Attenzione rallentare: qui i bambini giocano ancora per la strada!

Gli stimoli per una riflessione si possono trovare ovunque, anche in un cartello stradale. È quanto mi è accaduto durante una passeggiata, così è nato questo articolo che vuole essere unicamente un invito a far trascorrere ai nostri bimbi più tempo all’aria aperta, per favorirne una crescita più equilibrata. Durante una passeggiata sulle colline di Borgosesia, cittadina di circa 12.000 abitanti alle porte della Valsesia, mi sono imbattuta in uno straordinario cartello recante la seguente scritta: “Attenzione – Rallentare. In questo paese i bambini giocano ancora per la strada.” Sono i residenti della Frazione Pianaccia che invitano a prestare attenzione alle esigenze dei più piccoli e ai loro diritti. Stimolata anche dall’immagine gioiosa di bimbi all’aria aperta riportata dal cartello, la mia mente in un attimo ha ritrovato istanti felici di molti anni fa, quando correre sui prati o giocare per la strada rientrava nella quotidianità, quando solo il cattivo tempo era nemico dell’attività ludica all’aria aperta. Fa sorridere ripensare alle mamme che, puntualmente alle 16,30, ci chiamavano per la merenda e non ricevendo attenzione, rassegnate, ci trascinavano a lavarci le mani tentando di ingolosirci con il miraggio della merenda preferita. Ed era una fetta di torta o un panino imbottito che in pochi minuti sparivano per lasciare nuovamente il posto al pallone, o alla corda per saltare, o a vari giochi di abilità. Parecchi erano i compagni di gioco che formavano quell’allegra brigata, a volte resa ancor più schiamazzante dalla presenza di amici a quattro zampe.

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Ho definito “straordinario” questo cartello perché non è facile incontrarne di simili, e perché è un richiamo a una norma che dovrebbe essere prioritaria in una società attenta al proprio futuro: la formazione equilibrata di bimbi che saranno gli uomini e le donne di domani. Con l’avvento di una tecnologia orientata più al business che non alle effettive esigenze dell’essere umano, anche i bambini sono stati coinvolti in realtà troppo spesso virtuali e prive di fantasia e rapporti umani. È sempre più frequente infatti vedere ragazzini e adolescenti persi nei propri tablet o smartphone, piuttosto che in chiacchiere e risate con i coetanei. Con questo non intendo demonizzare la tecnologia che si rivela preziosa in molte altre situazioni, ma evidenziare come una vita sempre più frenetica non ci consente di trascorrere il giusto tempo con i nostri figli, trascurando così aspetti fondamentali della loro educazione. Troppo spesso questi dispositivi elettronici diventano il surrogato dei genitori, togliendo ai più piccoli la capacità di sviluppare la fantasia e facendo loro perdere importanti esperienze della vita.

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Le conseguenze sono preoccupanti: uno psicologo americano, il Dott. Peter Gray, autore di un saggio intitolato “Lasciateli giocare”, ha infatti dimostrato, in uno studio condotto tra il 1985 e il 2008, che le nuove generazioni, avvezze all’uso di internet e con più amici virtuali che non reali,  hanno perso l’85% della creatività rispetto a quelle precedenti. Trascorrere troppo tempo davanti a uno schermo può avere effetti deleteri anche sulla saluta fisica, esponendo i ragazzi a un maggior rischio, in età adulta, di sviluppare malattie cardiovascolari e obesità.

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È attraverso il gioco che il bambino impara e diventa consapevole del mondo che lo circonda e le sue attività ludiche si modificano e crescono di pari passo al suo sviluppo psicologico e intellettivo. Grazie al gioco il bambino sviluppa le proprie potenzialità, impara e sperimenta la creatività e le proprie capacità cognitive fino a strutturare l’intera personalità. Dovrebbe essere spronato a giocare all’aria aperta, a stretto contatto con la natura, in giardino, in un parco o in un bosco per imparare a  conoscere e a rispettare il mondo vegetale e animale e perché vivere all’aperto fa bene anche alla salute, contribuisce a sviluppare il sistema immunitario, fornisce al bambino vitamina D utile per le ossa e migliora il tono dell’umore. Si tratta forse di una mia elucubrazione, che vuole essere scevra da giudizi, ma facendo un parallelismo tra il comportamento degli odierni genitori rispetto a quelli di qualche decennio fa, si notano inoltre atteggiamenti maggiormente protettivi, ovviamente giustificati da aumentati pericoli, ma anche la propensione a indirizzare i figli verso sport organizzati e orientati alla competizione, piuttosto che lasciarli giocare liberamente dando loro la possibilità di esprimere i propri naturali talenti.

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Friedrich Schiller, noto poeta e filosofo tedesco, ci ha lasciato questa indicazione: «Bisognerà quindi educare l’uomo al sentimento della bellezza facendo rivivere in lui l’antico ideale pedagogico greco del bello e del buono. Il gioco è un’attività ineliminabile nella natura umana che non persegue alcun fine esterno a se stessa, né esso è ispirato da un preciso scopo razionale, ma è un atto dove sensibilità e razionalità convivono nell’azione ludica rendendo l’uomo libero. In questa armonia di forma e materia si realizza la bellezza e l’essenza umana per cui l’uomo è completamente uomo solo quando gioca».

Occorre trovare il giusto compromesso, evitare la sovraesposizione ai dispositivi elettronici senza criminalizzare la tecnologia, evitando magari di utilizzare lo smartphone durante i pasti e non usufruirne per ipnotizzare i figli davanti a un cartone animato. Sarebbe auspicabile per questi dispositivi un uso intelligente e non un abuso, limitando il tempo dedicato alla tecnologia a favore di attività fisica all’aria aperta, evitando così anche l’insorgere di possibili problematiche comportamentali, incentivando altresì la creazione di spazi e infrastrutture che soddisfino le esigenze ludiche e di socializzazione dei bambini.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/attenzione-rallentare-qui-bambini-giocano-ancora-strada/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Raccolgono e differenziano i rifiuti abbandonati in strada: l’esempio di due giovani a Moncalieri

In città, lungo le sponde dei fiumi, in riva ai laghi: sono sempre più numerose le esperienze che arrivano dal basso e che vedono protagonisti i cittadini per ripulire e dare dignità ai luoghi in cui viviamo. Ogni giorno veniamo a conoscenza delle bellissime storie di coloro che si rimboccano le maniche per dare il proprio contributo al nostro pianeta. Non gesti simbolici ma azioni concrete e mirate per restituire agli spazi la loro bellezza. Oggi vi raccontiamo la storia di Elisabetta Reyneri e Matteo Pignata, giovani torinesi che proprio in questi giorni sono scesi in strada per ripulire e differenziare un tratto di viale Europa a Moncalieri. Elisabetta Reyneri e Matteo Pignata sono due giovani ed intraprendenti ragazzi che vivono nella provincia torinese e che, stanchi di essere testimoni dei continui rifiuti abbandonati lungo la strada che quotidianamente percorrono, hanno deciso di armarsi di guanti, sacchi della spazzatura e tanto entusiasmo, con l’obiettivo di pulirne e differenziarne un tratto. A spingerli è la passione per la salvaguardia dell’ambiente, oltre ad una sempre maggior consapevolezza del contributo che ognuno di noi può dare. “Abbiamo parlato spesso di dare un contributo concreto e sensibilizzare chi ci sta intorno, con la speranza che molti altri si possano unire a noi in futuro. Passando parecchio tempo in macchina, ho raccontato ad Elisabetta dello stato di degrado in cui versano i margini stradali, soprattutto fuori città. – scrive Matteo in una riflessione sui social – Da questa considerazione nasce la nostra iniziativa, che si è concretizzata ieri. Ci siamo trovati a Moncalieri, lungo viale Europa, zona industriale, armati di guanti e sacchi neri. La raccolta è durata poco più di due ore, il tempo necessario per battere circa 400 metri di strada”.

Il ricco bottino che Matteo ed Elisabetta hanno raccolto sembra una lunga lista della spesa: rifiuti plastici (bottigliette, sacchetti, imballaggi, involucri di alimenti), vetro (in particolare bottiglie), allumino, carta (soprattutto pacchetti di sigarette), componenti di automobili (pneumatici, paraurti, cerchioni) e qualche rifiuto eccezionale (tubi e un pezzo di un tetto con tegole). “La situazione è decisamente peggiore di quanto potessimo aspettarci. Alla fine del nostro breve percorso abbiamo riempito 4 sacchi neri, da almeno 10 kg l’uno, di rifiuti ogni tipo che, stesi per terra in un parcheggio, coprono un’area corrispondente a due posteggi auto” aggiunge Matteo. “Alla fine abbiamo diviso il tutto per categorie omogenee e smaltito i sacchi negli appositi bidoni per la differenziata”.

Un lavoro accurato frutto di un amore per l’ambiente e per gli spazi in cui viviamo, ma che trasmette anche tanta indignazione. Dalle parole di Matteo, che condivide sui social, emergono considerazioni ragionate e consapevoli sull’emergenza rifiuti. Sono parole che invitano i cittadini ad impegnarsi in prima persona per la salvaguardia dell’ambiente nonchè riflessioni sulle ricadute che ha ogni nostra azione sull’intera comunità e sulle nostre città.

A seguito le riflessioni divise per punti:

1. “Purtroppo, la verità è che tutto quel materiale finisce lungo la strada per via dell’inciviltà della gente. Non riusciamo a darci una risposta sensata al riguardo (non ci sarà mai una logica nel lanciare fuori dal finestrino una bottiglietta d’acqua o nel depositare lungo la strada un pezzo di una tettoia!) ma probabilmente è soltanto questione di comodità e di ignoranza delle conseguenze del gesto (“Ho finito la bottiglietta, ma sì dai, la butto fuori dal finestrino, tanto è una sola” – sí, per mille persone, per mille volte);

2. Se 4 sacchi pieni di spazzatura sono il risultato del lavoro di due sole persone in due ore per 400 metri di strada, facendo due calcoli, la quantità di rifiuti sparsi sul nostro territorio risulta, purtroppo, terrificante;

3. Si può fare qualcosa? Certamente sì! L’obiettivo di questa nostra prima iniziativa era quello di verificare la situazione di persona e di sensibilizzare un po’ i nostri amici e conoscenti sul problema, per poi arrivare ad organizzare altre giornate come quelle di ieri, coinvolgendo il maggior numero di persone possibile. Chiaramente il sabato pomeriggio di divertimento è altra cosa, ci sono un sacco di attività più belle, meno faticose, in cui ci si sporca meno le mani. Ma dedicare tre ore a questa attività ha ricadute positive per tutti.

La differenza la si può fare con poco e in poco tempo, senza troppo clamore, non abbandonando rifiuti in giro e, ogni tanto, rimboccandosi le maniche raccogliendo, ad esempio, una bottiglietta da terra mentre si passeggia o si va al lavoro. Purtroppo, la strada da fare è ancora lunga (più dei soli 400 metri che abbiamo percorso che ci sono sembrati niente), ma se ognuno di noi si impegnasse anche solo nel proprio piccolo, i passi in avanti che si potrebbero fare sarebbero immensi!”

Foto copertina
Didascalia: Pulizia rifiuti in strada
Autore: Matteo Pignata
Licenza: Pagina fb Nicolò Pignata

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/raccolgono-differenziano-rifiuti-abbandonati-strada-esempio-due-giovani-moncalieri/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Il picco del trasporto merci in Europa: -20% in cinque anni

Il trasporto su strada rappresenta il 70% del totale. La riduzione su un periodo di cinque anni è indice di una crisi strutturale che non può essere risolta basandosi sulle fonti non rinnovabili.

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In 5 anni, tra il 2008 e il 2013, in Europa il trasporto delle merci su strada è diminuito ben del 20%, passando da 1,6 a 1,3 miliardi di tonnellate, ritornando ai valori del 2003-2004 (1). E’ una variazione significativa, soprattutto se si tiene conto che il trasporto su gomma rappresenta circa il 70% del trasporto totale. Anche il trasporto su ferrovia è calato del 24%. Tutti i solerti ed entusiastici propugnatori di nuove linee ferroviarie, autostrade e tunnel dovrebbero tenere bene in mente queste cifre. Gli alti prezzi del petrolio, causati dal picco della produzione di greggio convenzionale, stanno poco per volta sgonfiando la domanda di merci, il che dovrebbe essere considerato un fatto positivo da tutti coloro che si augurano una riduzione delle emissioni di CO2. Ciò che lascia piuttosto perplessi è la scarsa capacità di previsione delle analisi effettuate dagli specialisti. Secondo il Fraunhofer Institut, che ha sviluppato un complesso modello denominato ITREN-2030, rispetto al 2005 il trasporto merci su gomma dovrebbe aumentare del 20% nel 2015 e del 25% nel 2020. (2) Sono cifre che fanno a pugni con la realtà. La crisi del 2008-2009 non è stata un’influenza passeggera facilmente superabile, poichè si tratta di una crisi strutturale da cui non è possibile uscire continuando a basarsi su fonti non rinnovabili.

(1) Fonte Eurostat. Nel grafico in alto non è incluso il Regno Unito, poichè non sono disponibili i dati relativi al 2011 e 2012. In tale nazione il trasporto è comunque calato del 15% tra il 2008 e il 2010. Se si considerano le tonnellate-km. la diminuzione è minore, pari al 12%, il che significa che nel frattempo è cresciuta la distanza media dei trasporti.

(2) Si tratta dello “scenario integrato” pubblicato nel 2010, che tiene già conto della crisi 2008-2009 e degli alti prezzi del petrolio. I dati relativi al trasporto merci sono a p. 140

Fonte. Ecoblog

Fukushima, “il nucleare è una strada senza ritorno e senza uscite”

“A Fukushima tutto è inspiegabile e preoccupante, per la semplice ragione che nulla è sotto controllo, e che ormai i dati sulla contaminazione e le conseguenze sanitarie sono stati talmente falsati, nascosti, manipolati fin dall’inizio, che è veramente difficile fare bilanci e previsioni serie. Ma le conseguenze sulla salute saranno gravissime, anche se difficili da calcolare, e costantemente sdrammatizzate dalle autorità”._2fukushima

È singolare che le cronache riprendano quasi a caso, ogni tanto, le notizie allarmanti che riguardano Fukushima: ma non sorprende. La gente (e i media) ormai vogliono la spettacolarizzazione e la drammatizzazione, la follia quotidiana non fa notizia: e l’energia nucleare è una follia quotidiana, per chi voglia seguirla; e non solo a Fukushima. Così si protrae la resistibile sopravvivenza di questa dannata forma di produzione di energia (ormai il cavallo di battaglia di qualche anno fa di un “rilancio” è un po’ in disuso, et pour cause), e si protraggono tutti i problemi che essa comporta, a maggior profitto dei colossali interessi economici in gioco, e a molto minore vantaggio della sicurezza e degli interessi delle popolazioni locali e mondiale. Veniamo al dunque. A Fukushima si denunciano la fuoriuscita di acqua contaminata, l’emissione di vapore, inspiegabile. Forse la minuscola novità è che la Tepco abbia ammesso la fuoriuscita di acqua, precisando immediatamente “nulla di preoccupante”. Ma la realtà è che a Fukushima tutto è inspiegabile e preoccupante, per la semplice ragione che nulla è sotto controllo, e che ormai i dati sulla contaminazione e le conseguenze sanitarie sono stati talmente falsati, nascosti, manipolati fin dall’inizio, che è veramente difficile fare bilanci e previsioni serie. Ma le conseguenze sulla salute saranno gravissime, anche se difficili da calcolare, e costantemente sdrammatizzate dalle autorità: del resto a Chernobyl c’è ancora chi ha la faccia tosta di parlare di poche decine di vittime! Riassumiamo brevemente i fatti, che forse la maggior parte della gente ha scordato, presa giustamente da preoccupazioni quotidiane, ma anestetizzata anche dal silenzio dei media. Nei tre reattori che erano in funzione a Fukushima al momento del sisma e del successivo tsunami è avvenuto l’incidente più grave concepibile in una centrale nucleare, anzi tre: i noccioli dei tre reattori che erano in funzione sono fusi (meltdown), in misura diversa, nell’unità n. 1 sembra totalmente, e il corium (nocciolo fuso) avrebbe perforato il vessel d’acciaio e sarebbe penetrato nella base di cemento; nelle unità 2 e 3 sembra comunque in percentuale molto alta.nucleare9_

Ora, quello che accade al nocciolo fuso è di avere completamente perduto la geometria, che è la condizione essenziale per controllare la reazione a catena (con la regolazione delle barre di combustibile e del moderatore), e di essere quindi completamente fuori controllo. Il corium può cambiare di forma, ed è anche possibile che localmente si ristabiliscano condizioni di criticità con la ripresa della reazione a catena e tutte le sue conseguenze. Il problema è che nessuno è in grado di dirlo. Fuoriesce ogni tanto vapore? Inspiegabile appunto! O meglio, fin troppo spiegabile. Quanto all’acqua contaminata che fuoriesce, forse il pubblico si è scordato che, per i motivi spiegati sopra, i noccioli fusi devono essere continuamente raffreddati, perché solo nella configurazione geometrica regolare i normali circuiti di raffreddamento funzionano (e a Fukushima erano stati messi fuori servizio): e poiché i vessel sono quanto meno incrinati, l’acqua che è stata in contatto con le parti più gravemente radioattive del reattore esce contaminata. È da quel dì che infuriavano le polemiche, mai chiarite fino in fondo, sulla decontaminazione dell’acqua di raffreddamento, la sua raccolta, i serbatoi insufficienti, e via discorrendo. Ma non è finita qui. Perché spero che qualcuno ricordi che a Fukushima, oltre alla fusione dei noccioli dei reattori, è successo un incidente, anzi quattro, che nessuno si era mai aspettato: il grave danneggiamento delle piscine di disattivazione del combustibile esausto nelle unità n. 1, 2, 3, e anche n. 4, che era spenta ma la cui piscina ospitava il numero maggiore di barre di combustibile, in configurazione addensata (quindi più pericolosa). Le barre di combustibile esausto non sono come le batterie elettriche esaurite, che si possono buttare (anche se pure in questo caso ci vogliono particolari precauzioni e smaltimento, per il loro contenuto altamente inquinante: anche se tanta gente le getta direttamente nella spazzatura!). Il combustibile esausto è enormemente radioattivo, emette quantità enormi di energia, e deve essere custodito per lungo tempo immerso in piscine di disattivazione, continuamente raffreddato. Dopo di che… Dopo di che un corno! Perché non c’è soluzione. Praticamente tutto il combustibile esaurito lasciato dai reattori che hanno funzionato in questo mezzo secolo è ancora custodito in questo modo, e non si sa più letteralmente dove metterlo (ecco appunto la configurazione addensata); il tentativo di realizzare depositi geologici sicuri in cui immagazzinarlo per migliaia di anni per ora è nel libro dei sogni, poiché il progetto più importante era stato fatto a Yucca Mountain negli Usa, ma dopo un decennio di lavori è stato abbandonato perché non può fornire le garanzie richieste (un progetto è in corso in Finlandia, staremo a vedere).fukushima8_9

L’alternativa è peggiore del male, il ritrattamento, che accresce nella lavorazione la quantità di residui radioattivi e separa il plutonio, elemento che non esiste in natura ed ha un diretto interesse militare (così paesi come il Giappone e la Germania ne hanno accumulato decine di tonnellate, e potrebbero fare bombe atomiche domattina: altro che la Corea del Nord e l’Iran). Ecco perché negli Usa, dal tempo di Carter (che era un ingegnere nucleare) il ritrattamento fu abbandonato, e adottato il “monouso” (once through) del combustibile: ma con tutti i problemi di immagazzinamento. Tornando a Fukushima, i gravi danneggiamenti delle piscine di disattivazione sono stati un fatto nuovo, che ha gettato in allarme l’industria nucleare in tutto il mondo (anche se fa finta di nulla, per cercare di continuare il business as usual). In particolare, a Fukushima il maggiore allarme riguarda la piscina dell’unità n. 4 suddetta, che è a rischio di crollo (quasi nessuno cita gli allarmi che si sono susseguiti da commissioni di esperti sui rischi di sismi di massima intensità in Giappone, dove praticamente tutti i reattori sono costruiti su faglie sismiche: ma l’allarme vale per tanti altri paesi, nessuno è in grado di prevedere se, quando e dove potrà prodursi un forte terremoto). Se quanto ho detto è minimamente chiaro, penso che chiunque capisca che a Fukushima può accadere praticamente di tutto, in modo imprevedibile, e… “inspiegabile”! Ma vista l’attenzione attirata sull’energia nucleare da questi allarmi, proviamo a richiamare anche la situazione generale. Che credo sconosciuta ai più. L’energia nucleare è uno zombie che perdura solo per i colossali interessi (oggi la costruzione di un reattore costa qualcosa come 6-8 miliardi di Euro!). Cominciamo con un quiz. Ci ripetono che l’energia nucleare è necessaria, non ne possiamo fare a meno, se non vogliamo ritornare alla candela. Bene, c’è qualcuno che sa dire quanti dei 50 reattori nucleari che ha il Giappone (dopo che 4 sono fuori uso) sono in funzione dal 2011? Chi lo sa non suggerisca! Bene:due! E non ci giungono notizie che in Giappone sia aumentata la vendita di candele. L’energia nucleare nel 2011 copriva nel mondo appena il 2 % dei consumi totali di energia (i nuclearisti riportavano il 6 %, con l’imbroglio di considerare l’energia elettrica prodotta, con un rendimento medio attorno al 30 %: ma anche il 6 % non sembra una percentuale determinante). Nel 2012, dopo Fukushima, si è registrata una netta flessione del numero di reattori in funzione nel mondo (nel solo Giappone, appunto, 48 sono fermi) e dell’energia elettronucleare prodotta: flessione che sembra destinata a continuare.radiazioni__fukushima7

Perché il parco dei reattori esistenti nel mondo (ormai sotto i 400) invecchia, in gran parte ha superato i tempi della vita operativa prevista, se non si facesse di tutto per decretarne l’allungamento della vita (con tutti i maggiori rischi che comporta, perché l’enorme flusso neutronico per decenni ha deteriorato tutti i materiali; e in ogni caso una macchina vecchia è soggetta a guasti crescenti), perché costruirne dei nuovi incontra sempre maggiori problemi. Da poco la IAEA ha denunciato i rischi di sicurezza che pongono i reattori che invecchiano (Reuters). Non solo problemi di costi, come abbaiamo detto, ma per esempio sull’incertezza dei tempi di costruzione: è ormai diventato una barzelletta il reattore francese in costruzione in Finlandia, a Olkiluoto, dal 2003 che sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2009, ma ha presentato una serie inenarrabile di problemi, nonché di aumenti dei costi, e non è per nulla chiaro se verrà finito nemmeno nel 2014. Si noti che questa incertezza dei tempi è un problema esiziale, quando si immobilizzano miliardi di Euro che non rendono nei tempi previsti! Qui va tenuto presente che ogni incidente nucleare grave (Harrisburg, 1979; Chernobyl, 1986; Fukushima, 2011, per citare i più gravi) comporta una profonda revisione delle norme e dei sistemi di sicurezza, con fermi dei reattori, e notevoli aumenti dei costi, e appunto dei tempi. Dal 1979 non è mai riuscito un rilancio della costruzione di reattori negli Usa: per più di tre decenni l’industria elettrica privata non ha valutato conveniente ordinare reattori nucleari, e ora – malgrado gli sforzi, e l’offerta di enormi sovvenzioni statali dei Presidenti Bush e Obama – le pochissime unità che sembrano in costruzione (il condizionale è d’obbligo, perché è difficile chiarire a che livello di progettazione, o di autorizzazione, e di effettiva costruzione ci si riferisca) procedono con enorme lentezza. Germania e Svizzera avrebbero deciso di non costruire nuovi reattori dopo la chiusura di quelli in funzione (il condizionale è d’obbligo, poiché le pressioni economiche sono sempre fortissime, ed è bene non abbassare mai la guardia). In Gran Bretagna infuria la polemica, poiché il governo vorrebbe a tutti i costi ordinare immediatamente due nuovi reattori alla francese Edf, ma quest’ultima, oltre ad avere chiesto la bella cifra di 14 miliardi (di Sterline!), pretende un contratto capestro che le garantisca il prezzo protetto dell’energia elettrica prodotta più elevato della media per ben 35 anni!centrale_disastro_fukushima

La polemica infuria (v. ad es.  Morning Star, 7 luglio). La bestia nera rimane la Francia, dove l’industria nucleare è un’ossatura dell’economia dello Stato, ed un vero tabù, intoccabile: Hollande si era impegnato a un ridimensionamento, ma la situazione non si schioda, malgrado il movimento di opposizione cresca, e i problemi si accumulino. Ma il bello del nucleare viene dopo, un “dopo” che dura decenni, ma a ben vedere migliaia di anni. Perché le centrali nucleari una volta chiuse dovrebbero essere smantellate (decommissioning), e si dovrebbero conferire o trattare le enormi quantità di residui radioattivi (non solo scorie, perché il plutonio è un materiale di enorme e pericolosissimo interesse strategico). Basti pensare all’Italia, dove i 4 reattori che avevamo costruito sono chiusi da più di un quarto di secolo: il decommissioning è agli stadi iniziali, il combustibile esausto è andato poco a poco in Francia per il ritrattamento (con i treni di trasporto radioattivo inviati alla chetichella, senza la dovuta informazione alle popolazioni attraversate, contestati dagli attivisti che lo hanno appreso ma vengono regolarmente manganellati), e un giorno ci verrà “restituito” il plutonio; mentre gli altri residui radioattivi sono tuttora conservati in depositi “temporanei” (!), il cui stato diviene sempre più precario ed allarmante. D’altra parte non è mai stato costruito un deposito nazionale, dopo il tentativo del governo Berlusconi di imporlo nel 2003 a Scanzano Ionico, dove vi fu una rivolta delle popolazioni (tra l’altro venne dichiarata per l’occasione una “emergenza nucleare” che non è mai stata revocata!). Insomma, per concludere questa galoppata, il nucleare è una strada senza ritorno e senza uscite. E per mezzo secolo l’industria nucleare ha pensato solo al business di costruire nuove centrali, senza preoccuparsi minimamente della coda del ciclo nucleare, per cui i problemi si sono sempre accumulati, fino a diventare insostenibili. Forse è addirittura superfluo precisare che le considerazioni fatte per l’energia nucleare nulla tolgono all’esigenza, pressante, di sviluppare alternative energetiche. Ma questo discorso non può essere affrontato qui.

Articolo tratto da Pressenza

Fonte: il cambiamento