Fracking e terremoti, la questione arriva al parlamento del Texas

Il numero di terremoti nella zona di Azle e Reno è in aumento negli ultimi sei mesi in concomitanza con le attività di fracking. Gli amministratori locali iniziano ad essere allarmati

Per la prima volta il legame tra fracking e terremoti è stato discusso in una sede istituzionale. Ed è avvenuto qualche giorno fa proprio nello stato dei petrolieri, il Texas, in una audizione presso una commissione parlamentare. Sono state ascoltate testimonianze di esperti e amministratori sulla recente esplosione di micro attività sismica  e dei suoi possibili legami con il boom delle attività di fracking per “spremere” il petrolio dalla roccia compatta. Secondo l’USGS dal 1° novembre 2013 a oggi ci sono stati almeno 27 terremoti di magnitudo compresa tra 2,1 e 3,7 nei pressi delle città di Azle e Reno nel nord del Texas. Diversi residenti si sono lamentati di crepe nelle fondamenta delle case e rotture di tubi dell’acqua. L’area si trova proprio sopra la formazione geologica di Barnett, dove viene praticato il fracking. Se in Ohio è stato dimostrato il link tra 100 terremoti e le attività dell’industria petrolifera, i dati per il Texas sono scarsi, per i pochi sismografi sul territorio e soprattutto per la mancanza di dettagli sulle attività delle industrie. Si ritiene che i terremoti avvengano soprattutto a causa della re-iniezione sottoterra di fanghi e acque reflue. Questa operazione aumenta infatti la pressione sotterranea e introduce un lubrificante per lo spostamento delle faglie. I politici dicono naturalmente che non c’è fretta di agire; per evitare di creare problemi all’industria petrolifera intendono muoversi in modo molto prudente, anche se gli amministratori locali sono di un altro parere: “Il diritto dell’industria di fare profitti non deve sperare il nostro diritto alla qualità della vita“, ha affermato Lynda Stokes, sindaco di Reno. Poiché in Texas sono attivi oltre 3600 pozzi, il rischio che possa sopraggiungere un terremoto di maggiore intensità – ormai c’è chi parla di frackquakes – tende a crescere con il tempo. Anche nel vicino stato dell’ Oklahoma dove il fracking viene pesantemente praticato il numero di terremoti è cresciuto del 50% nell’ultimo anno. Secondo l’USGS c’è il pericolo che in futuro potrebbero manifestarsi eventi con magnitudo superiore a 5. I residenti hanno iniziato a reagire: le assicurazioni per eventi sismici sono cresciute dal 4% al 18% della popolazione nell’arco di tre anni

Fracking In California Under Spotlight As Some Local Municipalities Issue Bans

 

Fonte: ecoblog.it

Dimostrata una relazione tra fracking e terremoti in Texas

Uno studio della South Methodist University correla 50 terremoti avvenuti tra il 2009 e il 2010 con l’inizio delle attività di fracking nell’area a Nord di Dallas nel 2005, in una zona che prima non aveva mai registrato attività sismiche.Pozzo-texas-2

Se ci fosse bisogno, dal Texas arriva un ulteriore conferma del legame tra fracking e attività sismica dopo analoghi studi effettuati in Ohio, New Mexico e Colorado. La South Methodist University ha analizzato circa 50 terremoti di piccola magnitudo (ma percepiti dalla popolazione) avvenuti tra il 2009 e il 2010 non lontano da Dallas in prossimità di pozzi di ri-iniezione delle acque di scarto usate per il fracking. Un singolo pozzo di ri-inieizione può ricevere circa 300000 barili al mese di acqua salata di scarto. Prima del 2008 in questa zona non c’era mai stata attività sismica e questo fa propendere i ricercatori a pensare che sia stato proprio il fracking a indurre i terremoti. Il ritardo di quattro anni tra l’inizio dell’attività petrolifera e il movimento delle faglie viene spiegato con un modello probabilistico: la presenza di acqua salata iniettata a forza nelle faglie crea una sorta di lubrificante tra gli strati di roccia che rende più probabile i movimenti tettonici quando venga applicata una forza appropriata. Questo può accadere anche anni o decenni dopo, visto che la geologia ha i suoi tempi, che sono un po’ diversi da quelli della quotidianità. L’USGS ha rilevato una significativa crescita dell’attività sismica nel sud degli Stati Uniti. Questo al momento non fermerà di certo le attività di trivellazione, perchè le correlazioni trovate dagli scienziati non rappresentano ancora una “prova” nel senso forense del termine. Anche se agli scienziati e agli amministratori locali non sembra una buona idea continuare a bucherellare il territorio intorno alle città di Dallas e Fort Worth, molto probabilmente tutto continuerà come prima finché “non ci scapperà il morto”.

Fonte: ecoblog

Cancellato in Texas progetto da 40 Mt per terminal del carbone

E’ il quarto progetto di terminal del carbone che viene cancellato negli USA con grande soddisfazione degli ambientalisti. Le energie rinnovabili e le prime politiche per la mitigazione del global warming stanno iniziando a rendere questo sporco combustibile un ricordo del passato

Terminal-carbone

Tempi duri per il carbone: il progetto di un mega terminal da 40 milioni di tonnellate all’anno presso il porto di Corpus Christi, Texas è stato cancellato. La motivazione: crollo della domanda:

«Al momento il mercato di esportazione del carbone si è considerevolmente contratto. Il mercato interno [USA] ha visto la chiusura di vecchie centrali o la loro trasformazione in centrali a gas. L’energia eolica e solare spinte dagli incentivi hanno creato un’ulteriore pressione sul carbone. L’entusiasmo per i terminali di esportazione tra i produttori di carbone è quindi diminuito.»

L’australiana Ambre Energy sognava di costruire il terminal per esportare il carbone USA in Europa e in Asia, ma ha dovuto ricredersi, preferendo pagare la penale per la cancellazione del contratto piuttosto che imbarcarsi in un progetto dal futuro disastroso. Questo è il quarto progetto di terminal che viene cancellato negli USA. Sembra quindi essersi invertito il trend crescente di esportazione del carbone USA.  «Il fallimento di Ambre è un enorme sollievo per i residenti di Cropus Christi ed è un choaro segno che l’abbandono del carbone sta accelerando, ha dichiarato Hal Suter del Sierra Club «I texani non vogliono il carbone, gli altri stati del golfo non vogliono il carbone e non lo vogliono nemmeno i mercati internazionali».

Quando scoppierà, la bolla del carbonio mieterà le prime vittime proprio nell’industria del carbone, la più inquinante sia a livello locale (un singolo trasporto ferroviario di carbone rilascia nell’ambiente oltre 25 tonnellate di polveri) che globale, per le maggiori emissioni specifiche di CO2.

Fonte: ecoblog