Warming Stripes: l’emergenza climatica spiegata in un’immagine

La scienza diventa arte per raccontare a tutti il cambiamento climatico. Dopo aver raccolto i dati sulle temperature negli ultimi 100 anni, il climatologo inglese Ed Hawkins ha deciso di tradurre la gravità dell’emergenza in un’immagine universalmente comprensibile. Le sue Warming Stripes dimostrano in modo immediato l’entità del riscaldamento globale.

Ed Hawkins, climatologo del National Centre for Atmospheric Science (NCAS) dell’Università di Reading in Gran Bretagna, ha avuto un’idea geniale: raccontare in modo immediato, bello e colorato il cambiamento climatico. Le sue Warming Stripes parlano a tutti, grandi e piccoli, in tutte le lingue, dicono che il cambiamento climatico è realtà. E invitano tutti a condividerle.

Ed Hawkins, come molti scienziati, si scontra spesso con i “si dice” o, peggio, con le voci che negano l’esistenza della questione ambientale. Sa anche molto bene che non è semplice districarsi in un materia è tecnica: la scienza non sempre parla il linguaggio di tutti i giorni. Ha voluto così, scrive sul sito showyourstripes.info, creare qualcosa che non richieda una preparazione scientifica per essere inteso e che sia il più semplice possibile, “cristallino”. Ha reso visibile il cambiamento climatico: è un problema di tutti, tutti devono vederlo ma devono anche aver voglia di guardare. Con le Warming stripes la bellezza della scienza diventa quasi manifestazione artistica.
Sul sito showyourstripes.info ciascuno può liberamente scaricare ed utilizzare i grafici, scegliendo il Paese.

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Le strisce vanno dal blu al rosso a seconda che la temperatura sia minore o maggiore della media e rappresentano i cambiamenti nelle temperature degli ultimi 100 anni. Ogni riga verticale è un anno, dal 1901 al 2018 (per UK, USA, Germania e Svizzera si inizia da fine ‘800).

Per la maggior parte dei Paesi, i dati vengono da Berkeley earth, un gruppo indipendente di scienziati che opera su un data base molto ampio di dati relativi alle temperature terrestri. Ed Hawkins per costruire i grafici ha raccolto i dati sulle temperature per ogni Paese, fra il 1901 e il 2018, li ha comparati alla media dei valori fra il 1971 e 2000, e poi ha attribuito un colore a seconda della diminuzione o aumento rispetto alla media.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/warming-stripes-emergenza-climatica-spiegata-immagine/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Alla soglia dell’irreversibilità

Esiste una soglia oltre la quale l’instabilità delle temperature della Terra diventerà irreversibile? E se sì, dove si colloca? La stiamo forse raggiungendo? Pietro Greco, chimico e scrittore, ci accompagna nel ragionamento che ciascuno di noi, oggi, è tenuto a fare.9917-10706

Sono quattro le domande che Will Steffen, scienziato del clima in forze allo Stockholm Resilience Centre, dell’Università di Stoccolma, con un nutrito gruppo di suoi collaboratori si pongono e ci pongono con un articolo, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, appena pubblicato su PNAS: c’è una soglia planetaria nella traiettoria del sistema Terra, superata la quale il regime delle temperature diventa altamente instabile e l’instabilità diventa irreversibile? Se sì, dove si colloca questa soglia? Quali conseguenze avrebbe per l’umanità il superamento di questa soglia? Possiamo fare qualcosa per impedire che questa soglia venga superata?

L’analisi che Will Steffen e colleghi propongono è molto articolata e andrebbe studiata nei dettagli. Non fosse altro perché le variabili in gioco sono molte e svariate sono le traiettorie possibili. Il Sistema Terra è un sistema complesso e, in quanto tale, è estremamente sensibile dalle condizioni iniziali. Basta un battito d’ali di una farfalla in Amazzonia, verificò al computer il meteorologo Edward Lorenz, per scatenare un uragano imprevisto in Texas. Ciò vale per il singolo evento meteorologico come per il clima globale. Dunque, ogni previsione contiene in sé un’intrinseca incertezza. Questo non significa, però, che ogni previsione è inutile. Al contrario, è possibile stabilire degli scenari di probabilità.
Ed è quello che, tutto sommato, hanno fatto gli scienziati guidati da Will Steffen. L’analisi parte dal fatto che nell’Olocene (gli ultimi 11.700 anni) la temperatura media del pianeta è oscillata poco intorno ai 15 °C e il clima è stato piuttosto stabile. Ma anche che negli ultimi 1,2 milioni di anni mai la temperatura ha raggiunto, in media, i livelli attuali. È stata più bassa nei periodi glaciali, ma mai più alta nei periodi interglaciali. Il sistema si è trovato, in qualche modo, in una condizione di equilibrio. Bene, dicono Steffen e i suoi colleghi: è molto probabile che la crescita della temperatura nell’Antropocene, ovvero nella recentissima era in cui l’impatto umano sull’ambiente è diventato importante e in molti casi decisivo, possa determinare fenomeni irreversibili capaci di far saltare l’equilibrio. Prendiamo, a esempio, lo scioglimento del permafrost in Siberia o di gran parte dei ghiacci in Antartide: se si verificassero, non si potrebbe tornare indietro. Non in tempi brevi, almeno. L’equilibrio salterebbe e occorrerebbero migliaia di anni se non di più prima che eventualmente sia ricomposto. Dunque alla prima domanda Will Steffen e colleghi rispondono con un netto sì. Esiste un valore soglia, superato il quale il sistema Terra cambierà in maniera irreversibile le sue condizioni attuali (e romperà il ciclo esperito negli ultimi 1,2 milioni di anni). Già, ma dove si trova questo valore soglia? È a questa domanda che Steffen e colleghi danno la risposta più inquietante. Si trova, secondo le loro inferenze, intorno ai 2 °C sopra la temperatura media dell’era pre-industriale. Oggi siamo già a metà strada: la temperatura media del pianeta è di 1 °C superiore a quella dell’era pre-industriale. Dunque siamo a un passo dal valore limite, oltre il quale potremo entrare in una condizione del sistema Terra estremamente calda e inedita negli ultimi milioni di anni. Una condizione irreversibile.
Possiamo evitare di raggiungere la soglia dell’irreversibilità? Le risposte di Steffen e colleghi non sono affatto tranquillizzanti. Se anche riuscissimo a mantenere la crescita della temperatura entro i 2 °C rispetto all’epoca pre-industriale, che è l’obiettivo degli accordi di Parigi, saremmo comunque in una situazione di rischio. Il rischio che scattino, a cascata, i processi irreversibili. Sulle conseguenze esiste una sterminata letteratura. Temperature insopportabili, avanzata dei deserti, scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, bibliche migrazioni. Ma i ricercatori svedesi non chiudono affatto gli scenari. Se siamo drastici e tempestivi, possiamo riuscire a collocare il sistema Terra in una piccola vallata metastabile. Cercare di inchiodarlo in una condizione non molto diversa dall’attuale. Già. Ma occorrono quella determinazione e quella tempestività che, anche dopo Parigi, sembrano latitare. La politica (globale) da sola non ce la fa. Occorre, dunque, che scenda in campo una superpotenza mondiale: l’opinione pubblica. Senza una mobilitazione di noi cittadini del pianeta, le traiettorie del sistema saranno inevitabilmente indirizzate verso scenari indesiderabili. In fondo è quello che ci ha detto un’altra svedese, Greta Thunberg, di soli 15 anni, che con molta lucidità nei giorni scorsi ha iniziato uno sciopero della fame davanti al parlamento a Stoccolma per protestare contro noi adulti, che con la nostra inerzia stiamo rovinando il futuro suo e dei suoi figli.

Chi è Pietro Greco

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista e scrittore. Collabora con numerose testate ed è tra i conduttori di Radio3Scienza. Collabora anche con numerose università nel settore della comunicazione della scienza e dello sviluppo sostenibile. E’ socio fondatore della Città della Scienza e membro del Consiglio scientifico di Ispra. Collabora con Micron, la rivista di Arpa Umbria.

Fonte: ilcambiamento.it

I cambiamenti climatici aprono il passaggio a Nord Ovest

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Per chi fa affari lo scioglimento dei ghiacciai è una ghiotta opportunità di business, non solo perché offre l’opportunità di trivellare i giacimenti petroliferi di zone prima inavvicinabili, ma perché potrebbe creare una nuova rotta commerciale.

Stati Uniti, Canada, Russia, Danimarca e Paesi Scandinavi seguono con grande interesse l’evoluzione dello scioglimento dei ghiacciai artici e ora si ragiona anche sul passaggio a Nord Ovest, una via d’acqua naturale situata 3mila chilometri a nord del Circolo polare artico. Il riscaldamento globale sta sciogliendo progressivamente i ghiacciai del Mar Glaciale Artico e molti vedono in questa catastrofe ecologica il bicchiere mezzo pieno: quello di chi fa affari e di chi, sostanzialmente, risparmierebbe 4000 km di rotta rispetto alle attuali vie che passano per il Canale di Panama (o per tutti i canali che si stanno costruendo nella strettoia centroamericana). I primi attraversamenti sono avvenuti nell’estate 2000, ma l’innalzamento delle temperature nell’ultimo quindicennio lascia supporre che la rotta possa essere aperta per un periodo di tempo ancor più lungo, se non in via definitiva. Secondo i calcoli più pessimistici, se gli attuali trend climatici dovessero essere confermati, un quarto del traffico marittimo tra Asia ed Europa potrebbe passare dall’Artico canadese, una vera rivoluzione che ingolosisce gli armatori del commercio navale e spaventa gli ecologisti. Fra poco più di un mese, alla COP21 di Parigi si dovrà parlare anche di questo.

Fonte:  Askanews

 

Asparagi in anticipo di un mese: preoccupazione degli agricoltori

La primavera anticipata con le sue temperature calde porta gli asparagi a essere pronti con un mese di anticipo: ma gli agricoltori non esultano

La finta primavera che abbiamo avuto a gennaio con un mese particolarmente caldo ha ingannato le piante e ecco che nei supermercati arrivano già gli asparagi con un mese abbondante di anticipo rispetto ai tempi normali. I prezzi sono decisamente interessanti per questo prodotto che per ragioni commerciali rientra tra le primizie ma che di fatto ha anticipato la sua naturale stagione di maturazione a causa del caldo. Per ora parliamo di modesti quantitativi provenienti da Campania e Puglia che però hanno già trovato spazi sui banchi dei supermercati e etichettati a 4-4,50 euro al chilo. Mediamente gli asparagi costano nel pieno della stagione 2 euro al chilo.US-LIFESTYLE-FOOD-BEEF

Come ha spiegato a ItaliaFruit Natale De Martino della Ortofrutta De Martino della provincia di Foggia:

Abbiamo iniziato a raccogliere a metà febbraio e le prime “partite” sono state collocate in maniera ottimale: il mercato è molto ricettivo, la domanda notevole. Distribuiamo soprattutto all’estero, nel Nord Europa, ma in questa fase stiamo ottenendo buoni risultati nei Mercati all’ingrosso locali e nelle catene della grande distribuzione. L’auspicio è che la campagna prosegua con questa intonazione; le operazioni di raccolta solitamente proseguono sino a fine giugno ma quest’anno visto l’anticipo, si potrebbe chiudere prima.

Anche al Nord per l’asparago bianco la raccolta si è presentata in anticipo per cui la raccolta sotto-serra è partita molto prima del solito. Lo scorso anno la raccolta era iniziata al 20 febbraio ma i coltivatori non sono contenti. Il radicchio in campo ha sofferto per il caldo e il raccolto è stato quasi tutto perso, mentre gli asparagi in anticipo, nonostante i buoni prezzi non sono sufficienti a coprire le perdite già realizzate.

Fonte:  Italiafruit

Global warming, nuova analisi mostra riscaldamento due volte e mezza più rapido negli ultimi 15 anni

Finora il riscaldamento degli ultimi 15 anni era stato sottostimato per l’assenza di dati di temperatura in alcune regioni remote del pianeta. Ora che è stato colmato il gap, il trend degli ultimi 15 anni è passato da 4,7 a 11,8 centesimi di grado al decennio, un valore due volte e mezzo più grande.Nuovo-trend-temperature

Si è dibattuto a lungo sull’andamento delle temperature medie globali negli ultimi 15 anni; mentre alcuni climatologi si sono azzardati a dire che il global warming è in pausa, altri hanno spiegato il rallentamento della crescita delle temperature con un maggiore assorbimento di energia da parte degli oceani. In realtà non sembra esserci quasi nessun rallentamento. Uno studio appena pubblicato sul Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society, dimostra che il rallentamento del riscaldamento era semplicemente un artefatto dovuto alla mancanza di dati di temperatura in alcune regioni del pianeta poco accessibili, come i poli e le foreste equatoriali, pari al 14% della superficie totale. Il gap dei dati ora è stato colmato in parte con interpolazioni da regioni vicine, in parte da dati satellitari. Il risultato, come si vede dal grafico in alto è che il trend di riscaldamento ricalcolato tenendo conto di tutte le aree del pianeta è pari a circa 11,8centesimi di grado al decennio (linea spessa più inclinata) rispetto alla valutazione attuale di 4,7 (linea meno inclinata). Si tratta di un ritmo di riscaldamento due volte e mezzo più rapido e questo valore ora è più in linea con il trend dei decenni precedenti. La zona artica è una di quelle in cui l’aumento di temperatura è stato più alto e non averne tenuto conto nei set di dati del MetOffice ha contribuito a sottostimare il fenomeno. Nel video qui sotto ci sono alcuni ulteriori dettagli sul metodo utilizzato dai due ricercatori britannici.

Fonte: ecoblog