Cellulari: le regole per non andare…a farci friggere!

Nel 2014 in Italia sono stati venduti 25 milioni di device mobili tra smartphone, tablet e cellulari tradizionali. Nel 2013 il 97% degli over 16 aveva un telefonino. E la maggior parte ci sta attaccata giorno e notte. Con effetti per la salute che possono essere devastanti.elettrosmog_danni

Marìca Spagnesi collabora anche con il blog llht.org 

Interessante a questo proposito la lettura del libro “Toglietevelo dalla testa” di Riccardo Staglianò, che fornisce elementi di seria riflessioni su tutto quanto non viene detto ai consumatori riguardo i potenziali effetti deleteri dei device mobili soprattutto i telefoni cellulari e tutto ciò che è wi-fi. Ecco alcune regole che sarebbe utile rispettare per evitare danni anche gravi alla salute, soprattutto sui bambini.

– I bambini dovrebbero usare i cellulari solo per le emergenze. Meglio gli sms.

– La distanza è vostra amica: auricolare (con il filo) vivavoce o sms ogni volta che è possibile.

– Poche barre, molte radiazioni. Non chiamate quando c’è poco segnale.

– Quando siete in movimento (treno, auto) il cellulare fatica ed emette più radiazioni.

– Quando il telefono prova a connettersi emette più radiazioni: tenetelo lontano dalla testa quando dall’altra parte non vi rispondono.

– Evitate di tenerlo a contatto con il corpo. Niente tasche dei pantaloni nè taschini della camicia.

– Accorciate le chiamate. Se proprio non potete, alternate orecchio.

– Ogni volta che potete potete passare alla linea fissa, fatelo.

– Non vi addormentate con il cellulare acceso sul cuscino o troppo vicino. Tantomeno lasciatelo fare ai vostri figli.

– I telefoni non emettono tutti lo stesso livello di radiazioni. Anche se è un indicatore imperfetto, scegliete il modello con minore Sar (tasso di assorbimento specifico).

A leggere con attenzione questi suggerimenti si ha come la sensazione di aver sempre saputo che è così. Eppure pochissimi di noi mettono in pratica questi accorgimenti. Forse perchè usiamo i cellulari da anni, forse perchè il telefonino ormai lo hanno tutti e ci ripetiamo che non può essere così dannoso, forse perchè è ormai diventato qualcosa che fatichiamo a pensare come potenzialmente pericoloso. Fa troppo parte della nostra vita per convincerci davvero che fa male, è troppo indispensabile per rinunciare ad usarlo, forse perchè, ci diciamo, se facesse davvero così male si saprebbe! Le aziende produttrici di telefonini sono obbligate a scrivere nei libretti di istruzioni alcune delle avvertenze riportate sopra ma pochissimi di noi le leggono o danno alla cosa l’attenzione che meriterebbero. In alcuni paesi esistono precise disposizioni sanitarie al riguardo che sconsigliano l’uso ai bambini e raccomandano distanze di sicurezza per tutti. Eppure pochi le rispettano. Come mai? Se, da una parte, esistono studi e ricerche in grado di dimostrare il rischio di esporsi alle radiazioni emesse dai telefonini, dall’altra le multinazionali non fanno che lavorare indefessamente promuovendo e pagando fior di studiosi, esperti e scienziati che raccolgano prove ed evidenze con l’obiettivo di confutare quei dati. L’obiettivo è abbassare il livello di attenzione della gente, far passare sotto silenzio le ormai decine di casi di persone che si sono ammalate di cancro a causa dell’uso eccessivo del cellulare e che lottano per vedere riconosciuti i propri diritti. I media restano in silenzio mentre notizie come queste dovrebbero risaltare sulle prime pagine di tutti i giornali. Proprio per questo il libro di Riccardo Staglianò è una preziosissima risorsa  che racconta in modo dettagliatissimo storie, fatti e testimonianze raccolte in giro per il mondo: il racconto delle prime vittime è fondamentale e illuminante per capire le dinamiche e gli interessi che sono dietro all’atteggiamento delle multinazionali che continuano a sostenere che non vi siano prove davvero conclusive e certe. Il cellulare potrebbe essere destinato a diventare in un futuro, neanche troppo lontano, un caso simile a quelli che hanno riguardato le sigarette o l’amianto: storie di interessi, insabbiamenti e silenzi nella quasi totale indifferenza generale. Salvo poi, a distanza di decenni, ritrovarsi a fare il conto dei danni sulla nostra pelle.

Fonte: ilcambiamento.it

Rifiuti tecnologici: la denuncia Onu sull’e-waste nelle nazioni povere

Ogni anno 50 milioni di rifiuti tecnologici prendono la via dei Paesi in via di sviluppo. Ora l’Onu ha deciso di contrastare il fenomeno108037900-586x390

Milioni e milioni di telefoni cellulari, computer portatili, tablet, giocattoli, fotocamere digitali e dispositivi digitali che anche questo Natale saranno le strenne più desiderate da grandi e piccini, diventeranno fra uno, due, cinque, dieci anni rifiuti tecnologici destinati ai Paesi poveri. È una denuncia senza mezzi termini quella che arriva dall’Onu. Il volume globale dei rifiuti elettronici è destinato a crescere del 33% nei prossimi quattro anni: nel 2017 sarà pari a otto piramidi grandi come quelle di Giza e le Nazioni Unite hanno deciso di muoversi per affrontare questo problema in costante crescita. L’anno scorso quasi 50 milioni di tonnellate di di e-waste sono state generate in tutto il mondo, con una media di 7 chilogrammi per ogni persona sul pianeta. I rifiuti tecnologici sono estremamente pericolosi perché contengono piombo, mercurio, cadmio, arsenico e ritardanti di fiamma. Un vecchio monitor, per esempio, può contenere fino a 3 kg di piombo. I danni per l’ambiente sono elevatissimi. Una volta in discarica i materiali tossici fuoriescono nell’ambiente contaminando la terra, l’acqua e anche l’aria e chi smonta questi materiali lo fa senza protezioni ed è esposto alle malattie. L’Interpol ha stimato che un container su tre di quelli diretti verso i Paesi in via di sviluppo, contiene rifiuti tecnologici. La durata degli elettrodomestici si accorcia sempre di più e fra i consumatori è una gara per acciuffare gli ultimi modelli. La nazione che accumula il maggior numero di rifiuti è la Cina con 11,1 milioni di tonnellate, seguita da Stati Uniti con 10 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda, invece, i rifiuti pro-capite l’impatto maggiore è quello degli statunitensi che buttano 29 chili e mezzo di rifiuti tecnologici all’anno, contro i 5 kg dei cinesi. Esportare merci di scarto all’estero è legale se possono essere riutilizzati o rigenerati. Se non è così, i carghi che partono per Asia e Africa sono solamente un pretesto per smaltire i rifiuti illegalmente, con una filosofia neo-liberista che vede i Paesi cosiddetti “sviluppati” sfruttare i paesi poveri due volte: prima con la sottrazione delle risorse, dopo con lo smaltimento degli scarti prodotti dal proprio benessere.

Fonte:  The Guardian

Fotovoltaico: la rivoluzione del design che parte dall’Austria


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La rivoluzione coloristica del fotovoltaico parte dall’Austria. Solar Design è il progetto europeo gestito dal Politecnico di Vienna che ambisce a integrare le industrie creative nel processo di ricerca per creare un legame più stretto fra lo sviluppo di tecnologia, design e architettura.

Stop al monopolio estetico dei pannelli solidi di silicio, color blu scintillante, con le celle caratterizzate da linee bianche e parallele. Nei prossimi tre anni il progetto Solar Design, finanziato dall’Unione Europea per un totale di 2,7 milioni di euro, cercherà di ampliare la gamma delle scelte estetiche del fotovoltaico. E di rivoluzionare l’aspetto dei tetti dei cittadini green.

L’obiettivo è anche quello di creare prodotti specifici, come cover in grado di caricare i tablet, radio solari, lampioni che si caricano di giorno rimanendo accesi di notte e sensori solari in grado di rilevare incendi boschivi. Il progetto prevede, inoltre, l’ideazione di celle solari flessibili e pieghevoli, da poter installare sulle pareti curve degli edifici e da utilizzare nel settore tessile. Dalle case agli accessori, Solar Design ambisce a una rivoluzione globale.

La società austriaca Sunplugged, con sede a Wildermieming (Innsbruck), avrà un ruolo chiave nello sviluppo del progetto. Secondo quanto riferito dal Politecnico di Vienna, l’azienda produrrà strati sottili di celle solari, in forma di lunghi rotoli, che potranno essere modellati a piacere, in modo analogo ai tessuti durante la manifattura dei vestiti. Gli istituti di ricerca e i partner aziendali coinvolti nel progetto saranno in totale undici. Oltre al Politecnico di Vienna e Sunplugged, un altro partner austriaco è la start-up RHP Technology con sede a Seibersdorf, nella Bassa Austria. Per l’Italia, parteciperanno l’Accademia Europea di Bolzano (EURAC) e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Gli altri partner del progetto provengono da Danimarca, Spagna, Germania e Francia, come ad esempio, lo studio di design danese Faktor 3 o lo studio di architettura spagnolo Studio Itinerante Arquitectura (SIARQ).

Fonte: ecoblog