TAV in Val di Susa, come prendere una decisione?

Ormai da anni il progetto dell’alta velocità in Val di Susa è al centro di un acceso dibattito che vede favorevoli e contrari sfidarsi puntualmente e duramente per far prevalere la propria posizione sul TAV. Lo scontro oggi è più che mai acceso tra le istituzioni, che proprio in questi giorni discutono dell’analisi costi-benefici sulla Torino-Lione, e sostenuto da un’informazione che spesso alimenta la logica delle fazioni. Come prendere una decisione in un simile contesto? Alberto Guggino espone alcuni concetti che dovrebbero essere alla base di qualsiasi scelta di investimento.
La TAVola periodica degli elementi è lo schema con cui sono ordinati gli elementi chimici sulla base del loro numero atomico. Prendendo questo spunto ho cercato di “atomizzare” gli elementi che devono essere alla base di una buona decisione e vi propongo la mia Tavola periodica degli elementi di base con cui si prende una decisione. Di seguito, quindi, potete trovare alcune considerazioni che vanno oltre le posizioni direttamente collegate al TAV e che ritengo servano per una valutazione a monte (parola decisamente appropriata), siano indipendenti da posizioni pro o contro e vadano al di là degli studi specifici (che naturalmente sono necessari, ma di cui non ho grande competenza diretta).

Il problema, a mio avviso, non è relativo all’alta velocità in generale e deve essere considerato sotto molti aspetti. Provo ad esprimere i concetti alla base di una qualsiasi decisione di investimento che un bravo manager/padre di famiglia/imprenditore/amministratore/politico deve considerare prima di prendere una decisione

1) quando si hanno poche risorse finanziarie la scelta delle priorità è fondamentale e deve considerare da una parte le possibili prospettive future e dall’altra il benessere diffuso che ne può derivare. 

2) Una volta analizzati questi aspetti qualsiasi investimento deve essere messo in relazione con altri possibili investimenti, anche in altri settori, in modo da permettere che le risorse finanziarie disponibili (o a debito) producano il maggior risultato per gli abitanti di un territorio limitato o più vasto. 

3) Quando si effettua un investimento di qualsiasi genere occorre considerare il cosiddetto ROI (return on investment), cioè la redditività del capitale investito che misura il rendimento dell’investimento effettuato a prescindere da come è finanziato. 

4) È importante conoscere se l’investimento è fatto con capitali propri o a debito, nel qual caso è importante definire con chi lo si contrae, a che costo e per quanto tempo. 

5) Occorre analizzare in modo dettagliato i futuri costi di gestione e manutenzione

6) Devono essere messi in relazione il costo investimento (quindi il costo di ammortamento suddiviso negli anni di durata previsti), il costo degli interessi e i costi di gestione/manutenzione, con la previsione delle entrate per comprendere la sostenibilità economica.  

7) Deve essere valutato il costo del servizio/prodotto che verrà offerto in modo da verificare se sarà competitivo rispetto ai servizi/prodotti già esistenti, che sono offerti dal mercato di riferimento.

Fonte: Euronews

8) Siccome parliamo di investimenti dello Stato Italiano, a tutte queste considerazioni bisogna aggiungere il valore sociale dell’opera, che assume una dignità almeno pari a quella del ritorno monetario. 

9) A questo punto occorre verificare la sostenibilità ambientale dell’opera e il consumo attuale e futuro di risorse non rinnovabili per evitare una trasformazione irreversibile di un territorio e dell’ambiente in generale; pertanto i relativi benefici per l’immediato potrebbero risultare estremamente compromettenti per le future generazioni. 

10) È necessario effettuare un accurato benchmark, analizzando realtà ed esperienze analoghe, anche in altri Paesi, in modo da valutare in anticipo problematiche, differenze, punti di analogia e studiare l’impatto sociale, economico e ambientale che queste esperienze hanno portato. 

11) Dopo il benchmark si procede con la cosiddetta ristrutturazione, reingegnerizzando prodotto finale e processi per superare i limiti delle altre esperienze ottenendo un miglioramento incrementale qualitativo. 

12) Dopo aver effettuato questi studi, si parte con l’analisi delle problematiche sollevate da chi è contrario al progetto, questo è un elemento indispensabile in una democrazia e permette, nel caso l’opera venga realizzata, di ridurre i potenziali rischi di insuccesso, considerando gli “oppositori” come essenziali risorse per la costruzione di una società migliore per tutti. 

13) nel caso di un investimento pubblico è interessante capire se ci sono imprenditori e/o finanziatori interessati a partecipare al capitale di rischio. Se tale opera è interessante per un imprenditore, presumibilmente questi parteciperà almeno in parte con capitali propri; occorre diffidare dagli imprenditori o dalle categorie di imprenditori che auspicano la realizzazione di un’opera senza impegnarsi a partecipare al capitale da investire. 

14) Qualsiasi progetto non può prescindere da un’analisi di contesto, ma soprattutto da quello che viene chiamato “Approccio Sistemico” (metodi che risalgono ad Aristotele e Leonardo). È utile analizzare la situazione e le prospettive europee e mondiali, ad esempio valutare se l’opera può essere parte di un progetto più ampio e verificarne la disponibilità e l’impegno di altri Paesi a procedere in tal senso. 

15) Nel caso ci siano finanziamenti a fondo perduto, tutti i punti precedenti non decadono, pertanto tali finanziamenti vanno considerati unicamente come un’opportunità per la riduzione dei costi per gli interessi per il prestito a debito, e nel caso non vengano attivati perché l’opera non si realizza, non devono essere considerati un’occasione persa, perché se l’investimento non rispondesse ai precedenti punti sarebbe solo uno spreco inutile, e le risorse sarebbero così indirizzabili ad altri progetti.  

16) Sarebbe opportuno inoltre valutare il Life Cycle Assessment o LCA (in italiano la valutazione del ciclo di vita), un metodo che valuta un insieme di interazioni che un prodotto o un servizio ha con l’ambiente e l’impatto ambientale (positivo o negativo) che scaturisce da tali interazioni. Nella sua forma più completa, il Life Cycle Assessment considera l’intero ciclo di vita, includendo quindi le fasi di preproduzione (quindi anche estrazione e lavorazione delle materie prime), produzione, distribuzione, uso (quindi anche riuso e manutenzione), riciclo e smaltimento finale (norme ISO 14040 e ISO 14044).

Dopo tutte queste considerazioni, deve partire un’analisi che valuti se le opportunità offerte dal nuovo investimento non possano essere realizzate utilizzando e adeguando strutture preesistenti, la blue economy recita: lavoriamo prima di tutto su quello che abbiamo. Il metodo giapponese definito kaisen afferma che invece di raggiungere un’innovazione al 100% dopo molto tempo è meglio agire subito e così si ottiene il 60% dei risultati attesi in tempi rapidi e con minori investimenti. La vision della strategia kaizen è quella del rinnovamento a piccoli passi, da farsi giorno dopo giorno, con continuità, in radicale contrapposizione con concetti quali innovazione, rivoluzione e conflittualità di matrice occidentale. La base del rinnovamento è quella di incoraggiare ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti, il cui effetto complessivo diventa un processo di miglioramento dell’intero processo preso in esame, a costi molto ridotti e ad efficacia immediata e continua nel tempo. Fin qui non abbiamo considerato in nessun modo gli aspetti di una visione della società legata a differenti approcci “politici” e “ideali” (non ideologici) o di un “modello di sviluppo del benessere”. Pertanto è necessario comprendere in quale direzione vogliamo o siamo costretti ad andare a causa dei cambiamenti climatici e delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Cambiano i paradigmi e certe idee di modernità diventano obsolete e superate. Da un punto di vista invece prettamente politico: abbiamo bisogno di spostare noi stessi o le merci sempre più velocemente? Oppure abbiamo bisogno di poter fare esami o interventi per la nostra salute in tempi utili per impedire il progredire di una malattia? Abbiamo bisogno di treni veloci per raggiungere mete, saltuarie per la maggior parte delle persone, o abbiamo bisogno di muoverci in città o dalla campagna alla città tutti i giorni, in maniera decente, con dei servizi sufficienti e decorosi? Sull’economia in generale e sul mondo del lavoro in particolare hanno un impatto maggiore tante piccole opere o una grande opera?  

Naturalmente ancora meglio sarebbe una progettazione partecipata, ma tutto quello che ho espresso è realizzabile, per la progettazione partecipata, ad esempio con gli stakeolder, i tempi devono ancora maturare… ma è auspicabile per stimolare e ottenere i benefici di quella che gli studiosi chiamano “intelligenza collettiva” molto più evoluta dell’intelligenza artificiale di cui tanto si parla.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/02/tav-val-di-susa-come-prendere-decisione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Smog, Transport&Enviroment: ‘Le città vietino anche i diesel Euro 6’

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“Questi motori dovrebbero essere aggiornati per rispettare i limiti o non essere consentiti nelle città”. Sono le conclusioni di uno studio della Ong Transport&Environment sulle strategie anti-smog adottate da 11 centri urbani europei, tra cui Milano. Le città europee che hanno varato misure permanenti anti-smog dovrebbero impedire l’accesso alle zone a basse emissioni anche ai veicoli diesel Euro 6. Sono le conclusioni di uno studio della Ong Transport&Environment sulle strategie anti-smog adottate da 11 centri urbani europei, tra cui Milano. “Una delle principali debolezze è l’esenzione generale per i veicoli Euro 6”, sottolinea lo studio, “mentre meno del 10% dei nuovi diesel Euro 6 in vendita soddisfano i limiti di emissione dell’Ue”.

“Questi motori – si legge nello studio – dovrebbero essere aggiornati per rispettare i limiti o non essere consentiti nelle città”. Senza iniziative dei costruttori, “le città che hanno violato i limiti dell’inquinamento atmosferico per quasi un decennio non hanno altra scelta se non quella di attuare drastiche misure di restrizione alla circolazione delle auto per proteggere la salute pubblica”.

“Due settimane fa una sentenza della più alta corte tedesca ha confermato che le città della Germania possono vietare alle auto di circolare e ha chiarito che il diritto dei cittadini di respirare aria pulita ha la precedenza sul diritto dei proprietari di guidare veicoli inquinanti. “La sentenza del tribunale tedesco dovrebbe essere un precedente in tutta l’UE – scrivono gli autori dello studio – ma la legislazione nazionale in tanti altri paesi impedisce alle città di agire”.

“I paesi dell’Europa centrale e orientale fanno molto affidamento sulle esportazioni di auto usate. Esiste il rischio che le città di queste zone siano invase da diesel costosi e sporchi che gli europei occidentali non possono più guidare nei propri paesi. La Commissione europea dovrebbe valutare quali misure possono essere messe in atto per garantire che tutte le autovetture importate di seconda mano siano state riparate o aggiornate ai loro sistemi di trattamento dei gas di scarico. Tutti gli europei hanno lo stesso diritto all’aria pulita e una soluzione europea comune è necessaria “.

Il mercato automobilistico in Europa è stato sbilanciato a favore del diesel attraverso norme sulle emissioni deboli e agevolazioni fiscali. Il mercato è cresciuto fino al 53% delle auto vendute nel 2011 e l’Europa rappresenta il 70% delle vendite globali di auto diesel. Tuttavia, dopo lo scandalo del dieselgate, la quota di mercato del diesel è in forte calo. Con costi aggiuntivi per soddisfare le nuove norme sulle emissioni, si prevede che la quota di mercato del diesel continui a scendere, suggerendo che i costosi investimenti delle case automobilistiche europee nei nuovi motori diesel potrebbero rivelarsi una decisione sbagliata.

Fonte: ecodallecitta.it

G7 trasporti: premio internazionale per il progetto Grab di Velolove, Legambienteve e Tci

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Al G7 di Cagliari il grande raccordo anulare delle bici nominato “ambasciatore dell’innovazione italiana nel settore della mobilita’”

Il GRAB, il Grande Raccordo Anulare delle biciclette capitolino, è stato scelto per svolgere il ruolo di ambasciatore del cambiamento nel settore della mobilità durante il G7 Trasporti che si svolge a Cagliari. Il progetto del GRAB, ideato da VeloLove, Legambiente e TCI in collaborazione con tante altre realtà associative, figura infatti tra i progetti che sintetizzano al meglio innovazione e capacità di rinnovamento del nostro Paese. Candidate al riconoscimento erano oltre 400 buone pratiche, che hanno partecipato alla call for practice organizzata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in collaborazione con Italia Camp e tesa a individuare i migliori progetti e proposte sul tema della sostenibilità applicata alle infrastrutture e ai servizi di mobilità. Una prima scrematura ha individuato le 100 più valide che sono state sottoposte alla valutazione di un comitato scientifico (composto da rappresentanti di MIT, ANCI, Università e esperti di settore). La short list delle migliori (e tra queste il GRAB) a partire da oggi verranno esposte nella “G7allery”, spazio espositivo ad hoc allestito presso l’Ex Manifattura Tabacchi di Cagliari che sarà inaugurato dal ministro Delrio insieme alle delegazioni del G7.387670_2

Tutti le proposte insignite del titolo di ambasciatori della mobilità hanno come main focus il tema della sostenibilità applicata ai trasporti e alle infrastrutture orientata alla realizzazione di progetti funzionali ed economici in cui siano coinvolti i cittadini sin dai primi step (sostenibilità economica); al rispetto e alla tutela dell’ambiente, anche attraverso il riuso del patrimonio esistente, in modo da poter usufruire di infrastrutture e servizi accessibili a tutti e in grado di connettere i centri con le periferie (sostenibilità ambientale) e allo sviluppo di infrastrutture condivise che includano tutte le categorie di cittadini con una particolare attenzione ai segmenti sociali più vulnerabili (sostenibilità sociale).

Essere premiati come ambasciatori di una nuova idea di mobilità e di un nuovo modo di usare il territorio – afferma Alberto Fiorillo, coordinatore del progetto GRAB e responsabile aree urbane di Legambiente – è un riconoscimento davvero importante per le tantissime realtà e i tantissimi professionisti che hanno lavorato da volontari al progetto: il GRAB infatti è un’opera pubblica che nasce dal basso, è un’infrastruttura ideata, pianificata e disegnata da cittadini e associazioni. Questo raccordo ciclabile romano – e siamo sicuri che è questo aspetto ad aver affascinato la giuria – ha la forma di una ciclovia urbana ma è in sostanza un’operazione multidimensionale sullo spazio pubblico: funzionale, ambientale, economica, sociale, estetica, culturale. Più che immaginare una pista ciclabile lunga 45 chilometri che gira dentro la città e la attraversa, l’esigenza del GRAB – antitesi del GRA delle auto – è stata fin dall’inizio quella di modificare i luoghi che attraversa, di correggerli, di migliorarli, attraverso la ricomposizione del frammentato spazio archeologico capitolino, la ricucitura delle periferie con il centro, la creazione di una cintura verde metropolitana, la trasformazione, la rigenerazione o la valorizzazione di aree trascurate. Sempre attraverso interventi discreti, senza nessuna volumetria aggiuntiva”.

Come si ricorderà il Grande Raccordo Anulare delle Bici è il progetto per la realizzazione di un anello ciclopedonale accessibile a tutti che si sviluppa per 45 chilometri all’interno della città di Roma unendo le periferie e il centro storico e toccando Colosseo, San Pietro, Trastevere e tantissimi altri punti di interesse. Il GRAB prevede la pedonalizzazione dell’Appia Antica (prologo della nascita di un unico parco archeologico capitolino dai Fori ai Castelli Romani), è un polo d’attrazione di nuovi turismi, una via car free per la mobilità interquartiere, il raccordo attorno a cui sviluppare e cucire una rete ciclabile metropolitana, il volano di interventi diffusi di rigenerazione delle periferie.

Fonte: ecodallecitta.it

Energia, trasporti e clima, IEA: senza un cambiamento forte non c’è futuro

Secondo la International Energy Agency solo veicoli elettrici, accumulo energetico, fotovoltaico ed eolico crescono al ritmo giusto per limitare i cambiamenti climatici.http _media.ecoblog.it_0_0f0_energia-clima-trasporti-iea

L’ultimo report Energy Technology Perspectives 2017 della IEA, la International Energy Agency, fa il punto sullo sviluppo delle tecnologie green che ci dovrebbero permettere di limitare fortemente l’aumento della temperatura globale e i conseguenti cambiamenti climatici. Secondo l’agenzia solo in tre aree su 26 in totale il mondo è sufficientemente avanti, sia nella tecnologia che nell’implementazione pratica, per evitare che si superino i 2 gradi centigradi di aumento delle temperature globali entro il 2025. Queste tre aree sono: auto elettriche, energy storage (cioè l’accumulo di energia, in batterie di vario tipo) e l’area formata dalla coppia di energie rinnovabili elettriche del solare fotovoltaico e dell’eolico on shore.

Tutto il resto è preoccupantemente indietro, come mostra l’infografica IEA:http _media.ecoblog.it_a_a6c_iea-aree-sviluppo-tecnologie-verdi

Si nota facilmente che le bioenergie, il solare a concentrazione, l’energia dalle onde marine e quella geotermica sono nettamente indietro rispetto agli obiettivi. Stessa cosa vale per il risparmio energetico negli edifici, nella cattura e stoccaggio della CO2, nella diminuzione delle centrali a carbone, nell’efficienza delle spedizioni internazionali, nelle rinnovabili termiche e nei biocarburanti per i trasporti. Per quanto riguarda le auto elettriche, secondo la IEA, i veicoli verdi circolanti nel 2016 sono saliti a 2 milioni nel mondo. Il trend di crescita è positivo, ma il totale dei veicoli elettrici è ancora troppo basso. Con i ritmi di crescita attuali le auto elettriche aumenteranno di numero di 28 volte entro il 2030, se verranno rispettati gli impegni di Parigi sul clima. Per restare entro i 2 gradi di aumento delle temperature serviranno 160 milioni di veicoli elettrici, per scendere sotto i 2 gradi ne serviranno 200 milioni fino ad arrivare al 90% di auto elettriche entro il 2060. La IEA non perde l’occasione per ribadire che per raggiungere questi obiettivi saranno necessari enormi investimenti in tecnologia e infrastrutture (basti pensare alla diffusione delle colonnine elettriche super veloci) e un chiaro e duraturo impegno politico, che punti anche sul trasporto pubblico collettivo.

Credit foto: IEA

Fonte: ecoblog.it

La Route 66 diventa un’autostrada solare

È quanto promette un accordo tra lo stato del Missouri e la Solar Roadways, una azienda che installerà pannelli solari in alcuni tratti del percorso stradaleroute-66

(Credits: escalepade/Flickr CC)

È forse la più famosa autostrada degli Stati Uniti: la Route 66, storica protagonista delle migrazioni a ovest degli anni ’30, immortalata in canzoni, programmi televisivi, film e romanzi. E se oggi, a 90 anni dalla sua inaugurazione, rimane più che altro un monumento a un secolo di storia e cultura americane, presto potrebbe guadagnare nuova fama e un invidiabile primato. Negli scorsi giorni infatti lo stato del Missouri ha dato il via libera per trasformare alcune sezioni della Route 66 nella prima autostrada solare degli Stati Uniti, un percorso pavimentato con pannelli solari e pensato per garantire la viabilità e produrre al contempo energia pulita.pannello-solar-roadways-600x335

(Credits: Solar Roadways)

Anima del progetto sono Scott e Julie Brusaw, due coniugi e inventori americani che nel 2014 hanno lanciato una campagna di crowdfunding di grandissimo successo: la loro società, la Solar Roadways, ha infatti raccolto oltre due milioni di dollari su Indigogo, per sviluppare una tecnologia con cui trasformare i 259mila chilometri di autostrade americane in un immenso pannello solare. Un sistema, assicurano i calcoli dei Brusaw, che permetterebbe di generare una quantità di energia tre volte superiore al consumo annuale del paese. Dopo due anni di lavoro, oggi la loro tecnologia è finalmente pronta per il test su strada, e il dipartimento dei trasporti del Missouri sembra più che disposto a collaborare all’impresa. L’accordo stretto tra lo stato e la Solar Roadways prevede l’istallazione dei pannelli inventati dai Brusaw su alcuni brevi tratti della Route 66, con l’obbiettivo di produrre sufficiente energia solare da provvedere alle necessità energetiche degli edifici, della segnaletica e dell’illuminazione delle aree limitrofe. Per iniziare, i pannelli solari dei Brusaw saranno installati sui marciapiedi. Questa fase dovrebbe concludersi entro la fine del 2016, e se tutto andrà come sperato, si potrà poi procedere al test sulle strade vere e proprie in tempi ragionevolmente brevi. La tecnologia, ammettono dalla Solar Roadways, è ancora in fase di sviluppo, e servirà ancora qualche anno per raggiungere gli standard richiesti. I pannelli comunque sono già in grado di sostenere il peso di un autoarticolato, e la composizione è pensata per emulare le caratteristiche di aderenza dell’asfalto. I pannelli contengono inoltre una serie di gadget smart: luci led con cui sostituire la segnaletica orizzontale, un sistema di riscaldamento che evita l’accumulo di neve o ghiaccio, e microprocessori che permettono di trasmettere e ricevere dati in tempo reale. Per sapere se le autostrade solari si riveleranno un successo bisognerà aspettare almeno fino al prossimo anno, ma un esperimento simile, realizzato in Olanda, ha già dato risultati incoraggianti. Si tratta della prima ciclabile solare del mondo, costruita dall’azienda Solar Road con fondi del governo olandese, che alla fine del 2015 ha annunciato di aver superato il proprio obbiettivo, producendo oltre novemila kwh nel corso dell’anno con un percorso di circa 70 metri.

Fonte: Wired.it

Cyclolenti in Georgia: alla scoperta dei grani antichi

Da Tbilisi passiamo un colle a 1700mt prima di riscendere verso Telavi. Facciamo risalire il nostro tasso di zuccheri mangiando accanto ai venditori di miele di montagna che si alternano a quelli di funghi lungo tutta la strada. Una grande pianura si apre davanti a noi, campi di grano e girasole squadrati… e dei vigneti dai quali si ottiene il rinomato vino di Kakétie (in Georgia ci tengono molto al loro vino. In aeroporto danno il benvenuto regalando una bottiglia a passeggero, ci riferiscono alcune persone atterrate a Batumi). Una pausa al monastero ortodosso di Alaverdi, poi percorriamo gli ultimi chilometri che ci portano all’inizio di un parco naturale ai piedi delle alte vette (superano i 3000mt) che separano la Georgia dalla Cecenia. È qui che si trova il villaggio di Argokhi in cui è partito il progetto Momavlis Mitsa (Terre d’Avenir = Terra per il futuro). Siamo pronti ad una tappa di due settimane di wwoofing. 6231247_orig-1024x682

A fine giornata, la luce inizia a calare, ma nessun segno di Momavlis Mitsa. Argokhi assomiglia agli altri paesini georgiani con le sue casette tutte identiche, traccia di un passato comunista, con i maiali, le mucche, le oche e galline che camminano per strada, i contadini che rientrano dai campi seduti sui loro carretti tirati da cavalli e asinelli… Chiediamo a qualcuno a caso “Jean Jacques?”. Senza esitare gli abitanti ci indicano una casa, ci siamo! Jean Jacques, il fondatore del progetto, si è trasferito qui per via dei grani antichi georgiani. Ed è proprio durante un suo viaggio in Georgia che, mangiando del pane fatto con questi grani, si rende conto che, nonostante la sua intolleranza al glutine, non ha nessuna reazione allergica . Da due anni ormai coltiva e produce il proprio pane in un forno a legna che egli stesso ha costruito con l’aiuto dei wwoofer. Tra qualche mese arriverà anche un mulino a pietra. In questo modo terrà le fila di tutte le tappe di produzione. Al nostro arrivo siamo accolti da Rosa, Jannes e Colyer, dei ragazzi volontari tedeschi e americani; non hanno ancora 21 anni, ma tengono in piedi la baracca con una sicurezza e una serietà notevole durante l’assenza di Jean Jacques. Dopo un dolce risveglio al suono del violoncello di Colyer, ci occupiamo tutti insieme dell’orto che gestiscono dalla A alla Z. Sono stupita, hanno imparato tutto da soli e al minimo dubbio vanno a controllare sui libri. La sera fanno un bilancio di ciò che hanno piantato e raccolto, annotano le temperature e i millimetri di pioggia caduta.8303924_orig-1024x682

Non sono soli, hanno anche il supporto di Rainer, uno dei grandi esperti di biodinamica che si è trasferito qui per entrare a far parte del progetto Momavlis Mitsa. In passato Rainer ha portato avanti uno studio finanziato da una compagnia svizzera che voleva dimostrare che l’agricoltura biologica e biodinamica non avevano nessun impatto positivo sui terreni radioattivi. I risultati hanno invece mostrato gli enormi benefici di questi metodi (in particolar modo quelli della biodinamica si sono rivelati nettamente migliori), ma si è dovuto aspettare 20 anni per pubblicarli perché ovviamente contrari agli interessi dell’azienda. Io stessa ho scoperto che cos’è la biodinamica durante questi giorni e attraverso la lettura del libro “Il vino dal cielo alla terra” di Nicolas Joly, proprietario del vigneto La Coullée de Serrant in Francia (I prodotti di agricoltura biodinamica si trovano in commercio col marchio Demeter). Ma al di là dell’agricoltura è un’altra maniera di vedere le cose che introduce la biodinamica: essa presenta il pianeta come un organismo vivente dove tutto interagisce, la Terra è in un universo nel quale tutto si influenza a vicenda; la biodinamica ci ricorda che non siamo in un mondo fatto di sola materia, ci dimentichiamo spesso di considerare le energie e le forze che ci circondano. Il vantaggio in Georgia è che i pesticidi, diserbanti e altri prodotti chimici sono arrivati che di recente e quindi è ancora possibile trovare dei terreni “intatti”, o facilmente “recuperabili”, in cui i microrganismi non siano ancora scomparsi e in cui l’equilibrio naturale possa essere ristabilito. Uno sguardo all’orto di Momavlis Mitsa e si comprende che questi prodotti non sono necessari. Che piacere, all’ora di mangiare, andare a “fare la spesa” nell’orto, dai vicini per il latte, il formaggio, vino, le uova… farsi il proprio Matsoni (yogurt caratteristico della regione e rinomato per le sue proprietà terapeutiche per via di alcuni batteri particolari), senza alcun bisogno di un supermercato!4882391_orig-1024x682

L’orto è così produttivo che il surplus va sui banchetti del mercato settimanale che Jean Jacques tiene a Tblisi per la vendita del suo pane. Vende anche dell’olio di girasole che lui stesso molisce, del formaggio di Telavi, del miele di un apicoltore locale, del succo di mele di una cooperativa del posto… rifornisce addirittura dei ristoranti della città. L’associazione Momavlis Mitsa è in cerca di persone per un aiuto nelle varie attività: orto, panetteria, nuove costruzioni… Non esitate a contattare Jean Jacques (momavlismitsa.jjj@gmail.com , +995 59 11 33 478). Grace e il suo compagno sono passati da qui in bici due anni fa per raggiungere l’Inghilterra dall’Australia. Lei e suo padre realizzano dei documentari e oggi sono di ritorno per filmare l’avventura Momavlis Mitsa e la vita al villaggio di Argokhi. Ritornerò anche io? Le partenze non sono mai facili, ma questa qui è ancora più difficile per me, perché? Sarà forse perché questo posto lascia a ciascuno lo spazio per “mettersi all’ascolto del seme di vita che è in ognuno di noi”?

Durante una chiacchierata, parlando del grano, Jean-Jacques ci offre la sua visione: “…un seme è riposto in ogni anima, in ogni cuore, sta a noi scoprirlo e lasciarlo crescere…”.

Tiphaine

Fonte : italiachecambia.org

“Il Green Act che serve all’Italia”. Legambiente presenta a Roma la controproposta al governo Renzi

 

Fiscalità ambientale, città, bonifiche, energia, rifiuti, mobilità nuova, trasporti, dissesto idrogeologico, natura, turismo, fondi strutturali: proposte concrete e misure immediatamente applicabili per far ripartire il Paese. Il presidente Cogliati Dezza: “Non abbiamo bisogno di un green washing della politica governativa ma di azioni utili per cambiare l’Italia”382058

L’Italia è tra i paesi europei maggiormente colpiti dalla crisi, dove la recessione ha fatto esplodere tutti i fattori di debolezza economica, sociale e istituzionale esistenti, eppure, l’Italia ha la concreta possibilità di avviare una ripresa “ambientale” dell’economia e dei consumi. Nel corso della recessione, infatti, gli elementi di efficienza e sostenibilità ambientali si sono irrobustiti. Nonostante l’assoluta mancanza di politiche esplicite e di idonee scelte di governo, l’economia e la società italiana hanno gestito in maniera più efficiente le risorse, hanno consumato meno energia, prodotto più energia da fonti rinnovabili e riciclato più rifiuti, trasformato stili di consumo in un senso più sostenibile. A differenza di altri paesi ciò non è avvenuto per una scelta deliberata ma è ugualmente avvenuto.
Partendo dall’analisi dello stato del Paese, confermata dai parametri di Ambiente Italia 2015, il rapporto annuale sullo stato del Paese realizzato dall’istituto Ambiente Italia e Legambiente, l’associazione ambientalista ha presentato oggi a Roma “Il Green Act che serve all’Italia”, un documento che avanza proposte concrete e misure immediatamente applicabili per affrontare le sfide del futuro. In 11 schede sono stati presentati i temi fondamentali per realizzare la svolta di cui c’è bisogno e che quindi dovrebbero trovare cittadinanza nel Green Act annunciato dal Premier Renzi per marzo 2015, traducendosi anche in proposte legislative: fiscalità ambientale, città , bonifiche, energia, rifiuti, mobilità nuova, trasporti, dissesto idrogeologico, natura, turismo, fondi strutturali. Tutti temi che hanno strettamente a che fare con lo sviluppo economico del Paese, con la possibilità di creare filiere produttive e nuova occupazione, di produrre più benessere per tutti nel momento stesso in cui garantiscono risposte ai bisogni dei cittadini in termini di sicurezza, salute e qualità della vita. Al convegno, aperto da Duccio Bianchi, dell’Istituto Ambiente Italia e Vittorio Cogliati Dezza, Presidente nazionale Legambiente, hanno partecipato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, il Sottosegretario al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Ilaria Borletti Buitoni, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Gianluca Galletti e poi Paolo Acciai (Segretario Filca Cisl), Catia Bastioli (AD Novamont), Marino Berton (Coordinamento Free), l’on Chiara Braga, l’on Pippo Civati, Erasmo D’Angelis, Capo Struttura Missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche di Palazzo Chigi, Roberto Della Seta (Green Italia), il Sindaco di Pavia Massimo De Paoli, Stefano Landi (Economista Luiss Roma), Gaetano Maccaferri (Vicepresidente Confindustria), l’on Giulio Marcon, la sen Paola Nugnes, l’on Ermete Realacci (Presidente Commissione Ambiente e Territorio Camera dei Deputati), Fabio Refrigeri (Assessore Infrastrutture, Politiche Abitative, Ambiente – Regione Lazio), Riccardo Sanna (Coordinatore politiche economiche CGIL), Paolo Buzzetti (Presidente Ance), Maurizio Marcelli (Responsabile Ufficio Salute, ambiente, sicurezza Fiom Cgil).  Dalla foto scattata da Ambiente Italia 2015 vediamo che il Pil procapite nel 2014 è sceso poco sotto la media europea (prima della crisi era superiore del 10%). La disoccupazione è cresciuta e a fine 2014 il tasso ha raggiunto il 12,8% (il 21% nel Mezzogiorno), rispetto al 10% della media europea. Ma il problema principale dell’Italia è la non occupazione: nel 2014 le persone occupate sono meno del 56% della popolazione tra i 15 e i 64 anni con una distanza marcatissima dall’Unione Europea (il 65,5%). Ancora più marcata è la differenza nel tasso di occupazione femminile (il 46%). Recessione e politiche di austerità hanno causato l’incremento delle persone in condizioni di deprivazione materiale e di esclusione sociale, con una incidenza molto accentuata nel Mezzogiorno (il 46% della popolazione). Sono cresciute le diseguaglianze nella distribuzione del reddito. In Italia il 10% più povero detiene il 2,2% dei redditi, mentre il 10% più ricco ne detiene il 24,6%. Cala drammaticamente la qualità del capitale umano: l’Italia è, tra i 28 paesi dell’Ue, quello con il più basso tasso di istruzione universitaria tra i giovani e uno dei cinque – con Spagna, Malta, Portogallo e Romania – con il più alto tasso di giovani (18 – 24 anni) che non frequentano o che sono privi di un titolo di studio di scuola media secondaria. Abbiamo un crescente ritardo nell’innovazione tecnologica e di prodotto con la completa stasi della capacità brevettuale: mentre in tutti i paesi vi è stata negli ultimi dieci anni una crescita del numero di brevetti (globalmente il 50% in più, il 20% in più nella UE), in Italia il numero resta fermo, meno di 5.000 annui. E’ il sintomo inequivocabile della marginalità tecnologica del Paese. Se non produciamo innovazione è anche perché non investiamo in ricerca e sviluppo. Complessivamente gli investimenti sono pari all’1,2% del Pil e sono rimasti statici durante la recessione (mentre in Europa sono cresciuti). La spesa per ricerca e sviluppo in Italia è pari al 62% della media europea, al 40% c.a di quella della Germania e della Svezia. Ma la vera emergenza per il futuro è rappresentata dai Neet, not (engaged) in Education, Employment or Training. Il 26% di coloro che hanno tra 15 e 29 anni non studiano, non lavorano, non sono in un qualche processo formativo. A parte la Grecia, è il massimo valore registrato in tutta l’Unione Europea. E il Mezzogiorno è di gran lunga l’area europea con i più alti livelli di esclusione. In questa situazione di recessione abissale, l’economia italiana ha ottenuto risultati sorprendenti in alcuni settori ambientali, una conversione ecologica sostanzialmente spontanea, in parte determinata dalla recessione stessa che ha spinto le aziende verso comportamenti più attenti e virtuosi. In Europa tra il 2004 e il 2013 il consumo di materia si è ridotto del 15% ma in Italia i progressi sono stati maggiori: il consumo assoluto è diminuito del 32% (255 milioni di ton di materiali in meno all’anno estratti dal pianeta) e la produttività delle risorse è cresciuta ben del 40%. Ciò grazie soprattutto alla riduzione dei consumi energetici, dei consumi di metalli (con un maggior riciclo) e dell’attività edilizia. Nel 2013 i consumi lordi di energia primaria sono scesi a 173 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, l’1,9% in meno rispetto al 2012 e per il 2014 si prevede una ulteriore contrazione. E’ proseguita una forte contrazione dei consumi petroliferi e di gas e una crescita delle fonti rinnovabili. E’ tornata a migliorare l’efficienza energetica dei processi di produzione e di consumo. Nel 2014, invece, ha fortemente rallentato la corsa delle rinnovabili, che pure continuano a crescere sia in termini assoluti che come quota sul totale della produzione energetica. In termini di produzione elettrica è ancora cresciuto il fotovoltaico (+10%), ed è rimasta stabile la produzione eolica. Nel 2014, il 44% della produzione nazionale di energia elettrica deriva da fonti rinnovabili (102.000 GWh da idroelettrico, geotermico, eolico e fotovoltaico e circa 17.000 stimate da biomassa, rifiuti e bioliquidi), il massimo mai raggiunto, in crescita ulteriore rispetto al 2013 (era circa il 39%). Nel settore elettrico, in particolare, l’Italia diventa il terzo principale produttore europeo di elettricità derivante sia dall’insieme delle rinnovabili (dopo Germania e Svezia) sia dalle rinnovabili non idroelettriche (dopo Germania e Spagna). Nel 2012, secondo i dati Eurostat, in Italia sono stati riciclati oltre 53 milioni di tonnellate di rifiuti. In valore assoluto, l’Italia è il Paese europeo con le maggiori quantità recuperate dopo la Germania. Ciò dipende soprattutto dalla specificità del sistema industriale italiano che consente un elevato riciclo interno degli scarti industriali e addirittura richiede una consistente importazione di materie seconde. La recessione e la conversione energetica hanno poi consentito all’Italia di abbattere significativamente negli ultimi anni le emissioni climalteranti. Dopo una forte crescita tra il 1990 e il 2005, nel 2013 le emissioni climalteranti sono il 16% inferiori a quelle del 1990. Ciò che è straordinario è che tutto ciò è avvenuto in assenza di politiche pubbliche e di investimenti mirati tanto che in Italia alcune questioni ambientali continuano a ripresentarsi sostanzialmente senza soluzione: la concentrazione di PM10 (e delle frazioni più fini), resta elevata e il 30% della popolazione è esposto a concentrazioni superiori alla norma; nel settore dei rifiuti urbani siamo in affanno. Nell’insieme, l’Italia giunge a poco meno del 40% di raccolta differenziata e a poco più del 40% a discarica (la Germania arriva a poco meno del 65% di differenziata e a poco più dell’1% a discarica). Il consumo di suolo rimane un problema: tra il 1989 e il 2006 il suolo consumato sale al 6,6%, al ritmo di 265 kmq all’anno e poi rallenta per giungere al 2010 al valore del 6,9%. Un fenomeno particolare è quello dello sprawling: la crescita di case sparse e di piccoli nuclei abitati, la proliferazione di capannoni, svincoli, parcheggi, centri commerciali. A peggiorare la situazione, l’urbanizzazione delle aree costiere e l’abusivismo. Il ricco patrimonio culturale e paesaggistico dell’Italia ha poi un impatto economico diretto marginale (le entrate dei musei e monumenti statali ammontano a soli 126 milioni di euro) e lo stesso turismo italiano conosce una forte stasi, sia in termini di visitatori che di fatturato. In rapporto agli abitanti, le presenze turistiche dell’Italia sono inferiori del 25% a quelle della Spagna o della Grecia. “Il Green Act che serve all’Italia – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – deve rappresentare una scossa e aprire un nuovo indirizzo di politica economica, fiscale, industriale, culturale. Serve un disegno strategico che avvii un percorso organico fatto di misure concrete, da subito operative per realizzare quel cambio di passo necessario a rompere con le idee di sviluppo del Novecento, perché dal boicottaggio delle rinnovabili allo Sblocca Italia non c’è stato nessun segnale di cambiamento, come se questi temi non fossero urgenti e non rappresentassero una parte sostanziale del rilancio del Paese. Eppure oggi nell’edilizia nell’energia, nei rifiuti come in agricoltura è evidente che vi sia spazio solo per chi punta su innovazione e qualità ambientale. Il mondo è cambiato e l’Italia oggi ha una reale possibilità di trovare una propria bussola nella globalizzazione valorizzando quelle risorse, vocazioni e talenti che tutto il mondo ci invidia e utilizzando la chiave del clima come opportunità per permettere a famiglie e imprese di ridurre consumi energetici e importazioni di fonti fossili. Ma per fare ciò occorre accompagnare e promuovere il cambiamento con una chiara prospettiva di investimenti e regole”.  Affinché il Green Act possa dispiegare fino in fondo le sue potenzialità e rappresentare l’avvio di una strategia complessiva che coinvolge il sistema paese e che gli fa fare un salto di qualità, ci sono anche alcune precondizioni imprescindibili, che determineranno il successo o il fallimento di ogni politica di innovazione. Parliamo di questioni strutturali che riguardano l’assetto di base del paese come legalità, istruzione, cultura.

I temi e le proposte di Legambiente:

#1 _ FISCALITÀ AMBIENTALE: chi inquina paga, chi innova risparmia In Italia ogni anno vengono stanziati 5,7 miliardi di euro di sussidi alle fonti fossili.

Le proposte:

Adeguare i canoni delle concessioni demaniali. Eliminare i sussidi alle fonti fossili.

Eliminare la possibilità per i Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazioni per le spese correnti.

Applicare subito l’Articolo 15 della Delega Fiscale (fiscalità ambientale ed energetica).

#2_ CITTÀ: rigeneriamole

Solo nelle città metropolitane italiane vivono 20 milioni di persone.

Le proposte:

Una struttura di missione per indirizzare e coordinare interventi di rigenerazione urbana

Disincentivare consumo del suolo, incentivare e semplificare le procedure per la riqualificazione dei condomini
Rendere operativo il fondo per l’efficienza energetica e stabilire i criteri per l’accesso di privati e enti pubblici.
Escludere dal patto di stabilità gli interventi di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio pubblico.
Approvare subito il DL in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”.
#3_BONIFICHE: risanare le ferite

Sono oltre 100mila gli ettari di terreno da bonificare. Solo il 3% è stato ad oggi bonificato.

Le proposte:

Istituire un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani (modello Superfund).

Trasparenza negli appalti, legalità, fine dei commissariamenti, maggiori controlli ambientali.

Puntare sulle bonifiche in situ.

#4_ENERGIA: Italia rinnovabile

Nel 2014 il 44% della produzione nazionale di energia elettrica è derivato da fonti rinnovabili. L’efficienza energetica per unità di prodotto e di servizio è +9,5% nel periodo 2000 – 2013.

Le proposte:

Introdurre regole chiare e trasparenti per l’approvazione dei progetti da rinnovabili

Garantire e semplificare l’autoproduzione di energia per Comuni, famiglie, aziende

Cancellare miliardi di euro di sussidi alle fonti fossili dalle bollette.

#5_RIFIUTI: ridurre e riciclare prima di tutto In Italia il conferimento di rifiuti in discarica costa al massimo €25 per tonnellata; il 37% dei rifiuti urbani viene ancora smaltito in questo modo, in Sicilia il 93%.

Le proposte:

Penalizzare lo smaltimento in discarica con un aumento dei costi di conferimento (ecotassa).

Eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti Incentivare e premiare la riduzione dei rifiuti, il recupero di materia, gli acquisti verdi.

Rispetto delle scadenze e delle multe per gli obietti della raccolta differenziata.

#6_MOBILITÀ NUOVA: pedoni, pedali, pendolari

La mobilità urbana assorbe il 97% di tutti gli spostamenti.

Le proposte:

Fissare target nazionali di spostamenti individuali su mezzi privati a motore, per ridurli drasticamente.
Far viaggiare in sede protetta e in corsie preferenziali almeno un terzo dei percorsi della rete di trasporto pubblico di superficie.
Introdurre nel nuovo Codice della Strada, attualmente in discussione in Parlamento, un nuovo limite di velocità a 30km orari su tutta la rete viaria dei centri abitati.

#7_TRASPORTI: #cambiareverso alle infrastrutture

Sono tre milioni i pendolari che ogni giorno si muovono in treno in Italia. Rispetto al 2009 le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 20%.

Le proposte:

Priorità alla mobilità nelle aree urbane: 50% della spese per opere pubbliche.

Aumentare e ammodernare i treni in circolazione e rendere competitivo il servizio ferroviario.

Regioni: razionalizzare orari e linee, aumentare investimenti (5% del bilancio)

Superare il fallimento della Legge Obiettivo

#8_ DISSESTO IDROGEOLOGICO: azioni per prevenire

Sono 6 milioni gli italiani che vivono o lavorano in aree ad alto rischio idrogeologico.

Le proposte:

Basta con i vecchi progetti rimasti nei cassetti per anni, serve qualità nella progettazione

Non più difesa passiva ma politiche di prevenzione: spazio ai fiumi e naturalizzazione del territorio.

L’unità di missione garantisca l’efficacia a scala di bacino, non solo interventi puntuali

Istituire le Autorità di distretto, con strumenti adeguati per raggiungere gli obiettivi delle direttive comunitarie.

L’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio procedano insieme e non più su binari separati

#9_NATURA: investire sulla biodiversità conviene

I parchi hanno attirato il 3,7% dei pernottamenti nazionali, pari a 14 mln di presenze.

Le proposte:

Garantire una fiscalità di vantaggio per le comunità che custodiscono i servizi ecosistemici.

Completare l’istituzione della Rete Natura 2000 e delle aree protette marine e terrestri.

Evitare nuove procedure di infrazione da parte dell’UE per la mancata applicazione delle Direttive in materia.

#10_TURISMO: l’Italia oltre la grande bellezza

Secondo l’Eurobarometro 2012, ambiente e natura sono il primo fattore di fidelizzazione turistica.

Le proposte:

Integrazione delle diverse vocazioni e risorse territoriali per diversificare e destagionalizzare.

Sostenere e incrementare i servizi per il turismo dolce e non motorizzato.

Incentivare l’adozione di un sistema di indicatori per la gestione sostenibile delle destinazioni

Favorire l’acquisizione di competenze turistiche anche a professionisti di altri settori (agricoltori) e mettere ordine nei sistemi regionali delle guide turistiche.

#11_ RISORSE EUROPEE 2014-2020: sfide e opportunità

Oltre 100 miliardi di risorse resi disponibili dal quadro finanziario europeo per il periodo 2014-2020.

Le proposte:

Allocare almeno il 20% delle risorse disponibili per il clima il 5% per lo sviluppo urbano sostenibile.

Stabilire target ambiziosi e obbligatori per tutti i fattori fisici (es. tonn. di CO2 eq. di risparmio)

Semplificare i processi decisionali, mettere in atto sistemi di monitoraggio e verifica della spesa.

I fondi siano volano delle politiche ordinarie, per spenderli bene e spenderli tutti.

Fonte: ecodallecitta.it

La Commissione Europea ritira la riforma del mercato delle sementi. Via Campesina: “Riprendiamoci la nostra sovranità alimentare”

La Commissione Europea ha annunciato la sua decisione di ritirare la riforma del mercato sementiero, da più parti invocata affinché potesse essere contenuto lo strapotere delle multinazionali e reso possibile lo scambio dei semi per affrancare i contadini dalla schiavitù delle royalties. Ora si tratta di vedere cosa accadrà. Intanto l’associazione internazionale contadina La Via Campesina lancia i suoi “5 passi” per nutrire veramente il pianeta (altro che Expo 2015!) e rivendica la sovranità alimentare dei popoli.via_campesina

La Commissione Europea ha annunciato al Parlamento europeo la sua decisione di ritirare la riforma della regolamentazione del mercato sementiero, cancellando di fatto le seppur timide aperture cui la Commissione precedente era stata costretta dalle pressioni dei movimenti per la sovranità alimentare e dai gruppi rappresentativi in agricoltura. Quelle aperture lasciavano sperare che finalmente la UE potesse prendere in considerazione norme e interventi a difesa della biodiversità e preservazione dei suoli, a difesa del diritto dei contadini allo scambio delle loro sementi, del diritto delle piccole aziende a commercializzare tutte le biodiversità disponibili senza dover essere costrette a registrarle nei cataloghi istituzionali e a difesa della possibilità di aprire quei cataloghi ai semi non “standardizzati”, sinonimo di maggiore ricchezza nutritiva dei cibi. Nulla di tutto ciò, tutto cancellato, la pressione delle lobby di interesse e delle multinazionali sementiere evidentemente è devastante. Intanto l’associazione internazionale di contadini La Via Campesina rimarca la sua critica al sistema industriale di produzione del cibo, «causa principale dei cambiamenti climatici e responsabile del 50% delle emissioni di gas serra in atmosfera». Eccoli i punti critici principali.

Deforestazione (15-18% delle emissioni). Prima che si cominci a coltivare in maniera intensiva, le ruspe e i bulldozer fanno il loro lavoro abbattendo le piante. Nel mondo, l’agricoltura industriale si sta spingendo nella savana, nelle foreste, nelle zone più vergini divorando una enorme quantità di terreno.

Agricolture e allevamento (11-15%). La maggior parte delle emissioni è conseguenza dell’uso di materie rime industriali, dai fertilizzanti chimici ai combustibili fossili per far funzionare i macchinari, oltre agli eccessi generati dagli allevamenti.

Trasporti (5-6%). L’industria alimentare è una sorta di agenzia di viaggi globale. I cereali per i mangimi animali magari vengono dall’Argentina e vanno ad alimentare i polli in Cile, che poi sono esportati in Cina per essere lavorati per poi andare negli Usa dove sono serviti da McDonald’s. La maggior arte del cibo prodotto a livello industriale percorre migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole. Il trasporto degli alimenti copre circa un quarto delle emissioni legate ai trasporti e il 5-6% delle emissioni globali.

Lavorazioni e packaging (8-10%). La trasformazione dei cibi in piatti pronti, alimenti confezionati, snack o bevande richiede un’enorme quantità di energia e genera gas serra.

Congelamento e vendita al dettaglio (2-4%). Dovunque arrivi il cibo industriale, là deve essere alimentata la catena del freddo e questo è responsabile del consumo del 15% di energia elettrica nel mondo. Inoltre i refrigeranti chimici sono responsabili di emissioni di gas serra.

Rifiuti (3-4%). L’industria alimentare scarta fino al 50% del cibo che produce durante tutta la catena di lavorazione e trasporto, i rifiuti vengono smaltiti in discariche o inceneritori.

La Via Campesina rivendica la sovranità alimentare dei popoli e indica 5 passi fondamentali per arrivarci. Eccoli.

  1. Prendersi cura della terra.

L’equazione cibo/clima ha radici nella terra. La diffusione delle pratiche agricole industriali nell’ultimo secolo ha portato alla distruzione del 30-75% della materia organica sul suolo arabile e del 50% della materia organica nei pascoli. Ciò è responsabile di circa il 25-40% dell’eccesso di CO2 in atmosfera. Questa CO2 potrebbe essere riportata al suolo ripristinando le pratiche dell’agricoltura su piccola scala, quella portata avanti dai contadini per generazioni. Se fossero messe in pratiche le giuste politiche e le giuste pratiche in tutto il mondo, la materia organica nei suoli potrebbe essere riportata ad un livello pre-industriale già in 50 anni.

  1. Agricoltura naturale, no alla chimica.

L’uso di sostanze chimiche nell’agricoltura industriale è aumentata in maniera esponenziale e continua ad aumentare. I suoli sono stati impoveriti e contaminati, sviluppando resistenza a pesticidi e insetticidi. Eppure ci sono contadini che mantengono le conoscenze di ciò che è giusto fare per evitare la chimica diversificando le colture, integrando coltivazioni e allevamenti animali, inserendo alberi, piante e vegetazione spontanea.

  1. Limitare il trasporto dei cibi e concentrarsi sui cibi freschi e locali.

Da una prospettiva ambientale non ha alcun senso far girare il cibo per il mondo, mentre ne ha solo ai fini del business. Non ha senso disboscare le foreste per coltivare il cibo che poi verrà congelato e venduto nei supermercati all’altro capo del mondo, alimentando un sistema altamente inquinante. Occorre dunque orientare il consumo sui mercati locali e sui cibi freschi, stando lontani dalle carni a buon mercato e dai cibi confezionati.

  1. Restituire la terra ai contadini e fermare le mega-piantagioni.

Negli ultimi 50 anni, 140 milioni di ettari sono stati utilizzati per quattro coltivazioni dominanti ed intensive: soia, olio di palma, olio di colza e zucchero di canna, con elevate emissioni di gas serra. I piccoli contadini oggi sono confinati in meno di un quarto delle terre coltivabili nel mondo eppure continuano a produrre la maggior parte del cibo (l’80% del cibo nei paesi non industrializzati). Perché l’agricoltura su piccola scala è più efficiente ed è la soluzione migliore per il pianeta.

  1. Dimenticate le false soluzioni, concentratevi su ciò che funziona

Ormai si ammette che la questione agricola è centrale per i cambiamenti climatici. Eppure non ci sono politiche che sfidino il modello dominante dell’agricoltura e della distribuzione industriali, anzi: governi e multinazionali spingono per far passare false soluzioni. Per esempio, i grandi rischi legati agli organismi geneticamente modificati, la produzione di “biocarburanti” che sta contribuendo ancor più alla deforestazione e all’impoverimento dei suoli, continuano ad essere utilizzati i combustibili fossili, si continua a devastare le foreste e a cacciare le popolazioni indigene. Tutto ciò va contro la soluzione vera che può essere solo il passaggio da un sistema industriale di produzione del cibo a un sistema nelle mani dei piccoli agricoltori.

Fonte: ilcambiamento.it

Consumi energetici in calo: colpa della crisi o merito dell’efficienza?

Negli ultimi anni, il settore industriale ha ridotto i consumi energetici molto più del comparto civile: segno che in Italia è la crisi il vero “motore” dell’efficienza energetica? Un’analisi dei dati disponibili380650

Un quantitativo di energia primaria pari a circa 1.200 Gwh (Gigawattora), corrispondenti a 268.000 tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera. A tanto ammontano, secondo i dati Enea, i benefici in termini di risparmio energetico ottenuti in Italia nel 2012 (l’ultimo anno per cui sono disponibili le stime ufficiali, ndr) grazie agli interventi di efficientamento sugli immobili incentivati col meccanismo della detrazione fiscale del 55% (attualmente l’aliquota è fissata al 65%, ndr).
Cifre significative, ma inferiori ai valori record raggiunti nel 2010, quando il risparmio energetico annuo era stato superiore del 35%, con 2.032 Gwh/anno di energia “salvata”. Per il 95%, gli interventi di incremento dell’efficienza hanno riguardato persone fisiche, e per il 64% si è trattato di operazioni di sostituzione degli infissi (168.000 interventi sul totale delle pratiche). Seguono l’ammodernamento dell’impianto di riscaldamento (25%) e l’installazione di pannelli solari termici per la produzione di acqua calda (9% del totale). Per il 70%, inoltre, le azioni di riqualificazione energetica incentivati nel 2012 hanno riguardato immobili riscaldati con impianti a metano (seguono le biomasse al 13% e l’elettricità al 7%). Il 22% degli interventi complessivi, infine, è stato realizzato sul territorio della sola regione Lombardia, mentre un altro 38% ha riguardato Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Il Piemonte, in particolare, detiene per il 2012 il record di energia risparmiata pro capite, con 49 Gwh/anno per abitante.

Leggi tutti i dati nel Rapporto Enea 2012 sulla detrazione fiscale del 55%

Più in generale, al di là degli interventi sull’edilizia incentivati col 55%, nel 2012 l’Enea ha certificato per l’Italia risparmi energetici complessivi pari a oltre 73.000 GWh, quasi il 30% in più rispetto al 2011. Un calo dei consumi che, però, ha interessato soprattutto i settori trasporti e industria (vedi oltre per ulteriori dettagli) più che il civile, che anzi ha visto crescere il suo peso percentuale sui consumi nazionali dal 34,5% del 2011 al 36,7% dell’anno successivo (anche se, ampliando l’analisi al periodo 1990-2011, il residenziale è il settore che ha conseguito i progressi più regolari, mentre l’industria ha avuto significativi miglioramenti di efficienza solo a partire dal 2005).

Scarica il Rapporto 2012 sull’efficienza energetica dell’Enea

Per lo meno negli ultimissimi anni, dunque, nonostante i buoni risultati delle detrazioni sull’efficienza in edilizia, il calo complessivo dei consumi dipende forse più dalla crisi delle industrie che dalla maggiore attenzione degli italiani. Qual è dunque il peso effettivo delle buone pratiche in tema di efficienza sul bilancio energetico complessivo dell’Italia? Sono gli atteggiamenti virtuosi dei cittadini, in aumento negli ultimi anni, a incidere davvero sul calo dei consumi, o è piuttosto la crisi economica ad aver condotto forzatamente il nostro paese a una progressiva riduzione del fabbisogno energetico nazionale?  Proviamo a ragionare sulle cifre disponibili. Sempre nel 2012, secondo i Dati provvisori di esercizio elaborati da Terna, in Italia la richiesta complessiva di energia elettrica ha raggiunto i 325.300 Gwh, in diminuzione del 2,8% rispetto al 2011, nonostante un giorno lavorativo in più (il 2012 è stato un anno bisestile, ndr). Particolarmente significativo, nel quadro generale del crollo dei consumi, sembrerebbe il peso della crisi sofferta dai principali settori industriali. Tra il 2011 e il 2012, infatti, i consumi elettrici dell’industria sono calati del 6,6%, mentre il comparto domestico ha visto una riduzione di appena l’1% (in aumento, invece, i dati di terziario e agricoltura). Risultano in calo, in dettaglio, i consumi di tutti i principali settori industriali (dal siderurgico all’alimentare, dalla produzione di elettricità alle costruzioni), ad eccezione dell’estrazione di combustibili e del comparto acquedotti.

Consulta i Dati Terna relativi ai consumi elettrici del 2012

Un dato, quello del ruolo preponderante della crisi industriale nel crollo dei consumi nazionali, confermato anche dal Ministero dello Sviluppo Economico che, nel Bilancio energetico nazionale 2012 (l’ultimo di cui è stata pubblicata la versione definitiva, ndr), certifica un calo annuo dei consumi totali di energia del 3,5%, con trasporti e industria ai primi due posti tra i settori che fanno registrare una contrazione (rispettivamente con il -9,2% e -7,6% rispetto all’anno precedente). Secondo le stime del MISE, invece, il fabbisogno energetico del comparto civile (che a differenza dei dati Terna include anche il gas naturale e altri combustibili) risulta addirittura in aumento dello 0,9% annuo, nonostante i risultati della detrazione fiscale del 55% registrati dall’Enea e il calo del fabbisogno elettrico contabilizzato da Terna.

Scarica il Bilancio energetico nazionale 2012 del MISE

Un trend che sembrerebbe essere confermato dalle prime cifre, ancora provvisorie, relative al 2013, che fotografano di nuovo una maggiore contrazione per il settore industriale a fronte del comparto domestico. Sul calo dei consumi, insomma, almeno da un paio di anni a questa parte sembrerebbe avere inciso più la crisi economica, che colpisce in modo particolare l’industria, che le buone pratiche domestiche “pro efficienza” o, in particolare, gli interventi di ristrutturazione edilizia a fini energetici realizzati da privati cittadini (che pure hanno mostrato, fin dalla loro introduzione nel 2007, potenzialità molto importanti). È d’altra parte la stessa Enea, nel suo “Rapporto 2012 sull’efficienza energetica”, ad auspicare, pur sottolineando i buoni risultati già raggiunti dall’Italia, una più incisiva «azione di sensibilizzazione sui temi del risparmio e dell’efficienza energetica attraverso la quale programmare percorsi informativi ed educativi mirati. È infatti questa la chiave per raggiungere ulteriori e più ambiziosi risultati: soltanto una domanda sempre più consapevole e competente potrà essere in grado di stimolare un’offerta sempre più innovativa».

Va detto, in ogni caso, che l’intera Unione Europea è piuttosto in ritardo sul suo obiettivo complessivo in termini di aumento dell’efficienza energetica (l’unico non vincolante del “Pacchetto clima 20-20-20”, ndr), e che anche il monitoraggio puntuale e dettagliato dei progressi effettuati dai singoli stati – con il confronto tra le diverse voci e il contributo dei vari comparti al target di risparmio – risulta tuttora difficile, se paragonato ad esempio con la contabilizzazione della produzione di energia da fonti rinnovabili. Una “ingiustizia” a cui potrebbe porre definitivamente rimedio il nuovo pacchetto di impegni climatici UE al 2030, che dovrà essere approvato dall’Unione nei prossimi mesi.

(Photo ©Eco dalle Città)

Fonte: ecodallecitta.it

Incentivi economici a chi va al lavoro in bicicletta: ma in Francia

E’ partita un’iniziativa sperimentale del Ministero dei Trasporti francesi: 25 centesimi a chilometro a chi va al lavoro in bicicletta. In Italia siamo fermi al palo.bicicletta_francia

E’ iniziata ai primi di giugno in Francia e sta procedendo senza intoppi la sperimentazione, promossa da parte del Ministero dei Trasporti, che prevede incentivi economici all’uso della bicicletta per andare al lavoro. Si tratta di una indennità chilometrica a favore dei dipendenti di 19 aziende e organizzazioni, per un totale di 10.000 persone che stanno provando questo sistema. L’esperimento, iniziato il 2 giugno 2014, durerà sei mesi durante i quali verranno raccolte informazioni dai datori di lavoro e dipendenti su:

  •  passaggio al pendolarismo in bicicletta
  •  modalità di viaggio cambiata a favore della bicicletta
  •  fattori favorevoli o sfavorevoli nella efficacia della misura
  •  organizzazione della sperimentazione nelle diverse strutture.

I risultati saranno resi pubblici entro la fine dell’anno e saranno, in caso di successo, presi in considerazione per un secondo esperimento di più ampia scala.

Il quotidiano francese Le Figaro ha intervistato alcuni dei lavoratori che stanno effettuando la sperimentazione e che sembrano soddisfatti. Uno degli intervistati ha dichiarato che tutte le mattine percorre sei chilometri in bicicletta per andare al lavoro; dopo due mesi ha notato di sentirsi fisicamente più in forma (“faccio le scale senza più fatica”) e di aver riscontrato anche un vantaggio economico passando dall’auto alla bici, ha infatti calcolato che in sei mesi risparmierà 558 euro e ne riceverà 345 di incentivo, un buon affare.

Fonte: ilcambiamento.it

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