Alimentazione ed energia: il Made in Italy è la soluzione

Da oltre trent’anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Se ci fossimo mossi trent’anni fa, ora le cose sarebbero molto diverse.

Da oltre trent’anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Cosa dicevano gli esperti trent’anni fa? Che l’apporto delle energie rinnovabili in Italia era risibile e non erano nemmeno da considerare alternative perché non lo erano affatto, al massimo potevano essere una graziosa cornicetta al quadro ben delineato dei combustibili fossili sempre e comunque. Ma del resto anche un ragazzino delle medie o forse anche di quinta elementare guardando una piantina nazionale di insolazione media annua o della ventosità, visto che siamo un paese pieno di costa e di monti, poteva facilmente capire le potenzialità enormi delle energie rinnovabili. Così come era altrettanto ovvio che i combustibili fossili erano una fonte esauribile. Ma a quanto pare i nostri esperti non avevano conoscenza nemmeno delle basi, del due più due che fa quattro. O forse le conoscevano e le conoscono ma hanno ben altri interessi da servire che quelli delle energie rinnovabili, dell’ambiente e di conseguenza della salute delle persone. Ora grazie a questi esperti, rigorosamente dotati di lauree prestigiose e master, messi a capo anche dei grandi gruppi energetici nazionali e grazie a una politica cieca, sorda e muta, l’Italia al 2020 (!!) è ancora dipendente dall’estero energeticamente per oltre il 75%, e con pervicace e masochista ostinazione si continua ad andare in quella direzione.

Si vedano a questo proposito, fra le innumerevoli follie, le trivellazioni in cerca di petrolio, il metanodotto TAP in Puglia, la metanizzazione della Sardegna e gli oltre 18 miliardi di euro che ogni anno lo Stato regala in modi diversi alle aziende di combustibili fossili. E sono quegli stessi esperti e quella stessa politica che poi si lamentano se c’è, ad esempio, la disoccupazione, quando sono le loro azioni che la determinano. E gli stessi esperti e gli stessi politici che grazie a scelte suicide hanno costruito un paese fortemente dipendente soprattutto nei due aspetti principali che determinano l’esistenza di tutti noi che sono l’energia e l’alimentazione. Cosa sarebbe successo se trenta o quarant’anni fa, invece di non fare nulla fino ad oggi, sottolineo nulla, confermato dalla dipendenza che ancora abbiamo, si fosse puntato decisamente alle energie rinnovabili e all’abbattimento di tutti gli sprechi energetici? Avremmo ora una filiera italiana sviluppata in innumerevoli settori, milioni di posti di lavoro certi, stabili, con un senso sociale e ambientale. Anche solo con la diffusione a tappeto delle tecnologie solari termiche applicate alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano, avevamo e avremmo da lavorare per i prossimi cento anni. E che dire degli enormi risparmi di soldi per le tasche dei cittadini italiani e per quelle pubbliche che si sarebbero avuti con questi interventi? E che dire della salute e delle centinaia di migliaia di morti evitati a causa dell’inquinamento di ogni tipo che li determina ?

Niente di tutto questo è stato fatto e così il paese del sole si è visto arrivare, in tutti questi anni, tecnologie per le energie rinnovabili e il contenimento energetico anche dai paesi del nord Europa, che il sole a malapena sanno cosa sia ma che in maniera seria, intelligente e lungimirante hanno puntato su questi settori. Ci lamentiamo ora con la Germania brutta e cattiva ma le abbiamo comprato questo mondo e quell’altro di tecnologie solari, che solo a dirlo viene da ridere o da piangere, quando saremmo dovuti essere noi a vendergliele, altro che vendergli vestiti alla moda o le Ferrari. Infatti chi al mondo può sviluppare questo tipo di tecnologie e lavoro se non il Paese del sole? Ma queste sono considerazioni così ovvie, così semplici e solari appunto, che forse proprio per questo non entrano nei mega cervelli dei nostri mega esperti.

C’è chi potrebbe obiettare che i cinesi, grazie al regime di schiavitù lavorativa che hanno, avrebbero abbattuto i costi e quindi potuto venderci anche quel tipo di tecnologia, come in parte è avvenuto in maniera recente; ma a questi si può tranquillamente rispondere che tutti i soldi e le agevolazioni date ai fossili si sarebbero potute dare alle rinnovabili e così il “sistema Italia” avrebbe retto anche all’invasione dei prodotti cinesi. Oltre al fatto che realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione per utilizzare il Made in Italy avrebbe fatto scegliere con cognizione di causa i prodotti italiani piuttosto che quelli arrivati da chissà dove e fatti chissà come. Inoltre partendo molto prima dei cinesi in quei campi, avremmo avuto vantaggi enormi. Per non parlare poi di tutto il personale tecnico e non, che avrebbe il compito di diffondere ovunque le buone pratiche e la consapevolezza presso la popolazione e tutta la conseguente formazione da fare in ogni luogo per divulgare come risparmiare energia e interagire con le fonti rinnovabili. Lavori e prassi normali e diffuse che sarebbero dovute diventare tante e usuali come le pizzerie e inserirsi nella mentalità e quotidianità così come si conosce a memoria la formazione delle propria squadra di calcio o le canzoni del proprio cantante preferito. E visto che ci si lamenta pure dell’Europa, cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata fortemente indipendente nei fatti, non nelle chiacchiere e nelle sparate dei finti sovranisti, per gli elementi base dell’esistenza? Avrebbe significato che ciò che faceva o fa l’Europa ci sarebbe interessato fino ad un certo punto, forti della nostra vera e sola sovranità che è quella nei fatti, perché è assolutamente ridicolo fare i sovranisti se poi si è totalmente dipendenti da tutto e tutti, che si chiamino Europa, Cina, Giappone, Russia o Stati Uniti. Sarà il caso ora finalmente di rivedere radicalmente la questione? Sarà il caso di puntare decisamente ad una filiera italiana di energie rinnovabili e tecnologie per il risparmio energetico? Si trasferiscano in questi settori i soldi che vengono regalati ai combustibili fossili, si taglino le innumerevoli spese inutili e dannose come ad esempio quelle per gli aerei militari da combattimento F35 e si vada diretti in questa direzione senza se e senza ma. Abbiamo tutto, conoscenze, tecnologia, competenze, persone, non ci manca nulla, se non la volontà politica o la volontà tout court, perché anche senza la politica si può andare risolutamente in quella direzione coinvolgendo la società civile, le imprese lungimiranti e la finanza etica. Poi anche la politica seguirà, tanto è sempre l’ultima a reagire (se mai lo farà).

E veniamo ora all’alimentazione. Per cosa è conosciuta l’Italia nel mondo? Per il cibo e non potrebbe essere altrimenti visto che ogni più piccolo paesino, borgo, città che sia, ha le sue specialità e cultura alimentare, cibo di qualità sopraffina frutto di attenzione e cura secolare per uno dei motivi di maggiore piacere nella vita e per il quale siamo invidiati da tutto il mondo. E una cultura di questo tipo da cosa è stata favorita? Anche dalla posizione geoclimatica meravigliosa dell’Italia dove praticamente è possibile coltivare una varietà di alimenti incredibile, considerate anche tutte quelle coltivazioni antiche e particolari che sono state trascurate e dimenticate e che possono essere facilmente riprese. Mangiamo due o tre tipi di mele quando ne esistono centinaia. Ma in una tale situazione da paradiso terreste dell’alimentazione abbiamo trascurato le nostre ricchezze e varietà alimentari e siamo riusciti a farci colonizzare da cibo spazzatura che arriva da paesi che non sanno nemmeno lontanamente cosa sia una cultura dell’alimentazione. Vengono prodotti e venduti cibi imbottiti di sostanze chimiche e veleni assortiti che sono un attentato quotidiano alla nostra salute. Bombardati da pubblicità dementi ci fanno credere che prodotti industriali pieni di robaccia che arriva da mezzo mondo e packaging ci facciano tanto bene e siano pure naturali. Viste quindi le nostre immense risorse e potenzialità, perché non dirigersi verso la massima sovranità alimentare possibile, recuperando ogni centimetro coltivabile, facendo rifiorire la nostra eccezionale agricoltura da nord a sud, coltivando di tutto e proteggendo con sacralità la biodiversità che tra l’altro è quella che ci aiuta ad avere ottime difese immunitarie?

Non si può fare? E’ troppo difficile? Assolutamente no, basta puntare decisamente su questi due ambiti di forte indipendenza alimentare ed energetica così come si è fatto per altri ambiti che non solo ci hanno regalato pericolosissima dipendenza ma ci hanno determinato spese, prodotto inquinamento e danneggiato la salute. In alternativa potete sempre staccare uno sportello della vostra automobile, magari proprio della tanto decantata Fiat, orgoglio nazionale che di nazionale non ha praticamente più nulla e provare a mangiarlo. Magari sarà un po’ indigesto ma sai che scorpacciata….

Fonte: ilcambiamento.it

Nuove trivellazioni di petrolio: a rischio tutta l’Italia

Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non solo il Mar Ionio, ma anche l’Adriatico centro meridionale ed il canale di Sicilia sono sotto attacco dalle compagnie petrolifere. È quanto denuncia Legambiente in merito al dibattito di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. “Questa strada è sbagliata: il Governo abbandoni le fonti fossili”.

“Il rischio di nuove trivellazioni di petrolio è nazionale: non è solo il Mar Ionio ad essere sotto attacco delle compagnie petrolifere, anche l’Adriatico centro meridionale e il canale di Sicilia sono oggetto di richieste di prospezione e ricerca di petrolio nei fondali marini. Dal Governo di M5S e Lega che insieme a noi hanno sostenuto il Sì alla campagna referendaria del 17 aprile 2016 contro le trivellazioni di petrolio ci aspettiamo 5 atti concreti: lo stop immediato a nuove trivellazioni in mare e a terra a partire dalle 96 richieste di prospezione, ricerca e coltivazione in attesa di via libera; il taglio dei 16 miliardi di euro di sussidi annuali alle fonti fossili; la legge che vieta l’uso dell’airgun per le prospezioni, per cui il M5S si era tanto battuto durante la discussione parlamentare dell’allora disegno di legge sugli ecoreati; un piano energetico nazionale per il clima e l’energia che definisca un percorso concreto per la decarbonizzazione dell’economia; la riconversione delle attività di Eni, società a prevalente capitale pubblico, dalle fonti fossili all’efficienza energetica e alle rinnovabili”. È questo il commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente sulle polemiche di questi giorni sulle autorizzazioni alle prospezioni petrolifere nel mar Ionio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico.
L’Italia, infatti, continua la sua insensata corsa all’oro nero. A confermarlo gli ultimi dati aggiornati da Legambiente che fotografano la situazione attuale: ad oggi su 16.821 kmq sono ben 197 le concessioni di coltivazione, tra mare (67) e terra (130), alle quali si potrebbero aggiungere ben 12 istanze di concessione di coltivazione (7 in mare e 5 a terra).  E poi su un totale di 30.569 kmq sono attivi 80 permessi di ricerca, ai quali si potrebbero aggiungere 79 istanze di permessi di ricerca su un totale di 26.674 kmq, e 5 istanze di prospezione a mare su un totale di 68.335 kmq.

L’associazione ambientalista da questo Governo si aspetta più coerenza e fatti concreti sulla lotta ai cambiamenti climatici e contro le trivellazioni di petrolio, sui quali soprattutto il Movimento 5 Stelle si è tanto speso in campagna elettorale e anche nella scorsa legislatura quando era all’opposizione. Per arrestare i cambiamenti climatici, ma anche per ridurre e combattere l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità di vita dei cittadini è di fondamentale importanza uscire dalla dittatura delle fonti fossili, ancora oggi al centro del sistema energetico del nostro Paese. Per questo l’Esecutivo deve avere il coraggio di imprimere una svolta alla politica energetica nazionale, perché quello che serve all’Italia è un efficace e ambizioso Piano per il clima e l’energia che punti alla decarbonizzazione dell’economia per un futuro più rinnovabile e libero dalle fonti fossili che vengono sussidiate dallo Stato (16 miliardi di euro all’anno per le fossili). (In media tra il 2017 e i primi mesi del 2018 il 30% del gas estratto in Italia e il 10% del petrolio è stato esentasse  Elaborazione Legambiente su dati Mise).  

“Dovremo ridurre sensibilmente – aggiunge Ciafani – i consumi di gas nel settore elettrico e civile, attraverso una generazione sempre più distribuita e rinnovabile. Così come dovremo ridurre quelli di petrolio nei trasporti. Una prospettiva che si scontra anche con le attività del più grande gruppo industriale italiano, ENI, che continua a fare scelte e investimenti nella direzione opposta e rischia di diventare uno dei campioni delle fonti fossili e tra i nemici numero uno della lotta ai cambiamenti climatici. Stiamo parlando di un’azienda energetica, di proprietà anche dello Stato, che dovrebbe a pieno titolo entrare nell’agenda di governo dopo Ilva.

Nel 2018, dopo che il mondo ha deciso di prendere la strada della decarbonizzazione dell’economia, ENI continua a trivellare per estrarre petrolio e gas, in Italia e nel resto del mondo. Da noi lo fa in Val d’Agri, in Basilicata, nel più grande giacimento petrolifero a terra di tutta Europa, con non pochi problemi ambientali. Lo fa nei mari che circondano il Belpaese, da sola o in partnership con altre aziende, come nel caso della piattaforma Vega con Edison nel canale di Sicilia, di cui è stato presentato il progetto di raddoppio, bocciato dalla Commissione Via del Ministero dell’ambiente, ma mai ufficialmente ritirato. Lo fa in paesi in tutto il mondo, dal Portogallo all’Egitto, dalla Nigeria all’Artico. Noi pensiamo – conclude Ciafani – che questa strada sia sbagliata e chiediamo al governo italiano di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando l’attività futura di Eni verso le tecnologie pulite che non hanno nulla a che fare con gas e petrolio”.

Contro i sussidi alle fonti fossili e le trivellazioni in mare, Legambiente invita a firmare la petizione
#NoOil – Stop alle trivellazioni in mare: fermiamo il business del petrolio!”

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/nuove-trivellazioni-di-petrolio-a-rischio-tutta-italia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Corte Costituzionale: ‘Illegittima norma Sblocca Italia che impone trivellazioni senza il parere delle Regioni’

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La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del comma 7 dell’art. 38 del Decreto legge 133, il cosiddetto Sblocca Italia dell’ex governo Renzi, dando ragione alla Regione Abruzzo che insieme a Lombardia, Campania e Veneto aveva presentato ricorso. Niente trivellazioni senza il parere delle Regioni. Con la sentenza 170, pubblicata il 12 luglio scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità  del comma 7 dell’art. 38 del Decreto legge 133, il cosiddetto Sblocca Italia dell’ex governo Renzi, dando ragione alla Regione Abruzzo che insieme a diverse regioni (fra cui Lombardia, Campania e Veneto) aveva presentato ricorso. Lo ha reso noto il Sottosegretario alla Presidenza della Regione Abruzzo, Mario Mazzocca. In sostanza la Consulta ha stabilito che, trattandosi di materia  concorrente, non fosse competenza esclusiva dello Stato – senza alcun  coinvolgimento delle Regioni – emanare il “Disciplinare  tipo per il  rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel  mare territoriale e nella piattaforma continentale” contenuto nel  Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 7 dicembre 2016. Soddisfazione ha espresso Mazzocca secondo il quale si riapre ora una  partita “il governo considerava chiusa, con un provvedimento che  toglieva alle Regioni, e con esse alle comunità locali,  ogni possibilità di intervento sulle politiche energetiche”. “Siamo soddisfatti perché la Corte Costituzionale sulla questione delle trivelle ha sancito l’autonomia dei territori e il ruolo delle Regioni che non possono essere espropriate su decisioni così importanti”.Questo il commento del presidente del Consiglio regionale della Campania, Rosa D’Amelio, e del presidente della Commissione Ambiente del Consiglio regionale, Gennaro Oliviero, alla sentenza della Consulta su alcuni articoli contenuti nello Sblocca Italia.
“La sentenza della Corte – spiegano D’Amelio e Oliviero – ha chiaramente indicato che l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi sia un tema in cui debba rientrare anche la competenza regionale, così come noi chiedevamo. Con le altre Regioni abbiamo presentato un ricorso, rivendicando la partecipazione dei territori alle decisioni che riguardano alcuni temi come quello ambientale, dove devono ridiventare protagonisti gli enti locali come i Comuni interessati. E non a caso occorreva porre rimedio al depotenziamento del ruolo delle Regioni e degli enti locali proprio in sede di approvazione del piano delle aree per le attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi, tenuto conto che il bacino idrografico dell’appennino campano poteva essere nel lungo periodo seriamente compromesso”.La sentenza, concludono, “ha per questo una valenza molto forte affinché si possa tutelare allo stesso tempo l’ambiente e la partecipazione dei territori in scelte delicate di politica energetica”.

Con gli articoli 37 e 38 dello “Sblocca Italia” si è attribuito, tra l’altro, al Ministero dello Sviluppo economico il compito di predisporre un piano delle aree in cui sono consentite le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale senza prevedere la necessaria acquisizione dell’intesa con la Regione interessata. È stato previsto, inoltre, che venisse richiesta alla Regione la necessaria intesa al rilascio del titolo concessorio unico per le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, solo se tali attività si svolgono sulla terraferma e non anche in mare. Secondo le Regioni che hanno portato questa battaglia alla Corte Costituzione in questo modo si sarebbe lesa la competenza legislativa regionale previste dall’articolo 117 della Costituzione in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, oltre che quelle di governo del territorio, nonché le competenze amministrative delle Regioni in base al principio di sussidiarietà stabilito nell’articolo 118 della Costituzione.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Trivellazioni nell’Artico: il governo norvegese in tribunale

È stata fissata al 13 novembre 2017 la prima udienza per la causa che Greenpeace Nordic e Nature and Youth hanno intentato contro il governo norvegese per l’ok alle trivellazioni nell’Artico per il petrolio «violando l’accordo di Parigi».artic

Il governo norvegese era stato citato in giudizio per la concessione di nuove licenze di trivellazione petrolifera nel Mare Artico e ora è stata fissata la prima udienza del processo, che si terrà il 13 novembre. A presentare il ricorso sono state Nature and Youth (una organizzazione ambientalista giovanile norvegese) e Greenpeace Nordic.

“Il governo sta disattendendo l’Accordo di Parigi sul clima e violando il diritto costituzionale norvegese alla salute e alla tutela dell’ambiente di tutte le generazioni, sia di quelle presenti sia di quelle future” commenta Truls Gulowsen, di Greenpeace Norvegia. “Con questa azione legale vogliamo far sì che i governi di tutto il mondo siano tenuti a rendere conto degli impegni che assumono. Consentendo alle compagnie petrolifere di trivellare nell’Artico, il governo norvegese mette a rischio la salute e la vita delle popolazioni”. Il governo norvegese – per la prima volta in vent’anni – ha concesso lo sfruttamento di una nuova area nel Mare di Barents, permettendo a Statoil, Chevron, Lukoil e altre dieci compagnie petrolifere di avviare nuove campagne esplorative nel 2017. Statoil ha già annunciato che inizierà le trivellazioni quest’estate.

«L’autorizzazione di nuove trivellazioni non è compatibile con l’impegno assunto dalla Norvegia, con la ratifica dell’accordo di Parigi: ridurre le proprie emissioni di CO2 e contenere l’aumento della temperatura globale a 1.5° C – spiega l’associazione ambientalista – Nature and Youth e Greenpeace Nordic sosterranno inoltre il diritto alla tutela dell’ambiente per le generazioni future, così come è formulato nella Costituzione norvegese, che per la prima volta viene invocato in un’azione legale. Si tratta del primo caso giudiziario che trae origine dall’Accordo di Parigi, ma azioni legali contro governi e grandi aziende che non proteggono le popolazioni dai cambiamenti climatici sono già state intentate in Filippine, Stati Uniti e Svizzera».

Leggi QUI il testo della causa presentata al Tribunale di Oslo (in inglese)

Fonte: ilcambiamento.it

 

Trivellazioni, miniere e deforestazione: “a rischio quasi la metà dei patrimoni naturali mondiali”

Circa la metà dei siti naturali appartenenti al Patrimonio Mondiale (World Heritage) sono minacciati da attività industriali di varia natura tra cui esplorazioni di petrolio e gas, attività minerarie e taglio illegale di legname. È quanto denuncia il WWF, sottolineando che queste aree forniscono servizi ‘naturali’ e sostentamento a molte popolazioni.

Un nuovo report del WWF lanciato oggi al livello mondiale denuncia come circa la metà dei siti naturali appartenenti al Patrimonio Mondiale (World Heritage) siano minacciati da attività industriali di varia natura tra cui esplorazioni di petrolio e gas, attività minerarie e taglio illegale di legname. Il danno è ancora maggiore se si considera che queste aree forniscono servizi ‘naturali’ e sostentamento a molte popolazioni. Dalle barriere coralline del Belize alla foresta pluviale di Sumatra, dal Coto Donana alla Riserva di Selous in Tanzania, dal Lago Turkana in Kenya alla Foresta Dong Phayayen_Khao Yai in Tailandia. Anche Delta del Po e Laguna di Venezia e isole Eolie sono inseriti nella mappa dei siti minacciati.belize-wwf

La barriera corallina in Belize/foto: WWF

Il report, prodotto per il WWF dal Dalberg Global Development Advisors, mostra come l’insieme dei siti inseriti nella lista IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) contribuiscano allo sviluppo economico e sociale grazie alla tutela ambientale e  segnala anche una mancata protezione di queste aree di grande valore al livello mondiale.
Secondo lo studio in 114 siti naturali o di natura mista (che comprendono anche il patrimonio culturale) su 229 si prevedono concessioni petrolifere o di estrazione di gas, concessioni minerarie o comunque sono minacciati da almeno un’altra attività industriale potenzialmente dannosa. 12 di questi siti si trovano nei paesi dell’Unione Europea e si tratta di aree protette dalle Direttive europee. Sono la foresta Laurisilva di Maderia (Portogallo), il Delta del Danubio, i Laghi Plitvice (Croazia), il Wadden Sea, la Foresta primigenia di faggi sui Carpazi, il magnifico Delta Coto Donana in Spagna.

In Italia eventuali incidenti petroliferi potrebbero intaccare alcuni sei siti naturali World Heritage come le isole Eolie, il Delta del Po e la Laguna di Venezia. Uno degli esempi che più ci toccano da vicino, vista l’assonanza della minaccia che incombe su quest’area per il pericolo legato alle attività di estrazione petrolifera, è quello del sistema di barriere coralline del Belize: il benessere di 190.000 residenti che proviene dal turismo e dalla pesca è purtroppo minacciato da diversi fattori come costruzioni lungo le coste, taglio esteso di mangrovie, attività agricole e soprattutto dalla minaccia delle esplorazioni petrolifere.  Al momento le concessioni sono scadute ma il Governo ha espresso chiaramente la volontà di riaprire le concessioni off-shore. Tra le richieste presenti nel Report del WWF quelle al settore privato perché eviti di impegnarsi in attività che possano degradare tali aree, al settore finanziario perché non investa in progetti potenzialmente pericolosi.

“I siti considerati patrimonio Mondiale dovrebbe essere tutelati dal più alto livello di protezione: purtroppo siamo spesso incapaci di salvaguardare questi importanti tasselli del pianeta – ha dichiarato Marco Lambertini, direttore generale del WWF Internazionale –Siamo tutti d’accordo sul fatto che questi sono siti unici e preziosi per l’intera umanità, ma è necessario uno sforzo comune per rendere queste aree capaci ancora di provvedere al benessere delle popolazioni e della natura”.

Dallo studio si scopre che sebbene tali aree coprano appena lo 0,5% della superficie del pianeta, sono in grado di sostenere ben 11 milioni di persone nel mondo – una popolazione più grande di quella del Portogallo – con benefici che derivano dal turismo, attività ricreative e l’esportazione di risorse; queste aree sono anche rifugio di specie importanti e difendono i territori e le popolazioni dagli effetti globali del cambiamento climatico. Da queste aree si ricava cibo, acqua, riparo, medicine: le popolazioni avrebbero ricadute negative per gli eventuali impatti di attività industriali condotte su larga scala. I siti patrimonio naturale possono giocare un ruolo chiave per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite lo scorso anno. Secondo il report WWF inoltre il 90% dei siti naturali garantisce lavoro e benefici che vanno ben oltre i loro stessi confini. “È chiaro che non solo le persone proteggono queste aree, ma sono le stesse aree a proteggere le popolazioni. I Governi e il mondo del business devono anteporre i valori a lungo termine rispetto ai vantaggi immediati e rispettare lo status di questi luoghi incredibili– ha continuato Lambertini – Dobbiamo voltare pagina rispetto alle attività industriali più pericolose e focalizzarci sulle alternative sostenibili”.

 

I benefici dei siti patrimonio mondiale (WH) i numeri:

– 11 milioni di persone dipendono dai siti

– 2/3 dei siti sono cruciali per l’approvvigionamento di acqua

– Il 90% garantisce posti di lavoro e sostiene economie legate a turismo, attività  ricreative e uso sostenibile delle risorse

– Oltre il 50% garantisce servizi naturali fondamentali quali la stabilità del suolo, la prevenzione dalle inondazioni e il sequestro di carbonio

– 10,5 miliardi di tonnellate di carbonio è ‘contenuto’ nel sistema di siti WH

– Circa il 50% di tutti i siti sono minacciati da attività industriali dannose

– 114 dei 229 siti sono interessati da concessioni per l’estrazione di petrolio, gas e attività minerarie o sono a rischio per almeno un’attività pericolosa

– 229 il numero globale dei siti: 197 sono siti naturali e 32 sono considerati ‘misti’

– 1% è la percentuale rappresentata dai siti WH all’interno del sistema globale di aree protette

– 0,5% è la percentuale di superficie mondiale ricoperta dai siti WH (oltre 279 milioni di ettari, lo 0,5% della superficie terrestre)
– Oltre il 20%  è minacciata da fattori multipli di rischio.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/04/trivellazioni-miniere-deforestazione-rischio-patrimoni-naturali-mondiali/

 

Referendum, nasce il comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”

“Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che si mobiliteranno per il voto”. Con l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum e far crescere la mobilitazione, è nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”.

È nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”. Lavorerà per invitare i cittadini a partecipare al referendum del 17 aprile contro le trivellazioni in mare e votare SÌ per abrogare la norma (introdotta con l’ultima legge di Stabilità) che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa di non avere più scadenze. La Legge di Stabilità 2016, infatti, pur vietando il rilascio di nuove autorizzazioni entro le 12 miglia dalla costa, rende “sine die” le licenze già rilasciate in quel perimetro di mare.trivellazioni

Far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale, è la vera posta in gioco di questo referendum. Il comitato nazionale si pone l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum in tutti i territori e far crescere la mobilitazione, spiegando che il vero quesito è: “vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?”.

Il petrolio è una vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. Dobbiamo continuare a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile a discapito dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale? Noi vogliamo – dice l’appello del Comitato – che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’election day (l’accorpamento in un’unica data del voto per il referendum e per le amministrative) ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto e puntare sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum. Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.

Primi firmatari del Comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”:

Adusbef, Aiab, Alleanza Cooperative della Pesca, Arci, ASud, Associazione Borghi Autentici d’Italia, Associazione Comuni Virtuosi, Coordinamento nazionale NO TRIV, Confederazione Italiana Agricoltori, Federazione Italiana Media Ambientali, Fiom-Cgil, Focsiv – Volontari nel mondo, Fondazione UniVerde, Giornalisti Nell’Erba, Greenpeace, Kyoto Club,  La Nuova Ecologia, Lav, Legambiente, Libera, Liberacittadinanza, Link Coordinamento Universitario, Lipu, Innovatori Europei, Marevivo, MEPI–Movimento Civico, Movimento Difesa del Cittadino, Pro-Natura, QualEnergia, Rete degli studenti medi, Rete della Conoscenza, Salviamo il Paesaggio, Sì Rinnovabili No nucleare, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, Unione degli Studenti, WWF.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/03/referendum-nasce-comitato-nazionale-vota-si-fermare-trivelle/

 

Contro le trivellazioni, verso un referendum di tutti

Si è svolta l’8 novembre a Roma l’assemblea nazionale “Verso il Referendum No TRIV”, appuntamento deciso in seguito al deposito in Cassazione dei quesiti referendari abrogativi contro le trivellazioni in mare e su terraferma. L’incontro ha rappresentato l’avvio di un processo condiviso e trasversale, preparatorio alla sfida del superamento del quorum e della vittoria dei sì al “referendum di tutti”.

 “Verso il Referendum No TRIV”. È stata chiamata così l’Assemblea Nazionale che si è tenuta a Roma l’8 novembre. Una data scelta per rimarcare, simbolicamente, il giorno in cui si è svolto il primo referendum contro il nucleare: era l’8 novembre 1987.trivel2

Quello di domenica scorsa presso il Parco delle Energie è stato il primo appuntamento assembleare italiano convocato dal Coordinamento nazionale No Triv e dalle centinaia di organizzazioni aderenti alla iniziativa, dopo il deposito in Cassazione dei quesiti referendari abrogativi contro le trivellazioni in mare e su terraferma. “Ci attende – annunciano i promotori del referendum – una lunga stagione di impegno e passione: c’è molto ancora da fare! Il traguardo è ambizioso, impegnativo ma a portata di mano: salvo pronunciamenti sfavorevoli da parte della Cassazione e della Corte Costituzionale, dovremo dimostrarci capaci di portare alle urne la metà più uno delle Italiane e degli Italiani aventi diritto al voto. È giunto il momento di incontrarsi, confrontarsi e discutere sulle scelte operative e sui prossimi passi da compiere”. Un invito pienamente accolto, considerata la straordinaria partecipazione civica, associativa e movimentista alla giornata romana. L’Assemblea, molto coesa e convergente nelle riflessioni e nelle conclusioni, ha dato il via a un lavoro preparatorio in attesa dell’esito delle decisioni della Corte di Cassazione, a breve, e della Corte Costituzionale entro la fine di gennaio. I partecipanti all’assemblea hanno dunque gettato le basi per la costituzione di un’organizzazione coordinata e democratica tra associazioni nazionali e locali, movimenti e comitati che sia espressione ampia della società civile e che articoli e condivida azioni comuni a sostegno della prossima “campagna” nazionale.trivel1

È stata così predisposta una prima sintesi esecutiva che consentirà di procedere immediatamente e con passi sostanziali alle nuove iniziative pianificate verso un referendum che vuole affermare l’opposizione convinta alle politiche energetiche fossili. In tal senso, un collegamento con la mobilitazione italiana per il clima e l’adesione alla marcia prevista a Roma il prossimo 29 novembre, in vista della COP21 di Parigi, rappresentano un momento di coesione e di attenzione collettiva sul più ampio tema dei cambiamenti climatici. Tra i prossimi passi individuati a Roma vi sono la convocazione di assemblee territoriali “Verso il referendum No Triv” e la declinazione nei diversi contesti regionali di una rete che coinvolga tutti i soggetti interessati alla costruzione di un percorso partecipato e trasversale. Una nuova assemblea nazionale è prevista per la prima metà di dicembre 2015.

Un referendum di tutti

Dall’Assemblea è emersa la forte e chiara volontà di proporre questo Referendum come il Referendum di tutti i cittadini italiani per esprimere una resistenza democratica, dichiarare la ferma opposizione alle politiche energetiche fossili perseguite anacronisticamente dal governo e una concreta proposta di conversione ecologica dell’economia.

“Dire che il referendum ‘è di tutti’ – ci spiega Roberta Radich, referente del Coordinamento Nazionale No Triv – vuol dire sia che non si tratta dell’espressione di alcuni comitati, sia che ha un significato più ampio rispetto al tema specifico delle trivellazioni. Il coordinamento No Triv è stato all’inizio promotore di un referendum che però, ora, è il referendum di tutti i cittadini italiani.shale-oil-boom

Il referendum, inoltre, da una parte andrebbe a bloccare una parte considerevole delle trivellazioni in mare e in terra (che il decreto sviluppo del 2012 e lo Sblocca Italia rendono possibili), dall’altra ha un significato fortemente simbolico. Uno degli articoli che saranno oggetto di abrogazione, infatti, indica le energie fossili come strategiche rispetto al piano energetico nazionale. Ciò vuol dire che con questo referendum si vuole andare verso una più generale conversione ecologica del nostro Paese. L’altro aspetto è democratico: si andrà infatti a toccare, con alcuni articoli, il tema del rapporto Stato-Regioni. Con lo Sblocca Italia lo Stato ha demandato a sé le decisioni in merito a lavori pubblici considerati strategici, togliendo così autonomia agli enti locali rispetto a decisioni riguardanti i cittadini. Si tratta di un passo indietro rispetto al decentramento decisionale garantito sia dalla Costituzione sia dalle successive normative in materia. È dunque importante che questa campagna referendaria renda evidente il disegno politico in atto in Italia: accentramento dei poteri, garanzia delle lobby finanziarie e petrolifere, restringimento degli spazi della socialità e della democrazia, distruzione dei diritti garantiti dalla Costituzione. In tal senso, questo referendum andrebbe a tutelare quella che è la ‘democrazia di prossimità’. Anche per questo il referendum è di tutti: ognuno di noi dovrebbe garantire il diritto di tutti di esprimersi rispetto alla tutela del nostro territorio. Il referendum ha dunque una duplice valenza: ambientale e politica”.

I quesiti referendari

Il 30 Settembre scorso è accaduto qualcosa di unico nella storia dell’Italia Repubblicana: la pressione esercitata da oltre 200 associazioni, comitati, movimenti territoriali e personalità della cultura e delle scienze, che danno lustro al nostro Paese, ha spinto le Assemblee di metà delle Regioni italiane a deliberare, in modo pressoché unanime e trasversale, la richiesta di sei quesiti referendari contro le trivelle in mare e su terraferma. Già questo, di per sé, rappresenta una grande vittoria.

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quesiti referendari deliberati dalle dieci Regioni sono sei.

Il primo, il secondo e il terzo quesito – spiega su Qualenergia.it  Enzo Di Salvatore, costituzionalista e co-fondatore del Coordinamento Nazionale No Triv – sono relativi allo Sblocca Italia e riguardano:
a) l’eliminazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dello stoccaggio sotterraneo di gas;

  1. b) l’abrogazione della previsione del vincolo preordinato all’esproprio che il nuovo “titolo concessorio unico” conterrà già a partire dalla fase della ricerca, al fine di tutelare il diritto di proprietà del privato;
  2. c) il cosiddetto “piano delle aree”, previsto al fine di pervenire – per la prima volta in Italia – ad una razionalizzazione delle attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi. L’obiettivo dell’abrogazione referendaria è, in questo caso, quello di consentire che la Conferenza unificata possa esprimersi sul piano nella sua interezza (terraferma e mare) e di evitare che, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con lo Stato, si ricorra all’esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo secondo una procedura semplificata;
  3. d) l’abrogazione delle norme che permettono che, in attesa che venga approvato il piano, lo Stato possa rilasciare nuovi permessi di ricerca e nuove concessioni di coltivazione, sulla base delle norme ormai abrogate dallo Sblocca Italia;
    e) la limitazione della durata delle attività previste sulla base del nuovo “titolo concessorio unico”.

Il quarto quesito riguarda invece le autorizzazioni alle opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi. Si propone, anche in questo caso, di abrogare la norma che prevede che, in caso di mancato accordo con la Regione interessata, lo Stato possa decidere “in solitudine”, secondo una procedura semplificata. Il quinto quesito ha ad oggetto una norma contenuta nella legge sul riordino del settore energetico del 2004, che disciplina anch’essa l’intesa regionale sugli atti dello Stato relativi alle attività petrolifere. Il sesto mira ad eliminare l’art. 35 del decreto sviluppo del 2012, che rende possibile, per il futuro, la ricerca e l’estrazione del gas e del petrolio entro le 12 miglia marine.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2015/11/contro-trivellazioni-verso-referendum-di-tutti/

Gli Stati Uniti autorizzano le trivellazioni nell’Artico

Ancora una volta l’amministrazione Obama conferma il proprio appoggio ai colossi petroliferi: la Shell potrà trivellare nell’Artico

Il Governo americano ci ha ripensato e ha deciso di tornare sui suoi passi autorizzando le trivellazioni nell’Oceano Artico della Shell, una scelta che ha sollevato numerose polemiche e contro cui le associazioni per la difesa dell’ambiente si battono da tempo. La direttrice generale dell’agenzia federale incaricata della gestione degli oceani ha assicurato che Shell dovrà rispettare elevatissimi standard nelle attività di trivellazione alla ricerca di petrolio e gas e il Dipartimento dell’Interno ha assicurato che i bisogni di sussistenza e le tradizioni culturali degli abitanti dell’Alaska saranno salvaguardati. Curtis Smith, portavoce della Shell negli Stati Uniti, ha spiegato che le operazioni di trivellazione cominceranno in estate e che nelle prossime settimane la compagnia petrolifera si preparerà per essere all’altezza delle richieste dell’amministrazione Usa. Il programma di Shell ha subito numerose frenate nel corso degli anni: nel 2012 Shell aveva ottenuto l’autorizzazione, poi revocata nello stesso anno. Nel 2013 stesso copione. Ovviamente le associazioni ambientaliste si ritrovano una volta ancora sul piede di guerra e mettono in guardia prospettando gli scenari di un eventuale incidente nel mare Artico: secondo le ong green l’impatto sarebbe ancora più devastante rispetto a quello dell’incidente avvenuto dopo l’esplosione della Deepwater Horizon, nel 2010. Nel dicembre 2014 Obama aveva bloccato le trivellazioni nella Bristol Bay, una svolta che era stata accolta come l’inizio di un giro di vite alle piattaforme off shore. Una scelta illusoria, visto che ora la sua stessa amministrazione ha avallato le trivellazioni nell’Artico. Ancora una volta, il profitto prima di tutto.Ghiaccio-artico-coperto-da-acqua-586x382

Fonte:  Le Monde

Non si sfugge alla pubblicità

Lo sapevate che a Seul tutte le volte che un autobus passa davanti a un Caffè Dunkin’ Donuts parte un aromatizzatore che spruzza profumo di ciambelle tra i passeggeri? E l’uomo che l’ha inventato ha anche preso un premio. È uno degli esempi di indottrinamento e manipolazione pubblicitaria descritti nel libro di Matthew Crawford, The World Beyond Your Head.5

Crawford, nel suo libro The World Beyond Your Head, alla fine arriva a concludere che si tratta di un problema politico. Non c’è in ballo soltanto il dover imparare ad auto-disciplinarsi nell’uso di una tecnologia che ci offre miliardi di stimoli contemporaneamente; il fatto è che dai produttori di smartphone ai creatori di social network, dai media alle multinazionali, tutti approfittano della nostra sempre più limitata capacità di difenderci da tutti questi stimoli e lo fanno per ammaliarci e trarne profitto da questo. Crawford suggerisce di considerare l’attenzione una sorta di “bene comune”, come si fa con l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo; sono un patrimonio collettivo e sono beni “fragili”, che vanno protetti. Perchè dunque non pensare che anche l’attenzione lo sia? Una risorsa collettiva dalla quale dipende tutto il resto. Molto lucida in proposito l’analisi sul libro di Crawford che il giornalista inglese Oliver Burkeman ha fatto sul Guardian. Appuntatevi bene questo ragionamento: quando gli interessi commerciali sfruttano la nostra attenzione su scala industriale, ciò che accade è essenzialmente il trasferimento di un bene dal pubblico al privato, non meno di quando vengono immessi contaminanti ambientali in una riserva naturale che è stata fatta oggetto di trivellazioni o sfruttamento da parte di privati. Ci si può difendere dalle incursioni, certo, ma a che prezzo? Rifugiandosi su una montagna o indossando cuffie a prova di sonoro tutti i giorni? Chiudendosi in casa o evitando i luoghi pubblici? Dobbiamo auto-relegarci e auto-limitarci per sottrarci a un’usurpazione? Dove sono finite le situazioni in cui lo sguardo spaziava senza meta, magari cadeva su un conoscente, ti ci fermavi a fare due chiacchiere, poi proseguivi il giro e magari te ne stavi anche in silenzio a pensare? Oggi, per esempio negli aeroporti, hai il silenzio solo se lo paghi. Vai nella sala d’attesa della business class e non hai la televisione che va costantemente o i display pubblicitari che ti stordiscono. In un mondo in cui l’attenzione è stata monetizzata, bisogna pagare se vuoi essere messo nelle condizioni di ascoltare i tuoi pensieri. E a cosa pensano le persone che attendono in business class? Probabilmente pensano a come monetizzare l’attenzione di altre persone. È lì, nelle alte sfere, che vengono prese le decisioni che determinano ciò che accadrà ai peones. Quindi, dice Crawford, dobbiamo cominciare a vedere tutto ciò sotto una luce “politica”. Proviamo a pensare alle implicazioni che questo ha sulla libertà degli esseri umani. Un assunto centrale del liberismo è che siamo liberi di ignorare i messaggi che non ci piacciono, sottolinea ancora Burkeman con grande acume; ecco perchè la libertà di parola concepisce il diritto a offendere ma non ad essere offesi. Ma l’attenzione non funziona così. Il nostro cervello viene “comandato” da ciò che vede in tv più che limitarsi a recepire un suggerimento. Come spiega bene Natasha Dow Schull nel suo studio sul gioco d’azzardo, Addiction By Design, quell’industria si giustifica e si lava la coscienza dicendo che la gente è libera di giocare o no, mentre invece tutto il sistema è fatto in modo da scippare alla gente l’effettiva opportunità di scelta. Quello che fa Crawford, realisticamente, non è invocare misure draconiane contro la pubblicità. Ma lancia un appello affinché i professionisti non si prestino a fiancheggiare queste manipolazioni. Quindi niente pubblicità vocali ad ogni angolo dei centri commerciali; no ad infarcire di pubblicità ogni singolo secondo di stop negli incontri sportivi; sia concesso ai poveri peones di sottrarsi alla televisione almeno sui bus o nei taxi; eccetera, eccetera. Provate anche voi: analizzate che cosa ingoia la vostra attenzione da quando vi svegliate la mattina a quando vi addormentate la sera. Poi provate ad allenarvi a distoglierla da lì.
Grazie di cuore a Oliver Burkeman (mente lucida, di quelle che portano un po’ di conforto) e a Matthew Crawford per il suo lavoro.
Fonte: ilcambiamento.it

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Oscar 2015: sfida eco fra Virunga e Il sale della terra

Nella categoria riservata al miglior documentario due film con una forte impronta ecologista. Il primo racconta la battaglia contro le trivellazioni della Soco nel parco di Virunga, il secondo i viaggi del fotografo Sebastião Salgado.

Nella categoria del miglior documentario sono due candidati “forti” agli Oscar 2015, due film che parlano di difesa dell’ambiente e lo fanno con un impianto narrativo e una qualità fotografica sbalorditivi: Virunga e Il sale della terra. Due candidati “forti”, per le storie che raccontano e per come le raccontano, se la dovranno vedere con Citizenfour di Laura Poitras, il documentario su Edward Snowden diretto da una delle giornaliste più pericolose d’America, la donna che affianca Glenn Greenwald e Jeremy Cahill nell’ambizioso progetto giornalistico The Intercept. Avamposto del Soft Power ovverosia del potere persuasivo con il quale gli Stati Uniti colonizzano l’immaginario occidentale da un secolo a questa parte (e globale da qualche decennio in meno), gli Academy Awards si sono rivelati molto spesso veicoli di messaggi politici, quando non geopolitici, messaggi molto spesso orientati verso un pubblico democratico. I premi, con la loro visibilità planetaria, hanno sistematicamente privilegiato il messaggio a discapito di un rinnovamento e del sostegno alla reale qualità dei premiati. In questa logica di premi molto spesso pretestuosi dati a prescindere dalla qualità, ma in virtù dell’importanza del tema, ambiente ed ecologia hanno sempre rappresentato una nicchia di scarso interesse. Quest’anno Virunga e Il sale della terra sembrano avere tutte le carte in regola per spezzare una tradizione anti-ecologista che solamente Una scomoda verità di Davis Guggenheim nel 2006 e The Cove di Louie Psihoyos nel 2009 sono riusciti a interrompere grazie alla potenza di un discorso fortemente universale. Anche questa volta la battaglia sarà giocata sull’importanza del tema? È chiaro che i tre documentari favoriti propongono tematiche cruciali per il futuro dell’umanità: Virunga quella delle scelte fra salvaguardia della natura e risorse fossili, Il sale della terra quella degli equilibri sociali e naturali, Citizenfour della libertà e della privacy. Virunga è un documentario sbalorditivo, Orlando von Einsiedel è riuscito ad amalgamare documentario naturalistico, reportage di guerra e inchiesta giornalistica in un prodotto di magistrale coerenza stilistica, più appassionante di qualsiasi action movie, perché è tutto vero. E il film è stato parte integrante di una campagna del WWF per la salvaguardia del parco nazionale più antico d’Africa.

Il sale della terra, firmato da un maestro come Wim Wenders e da Juliano Ribeiro Salgado, racconta la storia del fotografo Sebastião Salgado attraverso quasi cinquant’anni di scatti. In un meraviglioso bianco e nero che si riempie di tutte le sfumature che Salgado è riuscito a dare a questi due colori viene raccontata la bellezza della terra e dei suoi abitanti. Dopo avere inseguito per anni i volti, dopo il dramma del Ruanda, Salgado decide di ritrarre le terre vergini, ma torna alla fattoria della sua famiglia per compiere un “miracolo” far rivivere la foresta scomparsa della sua infanzia.

Due film mirabili, fra i più belli visti nel 2014, corrono per l’Oscar e, proprio per la rilevanza che questi premi hanno a livello globale, sarebbe importante che si premiasse l’ecologia facendola uscire dalla nicchia che, nel nostro Paese, trova in un festival Cinemambiente la vetrina più importante e prestigiosa.virunga-1-620x347

Foto | Ufficio Stampa Cinemambiente

Fonte: ecoblog