È il momento di scommettere sulla bicicletta. Perché se non ora… quando?

Sono sempre più numerosi i cittadini che ogni giorno scelgono la bicicletta come mezzo sostenibile per spostarsi in città. E sono sempre più numerose le città che vedono nella ciclabilità la chiave di volta per affrontare quest’emergenza e per cambiare le nostre abitudini insostenibili. Perchè il futuro che ci aspetta pedala su due ruote. In che direzione vogliamo andare?

Ormai è chiaro, la bici potrebbe essere la regina indiscussa di quel cambiamento che abbiamo bisogno di vedere nelle nostre strade e che, nella gestione dell’emergenza da covid-19, è un indispensabile aiuto per muoversi in sicurezza durante la fase 2. Nelle nostre città, in questi due mesi di lockdown, abbiamo avuto una tregua dall’odore persistente dello smog e dal rumore assordante del traffico, come da tempo non ci ricordavamo. E ora non vogliamo rinunciare a quel miraggio che ci ha come risvegliati. Ed è questo il momento buono per avere il coraggio di modificare il nostro stile di vita, per mettere in atto quelle soluzioni che abbiamo posticipato per troppo tempo. Proprio come la mobilità sostenibile e l’utilizzo di mezzi alternativi all’auto, che rendono evidente che il futuro può andare in una sola direzione.

Partire dalla crisi per cambiare le proprie abitudini. C’è chi non crede sia possibile, chi ci spera, chi lo esige. E c’è chi in passato ci ha creduto e ne è uscito vincente, proprio come ci dimostra l’esperienza dei Paesi Bassi, che furono capaci di rialzarsi dalla crisi energetica che li colpì duramente nei primi anni ’70, quando le decisioni prese dall’Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) condussero ad una impennata dei prezzi e a un’improvvisa interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio. In mancanza di carburante, la bicicletta è stata la soluzione su cui il Paese ha scommesso.

Ora, se guardiamo ai Paesi Bassi, rimaniamo meravigliati dalle centinaia e centinaia di biciclette che popolano le strade e le piazze. Sono il risultato positivo di un momento di difficoltà che ci mostra che cambiare si può, reagendo e sfruttando una situazione di crisi per ripensare ai propri sistemi di trasporto. Prendendo in riferimento l’esempio di Torino, città ai primi posti per inquinamento atmosferico, nei primi giorni della fase 2 i dati rilevati da 5T, azienda che gestisce la Centrale della Mobilità nell’area metropolitana torinese e del Piemonte, illustrano che le centraline hanno riportato un aumento del traffico veicolare del 35%, dovuto principalmente alla ripresa lavorativa,  mentre si denota che il traffico su piste ciclabili è aumentato di quasi 10 volte rispetto alle auto, con un aumento di 335%. Un risultato che fa ben sperare, perchè sono tante, tantissime le persone che credono fortemente in questo cambiamento.

Foto tratta da: Fiab – Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta

Tra le decisioni prese dalla giunta comunale, attualmente, c’è quella di adeguare i controviali della città ad un uso prevalentemente ciclabile, dove la velocità massima consentita alle auto sarà di 20 km/h. Parliamo di un totale di 80 km che si suddividono in 27 corsi, molti dei quali sono tra i più trafficati della città. La decisione è stata presa sulla base delle precedenti richieste dei comitati e delle associazioni ambientaliste locali che vedono nella ciclabilità la chiave di volta per cambiare le nostre abitudini insostenibili, con la consapevolezza che in questa crisi non possiamo non ripartire da qui. Specialmente se parliamo di Torino, dove la cultura dell’automobile ha imperato per decenni e dove reinventarsi mettendo al primo posto la sostenibilità ambientale è una sfida ancora più grande. Intanto il governo Conte ha approvato questa mattina il “Decreto Rilancio” dopo che, in questi giorni, si è alzata la voce dei vari Movimenti Cicloattivisti che hanno ricordato che le principali Città Metropolitane stanno procedendo speditamente alla costruzione della rete ciclabile d’emergenza ed è importante che lo Stato le supportiin fatto di mobilità sostenibile. Il decreto contiene attualmente nuove misure come il bonus per l’acquisto di bici classica, a pedalata assistita o a monopattini per i comuni superiori a 50.000 abitanti, ha introdotto la figura obbligatoria del mobility manager per realtà superiori a 100 dipendenti, la definizione di “corsia ciclabile” sulle carreggiate e la “casa avanzata”, una linea di arresto posizionata davanti alle automobili per tutelare i ciclisti. Non tutti i provvedimenti attesi sono stati inclusi nel decretocome ad esempio i soldi e le indicazioni da destinare ai Comuni per la realizzazione delle ciclabili di emergenza per la Fase 2 nonostante in molte città i lavori siano già iniziati.

E’ fondamentale, in questo momento, incentivare l’uso della bici ma anche garantire la sicurezza e la salute dei cittadini e non lasciare isolate le amministrazioni locali ma promuovere una visione comune e sistemica. La cultura della bici la creiamo quando creiamo una cultura dell’uguaglianza e della convivenza. Una città dove le macchine in strada imparano a rispettare e a convivere con la sana “lentezza” delle biciclette è una città che ha imparato a dare valore al rispetto, dove i mezzi a due ruote smettono di essere un ostacolo o un ingombro ma diventano parte di uno stile di vita collettivo. Perchè il vero cambiamento lo facciamo insieme.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/05/momento-scommettere-bicicletta-perche-se-non-ora-quando/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La lezione di Pepe Mujica: il tempo è il bene più prezioso

Una panoramica sulla vita e sulle idee di un personaggio politico decisamente fuori dal coro: l’ex presidente e attuale senatore uruguaiano José Mujica. Rinunciando a buona parte del suo stipendio, vivendo in una fattoria e sostenendo i concetti di sobrietà e semplicità, è stato uno dei capi di Stato più vicini al pensiero della decrescita. Josè Mujica è stato Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 e attualmente è senatore sotto la presidenza di Tabaré Vazquez. Per chi crede in un mondo più equo, più sostenibile e più etico è una figura fondamentale, non tanto per i risultati politici ottenuti, quanto per l’esempio che egli stesso fornisce, improntato su uno stile di vita sobrio, sincero e a contatto con la Natura.

Vive tutt’ora – e ci viveva anche da Presidente, avendo rifiutato la residenza a lui riservata – nella sua fattoria di Rincon del Cerro, dove si stabilì con la moglie Lucia negli ottanta, appena uscito dal carcere. Quando venne liberato, quel posto era abbandonato e in rovina. Con la moglie e qualche amico lo rimise a posto e proprio lì – in una modesta casa di campagna con una sala, la cucina, un bagno e la camera da letto – accolse capi di stato, ministri e alti rappresentanti politici.

«Non sono povero – ha sempre detto – sono austero perché voglio la mia libertà e voglio avere tempo di godermela. Non mi piace la povertà, mi piace la sobrietà e mi piace avere un bagaglio leggero». Ai giornalisti che venivano a trovarlo per parlare di politica, raccontava invece come faceva la conserva: «Ci metto pomodori tagliati e schiacciati, poi ci aggiungo un paio di foglie di alloro, un cucchiaio di sale e li copro. Quando la cottura è finita, li metto in un contenitore di acqua, li faccio bollire e poi li lascio mezz’ora a raffreddare».

Da uomo di campagna, ha un rapporto privilegiato con il mondo naturale. Mentre era in viaggio per questioni istituzionali, chiamava sempre a casa per salutare Manuela, la sua cagnetta con tre zampe, e il primo impegno della sua giornata presidenziale – che iniziava con la sveglia di Claudio, uno dei galli del suo pollaio – era una passeggiata con la sua piccola amica. Dalle sue visite istituzionali all’estero, più che regali di rappresentanza, amava portare a casa semi da piantare in giardino.mujica1

Parlando della sua morte, una volta disse: «Non scambierei la mia fattoria per niente al mondo, me ne andrò da qui con le gambe in avanti! Ma se dovessi andarmene, il posto ideale sarebbe la campagna, nel mezzo dell’Uruguay. Sceglierei uno di quei posti in cui guardando in lontananza ti viene da dire “sembra che laggiù ci sia qualcuno”. Adoro la solitudine del campo».

Uno degli aspetti su cui ha sempre insistito di più è quello della qualità del tempo che trascorriamo, che si rivela il bene più prezioso e che spesso è dilapidato in attività inutili e dannose: «Stiamo perdendo la battaglia contro il consumo inutile e la banalizzazione della vita», ha affermato. «Se potessi scegliere qualcosa da lasciare alle nuove generazioni sarebbe questo: la capacità di destinare più tempo alla vita vera».

Quando ha espresso queste considerazioni a Rio si è quasi meravigliato del successo clamoroso che ha avuto il suo discorso, poiché credeva di aver detto delle cose brutte, di aver dipinto un quadro negativo. Evidentemente, aveva colto nel segno. «Si può vivere con sobrietà lasciando che ce ne sia per tutti», dice sfoderando il suo tipico ottimismo utopistico. «Questo non vuol dire tornare all’età delle caverne, ma solo guadagnare in maniera razionale».

Mujica ce l’ha anche con le “teste pensanti” che, a suo modo di vedere, non sono capaci di dare risposte a questo tipo di problemi. Per questo ha sempre cercato, a volte anche combinando dei pasticci politici, di fare dell’Uruguay un “paese esempio”. Fra le riforme più rivoluzionarie possiamo ricordare la depenalizzazione dell’aborto, la legalizzazione del matrimonio fra omosessuali e la regolarizzazione della vendita di marijuana attraverso lo Stato. Nel commentarle, Mujica le definisce “riforme liberali”, ispirate però al liberalismo del suo predecessore di inizio secolo Battle, che introdusse il voto femminile, autorizzò il divorzio e regolamentò la produzione di alcool. La sua crociata contro l’opulenza rimane uno degli insegnamenti più grandiosi. Rinunciò allo stipendio presidenziale destinandolo quasi tutto ad associazioni e organizzazioni benefiche e lottò per anni contro i privilegi, soprattutto economici, della “casta”. «L’organo più sensibile che esiste è il portafogli», diceva parlando dei suoi colleghi senatori, criticando in particolar modo la “sua” sinistra, troppo capitalista per i suoi gusti.mujica2

Refrattario alle cerimonie, non si curava più di tanto neanche della sua sicurezza, che veniva in secondo piano rispetto alla tranquillità domestica. Una sera, mentre leggeva vicino al camino della sua casa, un uomo si introdusse in casa sua e gli mostrò un video in cui comparivano dei paramilitari con atteggiamento minaccioso e poi se ne andò senza dire nulla. Mujica, pur preoccupato, non rese pubblico questo episodio, sia per non creare troppo clamore, sia perché temeva che la sua scorta sarebbe diventata più massiccia e invadente, turbando la quiete rurale della fattoria.

Ma Pepe, anche da Presidente, non ha mai nascosto la sua vera natura e il suo carattere schivo e poco espansivo. Questo lo ha portato molte volte a contravvenire all’etichetta ufficiale, ma ha anche dato risalto ai momenti in cui il suo animo emergeva, come quando si commosse scoprendo che un giardiniere dell’ambasciata uruguaiana in Spagna aveva salvato sul suo cellulare il famoso discorso al vertice di Rio de Janeiro e che lo riascoltava ogni volta che voleva motivarsi e tirarsi su di morale. Al centro del suo mondo non ci sono la lotta politica o gli impegni istituzionali, ma sua moglie Lucia e la sua fattoria di Rincon del Cerro. In questo rifugio, i due vivono come una normalissima coppia di anziani coniugi, passando del tempo sul divano a leggere e a conversare, svolgendo le faccende domestiche, tagliando la legna e andando a trovare i vicini. Era così anche quando era Presidente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/lezione-pepe-mujica-tempo-bene-prezioso/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Vado a vivere in un ecovillaggio! Perché?

Cresce il numero di persone che decidono di rivoluzionare la propria esistenza, abbandonare lo stile di vita urbano e abbracciare nuovi modi di abitare, basati sulla condivisione e la sostenibilità. Cosa determina la scelta di vivere in un ecovillaggio? Ecco le testimonianze raccolte in occasione dell’ultimo raduno della RIVE – Rete Italiana degli Ecovillaggi.

“A volte il futuro abita in noi senza che lo sappiamo”, così scriveva Marcel Proust nella sua Ricerca del tempo perduto. Una scelta improvvisa, una serie di eventi, un questione di tempo, un ritorno alle proprie radici. Queste sono solo alcune delle motivazione che possono spingere delle persone a scegliere un percorso di vita condivisarive3

Vogliamo raccontarvi questo percorso direttamente con i volti di chi ha deciso di intraprendere questo cammino. Cosa è successo? Cosa è cambiato? Non c’è una risposta univoca a questa domanda, ci sono solo tante storie. Storie di persone come me, e come te, che hanno deciso di rivoluzionare la loro vita.

“Ho scelto di vivere in un ecovillaggio per una questione di tempo”, ci racconta Vito di Habitat, “il tempo che sentivo che mi sfuggiva, il tempo che non sentivo più una cosa mia, il tempo che è denaro. Alla fine mi sono ritrovato ad esserne vittima, ora è un mio amico”. Una questione di armonia, una scelta di cambiamento per fare pace con la parte più profonda di se stessi, un tempo ritrovato. Un futuro che è in noi, un qualcosa che semplicemente accade. Questo è quello che è successo a Massimo di Torri Superiore: “Non è stato un percorso ragionato, è un qualcosa che è accaduto, era da fare. I significati li ho ricostruiti vivendoli”.

Per altri, invece, la scelta di cambiamento combacia con un vero e proprio viaggio alla scoperta delle proprie radici. Un percorso che nasce dal desiderio di riconnettersi con una parte di sé che si è sempre avuto addosso, come ad esempio un cognome, e del quale non si è mai saputo abbastanza. “Sono Manuela Pizzi, vengo dalla Spagna”, ci racconta Manuela in un italiano perfetto, “ho iniziato a viaggiare in Italia perché tutti mi chiedevano: ma tu lo parli l’italiano? Ed io rispondevo: No!”.rive2

Diversa è la storia di Mario (Il Popolo degli Elfi). Per lui il ritorno alla terra era una condizione necessaria del suo essere. Il ricordo del nonno e la consapevolezza che “ la mia strada è sempre stata quella di tornare alla terra”. Una scelta che può nascere da una delusione politica e dal desiderio di trovare strade alternative per veder trionfare i propri ideali. Una volontà di vivere un’esistenza comunitaria, una propensione all’accoglienza e alla condivisione così profonda da dar la forza di ridisegnare la propria realtà. “Una realtà anticapitalista, una realtà che rifiuta la proprietà privata, che si pone il tema delle scelte che vengono compiute in maniera del tutto egualitaria, senza leader, l’assemblea è l’unico organo decisionale”, ci racconta, soddisfatto, Alfredo di La Comune di Bagnaia. Diversa, ancora, può essere la storia di chi decide di cambiare perché si rende conto di aver sempre lottato per qualcosa di effimero. Esattamente all’apice del successo, in un momento estremamente bello della propria vita, comprendere di aver bisogno di più autenticità. “Avevo bisogno di vivere una vita vera, con gente vera, dove si diceva quello che si pensava e si faceva quello che si diceva”, ci racconta Macaco della Federazione di Comunità di Damanhur. Una consapevolezza totale, ma non ingenua. Perché scegliere di vivere in comunità non è la panacea a tutti i problemi. I problemi e i conflitti sono parte integrante della nostra esistenza, ma la vita condivisa, ci sottolinea Macaco, “crea un campo che rende molto facile anche trovare delle soluzioni a delle cose che sembrano difficili da risolvere”. C’è chi decide di vivere in un ecovillaggio per amore della natura, come Sara dell’ecovillaggio Habitat. Chi, come Eva Lotz, ha sempre avuto, nel suo cuore, il desiderio profondo di cambiare vita. E ancora chi, semplicemente, ha voluto offrire una vita diversa alla propria famiglia. Così è stato per Monica che ha cercato un bel luogo in cui far crescere la propria prole.rive1

Infine, c’è chi, come Claudio, decide di cambiare perché non si diverte più. La scelta di ritagliarsi il proprio spazio in contrapposizione ad una società che offre sempre meno. Dove la socialità è solo orizzontale, giovani con giovani. Dove non si condivide uno scambio intergenerazionale e, quotidianamente, ci si perde un enorme bagaglio di conoscenza che detengono gli anziani. Questi sono solo alcune delle motivazioni di chi ha deciso di intraprendere un cammino di ricerca. C’è però un fil rouge che lega tutte le persone che ho incontrato al XXI raduno della Rete Italiana Villaggi Ecologici. Sia chi è giunto a destinazione, chi si appresta ad iniziare il cammino, sia chi ci sta solo pensando e chi ha questo desiderio che, saltuariamente, quando il giorno lascia lo spazio alla notte, fa capolino, appena prima di addormentarsi. Tutte queste persone hanno una luce negli occhi. La luce di chi decide di essere protagonista della propria vita. La luce di chi lotta per riappropriarsi del proprio tempo. La luce di chi combatte per una società migliore. Quella luminosità meravigliosa che avvolge l’essere umano quando sa che sta facendo la cosa giusta.

 

Guarda tutti i video con le testimonianze raccolte al raduno della RIVE

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2017/08/vado-vivere-in-un-ecovillaggio-perche/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’igiene naturale, un modo di mangiare in linea con il pianeta

L’igienismo ha radici antichissime, si tratta di uno stile di vita e in particolare di un’alimentazione in linea con il pianeta e tesi a conquistare e mantenere uno stato di salute che non è semplicemente assenza di malattia. Anche in Italia si sta diffondendo, benché gran parte della gente ne sappia ancora pochissimo. A entrare nel merito è Marìca Spagnesi, che ha scelto proprio questa strada. Marìca insegna italiano agli stranieri e da tempo pratica, convinta, il downshifting.igienismo_alimentare

Sempre più spesso parlando con amici, conoscenti o parenti, mi si chiede cosa sia esattamente l’igiene naturale e cosa significhi nella mia vita di tutti i giorni essere un’igienista. Mi piace molto quando questo succede perché mi dà la possibilità di esprimere le mie sensazioni, condividere le mie intuizioni e le mie piccole ma continue scoperte nell’alimentazione. Eppure l’igiene naturale non è solo alimentazione ma molto di più. Spesso l’approccio che hanno gli altri con me quando lo sanno è di curiosità. Qualche volta ne hanno sentito parlare e pensano che sia una dieta, un’alimentazione restrittiva, un regime dettato da un credo religioso o da manie di pulizia di qualche genere. L’igiene naturale non è una dieta dimagrante né purificante, disintossicante o cose del genere. L’igiene naturale è un modo di alimentarsi e quindi di vivere in modo completo, naturale, semplice, essenziale, salutare. Questo non ha niente a che vedere col dimagrire o con una dieta che guarisca una qualche malattia in particolare. La mia risposta a chi mi chiede cosa dovrebbe fare se ha questa o quella malattia è sempre che non lo so e che l’igiene alimentare è molto oltre questo modo di approcciare la questione. Per me igiene naturale significa essenzialmente autonomia, impegno personale, ricerca, scoperta, salute, semplicità. Autonomia perché richiede una volontà personale di essere autonomi e di scoprire personalmente la propria strada attraverso un percorso lungo e meditato. Percorso soggettivo e diverso da persona a persona che può essere condiviso, naturalmente, ma è necessario che sia frutto di una consapevolezza interiore che va di pari passo con ciò che si mangia. Autonomia dal ricorso costante e puntuale ai farmaci considerandoli quasi l’unica via possibile per qualunque nostro disturbo, autonomia dalla figura del medico alla quale ricorriamo sempre e comunque delegandogli, con una fiducia spesso incondizionata e senza discussione, tutta la nostra salute. Sappiamo che moltissime malattie sono causate dal nostro stile di vita e dalla nostra alimentazione. Esse quindi non sono un caso o, almeno, spesso si potrebbero evitare o prevenire. L’igiene naturale non è una cura ma si occupa di mantenere, attraverso l’alimentazione e uno stile di vita sano, un sistema immunitario il più possibile efficiente che sia nelle condizioni, al momento giusto, di difenderci dalle malattie che ci colpiscono. Si tratta, quindi, di un percorso di estrema consapevolezza, che ci rende attivi e non passivi, che sveglia il nostro senso del gusto, cambiandolo in meglio, verso un ritorno all’essenza del nutrimento. L’igiene naturale non è eliminare questo o quell’alimento dalla propria alimentazione ma, al contrario, un vero e proprio percorso di liberazione da ciò che non fa parte di un’alimentazione semplice, secondo natura, meno trasformata possibile e meno cotta possibile. Eliminare dai propri cibi il sale, lo zucchero, il caffè, le farine raffinate, il latte e i suoi derivati, la carne in tutte le sue forme e ogni cibo animale non è affatto una limitazione ma, al contrario, una scoperta di nuove possibilità e una liberazione da ciò che ci rende dipendente e che danneggia il nostro corpo. Nutrirsi di cibi completamente resi irriconoscibili da sale e zucchero significa perdere il gusto, poco a poco, del cibo naturale, così com’è e che non ha bisogno di nulla per essere gustato. L’giene naturale rende inutile il supermercato. Chi si alimenta in questo modo ha bisogno di un orto (ma non è indispensabile), di negozi in cui acquistare cereali o semi integrali, cereali senza glutine (anche se questo non è  necessariamente igienista) come amaranto, miglio e quinoa,  di un posto in cui acquistare frutta e verdura da mangiare preferibilmente crude. Essere igienisti, perciò, è estremamente in linea con il nostro pianeta e con le sue necessità oltre che con il nostro corpo, con ogni singolo organo che lo compone e con la nostra mente. L’igiene naturale è uno stile di vita e di alimentazione in linea con il pianeta. Con un’alimentazione di tipo vegancrudista si contribuisce a ridurre l’impatto sull’ambiente. Il consumo di carne e di altri prodotti animali come uova e latte è responsabile di deforestazioni e devastazioni ambientali che derivano dalla produzione e dall’allevamento di animali in modo intensivo senza alcun riguardo ecologico né etico. Senza parlare del consumo di acqua, di terra e di energia che questo comporta e dell’impatto sulla vita delle persone che vivono nei paesi in cui questi scempi vengono perpetrati. Un’alimentazione igienista non può non condizionare anche il pensiero. Quando mangiamo secondo ciò che sentiamo e quando sentiamo di stare bene, percepiamo chiaramente che il nostro corpo sembra ringraziarci, che tanti dei nostri disturbi e molte delle nostre patologie sono sparite o stanno migliorando, allora anche il nostro pensiero cambia. E’ come se anche i pensieri avessero bisogno del cibo giusto e come se questo avesse il potere di condizionarli. O almeno questo è quello che succede a me. L’igiene naturale porta all’unità di mente e corpo perché ciò che desideriamo e che ci piace è esattamente ciò che ci fa stare bene. Senza divisioni. Si tratta di una rivoluzione verso il benessere, la serenità e la chiarezza: il primo scalino per sentirsi felici.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Lauren Singer, la ragazza che non produce rifiuti

Ventiquattro anni, americana di New York, due anni fa ha deciso di aprire il blog Trash is for Tossers, dove documenta la sua vita a rifiuti zero. «Amare la natura e studiare scienze ambientali non significa vivere nel rispetto dell’ambiente. Ora che ho questa vita sono incredibilmente felice», spiega nell’intervista al nostro giornale.

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«Ci sono due semplici misure da adottare per ridurre i rifiuti: la prima è la valutazione, ovvero osservare la propria vita quotidiana; la seconda è la transizione, cioè ridimensionare e smaltire le cose inutili». Ad avere le idee molto chiare è Lauren Singer, ventiquattrenne di New York, che ha deciso, da poco più di due anni, di vivere una vita senza produrre rifiuti, documentando il tutto sul suo blog Trash is for Tossers. Noi l’abbiamo intervistata.
Salve Lauren, quando ha deciso di fare questa scelta? E perché? «E’ stato circa due anni fa, quando studiavo a New York. Sono sempre stata appassionata di ambiente e sostenibilità e così decisi di iscrivermi alla Facoltà di Studi Ambientali. Una mia compagna di corso era solita sprecare enormi quantità di plastica ogni sera per prepararsi la cena e tutto poi finiva inevitabilmente nell’immondizia. Vedere questo spreco, giorno dopo giorno, cominciò a provocarmi un gran disagio. Un giorno tornai a casa dall’università molto turbata dopo aver di nuovo assistito allo spreco di tutta quella plastica che veniva gettata nell’immondizia. Al momento di prepararmi la cena, aprii il frigorifero e fui sconvolta dal rendermi conto che tutto ciò che era in esso contenuto era confezionato nella plastica! Ero pessima quanto lei che ne sprecava tonnellate. Così presi la decisione: da quel momento in poi avrei smesso di usarla perchè mi dava fastidio vedere la gente farlo. Non utilizzare plastica significava imparare a confezionare da sola quello di cui facevo uso quotidiano. Significava anche dover fare tante ricerche. Dovevo apprendere come autoprodurre tutto ciò che altrimenti avrei dovuto acquistare in plastica, come dentifricio, prodotti di igiene e di bellezza. Navigando in internet alla ricerca di tutorial utili al mio proposito, mi sono imbattuta in “Zero Waste Home”, un blog creato da una donna californiana madre di due bambini. Lei riusciva a vivere senza produrre rifiuti con una famiglia di quattro persone! Fui molto colpita e ispirata da quella famiglia:  se ci riuscivano loro, che erano in  quattro, non potevo non riuscirci io. Sarebbe stata un’avventura incredibile e uno stile di vita che condividevo appieno. Ma amare la natura e studiare scienze ambientali non significava necessariamente vivere nel rispetto dell’ambiente. Ora, che ho una “vita a spreco zero”, vivo nel modo che si allinea alla mia visione del mondo. E questa cosa mi rende incredibilmente felice».

Perché il nome “Trash is for tossers”? La traduzione nella nostra lingua è forte: “la spazzatura è da idioti”, senza usare parolacce… «Per il mio blog ero indecisa fra tanti nomi ma nessuno mi convinceva. Poi un giorno, mentre guardavo la tv, ho sentito una ragazza inglese dire “Tossers” ed ho avuto l’illuminazione. All’inizio avevo pensato a “Waste is for Tossers”, ma, poiché amo i giochi di parole e le allitterazioni, ho scelto “Trash is for Tossers”».
Quali sono le difficoltà che ha incontrato all’inizio? E quelle che ancora incontra tutt’oggi?«All’inizio è stato arduo capire come realizzare tutti i prodotti di cui avevo bisogno. Non esistevano fonti a cui attingere per trovare ricette che facessero al caso mio. Dopo varie ricerche, prove ed errori ho raggiunto risultati ottimali. Una volta trovate le formule giuste, il resto è stato davvero semplice».

Sul suo blog ha pubblicato una fotografia che rappresenta quattro mesi di spazzatura in un solo barattolo. Come è riuscita a produrre così poco? Com’è possibile? Per esempio, il cibo e i vestiti sono beni necessari per le persone…
«Ho raggiunto il mio obiettivo di vita a spreco zero identificando quale esso fosse e poi cercando di capire il modo per ridurlo. Comprare cibo senza imballaggi e in grandi quantitativi mi ha aiutata a ridurre sensibilmente i miei sprechi, come ricomporre gli scarti del cibo anziché gettarli via. Non compro abiti nuovi ma solo usati, se proprio non posso farne a meno. Mi faccio bastare un guardaroba essenziale».

La sua famiglia e i suoi amici cosa pensano del suo stile di vita? «Loro sono forti sostenitori del mio stile di vita. A loro piace la passione che metto nel seguirlo. Non li avevo mai visti adottare i piccoli accorgimenti che uso io nella loro vita quotidiana. Ad esempio, i miei amici usano buste riciclabili per fare acquisti all’ingrosso o portano in giro barattoli di vetro da riempire in giro. Anche mio padre mi ha detto di aver ridotto la quantità di rifiuti che produceva. Questo mi rende molto felice perché non ho mai detto a nessuno di vivere a modo mio; io seguo il mio stile di vita e se qualcuno ha domande da pormi al riguardo, rispondo senza problemi. Così chi mi sta intorno ha deciso di diminuire l’impatto sull’ambiente di propria iniziativa e questo significa davvero molto».

Sul suo blog sono in vendita dei prodotti a rifiuti zero, creati proprio da lei. Per fare questo, ha aperto un’azienda. Di cosa si tratta? «Oramai sono anni che mi fabbrico le cose da sola. Tanta gente mi chiede dove poter acquistare cose simili a quelle che io mi confeziono da sola, perché non ha il tempo per farsele. Non mi sono mai sentita di raccomandare qualcosa che fosse disponibile nei negozi, oltre ai prodotti per pulire, perché non mi sono mai fidata delle materie spacciate per “ecocompatibili” dalle aziende. Questo mi ha dato una grande spinta motivazionale per fondare la mia società “The Simply Co.”, che produce prodotti detergenti sostenibili ed organici davvero semplici, efficaci, e che ho fatto per anni. Sono completamente vegetali e contengono soltanto gli ingredienti di eccellente qualità. Il nostro primo articolo è un detergente fatto di tre ingredienti, sicuro per il corpo, per la casa e l’ambiente e non vediamo l’ora di espandere la nostra linea di prodotti».

Leggi l’intervista in lingua inglese

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Fonte: ilcambiamento.it

Rifiuti zero per due anni: la ricetta di Laurent Singer

Lauren Singer è una ragazza che abita a New York e che in due anni non ha prodotto rifiuti. Scopriamo come ha fatto. Lauren Singer ha 23 anni e vive a New York. Ha una laurea in Scienze ambientali e mette in pratica il suo rispetto per l’ambiente evitando di produrre rifiuti. Zero waste, dunque non è una filosofia ma una vera e propria pratica che consente a tutti di agire in prima persona scegliendo di non produrre rifiuti. Ma come si fa? E poi a New York patria del consumismo spinto? Lauren nel suo sito Trash is for tossers spiega dettagliatamente come sia riuscita nei primi 4 mesi a generare i rifiuti che vedete nel vasetto accanto, ma che poi saprà pure come riciclare, anche se non vi svelo la sorpresa.fourmonthsoftrash-300x170

Per eliminare ogni sorta di spazzatura ha iniziato a usare oggetti durevoli in casa eliminando la plastica che ha sostituito con il vetro ma intervenendo anche con i detersivi e passando all’auto produzione. Per magia sono sparti i rifiuti dalla sua casa. Una soluzione molto interessante l’ha trovata per gli spazzolini da denti: ne ha scelti in bambù e setole riciclabili e dunque destinati alla compostiera. Molto utile la pagina in cui mostra le alternative scelte per evitare di produrre rifiuti: noterete che non si è privata, ad esempio, dei dischetti per pulire la pelle, scegliendo i prodotti riciclati e riciclabili; oppure non ha rinunciato agli anticoncezionali scegliendo per sé e il partner condom in lattice naturale certificati vegan. Quando fa a fare la spesa, è vegetariana e compra solo prodotti locali e bio, porta con sè dei contenitori di vetro che riempie dei prodotti sfusi che le occorrono come il muesli, ad esempio e dunque così elimina l’acquisto del packaging da gettare poi via; per gli ordini al ristorante take away telefona prima chiedendo se accettano che il cliente gli fornisca i propri contenitori; anche per il make up a cui non rinuncia sceglie prodotti di aziende che producono con materie prime certificate biologiche e packaging riciclabile. Questo stile di vita non le impedisce nulla: riesce, organizzandosi a partecipare a cene con le amiche, a ricevere in casa o a andare al cinema e al ristorante. Anzi Lauren da questa esperienza ha ricavato anche un progetto che sta mettendo in piedi grazie all’aiuto dei suoi fans: ovvero raccogliere 10 mila dollari per iniziare a produrre un detersivo naturale per lavatrice da distribuire a New York.spesa-zero-waste-620x350

Foto | Trash is for tossers

Fonte: ecoblog.it

Da Berlino a Torino, la lotta allo spreco di cibo con il progetto di Raphael Fellmer

 

Raphael Fellmer è un ragazzo di Berlino, classe ’83, che ha deciso di fare lo sciopero del denaro e che ha creato, con l’aiuto di programmatori, una piattaforma sul web con l’obiettivo di ridistribure tra tutti il cibo dei supermercati che altrimenti verrebbe gettato nella spazzatura380178

Secondo la FAO nel 2013 sono state sprecate o perdute oltre 1,3 miliardi di tonnellate di cibo nel mondo. In Italia il Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo parla di quantità di cibo che viene gettato nella spazzatura per un equivalente di 8 miliardi di euro. Che la lotta allo spreco alimentare possa avvenire in diverse modalità e congiuntamente alle scelte politiche delle istituzioni è scontato. Ma che possa partire dal singolo individuo e che possa trovare un appoggio sul web per arrivare alla collettività ce lo mostra Raphael Fellmer, 31enne berlinese che ha deciso di dedicare la propria vita a combattere lo spreco con un’idea semplice quanto ambiziosa: recuperare il cibo di scarto, destinato quasi sempre alla spazzatura, e donarlo a chiunque lo desideri e ne faccia richiesta. Un’esperienza che è diventata per Raphael una vera e propria scelta di vita e che nel giro di due anni è stata fatta propria da una comunità di oltre 3000 persone in Germania, di cui 1000 solo a Berlino.  Il web è il mezzo imprescindibile. La comunità si incontra nello spazio virtuale della piattaforma lebensmittelretten.de (“salvataggio di cibo”), che mette in contatto gestori dei supermercati e utenti: gli uni segnalano su una mappa on-line la possibilità di donare in un giorno e in un’ora prestabilita cibo che rimarrebbe invenduto (scaduto o non di bell’aspetto); gli altri possono indicare la propria disponibilità a recarsi presso il supermercato per raccoglierlo. Un piccolo social network che dunque mette in discussione il concetto di “cibo non edibile” e permette la sua ridistribuzione tra tutti coloro che lo richiedono. Ma non solo, anche un sistema che agevola i rivenditori stessi perché produce meno rifiuti e comporta una diminuzione del peso economico legato al loro smaltimento.  “Attraverso la condivisione del cibo con gli altri, le persone riscoprono il valore della comunità e della socialità, oltre che dell’apertura disinteressata della propria vita al prossimo”, racconta Raphael durante un pranzo, rigorosamente con cibo di recupero, svoltosi domenica 7 settembre al parco del Valentino di Torino, dove è stato in visita per cercare di creare un progetto dello stesso tipo nel nostro paese. Potrebbe essere simile alla sua seconda creatura, ovvero foodsharing.de, un’altra piattaforma web, sempre ideata e gestita da Raphel con il supporto di programmatori, avvocati e chiunque abbia deciso di aderire al progetto per dare il proprio contributo. Il principio è sempre lo stesso ma ristretto all’ambito del privato e non gli esercizi commerciali: su foodsharing.de, infatti, è possibile comunicare e accordarsi per scambiare il proprio cibo in eccedenza con chi voglia riceverlo gratuitamente. Si pensi ad esempio a tutte le volte che in procinto di una partenza si è costretti a svuotare il frigo nella spazzatura perché al ritorno sarebbe troppo vecchio.  Foodsharing è già diffuso in Germania nelle città di Berlino, Monaco, Ludwigsburg e Chemnitz ma anche in Svizzera e in Austria. E in Italia? Come detto, la presenza di Raphael a Torino, come detto, è finalizzata proprio a creare un progetto dello stesso tipo nel nostro paese. Un primo passo è già stato compiuto: su facebook, infatti, è nato il gruppo Foodsharing Torino con l’obiettivo di creare una comunità di persone, con un’organizzazione ben precisa e consapevole del ruolo fondamentale da ricoprire, sia in termini di cooperazione sia nella possibilità che ognuno ha di donare e offrire il proprio tempo agli altri.  Ritornando alla storia di Raphael, la lotta allo spreco di cibo è solo una della pratiche che lui e la sua famiglia (moglie e due figli piccoli) hanno adottato. Il loro stile di vita, infatti, si basa su una totale rinuncia dell’uso di denaro, resa possibile anche grazie alla cooperazione creata proprio sulle piattaforme da lui ideate. Chi appoggia la sua visione del mondo sostiene le sue scelte offrendo le proprie competenze, la propria professionalità e il proprio tempo per aiutarlo ad affrontare tutti gli altri aspetti della vita.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Biologico, boom di vendite in Italia: +17% nei primi 5 mesi del 2014

Nonostante la crisi dei consumi nel settore alimentare cresce il segmento dei prodotti biologici che fa registrare un incremento record del 17,3 per cento proprio nella GDO e per i prodotti confezionati

I prodotti biologici piacciono e convincono gli italiani tanto che sono gli unici prodotti che fanno registrare una impennata nei volumi di vendita. Mentre per il resto del comparto alimentare si registra una flessione dell’1,4% l’incremento riguarda i prodotti confezionati con marchio bio venduti nella grande distribuzione: tra gli scaffali gli italiani scelgono:

pasta, riso e sostituti del pane (+73 per cento), zucchero, caffè e tè (+37,2 per cento), biscotti, dolciumi e snack (+15,1 per cento). Aumenti piu’ contenuti – precisa la Coldiretti – si rilevano invece per gli ortofrutticoli freschi e trasformati (+11 per cento), le uova (+5,2 per cento), i lattiero-caseari (+3,2 per cento) e le bevande bio (+2,5 per cento).

I dati sono stati snocciolati al SANA – Salone Internazionale del Biologico e del Naturale che chiude a Bologna domani e dove si vive grande entusiasmo per questo mercato in netta espansione. Conferma la tendenza al rialzo anche lo studio Nomisma per Federbio rivela che negli ultimi 12 mesi le famiglie italiane che hanno acquistato almeno un prodotto bio dal 53% del 2012 al 59% del 2013 (più 2,2 milioni di famiglie acquirenti) e che la spesa pro-capite è passata dai 28 euro del 2011 ai 39 euro attuali. Il mercato in Italia vale 2,32 miliardi di euro e la crescita è del 6,7 per cento rispetto al 2012 con una quota bio sulla spesa totale del + 1,96 per cento.86541117-620x350

Spiega Coldiretti:

Ben il 45 per cento di italiani mette cibi biologici nel carrello regolarmente o qualche volta con un fatturato stimato pari a 3,5 miliardi per il 2014

Secondo l’indagine Nomisma emerge che ciò che innesca nei consumatori la preferenza per il biologico riguarda proprio lo stile di vita per cui si sceglie di essere molto attenti ai cibi che si portano a tavola. Infine il 2015 si prospetta radioso con il 19 per cento dei consumatori che annuncia di voler aumentare la spesa di biologici e con il 70% che dichiara di volerla tenere stabile; appena l”11 per cento dichiara di volerla ridurre. Per il 2015, infine, le famiglie intervistate non prevedono un’inversione di tendenza: il 19% dichiara che aumenterà la spesa bio nel 2015; il 70 per cento annuncia che la manterrà stabile, mentre solo l’11% prevede di ridurla.

Fonte:  Coldiretti, Italiafruit

© Foto Getty Images

Cambiare vita: da Roma alle montagne della Val Pusteria, la storia di una famiglia

Lasciarsi alle spalle la vita in una metropoli e vivere in un maso nel Tirolo: nel video il racconto mozzafiato della Famiglia Barbini

Cambiare vita, lasciarsi alle spalle la vita della metropoli frenetica e farneticante e scegliere uno stile di vita umano a contatto con la Natura: quante volte abbiamo sognato di dare una svolta alla nostra vita? Ma la famiglia Barbini lo ha messo in pratica e il loro racconto mozzafiato commuove e coinvolge per la bellezza della vita che si sono scelti. Abitano un maso in Tirolo, tra le montagne e vivono in totale armonia con la Natura che li circonda. Stefano Barbini è il capofamiglia che con la moglie Giorgia e i 3 figli ha deciso ad un certo punto della sua vita di dare un taglio netto alla esistenza sin li condotta: viaggi all’estero, carriera, tanto lavoro e poco tempo per godersi il suo di tempo. Il maso è stata l’occasione per intraprendere una nuova vita, un rudere da rimettere in sesto con tempo e pazienza e con l’aiuto dei contadini della zona. Oggi è un gioiello che vede la valorizzazione degli elementi naturali presenti in zona e Stefano con la moglie accudisce personalmente al maso e alla sua manutenzione, provvede alla raccolta della legna e al prato presente nella proprietà nonché al campo da golf; Giorgia gestisce l’orto di casa e si occupa della cucina per gli ospiti. Dal vivere il maso e la realtà che li circondava al trasformare questa loro esperienza in una nuova attività il passo è stato breve. Infatti il maso dei Barbini in Val Pusteria è diventato il resort di lusso San Lorenzo Mountain Lodge e si è ingrandito con una nuova struttura il che che viene messa a disposizione degli ospiti. Parliamo di vacanze superlusso e esclusive con clientela molto esigente.

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Oggi i Barbini sono completamente integrati nella vita della Val Pusteria, dove figli frequentano la scuola tedesca e parlano più il tedesco che non l’italiano. Le giornate si svolgono secondo i ritmi della Natura e le attività svolte all’aperto in ogni stagione sono tantissime: dalla raccolta delle erbe allo sciare in inverno in alta montagna. La macchina è solo uno strumento usato per portare gli ospiti al Lodge o per scendere in città quando necessario. In genere ci sono le passeggiate nei boschi e gli incontri con i cervi a ristabilire le priorità della famiglia Barbini.

Fonte:  Sued Tirol

Foto | Storie da vivere

Il contadino ribelle che gioca con la natura

Per adottare uno stile di vita naturale basta prendere esempio dalle piante e dagli animali di Simona Empoli4

Nelle Alpi austriache, in una fattoria che si sviluppa su un dislivello che va dai 1100 ai 1500 m di altezza, con una temperatura annuale media di 4,5 °C, vive e pratica la sua speciale permacultura un contadino ribelle, Sepp Holzer. La sua figura è ormai famosa fra tutti gli appassionati di agricoltura biologica e permacultura di tutta Europa e non solo, infatti le sue consulenze vengono richieste anche negli altri continenti, dove ha già avviato progetti un po’ ovunque, dalla Russia al Brasile. Incontrandolo abbiamo scoperto una persona con una gran saggezza e tanta, tantissima passione

Sepp, quando ha capito che il tipo di agricoltura che stava praticando era qualcosa di speciale? Come è arrivato alla “sua” permacultura?

Diciamo che ho cominciato giocando, quando avevo cinque anni, all’aperto, fra le rocce (sono cresciuto in una fattoria a 1300 m di altezza in una regione alpina che viene chiamata la Siberia austriaca). Noi bambini dovevamo costruirci da soli i nostri giochi. I miei interessi erano le piante, i semi. Mi piaceva vedere come crescevano e si sviluppavano. E, come bambino, vedere come crescono i propri alberi, le proprie piante, i propri ravanelli e la propria insalata procura un’immensa gioia. Ho continuato nel tempo a giocare con le piante e i semi, non nell’orto, ma sempre di fuori, fra le rocce. E le mie piante crescevano meglio e più grosse di quelle dell’orto di casa. A scuola lo raccontavo alla maestra e ai miei compagni: alcuni hanno iniziato a venire a vedere e si meravigliavano di come crescessero le mie piante.  Continuando così, col tempo ho creato anche un piccolo laghetto in cui si potevano pescare le trote con le mani. In questo modo ho fatto le mie esperienze, col tempo ho imparato a comunicare con la natura. Osservando ho imparato anche a risolvere i vari problemi che si presentano. Vedendo ad esempio come gli animali selvatici mi mangiassero le piante, ho imparato a proteggerle piantando loro intorno dei rovi. Ho imparato che le rocce hanno un effetto stufa, e così via. È un apprendimento continuo, tutt’oggi continuo a imparare tante cose osservando la natura. Si apprende comunicando con la natura. Dopo la scuola ho svolto diversi corsi di specializzazione. E lì ho imparato come si devono potare gli alberi, come si concima, l’utilizzo delle sostanze chimiche e così via. Quando sono tornato ho applicato quanto avevo imparato nei miei orti e ne ho

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avuto immensi danni. Gli alberi sono forse cresciuti meglio, ma in inverno poi sono morti per il freddo. Allora mi hanno detto che non potevo coltivare albicocche o altri alberi da frutta fra le rocce, dopo tutto quella era pur sempre la Siberia austriaca. Eppure prima quegli alberi crescevano! Allora iniziai a pensare che avevo imparato delle cose sbagliate. Che non era corretto rendere le piante dipendenti, ma che dovevano crescere in maniera autonoma, in simbiosi con la natura. Queste cose però non vengono insegnate in nessun libro, bisogna impararle con l’esperienza diretta nella natura. Imparando dalla natura si capisce che tutto può crescere in maniera più semplice, senza prodotti chimici. Naturalmente, nel processo di apprendimento si fanno degli errori, ma anche così s’impara.

Nella farmacia della natura, invece, si possono imparare così tante cose! Ma la maggior parte delle persone l’ha disimparato. Per ogni malattia c’è una pianta, ma non le si conosce più, non ci se ne serve più3

Poi col tempo qualcuno ha iniziato a prestare attenzione a quanto dicevo, ha iniziato a venire gente in fattoria, anche professori universitari, che vi hanno tenuto addirittura seminari. È interessante quanto racconta, cioè che nei suoi corsi di formazione ha disimparato a rapportarsi con le piante… Com’è possibile?

L’uomo si è perso in alto mare. In tutti gli ambiti, non solo in agricoltura, ma anche in medicina, in veterinaria… Ci siamo persi. Naturalmente ci sono

I frutti di piante antiche sono più saporiti e ci fanno stare meglio. Il problema è che molte persone sono così confuse che non riescono più a percepirlo

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anche aspetti positivi in quanto si apprende nelle scuole e nelle università, non bisogna buttare via tutto. Ma purtroppo vedo come facciano ricorso alla chimica così tanto e così spesso! Anche quando non ce n’è assolutamente bisogno! Nella farmacia della natura, invece, si possono imparare così tante cose! Ma la maggior parte delle persone l’ha disimparato. Per ogni malattia c’è una  pianta, ma non le si conosce più, non ci se ne serve più. Si può imparare tantissimo dagli animali che vivono liberi in natura, osservando come essi si servano di questa farmacia naturale. È tremendo quanto sapere e conoscenze riguardo a tante tecniche di lavorazione si stiano perdendo! L’uomo si serve ormai nei supermercati, non ha orti e per lo più non ha animali, e se ce li ha li tiene rinchiusi. L’allevamento di massa è una catastrofe, potrei raccontare tante cose! Ma io mostro che c’è un’altra via, che si possono trattare gli animali con più rispetto. Che si possono ad esempio sopprimere senza che sentano paura, risparmiando loro la paura. La paura è una catastrofe, è un rilascio incredibile di adrenalina, che è un’eccitante; lo si sa, ma negli allevamenti di massa non viene presa nessuna precauzione, non si ha rispetto dell’animale. Gli animali hanno un’anima: si può parlare con loro, percepire se si sentono bene o no, ma l’uomo non ha tempo; non ha tempo più neanche per i suoi simili. E ciò Intervista a Sepp Holzer

I frutti di piante antiche sono più saporiti e ci fanno stare meglio. Il problema è che molte persone sono così confuse che non riescono più a percepirlo

conduce a tutti quei comportamenti aggressivi e depressivi che si osservano. Non ci sono soluzioni al collasso se l’uomo non assume una consapevolezza naturale, se non riesce a immedesimarsi in ciò che si trova di fronte, che sia una pianta o un animale o un altro uomo. Bisogna collaborare con la natura e non combatterla!

Nell’agricoltura quindi si può trovare una soluzione ai tanti problemi che abbiamo attualmente…

Certo, in poco tempo si può arrivare a vivere bene ovunque. Bisogna però imparare a conoscere la natura. Non posso praticare ovunque la stessa agricoltura. Devo conoscere il clima del posto in cui ho la terra. La pioggia, le temperature, i venti, la topografia… Per questo l’uomo ha avuto il dono del pensiero dalla natura, per comprendere il suo intorno e non per combatterlo. Con questi presupposti si possono creare terre fertili ovunque, in qualunque posto della Terra. In questo modo l’uomo può essere indipendente; si può persino combattere la fame. Ma deve imparare a comunicare con la natura, a usarla e non a sfruttarla, deve imparare a gestire le fonti d’acqua, che è la cosa più importante in assoluto.

Certo però che se penso all’Austria, alla Germania, mi viene da pensare che sia facile parlare di gestione dell’acqua. Forse è più complicato avere acqua a sufficienza nei Paesi più meridionali. Penso alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, ma anche a certe zone d’Italia.

Su tutto il pianeta si può trovare acqua. Bisogna solo pensare “naturalmente” e non normalmente. Abbiamo acqua a sufficienza in tutto il mondo, negli angoli più desertici della Spagna, in Russia… In Kazakistan, ad esempio, potete osservare un progetto che ho creato per il governo su una superficie di migliaia di ettari. Ovunque c’è acqua a sufficienza, basta conoscere le risorse della natura: il Sole, il calore, il vento, la neve, la pioggia… Conoscendo queste caratteristiche posso fare agricoltura ovunque, in Groenlandia come in Brasile. Mi devo adattare alla natura. Devo imparare a leggere nella natura affinché essa lavori per me. Se si aggiusta la gestione dell’acqua si è fatto il 70% di tutto il lavoro. Si deve avere acqua viva e non acqua morta e inquinata. Bisogna rendersi indipendenti nell’approvvigionamento dell’acqua.

Ma passando da un tipo di agricoltura convenzionale a un’agricoltura naturale, quanto tempo è necessario  perché il terreno torni a essere fertile, a essere vivo?

Questo dipende da quanti e quali  trattamenti ha subito quel terreno. Quanto più intensivo è stato l’utilizzo di sostanze  chimiche su quel terreno, più tempo ci vorrà per tornare a uno stato di fertilità naturale, in quanto bisogna riportare vita in quel terreno. Anche la presenza di animali è importante, anche loro svolgono un ruolo fondamentale per creare un buon

Nel suo libro lei consiglia l’utilizzo di piante “antiche”.

Piante antiche e regionali, o meglio, locali. Queste, nel corso dei decenni si sono adattate alle condizioni del clima e del terreno. Per cui sono le piante che daranno i frutti migliori.

Sì, ma non ci potrebbe essere un problema di mercato? La gente ormai è abituata ai tipi di frutta e verdura che trova nei supermercati… Che poi sono le stesse quasi ovunque.

Io ho raccolto esperienze in  tanti Paesi. In genere, quando si portano qualità diverse, la gente ride, perché è abituata alla frutta e verdura dei supermercati. Le pere devono essere in un certo modo, le mele e le banane pure, indipendentemente dal Paese in cui ci si trova. Ma quando poi prova questi altri tipi di frutta, nota subito che hanno un sapore migliore, che mangiandole, lo stomaco si riscalda e ci si sente meglio. È solo una questione di tempo perché i prodotti in commercio, inquinati e di qualità inferiore facciano insorgere conseguenze sull’organismo: allergie, comportamenti aggressivi e depressivi ecc. I frutti di piante antiche sono più saporiti e ci fanno stare meglio. Il problema è che molte persone sono già così confuse che non riescono più a percepirlo. Allora è forse veramente ora che torniamo a pensare “naturalmente”, come questo contadino austriaco che ha imparato a fare agricoltura giocando con la natura.

Simona Empoli

Collabora con il Gruppo Editoriale Macro da qualche anno, in qualità di selezionatrice dei testi e responsabile dell’area copyright. Fra i suoi interessi ci sono i metodi di agricoltura naturale e la permacultura.

Fonte: viviconsapevole.it