Dal Piemonte a Riace, un forno solidale per “impastare umanità”

In Piemonte la Comunità Laudato Sì ha dato vita a un forno solidale e collettivo che vuole portare la lunga tradizione dei grani antichi e della lievitazione naturale sulle tavole delle famiglie bisognose. Il progetto si chiama “Impastiamo umanità” e si fonda su una rete di persone che insieme collabora superando il concetto di “assistenzialismo”. L’idea è piaciuta così tanto che è stata esportata anche a Riace, dove presto nascerà il “forno dei popoli”. A Stupinigi tutte le domeniche mattina i volontari e i cittadini si incontrano, lavorano, infornano e distribuiscono il pane ancora caldo, per donarlo alle persone bisognose. Nell’ultimo anno e mezzo hanno rimesso in funzione l’antico forno del paese rimasto inattivo dagli anni ’50, restituendogli una nuova vocazione non solo ecologica ma anche ambientale e sociale. Insieme producono un centinaio di pagnotte con ingredienti di alta qualità, a lievitazione lenta e realizzate con pasta madre attraverso un processo collettivo e condiviso per” impastare” insieme un’umanità dove le diversità sono gli ingredienti che rendono unica questa ricetta. L’esperienza del forno collettivo e solidale è nata un anno e mezzo fa per aiutare il territorio da sempre considerato “fragile” per via dell’alto tasso di povertà delle famiglie che qui vivono. Si pensi che dall’inizio della pandemia sono aumentate vertiginosamente le persone che hanno richiesto assistenza alimentare.

In Piemonte la Comunità Laudato Sì ha dato vita a un forno solidale e collettivo che vuole portare la lunga tradizione dei grani antichi e della lievitazione naturale sulle tavole delle famiglie bisognose. Il progetto si chiama “Impastiamo umanità” e si fonda su una rete di persone che insieme collabora superando il concetto di “assistenzialismo”. L’idea è piaciuta così tanto che è stata esportata anche a Riace, dove presto nascerà il “forno dei popoli”. A Stupinigi tutte le domeniche mattina i volontari e i cittadini si incontrano, lavorano, infornano e distribuiscono il pane ancora caldo, per donarlo alle persone bisognose. Nell’ultimo anno e mezzo hanno rimesso in funzione l’antico forno del paese rimasto inattivo dagli anni ’50, restituendogli una nuova vocazione non solo ecologica ma anche ambientale e sociale. Insieme producono un centinaio di pagnotte con ingredienti di alta qualità, a lievitazione lenta e realizzate con pasta madre attraverso un processo collettivo e condiviso per” impastare” insieme un’umanità dove le diversità sono gli ingredienti che rendono unica questa ricetta. L’esperienza del forno collettivo e solidale è nata un anno e mezzo fa per aiutare il territorio da sempre considerato “fragile” per via dell’alto tasso di povertà delle famiglie che qui vivono. Si pensi che dall’inizio della pandemia sono aumentate vertiginosamente le persone che hanno richiesto assistenza alimentare.

Come ci raccontano Francesca Miola e Alessandro Azzolina della Comunità Laudato si’ di Stupinigi, «in questo periodo ci stiamo mettendo in contatto con le famiglie bisognose e la semplice azione di offrire il pane diventa “una scusa” per incontrarsi, conoscersi, raccontarsi e cercare di capire se ci sono altre esigenze all’interno di una determinata famiglia». Superando la logica dell’“assistenzialismo” a favore dell’inclusione, il cambiamento sta già avvenendo. «Alcune di queste famiglie vengono ad aiutarci e a loro volta si attivano per dare una mano». E questa è la vera missione: ridurre l’emarginazione sociale e far sentire le persone non un peso, bensì una risorsa fondamentale. Al forno la “domenica tipo” inizia la mattina molto presto: il gruppo lavora in squadre e la prima, quella più mattiniera, si occupa di accendere il forno a legna; successivamente la seconda, dopo che il pane è lievitato tutta la notte, impasta e inforna, per poi passare il testimone alla terza squadra che impacchetta il pane e lo distribuisce alle varie famiglie. Non manca poi un momento condiviso a fine giornata in cui i volontari si confrontano sul lavoro fatto in preparazione alla settimana successiva.

Come ci raccontano Francesca Miola e Alessandro Azzolina della Comunità Laudato si’ di Stupinigi, «in questo periodo ci stiamo mettendo in contatto con le famiglie bisognose e la semplice azione di offrire il pane diventa “una scusa” per incontrarsi, conoscersi, raccontarsi e cercare di capire se ci sono altre esigenze all’interno di una determinata famiglia». Superando la logica dell’“assistenzialismo” a favore dell’inclusione, il cambiamento sta già avvenendo. «Alcune di queste famiglie vengono ad aiutarci e a loro volta si attivano per dare una mano». E questa è la vera missione: ridurre l’emarginazione sociale e far sentire le persone non un peso, bensì una risorsa fondamentale. Al forno la “domenica tipo” inizia la mattina molto presto: il gruppo lavora in squadre e la prima, quella più mattiniera, si occupa di accendere il forno a legna; successivamente la seconda, dopo che il pane è lievitato tutta la notte, impasta e inforna, per poi passare il testimone alla terza squadra che impacchetta il pane e lo distribuisce alle varie famiglie. Non manca poi un momento condiviso a fine giornata in cui i volontari si confrontano sul lavoro fatto in preparazione alla settimana successiva.

L’iniziativa nasce grazie alla collaborazione con la Cooperativa Panacea, il patrocinio dell’assessora all’agricoltura e all’ambiente della Città di NichelinoValentina Cera, e al prezioso lavoro dei volontari che hanno preso a cuore il progetto. «Per noi la panificazione ha due significati importanti: uno è di sostegno, finalizzato a dare un piccolo contributo, seppur simbolico, all’economia di una famiglia. L’altro consiste nel fare educazione alimentare, trasmettendo alle persone l’importanza di alimentarsi correttamente. Ciò vale soprattutto per coloro che hanno problemi economici e che spesso, per risparmiare, hanno bisogno di rivolgersi ai discount dove in molti casi i prodotti non sono di qualità».

Uno degli aspetti più interessanti del forno solidale è la sua capacità di essere replicabile ovunque. Proprio per questo la Comunità Laudato Si’ è in contatto con realtà di altre regioni interessate al progetto. Una di queste è la comunità di Riace, piccolo comune dell’entroterra calabro conosciuta ai molti per essere diventata un caso virtuoso sul tema dell’accoglienza grazie al sindaco Mimmo Lucano e alla sua capacità di aver trasformato, negli anni passati, un luogo a rischio spopolamento in un esempio di riattivazione territoriale e di creazione di un nuovo tessuto economico locale.

L’iniziativa nasce grazie alla collaborazione con la Cooperativa Panacea, il patrocinio dell’assessora all’agricoltura e all’ambiente della Città di NichelinoValentina Cera, e al prezioso lavoro dei volontari che hanno preso a cuore il progetto. «Per noi la panificazione ha due significati importanti: uno è di sostegno, finalizzato a dare un piccolo contributo, seppur simbolico, all’economia di una famiglia. L’altro consiste nel fare educazione alimentare, trasmettendo alle persone l’importanza di alimentarsi correttamente. Ciò vale soprattutto per coloro che hanno problemi economici e che spesso, per risparmiare, hanno bisogno di rivolgersi ai discount dove in molti casi i prodotti non sono di qualità».

Uno degli aspetti più interessanti del forno solidale è la sua capacità di essere replicabile ovunque. Proprio per questo la Comunità Laudato Si’ è in contatto con realtà di altre regioni interessate al progetto. Una di queste è la comunità di Riace, piccolo comune dell’entroterra calabro conosciuta ai molti per essere diventata un caso virtuoso sul tema dell’accoglienza grazie al sindaco Mimmo Lucano e alla sua capacità di aver trasformato, negli anni passati, un luogo a rischio spopolamento in un esempio di riattivazione territoriale e di creazione di un nuovo tessuto economico locale.

Un incontro con Mimmo Lucano

Come ci raccontano Francesca e Alessandro, «siamo attualmente in contatto con l’ex sindaco Mimmo Lucano, che abbiamo avuto modo di conoscere durante un’esperienza a Riace e che ha molto apprezzato il nostro progetto». L’idea è quella di realizzare un vero e proprio “forno dei popoli” dove, attraverso la panificazione collettiva, le famiglie multiculturali racconteranno i loro territori di provenienza.

«Il bello del nostro gruppo è vedere che è composto da persone che prima non si conoscevano e nel tempo la comunità è cresciuta, portando automaticamente un impatto positivo sul territorio. E proprio in questo modo sconfiggiamo emarginazione e solitudine». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/piemonte-riace-forno-solidale-impastare-umanita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Dal grano al pane, nasce Panacea Social Farm

Panacea social farm è un’impresa sociale cooperativa che sta muovendo i primi passi, “costola” del progetto Panacea, primo forno a lievitazione naturale di Torino, avviato e portato avanti negli ultimi due anni da Articolo 4, Società Cooperativa Sociale di tipo B, impegnata nella promozione del diritto al lavoro e della sostenibilità alimentare.9440-10178

«La sfida che sta alla base di Panacea social farm è quella di ridurre il gap tra città e campagna fornendo una visione inedita della città di Torino e ricostruendo, sulle macerie dell’era industriale, una nuova visione culturale che concili e rinsaldi il legame tra area urbana e aree rurali» spiega Chiara Vesce, che fa parte del gruppo promotore.

«Attraverso la promozione di nuove fertili relazioni tra insediamento umano e ambiente, Panacea social farm promuove la cultura agricola e alimentare, elementi fondanti intorno ai quali ricostruire un rapporto di scambio solidale fra città e campagna. Crediamo, infatti che il settore agricolo non produca solo merci per il mercato ma utilità collettiva, fruibilità del territorio e che, se trasformato e innovato in senso ecologico, preservi le risorse paesaggistiche per le future generazioni».

Il Sistema di relazioni e la filiere del grano di Stupinigi

«La social farm nasce nel virtuoso contesto relazionale della già esistente Filiera del grano di Stupinigi, l’idea che muove la costituzione di un nuovo soggetto giuridico è quella di estendere l’attività di Panacea oltre la semplice trasformazione, verso la coltivazione diretta di grani antichi e di cereali a basso tenore glutinico o privi di glutine. Nata nel 2014, la Filiera del grano vede la collaborazione di sei aziende agricole del Parco Naturale di Stupinigi, l’Ente Parco, Coldiretti Torino, il Mulino Roccati, il Consorzio Agrario di Piobesi e il forno a lievitazione naturale Panacea. La social farm rappresenta, dunque, un ulteriore anello di sviluppo del progetto di filiera volto a garantire la produzione di valore sociale diffuso, oltre che la generazione d’impatto positivo per il territorio».

«Il nuovo progetto agricolo si basa sull’esperienza maturata in questi anni – prosegue Chiara – e s’inserisce nel processo di filiera assorbendo il segmento di produzione e commercializzazione di pane a lievitazione naturale, allargando allo stesso tempo il bacino della produzione cerealicola della filiera attraverso la semina e la riproduzione di varietà antiche di frumento tenero. Negli ultimi due anni Panacea ha studiato e sperimentato un metodo di produzione ispirato ai disciplinari del primo Novecento che non contempla l’uso di prodotti chimici e rispetta il ciclo naturale della lievitazione con pasta madre viva. L’esperienza acquisita in questi anni ci ha spinto in direzioni sempre più sperimentali a testare la lievitazione naturale con diverse farine e misture, in particolare nel tentativo di verificare la capacità di lievitazione con metodi naturali delle farine a basso tenore glutinico. Questa attenzione ci ha condotti infine alla convinzione che le varietà antiche di frumento tenero oltre ad avere proprietà nutritive decisamente più alte delle farine ottenute dalla macinazione dei grani moderni, permettono di ottenere un prodotto di qualità superiore e meno impattante dal punto di vista ambientale, capace allo stesso tempo di soddisfare il gusto di tutti. Grazie all’approccio collaborativo tra i diversi attori della Filiera siamo riusciti quest’anno a fare un passo oltre la semplice sperimentazione e a seminare 5 ettari di antichi grani. In questo processo Panacea si è posta come promotore di una diversa modalità di coltivazione mettendosi in gioco con la social farm anche sul piano agricolo dimostrando di voler correre il rischio, insieme agli altri agricoltori, di promuovere un approccio innovativo all’agricoltura, consapevole e rispettoso dell’ambiente e del territorio. L’interesse della cooperativa agricola è d’instaurare con gli altri produttori partnership strategiche in un ottica di condivisione di know-how ed expertise che portino a tutti gli attori e al territorio un ritorno positivo. Il processo di filiera, infatti, comporta per gli attori che ne fanno parte vantaggi a più livelli: oltre a garantire la correttezza di ogni passaggio, agevola le attività attraverso azioni di marketing specifiche, azioni di coinvolgimento diretto dei clienti e delle comunità territoriali e partnership che permettono di valorizzare a tutto tondo il territorio e i suoi prodotti».

La rete di Partner di Panacea social farm comprende:

-6 aziende agricole del Parco Naturale di Stupinigi

-Il Mulino Roccati

-Il Consorzio Agrario di Piobesi

-L’Associazione di categoria Coldiretti Torino

-L’Associazione territoriale Stupinigi è

-AIAB in Piemonte

-L’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

-Il Collettivo LieviTO

-Ortja piattaforma per il crowdfunding nel settore agrifood

Lo scopo sociale e gli obiettivi di breve termine

«Quando abbiamo iniziato a pensare Panacea – aggiunge Chiara – l’obiettivo che ci siamo posti era quello di portare sulle tavole torinesi un pane di alta qualità, a km 0, dal prezzo accessibile e con un valore sociale aggiunto: quello di creare occupazione per soggetti in condizioni di fragilità sociale. Oggi in buona parte quest’obiettivo è stato raggiunto. In due anni di attività Panacea è arrivata a produrre circa 200 kg di pane al giorno. Il nostro pane viene distribuito in due punti vendita “Panacea”, in numerosi esercizi commerciali convenzionati oltre che nei mercati della provincia di Torino, dove la distribuzione non ci permette di portare quotidianamente i nostri prodotti. In due anni siamo riusciti ad assumere 7 lavoratori, alcuni di loro sono giovani immigrati di prima generazione a cui offriamo l’opportunità di imparare un mestiere migliorando il loro livello d’integrazione, altri sono over 50 reintegrati nel mondo del lavoro dopo un periodo di disoccupazione, altri sono persone in condizione di svantaggio fisico o sociale con difficoltà d’inserimento. Panacea si muove nello sforzo continuo di migliorare i propri prodotti e le condizioni di vita dei lavoratori».

«Il miglioramento continuo è proprio ciò che ci ha spinti ad andare oltre questi risultati e a trasformare Panacea in Panacea social farm. Gli scopi che perseguiamo attraverso il progetto agricolo sono:

-Promuovere l’agricoltura di prossimità come strategia sostenibile per nutrire la città generando nuova occupazione

-Promuovere la resilienza agricola attraverso metodi innovativi e partecipativi quali i sistemi open data

-Diffondere la cultura dell’alimentazione sana e sostenibile valorizzando il patrimonio agricolo e il paesaggio rurale.

Per rendere possibile tutto ciò abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding  sulla piattaforma Ortja, un progetto anch’esso in fase di start up che promuove l’innovazione tecnologica in agricoltura».

«Il primo obiettivo è di raccogliere 2.500 euro per sostenere le spese della prima semina di Panacea social farm. I fondi raccolti copriranno le spese di affitto e lavorazione dei terreni; se dovessimo, come speriamo, superare quest’obiettivo useremo l’esubero per allargare la produzione del prossimo anno. Verna, Gentil rosso, Gamba di ferro, Autonomia, Terminillo, Mentana, Apulia, sono le sette varietà di antichi grani che abbiamo scelto di seminare. Dei cinque ettari complessivamente seminati dalla Filiera del grano di Stupinigi, Panacea social farm raccoglierà 1, 5 ettari (3 giornate piemontesi). Oggi i grani antichi rappresentano il 20 % delle coltivazioni della Filiera, l’obiettivo è d’incrementare questa percentuale sostituendo progressivamente alle varietà moderne della rivoluzione verde, più produttive ma che allo stesso tempo richiedono un intervento maggiore, un’agricoltura meno invasiva senza fertilizzanti, erbicidi o antiparassitari capace di restituire un prodotto più sano e più ricco sotto il profilo nutrizionale. Oltre a seminare in purezza, seguendo gli studi genetici condotti da Salvatore Ceccarelli, stiamo portando avanti la sperimentazione su alcuni miscugli di grani con l’obiettivo di creare popolazioni di frumento in grado di adattarsi al nostro terreno e al nostro clima. I miscugli, infatti, sono dotati di intrinseca biodiversità che facilita l’adattamento, incrementa la resistenza ai patogeni e, nel rispetto dei tempi naturali, aumenta la resa senza forzare il terreno. Seminiamo antichi grani, coltiviamo biodiversità. Produciamo lavoro e preserviamo il territorio.; attraverso la lievitazione naturale trasformiamo i grani in pane e se il nostro pane è buono è perché buon grano fa buon pane».

Fonte: ilcambiamento.it