Riscaldare la casa: come farlo al meglio evitando gli sprechi

Quanto caldo abbiamo in casa nostra? Possiamo rendere il riscaldamento più efficiente e dunque meno oneroso? Come capire se e dove ci sono sprechi? A tutte queste domande può senz’altro trovare risposta un bravo tecnico del risparmio energetico. Noi abbiamo interpellato Alessandro Cagnolati, energy manager e consulente dell’associazione Paea. Che ci spiega i “segreti” per riscaldare la nostra casa al meglio evitando gli sprechi.energia

Una delle cose importanti da fare per rendere efficiente il riscaldamento di un’abitazione può essere quello di capire come funziona l’esistente e quali sono le pecche.

Come approcciarsi dunque? Cagnolati ci parla di termoflussimetria.

«La termoflussimetria è quella scienza che indaga sui comportamenti “termici” degli elementi strutturali che compongono le nostre abitazioni e sulla quantità di calore che li attraversa. Uno dei nostri bisogni primari è il comfort abitativo. Vivere, in inverno, in una casa calda, senza umidità, senza formazioni di muffe è senz’altro considerato un benessere fondamentale. In estate il caldo è  anch’esso un aspetto da valutare ma meno “problematico”».

Questo comfort abitativo come si ottiene? 

«Una casa è formata prevalentemente da un tetto, dai muri esterni, dagli infissi e dal pavimento. In inverno quello che noi facciamo, per stare bene, è “riempire” di calore l’involucro che chiamiamo casa, per ottenere un ambiente con una temperatura di circa 20 gradi. In questo modo possiamo svolgere le nostre attività senza soffrire a causa delle intemperie».
Ma il calore che noi immettiamo in casa che fine fa? 

«La fisica ci insegna che il calore non si distrugge (non scompare) ma si trasmette in varie modalità da un “corpo” (sia esso solido, liquido o gassoso) ad un altro; da quello più caldo a quello più freddo. Quindi il calore che noi produciamo con caldaie, termo-camini, stufette elettriche e pompe di calore una volta immesso in casa, comincia a migrare, viene attratto verso luoghi più freddi passando attraverso i muri, i vetri, il pavimento e il tetto. Per contrastare queste dispersioni dobbiamo porci una domanda: quant’è il calore che “fugge” attraverso gli elementi dell’involucro? Le riposte si possono ottenere con due metodi ben distinti».

Quali sono?

«Il primo prende in considerazione la tipologia dei materiali che compongono gli elementi strutturali delle nostre case e, in base a valori misurati in laboratorio, calcola quanto calore viene disperso. Il limite di questa procedura sta nel fatto che spesso non si conosce la composizione dei muri – la stratigrafia – e quindi non si può fare il calcolo, a meno di fare un carotaggio (cioè scavare il muro e misurare gi strati dei materiali che li compongono: intonaco, mattoni, pietra, tufo etc.).
Se la casa è di recente costruzione si può provare a chiedere al costruttore di fornire le stratigrafie. Altrimenti si deve andare un po’ a intuizione, coi limiti che si possiamo immaginare, sui risultati ottenibili.  Il secondo metodo è quello dell’indagine termoflussimetrica. Un metodo non invasivo (cioè non si fanno carotaggi o altri interventi distruttivi) che permette invece l’esatta misurazione della capacità degli elementi architettonici di trasmettere (e quindi disperdere all’esterno) il calore che noi immettiamo negli ambienti. L’indagine avviene tramite uno strumento, il termoflussimetro (cioè misuratore del flusso termico) che misura il passaggio di calore dall’interno verso l’esterno della casa. Lo strumento è formato da una unità centrale che registra i dati misurati dalle due unità secondarie, che sono poste una all’interno e una all’esterno del muro da misurare. Nel caso si voglia indagare la dispersione dei muri, si posizionano due sonde termiche all’esterno, per registrare le variazioni della temperatura esterna (per maggiore accuratezza, se possibile, è meglio misurare la parete esposta a nord dove non batte il sole e non ci sono elevati sbalzi di temperatura). Altre due sonde termiche si posizionano all’interno in corrispondenza di quelle esterne. Infine si posiziona la piastra flussimetrica (che è il “cuore” del sistema) vicino alle sonde interne, possibilmente fissandola al muro con pasta conduttrice e del nastro adesivo che la tenga ben salda alla parete. A questo punto il “sistema” comincia a registrare i valori della temperatura esterna, di quella interna e del flusso passante. L’indagine, per avere un valore consistente e veritiero, deve essere prolungata per almeno 72 ore consecutive. Al termine i dati vengono inseriti in un software specifico che restituisce il valore che ci interessa: la trasmittanza del muro. La trasmittanza (U) indica quanti Watt (termici) attraversano 1 metro quadrato di muro, quando esiste la differenza di 1 grado di temperatura tra interno ed esterno (K). La formula è: U = W/m²K. Tanto più alto è questo valore tanto più il muro sarà disperdente».

I risultati possono essere influenzati da fattori differenti?

«Ai fini dell’operazione vanno tenuti in considerazioni alcuni fattori che influenzano i risultati. Innanzi tutto va scelto con accuratezza il punto dove fissare la piastra flussimetrica, deve essere un punto “rappresentativo” del muro. Per far questo è meglio fare un’indagine con la termocamera che ci mostra se il muro ha una temperatura uniforme o presenta zone più calde o più fredde, nel qual caso si avrebbe un risultato migliore o peggiore, rispettivamente. Altra cosa da controllare è la temperatura interna dell’ambiente dove si effettua la misurazione. La temperatura deve mantenersi costantemente intorno ai 20 gradi. Quindi l’ambiente deve essere ben riscaldato e si deve evitare che la temperatura subisca delle variazioni di più di 1 o 2 gradi. Molto importante è che la temperatura interna sia più alta di quella esterna (motivo per cui questa indagine si effettua esclusivamente in inverno). Tra le due temperature ci deve essere una differenza di almeno 10 gradi. Quindi se la temperatura interna è fissata a 20 gradi, quella esterna deve essere inferiore ai 10».

A cosa serve conoscere l’esatto valore di trasmittanza?

«Un medico che voglia somministrare una medicina al suo paziente per prima cosa “indaga” l’entità del malessere e poi dosa il rimedio, così per “curare” la nostra casa dobbiamo sapere prima quanto è “malata”. Una volta misurato il valore di trasmittanza si possono fare i calcoli esatti per ottenere interventi efficaci. Si può decidere quanto “curare” la nostra casa e scegliere lo spessore giusto dei materiali isolanti, per ottenere il risultato che rappresenti il miglior rapporto tra spesa e beneficio. Senza il valore di trasmittanza esatto si rischia di utilizzare dei pannelli di spessore insufficiente e vanificare i costi di intervento. Una possibile soluzione, sempre la migliore, nel caso dei muri esterni, è l’applicazione del sistema a capotto. I muri esterni vengono ricoperti di pannelli di materiale coibente (isolante) che riducono il flusso di calore verso l’esterno. Questi pannelli vengono poi intonacati affinché resistano alle intemperie e l’aspetto del muro torni quello originale. Quindi prima di intervenire, prima di spendere decine di migliaia di euro, conviene investire in una buona indagine termoflussimetrica che sappia indicare lo stato di trasmittanza degli elementi architettonici. I costi di una termoflussimetria possono variare a seconda dell’immobile, delle condizioni di lavoro e dei tempi necessari per ottenere i giusti risultati. Questi costi variano dai 600 ai 1.800 euro. Nel caso di lavori di realizzazione di un cappotto termico per una casa di circa 100 metri quadri, rappresenta una spesa che va dal 3 al 10% ma ci assicura che il risultato ottenuto sia il migliore possibile».

fonte: il cambiamento

 

Stessa temperatura, comfort climatico diverso: può dipendere dal cattivo isolamento

A parità di temperatura dell’aria e di altre condizioni ambientali, la sensazione di calore può variare da un ambiente all’altro. Eco dalle Città ripropone l’intervista a Lorenzo Pagliano, esperto di comfort climatico: «Le superfici a bassa temperatura possono far diminuire la cosiddetta temperatura operativa, che sarebbe una media pesata della temperatura dell’aria e di quella delle superfici dell’ambiente, da cui dipende prevalentemente il comfort indoor»375800

Venti gradi sono venti gradi. Eppure, anche se il termometro non mente, a volte la stessa temperatura in ambienti diversi viene percepita in modo differente dalla stessa persona, anche a parità di condizioni di umidità. Succede, ad esempio, che entrando in un negozio dove la temperatura dell’aria è di 20 gradi, si avverta una sensazione di freddo, mentre in un negozio vicino, in condizioni di umidità sostanzialmente uguali, ci si senta a proprio agio alla stessa temperatura. Ma come si spiega questo fenomeno? La presenza di superfici particolarmente fredde all’interno di un certo ambiente può essere una delle cause della diversa percezione di calore in un ambiente piuttosto che in un altro. «Le superfici a bassa temperatura – spiega Lorenzo Pagliano, ricercatore ed esperto in comfort climatico – possono far diminuire la cosiddetta temperatura operativa, che sarebbe una media pesata della temperatura dell’aria e di quella delle superfici dell’ambiente, da cui dipende prevalentemente il comfort indoor». Se in una stanza, in un ufficio o in un negozio, quindi, ci sono delle superfici non ben isolate e quindi a temperatura più bassa dell’aria circostante, chi vi soggiorna può avvertire una sensazione di freddo, rispetto a un ambiente ben isolato termicamente. «È il caso, ad esempio di vetri ad elevata trasmittanza termica (cioè basso isolamento, come vetri semplici o vetri doppi non basso emissivi), pareti non ben isolate termicamente e ponti termici, come telai di finestre non ben isolati», aggiunge Pagliano. In queste condizioni, anche con l’aria a 20 gradi centigradi la temperatura operativa può essere significativamente inferiore, spingendo gli utenti ad alzare il termostato dei termosifoni. Con conseguenze importanti non solo sul piano dei costi, ma anche di emissioni inquinanti, come sottolineato dalle ordinanze anti-smog che nelle ultime settimane sono intervenute anche sulla temperatura massima all’interno degli edifici. Significativi, inoltre, i vantaggi in termini di risparmio di combustibile. «Migliorare l’isolamento termico di un edificio riduce la spesa energetica in due modi – sottolinea l’esperto – direttamente, limitando le perdite attraverso l’involucro, e indirettamente, perché consente di ottenere il comfort climatico con temperature dell’aria più basse». Anche sul ricambio d’aria, necessario a qualsiasi temperatura per ragioni igieniche, si ottengono dei benefici con un migliore isolamento. Buttare fuori aria a 23°C anziché 20 costa più energia, perché viene perso più calore – conclude Pagliano – Questa perdita si riduce in caso di ventilazione meccanica con recupero di calore sull’aria in uscita, ma al momento pochi edifici sono attrezzati in questo modo». A parità di altre condizioni ambientali, dunque, l’isolamento termico migliora il comfort, permettendo di risparmiare in termini di combustibile e di emissioni in atmosfera. Anche i costi di impianto, infine, diminuiscono: se prima di cambiare la caldaia si procede a isolare bene l’edificio, si potrà installare un impianto di potenza inferiore, e quindi meno costoso, rispetto a quello precedente. Un discorso analogo vale anche per il teleriscaldamento, dato che con un ambiente meglio isolato si risparmia sul costo dello scambiatore e sulla parte di tariffa legata alla potenza.

Fonte: eco dalle città