Contaminazione da arsenico, dove in Italia

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Nella tavola periodica si chiama As. Il suo nome completo è arsenico, ed è uno degli elementi chimici più amati da autori di libri e film gialli per la sua altissima pericolosità: l’esposizione acuta, infatti, può essere fatale. Ma anche la cronica, meno interessante per letteratura e cinematografia ma più rilevante nel mondo reale, è altrettanto pericolosa, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente classificato l’arsenico, specie quello inorganico trivalente, tra le sostanze “cancerogene per gli esseri umani”. Alla luce di tutto questo, non possono non destare preoccupazioni gli ultimi risultati dello studio Sepias – Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica, condotto dai ricercatori dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr e pubblicato sulla rivista Epidemiologia e prevenzione. Nel lavoro, presentato oggi a Roma, gli scienziati hanno sottoposto a biomonitoraggio quattro aree italiane (il viterbese, l’AmiataTaranto e Gela), registrando nei residenti di ognuna di esse – seppure in misura diversa – concentrazioni di arsenico superiori ai valori di riferimento. “Le aree sono state scelte in base al tipo di inquinamento cui erano soggette”, spiega a Wired.it Fabrizio Bianchi, dirigente di ricerca dell’Ifc-Cnr. “In particolare, l’Amiata e il viterbese hanno un inquinamento di tipo naturale: l’arsenico è presente nelle rocce, nei sedimenti e nelle acque. A Taranto e Gela, invece, deriva da attività antropiche, come ammettono le stesse industrie locali, che emettono quintali di arsenico nell’ambiente”. I ricercatori, dice Bianchi, hanno sottoposto a 282 persone (scelte con un campionamento randomizzato e rappresentativo) un questionario per valutarne lo stile di vita e la situazione clinica. Su ciascuno dei partecipanti sono state inoltre effettuate analisi delle urineprelievo del sangueecodoppler e visita cardiologica. È bene ricordare che, mentre esistono delle soglie stabilite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Unione Europea per quanto riguarda i valori di arsenico nelle acque e negli alimenti, per urina e sangue non ci sono valori analoghi, perché l’intossicazione dipende fortemente da meccanismi individuali di risposta. “Nonostante questo, comunque”, precisa Bianchi, “sono stati elaborati diversi valori di riferimento, in base a esposizione, possibili rischi per la salute, biomonitoraggi futuri e altri parametri. E noi abbiamo tenuto conto di tutti questi valori”. Gli scienziati, nell’analisi, hanno inoltre preso in considerazione i fattori genetici ed epigenetici che determinano la diversa risposta dei singoli soggetti all’esposizione all’arsenico. E hanno osservato“valori medi di concentrazione elevati, per quanto riguarda l’arsenico inorganico, in un soggetto su quattro del totale, ma con rilevanti differenze: 40% Gela, 30% Taranto, 15% viterbese, 12% Amiata”. Dati che sono “da usare con cautela in considerazione dei piccoli campioni”, ma che comunque“testimoniano l’avvenuta esposizione” alla sostanza. Al sud peggio che al centro, insomma. E attività antropiche molto più dannose e incidenti rispetto a quelle naturali. Incrociando i dati clinici con le risposte al questionario, gli scienziati hanno evidenziato “associazioni statisticamente significative” tra concentrazione di arsenico e fattori di rischio: “Il fattore di rischio più importante è l’esposizione occupazionale nelle aree industriali di Gela e Taranto”, dice ancora Bianchi. “Per quanto riguarda le altre due regioni, invece, i fattori di rischio sono il consumo di acqua per uso civico (cucina e igiene personale) e la contaminazione degli alimenti. Per quest’ultimo punto, comunque, sono necessari ulteriori studi più focalizzati sulle abitudini alimentari dei soggetti”. Come intervenire, dunque? “Abbiamo anzitutto sottomesso un protocollo di presa in carico dei soggetti con valori più elevati, che è già stato approvato dal Ministero della Salute”, spiega Bianchi. “Quello che suggeriamo è di intervenire al più presto per rimuovere o diminuire il più possibile le fonti da esposizione primaria, tra cui gli stabilimenti che riversano arsenico nelle falde acquifere. E poi è assolutamente necessario continuare e ampliare il biomonitoraggio, così come avviene negli Stati Uniti e in molte nazioni europee”.

Fonte: Wired.it

Credits immagine:  Al_HikesAZ/Flickr

“Stiamo sperimentando una rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano”, intervista ad Edo Ronchi sull’Ilva

Nostro incontro con Edo Ronchi per un bilancio sui primi sei mesi da sub-commissario responsabile del piano ambientale per l’Ilva di Taranto. “Stiamo sperimentando l’abbandono del carbone per il gas, una rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano, un investimento da 3 miliardi di euro: 1,8 per le misure ambientali e 1,2 per l’innovazione tecnologica. Soluzione unica in Europa”

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di Lorenzo Fanoli

La prima domanda che sembra banale, ma non è affatto scontata, è: “Chi te l’ha fatto fare?” 

In effetti accettare un incarico del genere non è stato facile. Questa stessa domanda me l’hanno fatta diverse persone e qualcuno mi ha addirittura detto che il risanamento ambientale dell’Ilva è il lavoro più difficile che mi sia capitato nella vita. Comunque, in un primo momento, avevo deciso di non accettare ma poi ho riflettuto e, anche sulla scorta di alcuni casi che ho avuto modo di valutare, in particolare gli stabilimenti di Duisburg della Tyssen Krupp, ho considerato che pur nella grande difficoltà della situazione era possibile e necessario accettare la sfida di riuscire a produrre acciaio in maniera pulita in Italia per tre ragioni sostanziali: anche nell’attuale transizione da brown a green economy l’acciaio è necessario e insostituibile; non è come il carbone o il nucleare per la produzione di energia che hanno valide alternative. In secondo luogo perché ci sono casi nel mondo in cui si è realizzata una trasformazione significativa nelle tecnologie di produzione dell’acciaio, che consente di produrre a condizioni accettabili di compatibilità e sicurezza ambientale neanche minimamente paragonabili a quelle attuali, e totalmente corrispondenti alle prescrizioni dell’AIA. La terza considerazione è che la chiusura dell’industria siderurgica italiana determinerebbe, oltre alla perdita di migliaia di posti di lavoro, la necessità di importare acciaio da altri paesi e ciò da un lato scaricherebbe i costi ambientali sulle popolazioni dei paesi dai quali importeremmo acciaio non pulito e penso che i cittadini e le generazioni future di indiani, cinesi, coreani e nordafricani debbano avere gli stessi diritti degli italiani e degli europei. Dall’altro comporterebbe una forte dipendenza dell’industria nazionale dall’andamento e dalle fluttuazioni del mercato internazionale. Pur considerando tutte le difficoltà del percorso che dobbiamo fare e l’esito non scontato, penso che la crisi prodotta dagli impatti ambientali possa diventare l’occasione per un’innovazione che faccia dell’ILVA uno stabilimento modello, il più avanzato in Europa. Un strumento così straordinario, come un Commissariamento di governo, con un adeguato supporto normativo, può trasformare un caso negativo in un esempio di green economy.

Come vi siete mossi in questi sei mesi e quali ritieni che siano state le principali misure messe in campo?
Il compito che abbiamo è davvero poderoso. Tanto per darti un’idea dimensionale, da giugno 2013 a dicembre abbiamo stipulato contratti e firmato 279 ordini per interventi e progetti in materia ambientale, impegnando quasi 337 milioni di euro. Nei 21 mesi precedenti al commissariamento gli investimenti sono stati meno della metà: 156 milioni. La nostra prima preoccupazione è stata quella di mantenere la produzione soltanto a condizione che i livelli di qualità dell’aria misurati tornassero a norma di legge. Ciò ha significato fermare 6 cokerie su 10 e 2 altoforni su 5, uno dei quali definitivamente, e ridurre la produzione nel 2013 a 5,8 milioni di tonnellate rispetto agli 8 milioni previsti dall’AIA e contestualmente avviare tutte le misure di risanamento previste dall’AIA. Nel 2013 i livelli di Pm10 e Benzo(a)pirene misurati dalle stazioni di rilevamento sono stati costantemente sotto i limiti di legge. Passando agli interventi più significativi, cito i più importanti: l’accelerazione della progettazione dell’intervento e dell’ordine d’acquisto dei filtri per l’abbattimento delle diossine per arrivare alla condizione di emissioni di diossine a 0,1 nanogrammi-mc; obiettivo raggiunto a seguito di un lavoro di ricerca e valutazione di diverse soluzioni piuttosto importante e articolato a livello internazionale, che ci ha permesso di individuare la migliore soluzione tecnologica attualmente disponibile sul mercato costituita da speciali filtri a tessuto “a manica”. L’ordine e l’avvio delle procedure per l’installazione di valvole Proven, che controllano il sistema di pressione dei singoli forni riducendo le emissioni fuggitive durante la distillazione, in particolare di BaP e di altri IPA. L’avvio e l’implementazione del progetto di copertura di 57 Km di nastri trasportatori.
L’installazione di un sistema interno di 30 telecamere che funzionano 24 ore su 24 per monitorare tutte le emissioni dello stabilimento che si affiancano al sistema di monitoraggio delle centraline a terra; inoltre come Ilva partecipiamo a un piano di realizzazione di una rete di monitoraggio ambientale sul territorio esterno allo stabilimento che al momento è arrivata alla definizione di un sistema che prevede l’utilizzo dei licheni e di un monitoraggio biologico continuativo e permanente. Infine la cosa forse più impegnativa (anche dal punto di vista economico e finanziario) è stato l’avvio e la definizione del progetto di copertura dei parchi minerari che sono una delle “bestie nere” del percorso di risanamento.
Pensi che riuscirete nei 36 mesi che vi sono stati dati a raggiungere gli obiettivi previsti dall’AIA?
Se i 36 mesi li calcoliamo dall’inizio del nostro mandato sono fiducioso e in alcuni casi penso che potremmo persino superare alcuni obiettivi previsti dall’AIA. E’ necessario, però, che alcune condizioni di contesto, di sostegno da parte governativa al nostro lavoro e di consolidamento di un clima di buon senso e reciproca fiducia tra i diversi soggetti coinvolti si realizzino.

Cosa significa ? Come sono i rapporti con gli stake holder attualmente?

Innanzitutto una considerazione preliminare rispetto all’AIA. Non sempre e non tutto quello prescritto corrisponde a soluzioni e possibilità realmente realizzabili. Ti faccio l’esempio per noi risolto positivamente del piano per la copertura dei parchi minerari. Innanzitutto si tratta di un opera di dimensioni incomparabili con qualsiasi altra soluzione adottata in Europa: per esempio la copertura del parco minerario dei minerali è un manufatto di 700 metri di lunghezza 262 di larghezza 80 metri di altezza. L’AIA per la copertura del parco carbone non aveva considerato il rischio di autocombustione, e questo ha ovviamente rallentato la progettazione, e aveva previsto dei tempi assolutamente irrealizzabili.  Inoltre l’investimento iniziale previsto e dichiarato dai Riva era di oltre 1 Miliardo di euro. Se fossimo stati costretti a stare ai tempi dichiarati dall’AIA saremmo stati “impiccati” dalle condizioni di mercato; invece abbiamo percorso la strada della gara internazionale che ha comportato tempi più lunghi ma che per uno dei due parchi ci ha permesso a chiudere a 99 MILIONI di euro la trattativa e il contratto con un’azienda italiana.
Peraltro ci sono cose che l’AIA non ha previsto e che abbiamo invece in programma di realizzare: definizione e realizzazione di un piano di gestione interna dei rifiuti. Un piano di gestione delle acque per la produzione e un miglioramento dei processi di depurazione delle acque meteoriche e degli scarichi.
Per quanto riguarda i rapporti con la popolazione e con le associazioni ambientaliste la situazione è ancora critica. 
Permangono, in maniera certamente giustificata, timori e perplessità ma anche aspettative positive. Io penso che comunque la maggior parte della popolazione e anche una buona parte delle associazioni ambientaliste possano essere disponibili a valutare e gli sforzi e i risultati del nostro impegno. Accanto a loro vi sono posizioni intransigenti, sostenute da alcune associazioni ambientaliste, da parte della magistratura tarantina, e degli strati benestanti della popolazione che vogliono la chiusura dello stabilimento. Credo che nel complesso queste posizioni siano minoritarie a Taranto.
Io penso che la chiusura non solo produrrebbe una crisi sociale enorme e la fine della città di Taranto, ma temo che comporterebbe anche il rischio di vedere annullata qualsiasi possibilità di bonifica ambientale di questo territorio.
Quindi tra 30 mesi possiamo aspettarci una nuova ILVA risanata e all’avanguardia nella produzione dell’acciaio pulito? Su cosa si regge questa vostra convinzione?

Questa è la nostra volontà e anche la condizione per la continuazione del nostro impegno. Qualora ci rendessimo conto che le condizioni non lo permettono lasceremmo il campo. Non siamo interessati a soluzioni diverse da questa.
Il piano industriale che dovrebbe essere messo a punto nel prossimo mese prevede un salto tecnologico anche rispetto alle soluzioni e alle condizioni di Duisburg. Noi stiamo studiando e sperimentando soluzioni tecnologiche che attraverso l’utilizzo del ferro preridotto, utilizzando gas e non più carbone per produrre acciaio, garantiscono performance ambientali non solo migliori rispetto alle prescrizioni dell’AIA ma anche rispetto a quanto avviene attualmente negli stabilimenti di produzione di acciaio “pulito” d’Europa e degli Stati Uniti. Solo per darti qualche idea, rispetto allo scenario AIA, avremmo una riduzione di C02 del 63%, un azzeramento delle polveri delle cokerie e delle diossine, non utilizzando il carbone, e una riduzione superiore all’80% degli ossidi di zolfo e di azoto. Considerando una produzione dello stabilimento di Taranto di 8 milioni di tonnellate.  Questa soluzione dell’utilizzo del preridotto che già stiamo cominciando a sperimentare rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione tecnologica per l’acciaio italiano. Renderebbe lo stabilimento di Taranto il primo in Europa ad adottare questa soluzione e abbandonare l’uso del carbone.
(vedi tabella e articolo Sole 24 ore)  In ogni caso da questa strada di risanamento e innovazione non si torna indietro e lo stabilimento che noi vogliamo consegnare alla nuova gestione tra 30 mesi non sarà sicuramente nemmeno paragonabile a quello che è stato l’Ilva di Taranto fino ad oggi.

Ma sul piano economico è competitiva questa transizione?

Innanzitutto va detto che questa transizione comporta un investimento complessivo di 3 miliardi: 1,8 per le misure ambientali e 1,2 per l’innovazione tecnologica. Lo stabilimento di Taranto realizzerebbe margine interessante sulla base di una produzione di almeno 8 milioni di tonnellate e un prezzo del gas inferiore a quello attualmente praticato in Italia ma in linea con quello che si potrebbe acquistare direttamente in diverse zone del mondo, compreso il Nord Africa.
Il mercato dell’acciaio inoltre, e nonostante la crisi degli ultimi anni, sarà ancora per lungo tempo redditizio.
Le condizioni per il raggiungimento dell’equilibrio economico ci possono essere.

C’è però il problema di come trovare i soldi per sostenere i 3 miliardi di investimento, considerando, tra l’altro, che il 23 dicembre la cassazione ha annullato il sequestro cautelativo degli 8,1 miliardi di beni della famiglia Riva. Come pensate di fare?

Il piano del commissario prevede di poter finanziare la riconversione in parte attraverso le leve del credito Il Inoltre, per un’altra parte, di arrivare fino a 3 miliardi attraverso una aumento di capitale. Tuttalpiù una parte del capitale sotto sequestro cautelativo (attualmente ammonta a 1,9 miliardi posto sotto sequestro dal tribunale di Milano) potrebbe essere utilizzato in una fase successiva e semmai costituire una garanzia per ottenere ulteriori prestiti bancari.

Chi potrebbe sottoscrivere questo aumento di capitale?

Il progetto industriale che verrà presentato è un vero piano industriale in grado di accrescere il dell’azienda. In diversi potrebbero essere interessati : fondi di investimento, gruppi bancari ; non escluderei neanche l’intervento della famiglia Riva.
Ci sono anche posizioni che esprimono perplessità sulla possibilità effettiva di ottenere i risultati che prospettate, in particolare il presidente di Federacciai Antonio Gozzi non ritiene il piano credibile…
Posso capire che ci siano opinioni contrastanti rispetto alle nostre ma mi sembra che anche rispetto al mondo industriale italiano questa posizione scettica sia minoritaria. L’industria italiana ha bisogno di acciaio prodotto in Italia a un prezzo in linea con il mercato, noi stiamo lavorando per questo. Se ci riescono in Germania e in Austria non c’è ragione perché questo non possa essere fatto anche da noi.

Qualcuno parla di esproprio e di una ri-statalizzazione dell’industria.

Come ti ho detto non c’è nessun esproprio, il piano industriale e finanziario prevede che la proprietà dell’acciaieria rimanga privata. Certo oggi non possiamo dire se rimarrà della famiglia Riva, ma questo dipenderà da altre dinamiche di mercato  L’intervento dello Stato attraverso il commissariamento è transitorio e serve a risolvere una grave crisi ambientale mantenendo efficiente e competitiva la produzione con gli investimenti necessari.
Considerando l’intera storia dell’acciaieria di Taranto, e per quanto tu la conosca, come pensi che debbano essere divise le responsabilità di quello che è avvenuto?

Mi sembra una discorso piuttosto complesso, lungo e difficile: la questione viene da molto lontano, riguarda la nostra cultura industriale, il ruolo deficitario della politica, la debolezza complessiva del nostro sistema economico privato.
Sicuramente vi è stata una carenza prolungata dell’azione di indirizzo e di controllo da parte dell’insieme delle istituzioni e certamente la gestione dello stabilimento è stata particolarmente carente. Al di là delle lacune, l’inquinamento dell’aria e dell’ambiente urbano che sono il risultato di di gestioni inadeguate. Io ho posso fare degli esempi di trascuratezze evidenti : ad esempio i cumuli di pneumatici usati o quello delle traversine ferroviarie abbandonati nello stabilimento. Non si tratta delle cose più importanti ma sono comunque significative di una cattiva gestione.
Ma non c’è un “peccato originale” alla base di tutto e cioè che quell’impianto non sarebbe dovuto nascere?
Forse sì, da quel poco che so a Taranto prima del siderurgico c’era un tessuto economico basato su agricoltura e pesca che è stato completamente dissestato ma è anche vero che l’industria italiana per crescere aveva bisogno di acciaio e che serviva un porto importante e Taranto era in una posizione geografica adatta. Poi, francamente, non so fino a che punto sia utile fare questo ragionamento, io sono, sia per il ruolo che ho accettato di ricoprire, sia per natura personale, più attento a quello che si può fare in futuro . Allora riguardo al futuro e al presente, considerando il fatto che la situazione ambientale è tornata nei limiti di legge attraverso una drastica riduzione della produzione, c’è chi ritiene che Taranto non possa reggere un impianto che torni a produrre oltre 8 milioni di tonnellate di acciaio. A Duisburg, in tre diversi impianti , si arriva a produrre 17 milioni di tonnellate : le acciaierie sono grandi impianti, la loro sostenibilità dipende dalle tecnologie che si utilizzano e dalla capacità di innovazione tecnologica delle aziende. Attualmente ci sono nel mondo tecnologie per la produzione di acciaio pulito utilizzate in Europa Occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone e credo che anche in Cina vi siano impianti sperimentali che si muovono ormai nella giusta direzione.
D’altra parte non è possibile pensare a piccole acciaierie che stiano sul mercato. Per produrre acciaio ed essere competitivi sul mercato è fondamentale poter contare su economie di scala. L’unica strada per la sostenibilità è quindi quella della continua ricerca e innovazione tecnologica….

Fonte: ecodallecittà

Inquinamento: a Taranto una coppia su quattro è sterile

In un convegno organizzato dagli Ordini dei medici e degli odontoiatri di Taranto e Brindisi è emerso come il 26% delle donne dell’area adiacente all’Ilva sia in menopausa precoceilva-586x390-2

È allarme sterilità a Taranto. I dati sull’aumento dell’infertilità è un’altra delle molte eredità che l’inquinamento prodotto dall’Ilva ha lasciato alla città pugliese. L’ennesimo allarme sui rischi per la salute connessi all’attività dello stabilimento Ilva di Taranto arriva da un convegno che è stato organizzato dagli Ordini dei medici e degli odontoiatri di Taranto e Brindisi. Oltre al dato sull’infertilità di coppia è emerso come il 26% delle donne sia in menopausa precoce.

In uno studio che abbiamo presentato l’anno scorso al congresso della Società europea di embriologia abbiamo evidenziato nelle donne, e in particolare nelle cellule della granulosa che sostengono l’ovulo nella crescita e lo portano nella maturità, delle alterazioni nella catena di espressione dei recettori per gli estrogeni, sostanze che sostengono la crescita follicolare e la maturazione ovocitaria,

ha dichiarato la ginecologa Raffaella Depalo, dell’Unità di Fisiopatologia Riproduzione Umana del Policlinico di Bari, che ha suggerito come la gravità della situazione renda necessaria l’istituzione di un osservatorio epidemiologico. Secondo le ricerche, anche con il blocco totale delle attività dell’Ilva a partire da oggi, i tarantini continueranno a pagare le conseguenze sanitarie almeno per le prossime tre generazioni. Secondo Agostino Di Ciaula, presidente della sezione pugliese dell’Associazione internazionale Medici per l’ambiente,

è urgente chiudere i rubinetti dell’inquinamento prima di pensare a qualsiasi altra cosa.

Fonte:  La Gazzetta del Mezzogiorno

 

Ilva e salute, a Taranto 9mila malati di cancro

Sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali. È quanto riferisce l’associazione ambientalista PeaceLink. Nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’Ilva, secondo l’associazione l’incidenza dei malati di tumore si attesta su un cittadino ogni 18.2taranto__ilva

Sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali

Torniamo a parlare di Ilva. L’associazione ambientalista PeaceLink ha infatti diramato un dato molto importante (diffuso già dalla Asl) sui cittadini di Taranto: sono 8.916 i tarantini che hanno l’esenzione dal ticket per malattie tumorali. Nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’Ilva (Tamburi, Paolo VI, Città vecchia e parte del Borgo), secondo PeaceLink l’incidenza dei malati di tumore si attesta su un cittadino ogni 18. Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione, precisa in una nota: “sono 4.328 malati su 78mila abitanti. Questo significa che se venti persone si riuniscono in una stanza nel quartiere Tamburi almeno una ha un tumore”. Nel resto della città, c’è “un malato di cancro ogni 26. Infatti nel distretto sanitario 4 che comprende il resto della città, vi sono 4.588 malati di tumore su 120mila abitanti. Questa è la situazione attuale”.  “In questo dato”, aggiunge Marescotti, “non si possono calcolare tutti coloro che potrebbero avere un tumore latente o non diagnosticato. Il sindaco di Taranto, che è un medico avrebbe potuto compiere questa ricerca. Perché non lo ha fatto?”. Peacelink si rivolge infine, con un appello, all’Ordine dei medici: “perché venga compiuto un opportuno approfondimento su questi dati in modo da individuare le categorie di persone più esposte. È venuto il momento di avere dati istantanei su tutte le malattie gravi, le diagnosi e i ricoveri. Disporre di un dato istantaneo e conoscerne la sua evoluzione temporale è un primo passo per compiere ulteriori indagini più affinate da un punto di vista epidemiologico”. Intervistato su questo dal Corriere.it, Carlo La Vecchia responsabile del dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Mario Negri e docente dell’Università degli Studi di Milano, ha affermato: “Dipende tutto da come viene effettuato il calcolo. Che in Italia una persona su 20 abbia, o abbia avuto un tumore, mi sembra un dato abbastanza ragionevole. I tumori nuovi in Italia sono nell’ordine di 350-400 mila ogni anno, e la sopravvivenza ormai è superiore al 50%. La prima variabile di cui tener conto è quella dell’età, dove la popolazione è più anziana, come per esempio in Liguria, si ha un tasso di prevalenza maggiore”. “Quella di Taranto”, continua La Vecchia, “è una prevalenza (dato relativo a chi ha o ha avuto un tumore, ndr.) intorno al 25%, e probabilmente è analoga anche altrove: in Italia sarebbe intorno ai 3 milioni di persone. Il problema dell’Ilva resta comunque quello che i tumori attuali non possono essere attribuiti alle esposizioni attuali. Sia che siano associati alle esposizioni ambientali sia che non lo siano, quei valori vanno riferiti al passato. Sempre con due cautele da far presente: l’età e l’eventuale indice di deprivazione”.

Fonte: il cambiamento

Il codice di esenzione 048 per contare i malati di cancro a Taranto, Brindisi e La Spezia

048 il codice di esenzione per i malati di cancro è stato usato dalle associazioni ambientaliste per contare i malati di tumore a Taranto. Questo sistema ora viene adottato anche in altre realtà inquinate150411789-594x350

Contare i malati di cancro per stabilire un nesso con le patologia causata dall’inquinamento ambientale. Ne scrivevo qualche giorno fa a proposito di Plan Cancer 3 lo studio francese che conta i malati di cancro come patologia professionale (amianto, interferenti endocrini, particolato ecc.). In Italia uno studio simile è forse S.E.N.T.I.E.R.I ma smentito proprio dal Governo. Ebbene a Taranto hanno trovato un sistema, semplice e empirico, ossia contare quante esenzioni ci sono per la patologia in questione, ovvero il cancro. Infatti il nostro SSN riconosce agli ammalati di cancro una speciale esenzione dai ticket sanitari identificata con il numero 048, che però prevede che duri 5 anni e che sia applicato anche a chi è guarito, in via di guarigione o si è appena ammalato. A Taranto ad esempio ci sono 8.916 codici 048 ovvero 1 ammalato di cancro ogni 18 abitanti e al quartiere Tamburi Paolo VI, Citta’ Vecchia e parte del Borgo, distretto sanitario 3, ossia proprio a ridosso dell’Ilva i codici 048 sembrano essersi concentrati essendocene 4328 per 78 mila abitanti. A Brindisi dove c’è la centrale termoelettrica Federico II considerata una delle 191 aziende più inquinanti in Europa hanno pure conteggiato i codici 048 scoprendo che nel 1998 erano 4.601, nel 1999 sono saluti a 4.994, nel 2000 ancora sono aumentati a 5.347 e nel 2006 erano 9.167 fino ai 10.025 del 2008 anno in cui risulta l’ultimo aggiornamento. Non va meglio a La Spezia dove c’è la centrale elettrica a carbone Enel E.Montale e i codici 048 qui sono stati contati dai medici. Spiega Marco Rivieri, presidente AIMPA-ISDE sezione della Spezia:

vi informiamo che a Spezia provincia contiamo, nel 2011, 12288 esenzioni per neoplasie (una ogni 17.8 abitanti) e che nel’area del Golfo (comune capoluogo, Lerici e Portovenere) tale rapporto raggiunge il ben più grave record rispetto ai quartieri peggiori di Taranto di 1 caso ogni 16.2 abitanti. Nel terzo distretto, Riviera-Val di Vara, il rapporto è 1 ogni 19.1 abitanti; nel secondo, Sarzana e limitrofi, 1 ogni 18.9 a dimostrazione ancora del peso dovuto ai vari fattori incidenti: urbanizzazione, trasporti, CTE, porto. Questo per chi ancora punta il dito sugli stili di vita individuali o si permette di dire “a Taranto evidentemente ci sono più fumatori”.

A differenza del Registro tumori che invece registra i nuovi ammalati con i codice 048 si ha l’esatto numero degli ammalati di cancro in vita che devono seguire cure o controlli. Per Alessandro Marescotti che con PeaceLink ha individuato questo sistema di conteggio si è alla stima per difetto. In verità a Taranto, come rileva il puntuale inchiostro verde, sanno molto bene come stanno le cose almeno nel triennio 2006-2007-2008. In effetti il codice 048 però non dice esattamente le persone di quale tipo di tumore si sono ammalate, come nota Gianmario Leone :

Vuoi perché nell’elenco degli esenti del ticket “048” rientrano anche i pazienti a cui è stata diagnosticata una presenza di carcinoma (non dal medico di base, ma dopo accurata visita medica e specialistica, il tutto poi passa dal distretto sanitario che ha l’ultima parola) oltre che coloro i quali hanno superato, per il momento, la battaglia con il “male”.Qui si è unicamente contestata la metodologia che ha seguito l’associazione Peacelink nel diffondere quel dato: secondo il nostro modesto parere, sarebbe stato meglio contattare prima la ASL, fosse anche soltanto per ottenere delucidazioni in merito e fornire un’informazione più completa ai mass media ed alla cittadinanza. Le cause ambientali restano sottostimate per le patologie tumorali; i casi di tumore sono in ascesa e i numeri lo confermano, da qualunque parte siano letti. Resta evidente che è necessario iniziare a fare qualcosa.

Fonte:  PeaceLink, Città della Spezia, Inchiostro verde

 

Taranto, blackout alla raffineria Eni: fuoriuscita di liquido grigiastro in mare e fumo nell’aria

La Capitaneria di Porto rassicura: “È tutto sotto controllo”.Le-fiamme-e-il-fumo-a-Eni-di-Taranto-620x350

Nella raffineria Eni di Taranto c’è stato, nel pomeriggio di lunedì 8 luglio, un blackout, probabilmente dovuto a un fulmine caduto durante un violento nubifragio. Ci sono state fiamme e molto fumo nero nell’aria (come è possibile vedere dalle foto pubblicate su Twitter da alcuni tarantini). Qualcuno ha addirittura pensato che la nuvola scura provenisse dall’Ilva, invece si trattava della raffineria Eni. Secondo quanto riferito poco dopo l’incidente dal presidente di Peacelink Taranto Alessandro Marescotti, l’aria era diventata irrespirabile vicino alla raffineria, dove si trovavano alcune imbarcazioni, e nel quartiere Tamburi e ciò che ha destato più preoccupazione è il fatto che i tubi, andati in pressione durante il blackout, hanno liberato del liquido grigiastro in acqua. Si è formata una chiazza estesa circa 80 metri lineari e larga 10 metri spinetta sotto la costa dal moto ondoso che ha così contenuto il materiale evitando che si disperdesse al largo. Per questo la Capitaniera di Porto ha fatto sapere che la situazione è sotto controllo, che non c’è il rischio che il liquido, un prodotto idrocarburico molto leggero, si disperda in mare. Gli esperti dell’Arpa analizzeranno il materiale per capire meglio di che cosa si tratta. Appena si è diffusa la notizia e prima delle rassicurazioni della Capitaneria di Porto, Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi, ha manifestato l’intenzione di presentare una denuncia in procura a Taranto perché le centraline perimetrali di monitoraggio previste dall’Aia non sarebbero attive.
La preoccupazione degli ambientalisti è giustificata dal fatto che il liquido fuoriuscito è sembrato materiale di raffinazione misto a petrolio, poi definito un prodotto idrocarburico molto leggero dalla Capitaneria di Porto. I risultati delle analisi condotte dall’Arpa dovrebbero chiarirne l’entità.

Fonte: ecoblog

Taranto, laboratorio per l’educazione ambientale: «Blumilla» in 30 scuole per la sostenibilità

Attivo il Laboratorio jonico per l’educazione ambientale della Provincia di Taranto. In 30 scuole di Martina, Maruggio e Taranto arriva «Blumilla», la regina blu, un personaggio fiabesco che racconta la storia di una piccola goccia d’acqua. Lo spettacolo è stato presentato nelle scuole elementari che hanno aderito al progetto della Rete Infea della Regione Puglia374937

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 14 maggio 2013 – Mariastella Biagiolini

E’ uno dei «capitoli» del progetto di educazione ambientale per raccontare e informare di gestione dei rifiuti, biodiversità, aree protette e della risorsa acqua. Promotori dell’iniziativa, i nodi «lnfea» (Informazione ed educazione ambientale) del territorio, ovvero il «Laboratorio per l’educazione ambientale della Provincia di Taranto», il Cea «Janet Ross» del Comune di Statte, il Cea del Comune di Manduria e il Cea Uniba del Comune di Taranto. Obiettivo del progetto è il radicamento di comportamenti virtuosi attraverso la trasformazione di gesti volontari e ragionati in attività consuetudinarie e automatiche. Ma dal mondo dei giovani e giovanissimi arrivano segnali di vivacità e di incoraggiamento. «Su questi temi – spiegano infatti i referenti del progetto – i bambini non solo dimostrano grande attenzione ma sono anche in grado di insegnare. Attraverso loro, ci si rende conto che l’esposizione di concetti astratti rischia di non generare il cambiamento, mentre ogni teoria va resa un’applicazione pratica. Lo dimostra il grado di coscienza che i ragazzi hanno maturato anche sulle vicende ambientali tarantine. In questo scambio continuo tra educatori e alunni il progetto dei nodi Infea si appresta a vivere altri momenti di confronto. Ora quindi, dopo le visite in gravina e in masseria, le escursioni in aree protette e la visita ad aziende agricole all’avanguardia nel settore delle bio-energie, il progetto prosegue in questi giorni con gli esperimenti sull’acqua per apprendere l’uso responsabile di tale preziosa risorsa. Il tutto attraverso lo strumento della narrazione fiabesca e l’utilizzo di Blumilla, la regina blu, personaggio ideato e impersonato da Giuliana Satta.

«Una goccia d’acqua persa in un bicchiere ripercorre le innumerevoli vite alla ricerca del senso del suo esistere e continuo divenire. Insieme ai bambini entra nel fantastico mondo dell’Oro Blu’, giocando a “Nasconfaldolino”, cantando “plic ploc pluc e scrosh”, sognando il Principe Rugiadoso e ridendo al telefono con la cugina Gocciomilla, raccontando della presenza dell’acqua in tutte le religioni, la pericolosità della mancanza di igiene, del saltare la colazione e molto altro».

http://www.reteinfea.ta.it/index.php

Fonte: eco dalle città

Taranto, Peacelink fa il punto su benzo(a)pirene, diossine, composizione chimica del Pm10

«Ilva acquistando del carbon coke evita di produrlo abbattendo drasticamente le emissioni di benzo(a)pirene». Eppure spiega Peacelink «la composizione chimica delle polveri sottili tarantine (PM10) rimane più tossica che in altre città». Sulle diossine: «Perchè non parte il campionamento continuo pur previsto dalla legge regionale»374748

Il punto di Peacelink, sulla produzione di benzo(a)pirene, sulla composizione chimica delle polveri sottili (pm10) e sulle diossine misurate dai deposimetri Arpa Puglia. Articolo di Alessandro Marescotti del 2 maggio 2013 http://www.tarantosociale.org

Benzo(a)pirene e carbon coke
«Ci risulta che almeno 11 navi piene di carbon coke sono attraccate a Taranto nel 2013 e hanno rifornito l’Ilva. Questo l’elenco.
– Ince Inebolu (22 mila tonnellate di carbon coke),
– Astoria (30 mila tonnellate)
– Pedhoulas Leader, (43 mila tonnellate)
– Nikos N, (30 mila tonnellate)
– Dorado, (32 mila tonnellate)
– BCC Danube, (8 mila tonnellate)
– Assos Striker, (25 mila tonnellate)
– Anatoli, (27 mila tonnellate)
– Antonis Pappadakis, (41 mila tonnellate)
– Ocean Voyager, (22 mila tonnellate)
– Redondo, (43 mila tonnellate)
Il tutto per un totale di oltre 320 mila tonnellate di carbon coke. Acquistando del carbon coke l’azienda evita di produrlo abbattendo drasticamente le emissioni della cokeria. Questo significa che le emissioni del benzo(a)pirene (la maggior parte delle quali frutto della cottura del carbon coke nella cokeria) sono destinate a calare drasticamente nel quartiere Tamburi di Taranto. Ma l’inquinamento complessivo continua a rimanere preoccupante per via della composizione chimica (più tossica che in altre città) delle polveri sottili (PM10) che continuano ad essere inalate dagli abitanti del quartiere Tamburi e anche nei quartieri più distanti di Taranto».
Diossine misurate dai deposimetri Arpa Puglia
Sul tablet vengono mostrati i dati dei deposimetri Arpa Puglia. E’ evidente come nel tempo le diossine misurate nei deposimetri del quartiere Tamburi continuano a evidenziare picchi. I deposimetri sono una “sentinella continua” che evidenzia criticità non risolte. Intanto non decolla il “campionamento continuo della diossina pur previsto dalla legge regionale (art.3) e dalla stessa AIA. Come mai?
I Cinque elementi di conoscenza
1) Per i lavori prescritti dall’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) l’Ilva ha fermato le batterie più inquinanti della sua cokeria. Le batterie fermate sono anche le più vicine al fronte urbano. Rimangono in funzione solo quelle più lontane dalle case. Per poter ovviare alla mancata produzione della propria produzione di carbon coke negli ultimi mesi sono arrivate almeno 11 navi per rifornire l’Ilva di carbon coke.
2) E’ ragionevole pensare che – per la prima volta a Taranto – possa essere registrato nel quartiere Tamburi (il più vicino all’Ilva) un calo drastico del benzo(a)pirene, il che confermerebbe il nesso che lega le emissioni della cokeria alla presenza di benzo(a)pirene nell’aria che si respira in quel quartiere, storicamente considerato il simbolo dell’inquinamento di Taranto. Siamo in attesa pertanto dei dati dell’Arpa sul benzo(a)pirene per verificare se al fermo delle batterie più inquinanti corrisponde un calo significativo del benzo(a)pirene nel quartiere Tamburi, il che sarebbe un importante elemento ai fini delle indagini della Procura.
3) L’alleggerimento dell’inquinamento è tuttavia transitorio. Non è il risultato “miracoloso” dell’AIA ma deriva semplicemente del fermo tecnico delle batterie più vicine e più inquinanti. Quando la produzione ritornerà come prima, l’inquinamento tornerà verosimilmente a salire.

4) L’aria del quartiere Tamburi tuttavia rimane non salubre. Lo dimostriamo con i dati del PM10 (polveri sottili) della centralina dell’Arpa di via Machiavelli nel quartiere Tamburi. Tali dati sono stati moltiplicati per il “coefficiente di tossicità” di quelle polveri sottili, pari a 2,226. Grazie a questo calcolo possiamo dichiarare che chi vive nel quartiere Tamburi è ancora a rischio, nonostante il calo della concentrazione del PM10. Ad esempio 32 microgrammi di PM10 nel quartiere Tamburi di Taranto hanno effetti sanitari, in termini di mortalità, equivalenti a 70 microgrammi di PM10 a Milano, a Torino o a Bologna. Ma mentre a Milano, Torino o Bologna il valore di 70 segnerebbe uno sforamento del limite di legge, a Taranto il valore di 32 risulta “a norma”, pur rappresentando lo stesso pericolo in termini di mortalità. Ciò è causato dalla composizione chimica delle polveri ddi Taranto, come affermato dall’Istituto Superiore della Sanità. Nel file allegato vi sono ulteriori elementi di documentazione di tale affermazione.
5) PeaceLink chiede al Centro Ambiente e Salute di Taranto (in cui confluiscono le competenze di Asl e Arpa) di fornire i dati della mortalità e dei ricoveri mese per mese, suddivisi per quartiere, età, sesso, causa e professione. Ad oggi invece i morti vengono resi noti solo dopo tre anni mentre i ricoveri non vengono comunicati al pubblico, evidentemente per una scelta politica: quella di non allarmare la popolazione. E soprattutto ciò non viene fatto, evidentemente, per non indagare sul nesso fra danni alla salute e inquinamento. A tal fine nel file allegato riportiamo importanti informazioni che dimostrano come è possibile studiare il nesso fra ricoveri ed emissioni di un’acciaieria nell’Utah (Stati Uniti).
http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/38339.html

Fonte: eco dalle città

Concerto del 1 maggio a Taranto tra ambiente, salute avvelenata e diritto al lavoro

Il concerto del 1° maggio a Taranto, il contro concerto potremmo definirlo, in una città martire per l’inquinamento, diritto alla salute negato e lavoro che sa più di ricatto che non di diritto.

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Si tiene a Taranto “l’altro concerto” del 1° maggio, quello per il diritto al lavoro e contro il ricatto lavoro a cui hanno già detto di sì artisti come Fiorella Mannoia, Francesco Baccini e Luca Barbarossa. Questi i nomi più di spicco, ma vi prenderanno parte anche artisti locali o emergenti di alto spessore come Bonomo, Pierpaolo Capovilla, Chitarre e Tammorre, Diodato, Elio Germano e le Bestie Rare, Fido Guido, Lady Coco, Leitmotiv, Luminal, Nadàr Solo, Officina Zoè, Orchestra Popolare Ionica, Michele Riondino & the Revolving Bridge, Andrea Rivera, Sciamano & Mosca 58, Riccardo Sinigallia, Daniele Sepe, Tarentum Clan, The Niro, Giovanni Truppi. Il concerto di Taranto è organizzato dal Comitato spontaneo e apartitico Lavoratori Liberi e Pensanti e nasce come risposta al concertone di Roma, di Piazza san Giovanni Maggiore, quello istituzionale e organizzato dalla triade sindacale CGIL-CISL-UIL. In un certo senso a Taranto la città martire dell’Ilva si torna con questo concerto alle origini del significato del 1° maggio. E infatti gli organizzatori spiegano il perché sia stata scelta la città pugliese:

Vogliamo dare un segnale forte: ripartire da qui per ribaltare le sorti di un sistema che continua a stuprare il territorio disseminando veleni che provocano danni irreversibili alla salute ed all’ambiente, facendo leva sul ricatto occupazionale. Taranto vanta, suo malgrado, circa il 40% di disoccupati, precarietà diffusa, devastazione sociale, gli effetti di una colonizzazione industriale e militare. Svilupperemo la tematica attraverso musica, dibattiti, laboratori e giochi per bambini, proiezioni, installazioni, autoproduzioni artigianali e altro.

Il concertone autorganizzato si terrà al Parco Archeologico di Solito – Corvisea area verde della città ma sconosciuta ai cittadini. Vi prenderanno parte Associazione a Sud, Associazione Economia per i Cittadini, Blocchi Precari Metropolitani, Centro Art Village, Collettivo Exit, Comitato Pugliese per Acqua Bene Comune, Laboratorio Omar Moheissi Arci di Guagnano e Villa Baldassarri, Le Sciaje, No al Carbone, No Triv, Taranto Supporters. Ovviamente l’accesso al concertone è gratuito ma il Comitato anche se sta lavorando con le sole proprie forze chiede eventualmente una mano anche sotto forma di donazione da farsi con bonifico bancario a: APS Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, IBAN: IT23C0335967684510700153304, Causale: erogazione 1 maggio.

Fonte: Comunicato stampa

Ilva, a Taranto il piombo è nel sangue dei bambini

Da recenti analisi effettuate su alcuni bambini che vivono a ridosso della vasta area industriale di Taranto, che comprende anche l’ILVA, sono state riscontrate preoccupanti concentrazioni di piombo nel sangue. I cittadini chiedono di conoscere le emissioni di piombo provenienti dall’ILVA e una valutazione del danno sanitario.

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Da recenti analisi effettuate su alcuni bambini che vivono nei pressi della vasta area industriale di Taranto, che comprende anche l’ILVA, sono state riscontrate elevate concentrazioni di piombo nel sangue, tali da suscitare la preoccupazione dei pediatri dell’Associazione Culturale Pediatri Puglia e Basilicata (ACP). Le analisi del sangue dei bambini sono state commissionate e finanziate dalle Associazioni “Fondo Antidiossina Taranto” e PeaceLink, al fine di raccogliere indizi su un’eventuale esposizione al piombo dei bambini che vivono a ridosso dell’area industriale tarantina. I pediatri dell’ACP hanno valutato la piombemia (indicatore di esposizione al piombo) di nove bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni, tutti residenti nel Comune di Statte – cittadina di 14.000 abitanti che confina direttamente con la vasta zona che comprende l’ILVA. Lo hanno reso noto, questa settimana, la stessa ACP, attraverso due portavoce, la dott.ssa Annamaria Moschetti (Responsabile della sezione “Ambiente e Salute Infantile” dell’ACP) e il dott. Piero Minardi (Pediatra di famiglia del Comune di Statte (Taranto). “I bambini – spiegano i pediatri – avevano valori che andavano tra 22 e i 36 microgrammi/dl di piombo nel sangue. È la prima volta che viene effettuato un simile controllo sul sangue dei bambini residenti vicino all’area industriale di Taranto”. Questi valori destano forte preoccupazione nei medici, perché il piombo è tra i metalli che hanno gli effetti più negativi sulla salute umana. Il piombo è un metallo tossico che può danneggiare seriamente il cervello e il sistema nervoso (specialmente nei bambini) e causare malattie renali e del sangue. Inoltre, può provocare aborti spontanei ed entrare nel feto attraverso la placenta della madre, causando seri danni al cervello e al sistema nervoso del nascituro. Nei bambini, in modo particolare, può lesionare le capacità cognitive e di apprendimento e causare seri disturbi comportamentali, quali aggressività e iperattività. La piombemia valutata dall’ACP ha confermato che i bambini di Statte sono stati certamente esposti di recente alla sostanza tossica, ma non indica un’eventuale presenza o accumulo di piombo all’interno dei tessuti. Si tratta di un campanello d’allarme che non va sottovalutato, infatti i pediatri sottolineano il fatto che “pur trattandosi di un campione non significativo della popolazione generale e di numerosità ridotta, e pur non potendo, pertanto, generalizzare i dati all’intera popolazione infantile stattese e tarantina, non ci si può esimere dal fare le seguenti considerazioni”:

1) “tali valori non possono che destare preoccupazione per la possibile esposizione di questi bambini a fonti di piombo presenti nell’ambiente, che necessitano – con la massima premura – di essere individuate ed eliminate, secondo quanto indicato dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC) nel 2012” (l’organismo di controllo sulla sanità pubblica USA, che ha il compito di monitorare, prevenire e suggerire gli interventi più appropriati in caso di epidemia e contagio, n.d.a.);

2) ”poiché la piombemia è un affidabile indicatore di esposizione e potrebbe indicare un’esposizione molto recente (nelle settimane precedenti), come affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i bambini potrebbero essere esposti attualmente ad una sorgente agente nel territorio”;

3) “a fronte del fatto che non esistono valori sicuri di piombemia per l’infanzia e che qualunque livello è associato a possibili esiti neuropsichici, non si può non osservare come tali valori siano di livello tale da destare preoccupazione e da richiedere interventi urgenti a tutela della salute infantile ed uno screening sulla popolazione infantile in generale”.

Per tutti questi motivi, le Associazioni “Fondo Antidiossina Taranto” e Peacelink hanno raccolto l’appello dell’ACP e hanno scritto al Garante dell’AIA-ILVA (Autorizzazione Integrata Ambientale), Vitaliano Esposito, una lettera nella quale “chiedono di conoscere quali siano le emissioni di piombo provenienti dagli impianti dell’Ilva di Taranto, misurate dalle autorità di controllo competenti, e se sia stata effettuata una valutazione dell’eventuale impatto sanitario di tali emissioni” nell’ambiente. Nel frattempo, la cittadinanza tarantina si è mobilitata ancora una volta. Dopo l’imponente manifestazione di domenica scorsa a Taranto, una delegazione di associazioni è giunta a Roma, due giorni fa, per manifestare davanti a Montecitorio. Tra loro c’era anche Paola D’Andria, presidente dell’AIL (Associazione Italiana Lotta alle Leucemie) di Taranto e conosciuta come “la donna-metallo”, perché è una dei cittadini ai quali è stato riscontrato il più alto quantitativo di piombo nell’organismo. Le elevate concentrazioni di piombo nel sangue dei bambini di Statte, quindi, sono un’ulteriore conferma della presenza eccessiva di piombo a Taranto, soprattutto nel quartiere Tamburi e nelle zone adiacenti all’ILVA. Eppure, di fronte a questo disastro ambientale e sanitario, la Corte Costituzionale ha appena dichiarato inammissibili e infondati i ricorsi contro la Legge 231/2012 o Salva-ILVA proposti dalla magistratura tarantina. Il GIP di Taranto, Patrizia Todisco, aveva riscontrato ben 17 vizi di costituzionalità, ma per la Consulta il Decreto Salva-ILVA è “costituzionale”. Di fatto, la Corte Costituzionale ha sancito che il diritto alla salute passa in secondo piano rispetto al diritto al lavoro, trasformando il provvedimento amministrativo AIA in una Legge dello Stato e autorizzando la fabbrica dei Riva a continuare a produrre, inquinare (nonché a vendere 1.700.000 tonnellate di acciaio sequestrate lo scorso anno). Ma le analisi sui bambini di Statte confermano la gravità della situazione e la necessità di abrogare la legge 231/2012 (meglio nota come “Salva-Ilva”), perché, come hanno ribadito ancora una volta i cittadini di Taranto a Montecitorio, “La nostra vita ha un valore inestimabile”.

Fonte: il cambiamento