Terra, un pianeta a un passo dal punto di non ritorno

Una ricerca pubblicata su Science fa il punto della situazione su quattro aspetti cruciali per la vita sulla Terra.

La Terra è al punto di non ritorno o, meglio, sta per arrivarci o ci è già arrivata in quattro aspetti, oggetto di un monitoraggio di medio-lungo termine, considerati fondamentali per lo “sviluppo delle società umane”.

Sei anni fa, nel 2009, alcuni ricercatori si erano interrogati, sulle pagine di Nature, sui limiti planetari della Terra, per capire sino a che punto l’umanità si fosse spinta nel rischiare un’irreversibile alterazione dei propri equilibri. A sei anni di distanza, gli stessi ricercatori hanno pubblicato, sulle pagine di Science, uno studio che verrà presentato nell’imminente Forum economico mondiale che si svolgerà a Davos dal 21 al 24 gennaio. I ricercatori hanno identificato quattro limiti già superati o in via di superamento.

Cambiamenti climatici

Sul fronte climatico gli autori stimano che la concentrazione di diossido di carbonio (CO2) non debba passare un valore compreso fra le 350 parti per milione e le 450 parti per milione. Attualmente ci si trova a una media di 400 parti per milione ovverosia a metà del range limite fissato dagli studiosi che aggiungono anche come in alcune regioni i limiti di sostenibilità siano, in realtà, più bassi, come dimostrano “le canicole e le siccità in Australia”.

Erosione della biodiversità

Perché l’erosione della biodiversità fosse sostenibile occorrerebbe che si perdessero specie a un ritmo di 10 su un milione per ogni anno, ma, attualmente, il tasso d’erosione è largamente superato e viaggia a un ritmo dalle 10 alle 100 volte superiore. E ovviamente ogni scomparsa scatena un effetto domino su specie contigue, con un esito imprevedibile.

Cambiamento d’uso dei suoli

Il terzo fattore è il cambiamento di utilizzo dei suoli: per i cercatori bisognerebbe conservare il 75% delle coperture forestali nelle zone storicamente forestali: ma in alcune regioni si è pericolosamente scesi al 60%. Il cattivo esempio è il Brasile, mentre l’Africa Equatoriale e l’Asia meridionale nonostante disboscamenti su larga scala sono ancora al di sopra della soglia-limite.

Flusso del fosforo

La caccia ai terreni agricoli – uno dei moventi della deforestazione – provoca una perturbazione dei cicli dell’azoto e del fosforo che sono necessari alla fertilità dei suoli agriucoli. Queste perturbazioni sono principalmente causate dall’utilizzo eccessivo di fertilizzanti e dalla cattiva gestione delle deiezioni animali.

Uno dei cambiamenti più consistenti dalla pubblicazione del 2009 concerne la revisione dei limiti planetari legati al flusso del fosforo,

spiega Philippe Hinsinger.

Qualche buona notizia c’è: secondo le stime su scala globale, infatti, l’utilizzo di acqua dolce, l’integrità del buco d’ozono e l’acidificazione degli oceani sono, per il momento, in un margine di sicurezza. Ma molto resta da fare e la priorità è cercare di non superare i limiti di sicurezza fissati nel 2009.earth_2779014b

© Foto Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Aree agricole, nel mondo l’84% è a rischio

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“Circa 2 miliardi di ettari delle terre emerse sono interessati a diversi livelli da processi di degrado, compromettendo l’84% delle aree agricole a livello mondiale e coinvolgendo circa un quarto della popolazione del globo”. Lo rende noto Maria Luigia Giannossi, ricercatrice dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Cnr, basandosi su nuovi studi che saranno illustrati a Pisa dal 16 al 18 settembre durante la manifestazione Geoitalia 2013 organizzata dalla Federazione italiana di scienze della terra. In Italia il fenomeno della cosiddetta ‘land degradation’ colpisce in maniera significativa le regioni meridionali e insulari: Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia. Qui, oltre allo stress di natura climatica, “la pressione spesso non sostenibile delle attività umane sull’ambiente sta determinando una riduzione della produttività biologica ed agricola ed una progressiva perdita di biodiversità degli ecosistemi naturali”. Spiega sempre Giannossi in una nota. ”Anche le regioni del centro nord, in particolare Toscana, Emilia Romagna e la Pianura Padana in generale – aggiunge Giannossi – manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica e sono sempre più vulnerabili all’irregolarità delle precipitazioni, alla siccità ed all’inaridimento”. “Nell’ambito di vari studi promossi dall’IMAA CNR sono stati realizzati 3 progetti di cui uno in corso – ha dichiarato Giannossi – tutti indirizzati a studi integrati per il monitoraggio del fenomeno della land degradation nelle regioni meridionali in particolar modo in Basilicata e per il sostegno alle metodiche di salvaguardia delle risorse naturali (suoli e acque). Dai risultati osservabili risulta che la Basilicata è particolarmente interessata dal rischio land degradation. I rapporti disponibili sono consultabili sul sito mildmap-media.basilicatanet.it Tra i processi di degrado a cui è soggetta la Basilicata, sono stati studiati in dettaglio il fenomeno dell’erosione del suolo con sviluppo delle tipiche forme morfologiche: i calanchi; nonché il fenomeno di degrado di origine chimica: la salinizzazione (oggetto del progetto PRO_Land “Studio dei processi di land degradation a supporto delle attività di prevenzione e gestione degli impatti indotti sull’ambiente”, finanziato dal Programma Operativo FESR Basilicata 2007-2013, tuttora in atto). Questi fenomeni sono stati studiati con tecniche integrate in situ e di remote sensing al suolo e da satellite per quantificare la gravità e l’impatto dei fenomeni di land degradation. I punti di innovazione del progetto sono da ricercarsi nella valutazione di tutte le geomatrici ambientali colpite dal fenomeno, nell’utilizzo di tecniche integrate e nella valorizzazione delle competenze degli stakeholder locali per la mappatura del degrado del territorio e per la valutazione de corretta gestione sostenibile del territorio”. La necessità di fermare o prevenire i processi di degrado ha sollecitato la comunità scientifica internazionale a fornire strumenti interpretativi dei fenomeni di degrado, per comprenderne meglio i fattori predisponenti e le loro mutue interazioni e supportare, infine, i decisori nella scelta delle più adeguate soluzioni di mitigazione e/o recupero”. “L’elaborazione di mappe, oltre ad essere uno strumento di collaborazione scientifica tra i paesi affetti nelle regioni del nord mediterraneo – ha concluso Giannossi – è dunque diventato parte integrante delle politiche ambientali adottate dai diversi paesi. Il degrado delle terre e dei suoli agricoli dipende da fattori climatici e di origine antropica – soprattutto per quanto riguarda i paesi industrializzati – come una gestione impropria del territorio, e ha implicazioni dirette e indirette perché mette a rischio la sicurezza alimentare e il cambiamento climatico ma anche, conclude Giannossi, ”le guerre legate allo sfruttamento delle risorse naturali e la conseguente presenza di ecorifugiati”. Si tratta quindi di una tra le maggiori emergenze sociali e ambientali del nostro tempo, per questo ora anche la comunità scientifica sta riconoscendo questa emergenza, munendosi di strumenti per il monitoraggio del degrado e consumo di suolo agricolo.

Fonti: IMAA Cnr