 milioni per l’efficientamento energetico per le scuole, altri 35 per la mobilità sostenibile, 250 per le Regioni per acquistare autobus nuovi ecologici. Tutto questo fa 2 miliardi di euro: qua ci vuole una progettazione forte da parte delle Regioni, non è un problema di soldi. I soldi spesso ci sono ma non si riescono a spendere bene”.

Secondo Galletti, inoltre, non ci sono prove scientifiche della nocività delle trivelle e l’unica soluzione per restare nel mercato è uno sviluppo compatibile con l’ambiente. Per Galletti le trivellazioni off shore lo sono. E i rischi per gli ecosistemi marini?“Noi abbiamo adottato la direttiva off shore dell’Ue che prevede una serie di misure preventive e di emergenza: poi l’incidente può sempre capitare”, taglia corto Galletti. Prima si garantiscono i posti di lavoro, l’indotto che generano e, soprattutto, gli interessi dei grandi gruppi economici, secondariamente si pensa all’ambiente incrociando le dita e sperando che tutto vada bene. È il dualismo di sempre: salute contro lavoro, ecologia contro profitti. E la politica, questa politica, non ha mai dubbi sulla parte dalla quale schierarsi.

Fonte:  Corriere 

 

Referendum, nasce il comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”

“Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che si mobiliteranno per il voto”. Con l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum e far crescere la mobilitazione, è nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”.

È nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”. Lavorerà per invitare i cittadini a partecipare al referendum del 17 aprile contro le trivellazioni in mare e votare SÌ per abrogare la norma (introdotta con l’ultima legge di Stabilità) che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa di non avere più scadenze. La Legge di Stabilità 2016, infatti, pur vietando il rilascio di nuove autorizzazioni entro le 12 miglia dalla costa, rende “sine die” le licenze già rilasciate in quel perimetro di mare.trivellazioni

Far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale, è la vera posta in gioco di questo referendum. Il comitato nazionale si pone l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum in tutti i territori e far crescere la mobilitazione, spiegando che il vero quesito è: “vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?”.

Il petrolio è una vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. Dobbiamo continuare a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile a discapito dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale? Noi vogliamo – dice l’appello del Comitato – che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’election day (l’accorpamento in un’unica data del voto per il referendum e per le amministrative) ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto e puntare sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum. Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.

Primi firmatari del Comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”:

Adusbef, Aiab, Alleanza Cooperative della Pesca, Arci, ASud, Associazione Borghi Autentici d’Italia, Associazione Comuni Virtuosi, Coordinamento nazionale NO TRIV, Confederazione Italiana Agricoltori, Federazione Italiana Media Ambientali, Fiom-Cgil, Focsiv – Volontari nel mondo, Fondazione UniVerde, Giornalisti Nell’Erba, Greenpeace, Kyoto Club,  La Nuova Ecologia, Lav, Legambiente, Libera, Liberacittadinanza, Link Coordinamento Universitario, Lipu, Innovatori Europei, Marevivo, MEPI–Movimento Civico, Movimento Difesa del Cittadino, Pro-Natura, QualEnergia, Rete degli studenti medi, Rete della Conoscenza, Salviamo il Paesaggio, Sì Rinnovabili No nucleare, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, Unione degli Studenti, WWF.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/03/referendum-nasce-comitato-nazionale-vota-si-fermare-trivelle/

 

Il referendum sulle trivelle: il 17 aprile 2016 tutti alle urne

E’ cominciata la campagna per il referendum ambientale sulle trivelle del prossimo 17 aprile 2016: indipendentemente da come la pensiate andate a votaretrivellazioni

Il referendum contro le trivellazioni, promosso da nove consigli regionali appoggiati da numerosi movimenti e associazioni ambientaliste tra cui il coordinamento No Triv, si terrà il 17 aprile 2016 e sarà un appuntamento importante per due distinte ragioni. La prima riguarda, banalmente, la coscienza ambientalista nazionale, decisamente poco sviluppata (o forse è più politicamente corretto dire “formata”): il Consiglio dei Ministri infatti ha negato ai promotori dell’iniziativa referendaria (e quindi a tutti gli aventi diritto al voto) di recarsi alle urne durante un election-day in occasione dei rinnovi delle amministrazioni comunali, indicando la prima data utile (17 aprile) quella buona per votare.

Raggiungere il quorum sarà quindi un ottimo modo per dimostrare come l’ambiente sia un tema di interesse e attivismo pubblico sul quale sempre più persone si stanno formando un’opinione: indipendentemente da come la si pensi sui singoli quesiti, un ottimo esercizio di democrazia è esprimere la propria opinione e non c’è modo migliore di farlo tramite referendum. La seconda ragione riguarda invece la tematica proposta al referedum, che sarà abrogativo: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” Se vincerà il Sì verrà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente ma comunque non saranno interessate dal referendum tutte le 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano. Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni offshore già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere inshore, cioè sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa.

“Chiamare gli italiani a votare SI per fermare le trivelle non serve solo a difendere il paese e l’ambiente, ma a pretendere dal governo di cambiare rotta sulla strategia energetica nazionale e investire finalmente nell’economia delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, settore in cui paradossalmente dovremmo essere leader in Europa e non agli ultimi posti”

spiega il coordinamento NoTriv in un comunicato.

Greenpeace ha stilato l’elenco dei sei buoni motivi per votare “Sì” al referendum.

Fonte: ecoblog.it

Trivelle in mare, la Consulta autorizza il Referendum

Dichiarato ammissibile uno dei quesiti e altri due sono al momento in ‘stand-by’ per conflitto di attribuzione. Tre dei sei quesiti erano invece stati superati dall’approvazione della legge di stabilitàgettyimages-479387824

La Consulta ha dichiarato ammissibile uno dei sei quesiti referendari presentati in materia di estrazioni petrolifere, promossi da nove regioni italiane: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Originariamente le regioni promotrici erano 10, ma all’ultimo è venuto meno il sostegno dell’Abruzzo. Il quesito che verrà sottoposto agli elettori riguarda la durata delle autorizzazioni già rilasciate per esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti. Al momento le autorizzazioni sono “fino alla durata utile del giacimento” mentre le sei regioni chiedono che sia stabilita una durata non superiore a 30 anni per le estrazioni e a 6 anni per le attività di ricerca. La decisione della Consulta ha fatto esultare i presidenti delle succitate regioni, in modo particolare il pugliese Emiliano che su questo tema è da sempre in netto contrasto con l’esecutivo nazionale pur essendo un esponente del PD. Queste le sue parole: “Mi auguro che la paura della coincidenza di questo referendum con quello delle riforme costituzionali non stronchi questa discussione. Certo il governo può fare un’altra norma ‘uccidi-referendum’. Mi auguro che a questo punto la eviti perché la campagna referendaria è partita oggi stesso e bisogna evitare che gli italiani pensino che di queste cose non si può discutere nel nostro Paese… i consigli regionali per la prima volta nella storia di Italia hanno capito che basta che cinque di essi non siano d’accordo su una legge dello Stato perché sia possibile chiedere il parere ai cittadini. E questa possibilità va utilizzata anche per altre leggi sopratutto quando, come succede in questo periodo, spesso i governi legiferano senza un adeguato coinvolgimento dal basso degli organismi intermedi e più in generale dei partiti”.

Soddisfazione anche da parte di Enzo Di Salvatore – il costituzionalista di riferimento delle regioni per questa campagna referendaria – che ha spiegato come altri due quesiti abbiano ancora chance di passare: “Tre quesiti erano stati superati in senso positivo dalle nuove norme poste in Legge di Stabilità, due andranno di fronte alla Corte per il conflitto di attribuzione, uno è passato: al momento il fronte referendario è sul 4-2 con Renzi. Il Governo voleva far saltare i referendum per non sovrapporli alle amministrative, visto che i sondaggi davano la vittoria anti trivelle al 67%. Ora restano in piedi i quesiti su Piano Aree e durata titoli: secondo me la Corte Costituzionale dichiarerà ok anche gli altri due, quindi se il Governo non vuole i referendum, dovrà modificare la legge anche stavolta a nostro favore. Siamo soddisfatti anche perché ripeto che lo scenario più probabile è che il Governo, che vuole a tutti i costi evitare i referendum, modificherà anche queste norme la decisione di oggi rende più forte il conflitto di attribuzione, e se passa quello sul ripristino del Piano Area, a quel punto abbiamo messo una bella ipoteca sullo stop alle trivelle in mare Adriatico per sempre”. Prosegue: “la paura di un referendum in materia energetica ha avuto il suo peso, non è la legge elettorale. Per ora c’è lo stop nelle 12 miglia, col Piano Area si riapre la partita in terraferma e sul mare continentale, laddove enti locali, regioni e governo si devono mettere d’accordo: questo sarà il referendum decisivo per il mare. Se Renzi lo vuole evitare, dovrà cambiare la norma e dire no alle trivelle”.

Fonte: ecoblog.it

Via libera al referendum “mutilato”

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle: il quesito riguarda la durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate.

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A proporlo sono nove Consigli regionali (erano dieci ma l’Abruzzo si è ritirato). Questo stesso quesito era già stato dichiarato ammissibile dalla Cassazione. I quesiti referendari proposti erano in tutto sei. In un primo tempo l’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti. Ma il governo aveva poi introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità che avevano messo mano alla materia. E il governo non molla; non ha perso tempo e starebbe studiando, a quanto si apprende da fonti parlamentari, una selettiva modifica al decreto Sblocca Italia per poter boicottare e bypassare il referendum. Tra le ipotesi un provvedimento che intervenga sulla durata delle trivellazioni, oggetto del referendum dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale. «La Corte Costituzionale dà ragione ai movimenti ed alle Regioni referendarie e ammette il quesito sul mare. Con il conflitto di attribuzione è possibile il recupero anche degli altri due quesiti – spiega il coordinamento nazionale NoTriv – Apprendiamo con grande soddisfazione che la Corte Costituzionale ha ammesso il quesito referendario sul mare, così come riformulato dalla Corte di Cassazione. I cittadini saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento.La sentenza della Corte Costituzionale dimostra come le modifiche alla normativa apportate dal Governo in sede di Legge di Stabilità non soddisfacevano i quesiti referendarie, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione. Tre dei sei quesiti depositati da 10 regioni il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla Legge di Stabilità, il quarto viene ora ammesso dalla Consulta, mentre sugli ultimi due quesiti è stato promosso da sei Regioni un conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento. I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle Aree, abilmente abrogato dal Governo nella Legge di Stabilità. Il Piano obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le aree in cui è possibile avviare dei progetti di trivellazione. Si tratta di uno strumento di concertazione stato-regioni che risulta essere fondamentale soprattutto in vista del referendum confermativo delle riforme costituzionali che, con la riforma del titolo V, accentrano il potere in materia energetica nelle mani dello Stato». E sulle trivellazioni alle Tremiti aggiungono: «L’area interessata dal permesso di ricerca «B.R274.EL», al largo delle Isole Tremiti, delle coste del Molise e dell’Abruzzo, non è tutta oltre il limite delle 12 miglia. I tecnici del MISE ed il Ministro Guidi hanno preso un granchio».
«Non è la prima volta – dichiara Domenico Sampietro, del Coordinamento – è già accaduto con l’istanza del permesso di prospezione della Spectrum Geo che interessa 30.000 kmq. nel Mare Adriatico. Anche in quel caso le misurazioni ministeriali si sono rivelate inesatte». «Subito dopo la pubblicazione sul B.U.I.G. del 31/12/2015, un giorno prima dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità, del decreto di conferimento del permesso di ricerca B.R274.EL alla Società Petroceltic Italia S.r.l., eravamo stati chiari: l’area off shore interessata dall’istanza ricadeva in parte entro le 12 miglia“, rincara la dose Stefano Pulcini, del Coordinamento Nazionale No Triv.

Fonte: ilcambiamento.it

Trivelle, stop della Croazia alle ricerche nell’Adriatico

 

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Il delegato dell’Ambasciata di Croazia in Italia Llija Zelalic, nel corso del convegno che si sta tenendo sulla Fregata Maestrale ad Ortona (Chieti) sulla Macroregione Adriatico-Ionica, ha reso nota una notizia che potrebbe rappresentare una svolta nella tutela ambientale dell’Adriatico:

“La Croazia per salvaguardare le sue coste ha sospeso i progetti per le piattaforme per la ricerca del petrolio nel mare Adriatico e penso che dovrete anche voi in Italia e sul l’altra sponda del nostro mare prendere in considerazione questa eventualità. Questo é un grande pericolo per il mare Adriatico”

Proprio oggi si sono incontrati a Spalato rappresentanti di organizzazioni e movimenti ambientalisti da Albania, Croazia, Montenegro, Slovenia e Italia che aderiscono al network SOS Adriatico, con il dichiarato intento di creare una bandiera comune per la battaglia contro le estrazioni petrolifere in mare.

Fonte: ecoblog.it