La “crescita verde” è una contraddizione in termini: è impossibile

Le lobby del profitto, del business, i cavalieri del capitalismo sfrenato non si arrendono nemmeno di fronte alla constatazione che la crescita infinita è impossibile. E si inventano la “crescita verde”, che di verde e di “green” non ha proprio nulla.

I malati del profitto, del business, coloro per i quali il denaro è l’alfa e l’omega della vita, le inventano tutte pur di glorificare la sacra trinità: Denaro, PIL e Crescita. Visto che molti si stanno  accorgendo in maniera sempre più chiara che la crescita è un cancro che significa esclusivamente la devastazione del mondo rendendolo una discarica dove le persone sono cavie per le malattie prodotte dal cancro, si cerca in ogni modo di indorare la pillola per continuare imperterriti a guadagnare e fare il proprio comodo. Si sprecano quindi gli ossimori, le contraddizioni in termini e si parla indifferentemente di economia circolare e crescita oppure addirittura di crescita verde, che sono la negazione l’una dell’altra. Ricordiamo infatti, soprattutto a beneficio di coloro che hanno studiato nelle prestigiose università di economia e quindi sono inconsapevoli delle basi stesse dell’economia, che la crescita presuppone uno sfruttamento infinito di persone e risorse naturali per produrre profitto. Le persone possono essere sfruttate all’infinito, basta metterle in grado di comprare i gadget giusti; ma la natura e le risorse non possono essere sfruttate infinitamente, perché sono finite, per ovvi motivi. Infatti degli squilibrati stanno pensando di colonizzare Marte perché la terra la stiamo già esaurendo. Come se ciò non bastasse, la crescita produce una quantità di rifiuti che nessuna capacità di riciclo potrà mai ridurre considerevolmente. Capacità di riciclo che non si può spingere più di tanto perchè altrimenti la crescita avrebbe una contrazione, stessa cosa che avverrebbe con l’economia circolare se si applicasse in tutti i settori. Quindi non solo gli apostoli della crescita non vogliono che si ricicli o si riusi granchè, ma la terra non è in grado di assorbire la immensa massa di rifiuti che viene prodotta. Infatti mari, fiumi e terre sono ormai delle discariche. Se ne deduce in maniera ovvia, senza bisogno forse nemmeno della quinta elementare, che una crescita verde è semplicemente impossibile poichè le due cose assieme fanno a pugni.  La crescita per sua natura non ha nulla di green, perché sfrutta tutto come risorsa o come pattumiera. Ci possono essere una prosperità verde, un futuro verde, magari anche una economia verde se si intende l’accezione etimologica di economia che è la cura della casa, ma è inutile arrampicarsi sugli specchi, fare capriole, giravolte, salti mortali all’indietro, doppi e tripli, non si può barare: la crescita verde è impossibile. Per giustificarla e quindi apparire paladini dell’ambiente, ci si daranno riverniciatine green come fanno i maggiori inquinatori del pianeta a iniziare ad esempio dall’ENI che ci bombarda con campagne pubblicitarie, ma sotto la patina il risultato è sempre lo stesso: devastazione della natura e guerra alla salute delle persone. Questi cantori della crescita verde o meno verde non si fermeranno da soli, non possono per loro natura, quindi vanno fermati; va tolto loro qualsiasi potere, qualsiasi appoggio, con un’obiezione di coscienza sistematica. Allo stesso tempo, occorre costruire luoghi, società, progetti, lavori, formazione, educazione che non abbiano la crescita e il dio denaro come faro, bensì la qualità della vita, il benessere, una vita dignitosa per tutti e la salvaguardia della nostra casa cioè l’ambiente in cui viviamo. Allora sì che avrà senso parlare dell’unica crescita accettabile e sensata che è quella dei valori e della ricchezza personale intesa come spirituale.

Fonte: ilcambiamento.it

Gianni Solino e Libera Caserta: riscatto e antimafia nelle terre di Don Peppe Diana

Casal di Principe: terra di camorra ma anche città simbolo delle lotte di don Peppe Diana, prete impegnato nell’antimafia sociale e ucciso dalla criminalità organizzata locale. Per non dimenticare l’altra faccia della medaglia che lotta costantemente su questi territori è nato il Comitato don Peppe Diana, di cui Gianni Solino è rappresentante e fondatore oltre ad essere referente di Libera Caserta dal 2013.

Per capire come è arrivato a questo punto bisogna partire dagli anni della scuola, periodo in cui Gianni ha cominciato a interessarsi ai movimenti studenteschi e alle tematiche sociali. Solo a partire dagli anni ’70 si comincia a parlare di camorra, non perché negli anni precedenti fosse un tabù ma piuttosto non si aveva ancora piena consapevolezza di cosa fosse. Durante gli anni di impegno politico si affianca la passione per l’associazionismo, un aspetto che diventerà preponderante nel periodo successivo fino a quello che può essere considerato un vero e proprio spartiacque nella vita di Gianni Solino: l’omicidio di don Peppe Diana, il 19 Marzo del 1994. “Da allora mi sono reso conto di quanto fossi coinvolto” – confida Solino – “in quel momento mi sono sentito come se avessero colpito anche me”.

Nel 1995 Gianni è tra i fondatori della Scuola di Pace Don Peppe Diana, un’associazione di educazione alla legalità e alla pace permanente. Il suo impegno è un crescendo continuo, dalle varie associazioni in rete nasce il Comitato Don Peppe Diana fino ad arrivare all’incontro con Libera, nel 2006, che torna sul territorio casertano dopo un periodo di assenza dovuto ad alterne vicende.gianni_solino

Gianni Solino non ha dubbi: per opporsi in maniera convincente alla camorra ed estirpare le radici che ha piantato negli ultimi quattrocento anni di storia, bisogna rispondere con un sistema altrettanto strutturato. Oltre alla rete di associazioni che operano quotidianamente sui territori è importante che il governo nazionale consideri la lotta alle mafie come una priorità assoluta. “Così come si scelgono le eccellenze della magistratura e della polizia nelle zone più soggette alle infiltrazioni mafiose”, spiega Solino, “lo stesso si dovrebbe fare con i presidi e gli insegnanti delle scuole nelle aree più a rischio”.  Il referente di Libera Caserta ricorda il valore fondamentale dell’educazione, una cultura dell’antimafia che non si costruisce attraverso interventi saltuari ma grazie ad un lavoro quotidiano. “La camorra può essere spazzata via se a combatterla siamo tutti uniti: governo, scuola, chiesa. Nessuno deve sentirsi escluso“, incalza Solino. Aggiunge che non si può chiudere un occhio sui fenomeni di corruzione e clientelismo perché è proprio in queste piaghe che si sviluppano i germi che portano allo sviluppo e al contagio delle mafie, invertendo irrimediabilmente le sorti del paese intero.terre_peppe_diana

Il lavoro quotidiano che viene perpetrato dalle realtà che combattono la mafia nelle terre di gomorra è straordinario e sta producendo già tanti risultati: incentiva il lavoro giovanile e stimola l’imprenditoria sociale nelle terre dei beni confiscati, oltre a mantenere costantemente accesa l’attenzione sulle problematiche create dalla criminalità organizzata locale. In queste terre di gomorra si sta svolgendo tutta un’altra storia che a stento viene raccontata: “la nostra è una vera e propria Resistenza contro la criminalità. Stiamo aspettando il nostro 25 Aprile”, considera Gianni Solino. Ma la Liberazione di questo territorio è già in corso da tempo e si manifesta nelle esperienze di lotta quotidiana e nei successi che giorno dopo giorno raggiunge: il Pacco alla Camorra del marchio NCO (Nuovo Commercio Organizzato) che ha venduto oltre diecimila confezioni non solo in Italia ma anche in Canada e il progetto è stato presentato persino a Bruxelles. Ci sono poi le esperienze della Cooperativa Agropoli, della Cooperativa al di là dei Sogni e della Cooperativa Eureka, solo per citarne alcune. C’è ancora tanto da lavorare ma quello che si è raggiunto fino ad ora produce risultati concreti. Le terre di camorra, le più tristemente note perché sempre sotto la lente della cronaca, sono solo la punta dell’iceberg. Ormai tutta l’Italia è coinvolta dalle dinamiche mafiose e nessuno può sentirsi escluso dall’impegno in questa nuova Resistenza.

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Gianni Solino sulla Mappa dell’Italia che Cambia

fonte: italiachecambia.org

Giuseppe Li Rosi: in Sicilia i semi antichi per combattere l’agri-business

Sintetizzato dal chimico tedesco Fritz Haber negli anni venti, utilizzato nei campi di concentramento tedeschi per sterminare i prigionieri negli anni quaranta, impiegato in Vietnam per stanare i vietcong negli anni settanta, oggi l’acido cianidrico è nei nostri campi, sugli scaffali dei supermercati, sulle nostre tavole. È il paradosso dell’agri-industria, per la quale la velocità di trasformazione dei prodotti e la massimizzazione delle rese contano più di ogni cosa, anche della salute di chi quel cibo lo mangia.

Nello scenario molto più confortante e accogliente della calda Sicilia, culla della biodiversità italiana, incontriamo Giuseppe Li Rosi, agricoltore e custode del tesoro dell’agricoltura tradizionale: i semi. «Le multinazionali hanno capito che mettere le mani sui diritti dei semi è una mossa strategica – ci spiega Giuseppe – e attraverso tali diritti possono controllare economia, salute e possibilità di evoluzione di qualsiasi popolo». Mentre parla, alle sue spalle si muove placidamente un mare verde smeraldo: è il campo di germoplasma della Stazione Sperimentale di Granicoltura, dove viene conservata parte dei semi autoctoni siciliani a rischio di estinzione. «La Stazione – racconta – nasce nel 1927 e oggi si dedica alla conservazione di questi frumenti, che rappresentano una specie di banca dati alla quale attingere in caso di malattie dei nostri grani moderni, modificati attraverso una mutagenesi». Si tratta di un patrimonio importantissimo per continuare ad avere la capacità di produrre il cibo in Sicilia, ma ovunque è vitale conservare la biodiversità locale, frutto dell’esperienza millenaria della comunità rurale.terre_frumentarie

Per anni l’agribusiness ha manipolato le colture conformandole alle proprie esigenze. Questo ha trasformato due elementi basilari per la vita dell’uomo – il cibo e le medicine – nei suoi più grandi nemici. «Prendiamo il caso del glutine», spiega Giuseppe. « Il frumento è stato “modificato” per migliorare la pastificazione, per elevarne la temperatura di essiccazione e accorciare i tempi di produzione. Per fare questo, è stato aumentato l’indice di glutine, che misura la durezza o l’elasticità del glutine. La ricerca mira a creare frumenti con un indice di glutine alto, vicino al 100, ottimi per l’industria. I frumenti con basso indice di glutine sono classificati come scarsi. Ma un alimento con un indice di glutine ottimo il nostro intestino non lo riconosce e non lo digerisce». Giuseppe è legato da sempre alla campagna siciliana, dov’è nato e cresciuto e dove da anni porta avanti un percorso di reintroduzione delle sementi originarie. Una battaglia che non si limita all’ambito agricolo, ma sconfina in quello legale e culturale. «Ho cominciato a piantare poco a poco i semi antichi, fino a quando tutta la porzione dell’azienda coltivata a cereali, circa 100 ettari, è stata convertita con grani autoctoni siciliani. Questa scelta è stata fatta due anni fa. Quando ho cominciato a coltivare questi grani l’ho dovuto fare di nascosto, perché se li semini perdi i contributi europei, legati solo all’utilizzo di semi certificati, appartenenti a multinazionali o sementieri». Alle difficoltà burocratiche si è aggiunto lo scetticismo degli altri agricoltori, inizialmente ostili e oggi indifferenti agli sforzi di Giuseppe e della sua azienda, Terre Frumentarie. Anche la circolazione dei semi è rigidamente normata: «Per legge non si possono comprare i semi da un’altra azienda agricola. Ma tutti i semi venduti dall’industria sementiera sono nati con la mutagenesi indotta, contengono glutini che non vengono riconosciuti dal nostro intestino, hanno bisogno di nitrato d’ammonio sennò non producono niente. Oggi per fortuna alle aziende biologiche è permesso autoriprodursi il seme, però non si può comprarlo né venderlo. Dalla Stazione di Granicoltura si può prendere solo qualche piccola parcella di semi. In realtà, se venissero applicati alcuni articoli della legge sementiera italiana, potremmo scambiarci semi fra aziende, ma non succederà mai. C’è un trattato FAO sul traffico di semi che l’Italia ha recepito, senza però fare le legge applicativa. Nel resto d’Europa la situazione è molto simile. Il problema è che chi fa le leggi in campagna non c’è mai stato».raddusa

Dicevamo che è anche una battaglia culturale. «È così: hanno fatto perdere la dignità all’agricoltore e far scattare in lui la molla della rivalsa. Così ha cercato di far studiare i figli, di ingentilirsi, di ammodernarsi, di applicare le tecnologie. Per questo è stato facile convincerlo a utilizzare tecniche che facilitano la coltivazione. Tutta l’agricoltura è stata asservita all’industria: oggi è un atto illegale comprare semi da chi non è autorizzato a venderli. Bisogna poi comprare il fosfato, il nitrato, il diserbante e il fungicida. E quando si vende, la materia prima è destinata solo all’industria». Ciononostante, in questo periodo di forte crisi, Giuseppe è soddisfatto dell’andamento economico di Terre Frumentarie. La svolta è arrivata quando ha deciso di sottrarsi al giogo dell’agricoltura industriale: «Oggi le mie prospettive sono molto migliori rispetto a qualche anno fa, quando producevo frumento e lo vendevo alle aziende di trasformazione. Sono entrato in un indotto che si rifornisce con materie naturali, non geneticamente modificate. Oggi chi acquista cibo è più consapevole, più attento alla qualità, più esigente. Per questo il mercato del biologico è in grande crescita». Terre e Tradizioni è il secondo marchio che Giuseppe ha creato, che si occupa della trasformazione e della vendita dei prodotti dell’azienda agricola.

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Ci sono sempre più persone che si fanno delle domande, c’è più movimento, se ne parla di più sui mass media. Cominciamo ad avere voce in capitolo. Il mercato più fertile per il biologico rimane quello del nord Italia, ma anche la Sicilia comincia a svegliarsi: aumentano i negozi bio, i mercatini, i punti di vendita diretta. «La Sicilia ha un patrimonio genetico più grande di tutte le altre regioni messe insieme», conclude Giuseppe. La missione dunque è tutelarlo e farlo prosperare, affinché diventi parte integrante dell’economia e della cultura dell’Isola.

Fonte: italiachecambia.org/