Turismo: quando è veramente sostenibile?

L’Onu ha dichiarato il 2017 l’Anno Internazionale del turismo sostenibile, puntando l’attenzione non solo sull’impatto che la presenza di turisti comporta sull’ambiente, ma anche sull’importanza del turismo sostenibile come veicolo per “diffondere consapevolezza del grande patrimonio delle varie civiltà” e apprezzare “i valori intrinsechi delle diverse culture, contribuendo così al rafforzamento della pace nel mondo”.9583-10348

Basterà l’anno internazionale del turismo per invertire una tendenza alla voracità dei consumi anche in questo campo?

Per turismo sostenibile si indica un modo di viaggiare rispettoso del pianeta, che non altera l’ambiente – naturale, sociale e artistico – e non ostacola lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche. Si tratta di un turismo non distruttivo, con un impatto ambientale basso e che punta a favorire le economie più in difficoltà. La definizione si oppone a quella di turismo di massa, che non tiene conto delle specificità dei territori, è invasivo e spesso non favorisce lo sviluppo economico, sociale e ambientale a livello locale. Nel 2016, il giro economico legato al turismo ha sfiorato, a livello internazionale, i 1.260 miliardi di dollari, con circa un miliardo e 200 mila viaggiatori. Ma come si traduce la filosofia che sottende al turismo sostenibile in comportamenti concreti?  Ecco alcuni suggerimenti:

  • non scegliere alberghi ad elevato impatto ambientale
  • preferire alberghi, b&b, agriturismi, ostelli, case vacanza, residence, villaggi turistici con certificazioni ambientali che attestino l’adozione di misure di trattamento dei rifiuti, riciclo raccolta differenziata dei materiali e dispongano di sistemi ad alta efficienza energetica, come fonti di energia rinnovabili, e, se possibile, anche realizzate con criteri di bioedilizia
  • optare per ristoranti con menù bio e/o con prodotti a km zero
  • non acquistare specie a rischio d’estinzione
  • evitare l’aereo se non strettamente indispensabile
  • preferire se possibile il treno e la nave all’aereo
  • sostituire l’auto con la bicicletta o con i mezzi pubblici
  • sperimentare viaggi a piedi o in bici
  • non disturbare gli animali
  • non accendere il fuoco se c’è pericolo di incendi e assicurarsi di spegnerlo attentamente con terra o acqua prima di andare via
  • contribuire alla protezione delle specie marine acquistando con attenzione il pesce, escludendo le specie in via di estinzione
  • non dimenticare, in vacanza, di differenziare i rifiuti
  • non lasciare rifiuti per le strade, nei boschi, sulle spiagge, portare via con sé tutto ciò che non si consuma
  • evitare l’acqua minerale in bottiglie di plastica, se possibile, portare una borraccia e riempirla alle fontanelle
  • evitare, in ogni caso, di utilizzare prodotti usa e getta.

Nel 2015, gli italiani che hanno dichiarato di fare turismo sostenibile sono stati il 16%, come riporta il sesto rapporto “Italiani, turismo sostenibile ed ecoturismo”, a cura di Ipr Marketing e Fondazione Univerde, mettendo in evidenza come il 44% del campione affermi di essere disposto a pagare di più (tra il 10 e il 20%) la vacanza pur di avere accesso a servizi sostenibili, mentre 41% del campione dichiara di informarsi sulla sostenibilità delle strutture ospitanti. Non tutto è lasciato alla sensibilità del singolo, anche le Amministrazioni locali cominciano a porsi il tema degli impatti del turismo sui propri territori, anche se, a dire il vero, molto timidamente e con risultati al momento non palpabili! A livello nazionale, esistono alcuni progetti pilota sostenuti anche dal Ministero dell’Ambiente; di recente, a metà maggio 2017, è stata presentata la Carta di Cervia-Milano Marittima che si ispira, nella sue motivazioni di fondo, alla carta di Cortina, anch’essa voluta e sostenuta dal Ministero dell’Ambiente. Lo scopo è quello di rinnovare il modello di sviluppo, coniugando buona offerta turistica con qualità ambientale, valori identitari e culturali del territorio. In quest’ottica una particolare attenzione andrebbe rivolta sempre più alle energie rinnovabili, all’efficientamento energetico degli immobili, agli adattamenti ai cambiamenti climatici, alla raccolta differenziata, alla mobilità dolce e sostenibile, alla lotta agli sprechi e al degrado urbano. Prendiamo tutti l’impegno: facciamo in modo di attraversare leggeri il mondo che ci circonda!

 

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

Packaging: gli europei preferiscono il vetro

Secondo una ricerca commissionata da Friend of Glass l’85% degli europei ritiene che il vetro sia il materiale più sostenibile per gli imballaggi alimentari.packaging-gli-europei-preferiscono-il-vetro

Il vetro è il materiale preferito dai consumatori per confezionare cibo e bevande. Lo rileva un sondaggio realizzato da InSites per conto Friends of Glass in undici paesi europei: Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna, Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Polonia, Sovacchia e Svizzera. Il sondaggio ha raccolto l’opinione di 18 mila cittadini europei, dal 28 novembre al 14 dicembre 2016. Il risultato è abbastanza chiaro e netto: l’85% degli intervistati (cioè il 15% in più rispetto a un analogo sondaggio svolto l’anno precedente e il 50% in più rispetto al 2008) preferisce il packaging in vetro rispetto a quello in plastica, metallo o altri materiali. Il vetro viene considerato, infatti, più sostenibile. Il vetro, a differenza di altri materiali alternativi per il packaging, è un “rifiuto non rifiuto” perché può essere riciclato al 100% (e all’infinito) con costi assolutamente abbordabili. Tuttavia, come rileva lo stesso sondaggio, non molti cittadini europei sono perfettamente a conoscenza dei vantaggi ambientali di questo materiale: solo il 49% degli intervistati, ad esempio, è convinto che il vetro sia completamente innoquo per l’ambiente. Adeline Farrelly, segretario generale di FEVE (la federazione europea dei produttori di packaging in vetro, che è alle spalle della community di Friends of Glass), si dichiara soddisfatta a metà del sondaggio: “E’ incoraggiante vedere che i consumatori siano diventati più consapevoli dei benefici del packaging in vetro. Ma anche se questi risultati sono rassicuranti, come industria, non possiamo essere compiaciuti e rimaniamo impegnati nel nostro focus di informare i consumatori sulle caratteristiche uniche del vetro in fatto di sostenibilità e riciclabilità“.

Alcune proprietà del vetro, però, sono ben chiare ai cittadini europei: solo il 14% degli intervistati, infatti, crede che il vetro possa avere interazioni negative col cibo che contiene. Il 53% ritiene che il vetro sia il materiale più salubre per il confezionamento dei cibi e il 73% ritiene che lo sia anche per le bevande.  Purtroppo, però, i giovani non amano il vetro: secondo Friends of Glass, infatti, a causa del prezzo maggiore e della disponibilità minore i giovani comprano meno cibo confezionato in vetro rispetto ai consumatori di età più avanzata. Tuttavia sono gli stessi giovani a considerare il vetro più “trendy” rispetto a plastica e metallo. Per correttezza di informazione, infine, va ribadito che l’indagine InSites è stata commissionata dalla FEVE, che altro non è che la lobby europea del packaging in vetro.

Credit foto: Flickr

Fonte: ecoblog.it

WASP, la stampante 3d che crea case economiche e sostenibili

Dall’osservazione di un’ape vasaia l’idea del maker Massimo Moretti di costruire con una stampante 3d una casa con terra e acqua è divenuta realtà. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato come è stato possibile realizzare questo sogno e in cosa consiste il progetto WASP, tecnologie avanzate per salvare il mondo.

Il Centro Sviluppo Progetti (CSP) nasce 15 anni fa in un momento di crisi per Massimo Moretti. I suoi progetti precedenti erano crollati per l’ennesima volta. “Così mi sono chiesto che cosa sapevo fare e la risposta è stata: so sviluppare progetti, quindi ho creato il CSP”. Ci tiene a porre l’accento sulla parola centro, “in quanto significa riscoprire il proprio centro”.

Scoperto quel che voleva fare, inizia a sviluppare progetti per conto terzi o seguendo le proprie idee. “Quando servivano soldi seguivo progetti per altri, quando avevo soldi sviluppavo i miei progetti. Il CSP ha sviluppato progetti tecnici per circa tre anni con alterni successi e insuccessi”.

Con uno sguardo onesto e sicuro, ci dice che è stato un grande esperto di crisi aziendali. “È la mia vera formazione, ho passato la vita in crisi”. Ad un certo punto della sua vita incontra il movimento FabLab e ci entra a capofitto. “Sapevo bene cosa vuol dire vivere di autoproduzione e delle proprie idee, trasformandole in prodotto”. Così ha unito questo sapere ad un gruppo di giovani. Queste due energie insieme hanno dato vita a WASP (World Advanced Saving Project), cioè tecnologie avanzate per salvare il mondo. “Deriva dalle mie esperienze pregresse, ho visto che tutto si può fare, quindi tanto vale fare qualcosa di importante”.

Alla base del loro agire vi sono importanti aspetti filosofici. “La motivazione per cui fai le cose è il valore delle cose che fai, indipendentemente dal risultato. Per noi l’unire e lavorare in questo gruppo è già il risultato del nostro agire. Vogliamo fare cose utili al mondo.”wasp2

Con il sorriso sulla labbra Massimo ci racconta come è nata la collaborazione con giovani neolaureati del mondo del design. “Io vi aiuto a costruire la stampante 3d se voi mi aiutate a salvare il mondo”. Poi il suo tono di voce torna serio e sicuro, dicendo che “non siamo così pazzi da poter pensare di salvare il mondo, ma siamo così pazzi da lavorare per questo”.

Il progetto Wasp è nato in un momento di crisi ulteriore. I vecchi clienti di CSP cominciavano a non pagare più. C’è stato così un investimento minimo in WASP, data l’esperienza maturata nei decenni, in particolare nella comunicazione. “Ho utilizzato il progetto della stampa 3D di una casa come mezzo per comunicare. Stampare una casa tre anni fa era una cosa da pazzi!” Ed inoltre, aggiunge che “sapevo che si poteva fare, ma ancora non sapevo come!”. Pensare che il progetto era partito con un investimento minimo di 7000 € e che ora ci lavorano 30 persone, ci fa intuire che il modo è stato trovato. Massimo ci spiega così come si è arrivati all’idea di stampare una casa, e l’intuizione non è banale.
“15 anni fa avevo investito tutti i miei risparmi in una stampante 3d. L’ho comprata perché volevo smontarla e replicarla. La mia intenzione era produrla. Il mio problema era: che cosa stampo?”

Un’estate, entrando in macchina, vede un’ape vasaia che stava facendo la sua casa in terra. Non a caso il logo di WASP ha con sé disegnata una vespa vasaia. “Quando l’ho vista fare la sua casa, sono rimasto davvero fulminato. Ho pensato: questa è una stampante 3D perfetta”. Per un paio di notti i pensieri continuavano, per capire come l’ape fosse in grado di costruirsi la propria abitazione.wasp1

Come spesso accade alcune elucubrazioni, anche folgoranti, hanno necessità di tempo per sedimentarsi. O semplicemente necessitano di un altro avvenimento per trasformarsi in qualcos’altro. Così tale idea rimase ferma nella testa di Massimo fino a otto anni dopo, quando venne invitato ad un incontro di architetti. La discussione verteva su uno dei problemi più importanti del mondo, e cioè come poter costruire case a basso costo.

“Quando ho sentito questo input, ho pensato a come avrei potuto rispondere io, era un esercizio mentale”. Così gli tornò in mente l’ape che faceva la casa nella sua macchina.  “Questo è il modello perfetto: prendo il materiale che c’è sul posto – terra bagnata – gli do la forma e il sole l’asciuga. Così devo costruire una stampante 3D che faccia proprio questo, con terra e paglia”.

Era necessario costruire una stampante gigantesca, alta 12 metri. Bene, il sogno è diventato realtà. “Adesso la stampante ce l’abbiamo, abbiamo fatte varie prove, ma non abbiamo ancora costruito la casa, anche per una questione climatica. La stampante è pronta dallo scorso settembre”.

Circa la forma migliore per una struttura abitativa, per Massimo è quella delle conchiglie. “Non credo sia un caso che le conchiglie non sono quadrate”.

Tramite questo metodo si può ridurre del 50% l’uso del cemento. Massimo spera che altre persone con altre competenze lo contattino per sviluppare e migliorare il progetto. “Bisogna avere il coraggio di rompere gli stereotipi.”wasp4

Una grande difficoltà in tutto questo meraviglioso progetto è dato, ancora una volta, dalla burocrazia. “Come si fa ad essere in regola? La burocrazia ci sta portando via il sogno. Persone da tutto il mondo vorrebbe venire a lavorare con noi ma non sappiamo come farle venire senza intoppi legali”.

Gli chiediamo qual è il suo materiale preferito. Non ha dubbi, “è il materiale a km 0, quindi terra e paglia inerte. Il cemento è insostenibile”. V’è la necessita di un nuovo approccio all’economia. “Se diamo a tutti la possibilità di autoprodurre qualcosa stiamo seguendo l’economia della autoproduzione, la maker economy”.

Passiamo al difficile rapporto tra tecnologia e natura. “La tecnologia è la ricaduta della mente sulla materia, sulla natura. Se la mente è malata, la tecnologia è malata, se è sana la tecnologia è sana”.
Massimo è un imprenditore che cerca di dare forma ad un sogno reale, di tutti.  E ci dice che “paradossalmente da quando abbiamo smesso di seguire il profitto, abbiamo più profitto. Perché la visione del profitto – continua – è limitata al domani, invece la visione lontana ti dà degli slanci che generano profitto. Quindi funziona fare cose utili al mondo, economicamente. Non sono solo sogni”.

E allora continuiamo a inseguire i nostri sogni, facendo il massimo per realizzarli.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-141-wasp-stampante-3d-case-economiche-sostenibili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Regione Lazio approva proposta di legge su Filiera Corta. Legambiente “Un passo fondamentale per un’agricoltura sana e sostenibile nel Lazio”

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In arrivo dalla Regione Lazio sostegno e finanziamenti alle tradizioni ed alle eccellenze agroalimentari del Lazio. Verrà istituito anche un logo da apporre ai prodotti delle aziende più virtuose.

13 ottobre, 2016

Sostenibilità

Ieri sera il Consiglio Regionale del Lazio ha approvato all’unanimità la proposta di legge 151 sulla Filiera Corta, volta a valorizzare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli e alimentari di qualità provenienti dai territori della Regione. Con questa legge nel Lazio troveranno sostegno, finalmente, produzioni locali e peculiarità territoriali. Per filiera corta si intendono tutti quei prodotti rientranti in un circuito economico dove c’è rapporto diretto tra produttore e consumatore, in forma singola o associata.

“L’approvazione della proposta di legge sulla filiera corta è un passo davvero importante per l’agricoltura della nostra regione – commenta Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio– e da oggi ci sarà più sostegno per tutti quei piccoli prodotti, custodi delle tradizioni territoriali e delle peculiarità agroalimentari del Lazio. Ora va concretizzato questo nuovo strumento legislativo costruendo un modello di agricoltura sostenibile e di qualità, e che sia volano per la green economy, per salvaguardare la biodiversità soprattutto nelle aree protette, nel rafforzare le vocazioni agricole territoriali, nel ridurre emissioni inquinanti da trasporto o da concimi chimici.”

Tra le altre cose la legge prevede: la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, l’assegnazione di logo apposito alle aziende che ne fanno uso per almeno la metà della propria filiera, vieta di somministrare di prodotti contenenti OGM, obbliga i Comuni a riservare nei nuovi mercati almeno il 20% ai prodotti provenienti da filiera corta, istituisce il Bando delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, valorizza i prodotti provenienti dalla pesca “a miglio zero”.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Uruguay, inaugurata la prima scuola completamente sostenibile del Sud America

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Le giornate di sole sono una buona notizia per gli alunni di questa scuola dell’Uruguay per molte ragioni: il loro è il primo istituto scolastico dell’America latina al 100% sostenibile grazie all’alimentazione tramite pannelli solari e all’uso di materiali riciclati. “La scuola è un edificio completamente autonomo nel senso che non è collegato a nessuna fonte energetica, funziona solo con risorse naturali”, spiega Francesco Fassina, educatore e membro dell’Ong che ha costruito lo stabile. I muri sono stati realizzati con materiali ricavati da penumatici, bottiglie di plastica e di vetro grazie all’impegno di una Ong locale e al lavoro dell’architetto americano Michael Reynolds. “Le persone mi davano dello stupido. Costruire con la spazzatura, che follia, sei la disgrazia della comunità degli architetti. Io stavo cercando di recuperare l’acqua, di trattarla, di fare tutte queste cose che gli architetti non fanno”

La protezione dell’ambiente è diventata anche una materia di studio per i 39 alunni e per i loro professori che frequentano corsi sulla sostenibilità, compresa la direttrice Alicia Alvarez. “Poco a poco acquisiamo competenze, impariamo come funzionano i meccanismi dell’edificio e il sistema per evitare che si deteriorino”.

Fonte: ecoblog.it

«Autoproduzione, così vinco la crisi»

Negli ultimi anni si sta registrando un aumento di persone sempre più consapevoli riguardo a quello che mangiano, che utilizzano per pulire o che mettono sulla pelle. Si osserva una maggiore ricerca del prodotto biologico e sostenibile, ma anche in questo campo ci sono non poche perplessità. Saranno davvero prodotti naturali? Quali sono la loro provenienza e il loro reale impatto sull’ambiente? Sarà giustificato questo prezzo più alto?autoproduzione_

Ed ecco che arriva il momento in cui si decide di coniugare risparmio, salute e ambiente cimentandosi nell’autoproduzione, cioè producendo da soli ciò di cui si ha bisogno a partire dalle materie prime. E c’è anche chi ha fatto dell’autoproduzione la sua pratica quotidiana, e non solo per i motivi elencati prima, ma per una vera ed innata passione. Questa è la storia di Maria Flavia Orlando, 48 anni, mamma, blogger, autrice del libro “Il sapone liquido fatto da me”, autoproduttrice a tutto tondo.

Flavia, quando hai iniziato a dedicarti al fai-da-te?

“Questa passione affonda le sue radici già dalla tenera età: eravamo 5 figli di genitori artigiani e quindi nel nostro sangue ardeva il fuoco dell’autoproduzione. Dal momento che non potevamo permetterci una vita lussuosa, costruivamo da soli i nostri giocattoli a cominciare dal monopattino, sino al prototipo di un motorino a scoppio. Crescendo ho sentito sempre più la necessità di creare ed iniziai ad appassionarmi contemporaneamente di pittura, cucito, bricolage, cucina, ricamo, giardinaggio e cosmetica. La mia mamma mi assecondava mettendomi a disposizione materiale di riciclo, per esempio le stoffe con cui, a soli 8 anni, cucivo tutti i vestitini delle mie bambole di pezza; inoltre dipingevo quadri su assi di legno recuperando le vernici che rimanevano sul fondo dell’impastatrice utilizzata da mio padre per produrre pitture nel suo colorificio artigianale; poi mi dilettavo anche con la cucina, il ricamo e la coltivazione di piantine; per finire, mi dedicavo a creare dei piccoli cosmetici, come per esempio burri di cacao fatti con cioccolata e cera d’api. Per le mie creazioni prendevo spunto da una famosissima enciclopedia che era molto in voga negli anni ’70, di cui ho riletto così tanto le pagine fino quasi a consumarle. Quando mia mamma vide che ottenevo dei buoni risultati, iniziò ad acquistare testi a buon mercato per far sì che io potessi studiare a casa”.

Grazie a studio, passione e dedizione, oggi Flavia è in grado di preparare cosmetici e detergenti naturali ed ecologici e le stesse materie prime, ottenendo prodotti quasi a costo zero. 

“Vivendo immersa in un fantastico bosco di ginepri del Chianti posso coltivare il mio piccolo orto, ricco di piante officinali, e avere la possibilità di cogliere frutti ed erbe che la natura mi dona. Poiché le mie finanze non sono mai state floride, ho sempre dovuto ingegnarmi a fare il più possibile da sola per riuscire a mantenere la mia famiglia composta da me, mio figlio Matteo e il nostro gatto. Quindi non mi sono mai fatta prendere la mano dagli acquisti compulsivi di materie prime di cui posso fare benissimo a meno, in quanto, grazie proprio alla natura, riesco a riprodurre i cosiddetti “attivi”. La mia filosofia di vita è sempre stata “chi fa da sé fa per tre”. La mia innata curiosità e creatività mi hanno portato ad aguzzare l’ingegno e ad inventare un sistema casalingo per ottenere idrolati e oli essenziali da erbe e fiori, semplicemente facendo una modifica alla pentola a pressione e trasformandola in un alambicco per la distillazione in corrente di vapore. Nel mio blog ci sono tutte le indicazioni per praticare questa trasformazione a casa!”.

A proposito del tuo seguitissimo blog “Magica Natura”, com’è nata questa idea?

“Nonostante il lavoro, la famiglia, la casa, ecc., non ho mai smesso di coltivare le mie passioni e realizzare cose nuove. Tutto ciò veniva fatto lontano dal web in quanto non ho mai amato la tecnologia, sino al giorno in cui, nel 2011, una mia amica e collega di lavoro decise di aprirmi un blog perché aveva notato il mio piacere nel condividere ogni mia produzione ed invenzione. Insomma, una volta approdata in questo mondo tecnologico, ho iniziato a conoscere tantissime persone con i miei stessi interessi e questo mi ha spinto a proseguire con ancora più soddisfazione il lavoro che avevo cominciato in età infantile. Sul mio blog si possono trovare informazioni sulle piante medicamentose e sugli oli essenziali, ricette di cucina, ricette di saponi liquidi e solidi e di detersivi, rimedi naturali per la casa e per la persona, gli oleoliti, le materie prime fatte in casa e tanto altro! Anche il libro “Il sapone liquido fatto da me” nasce dalla voglia di condividere i miei studi e la mia esperienza: si tratta infatti di una vera guida alla realizzazione del sapone liquido, grazie alla quale potremo produrre tra le mura domestiche shampoo, bagnoschiuma, sapone da barba, gel doccia e detersivi per la casa”.

Secondo la tua opinione, autoprodurre fa davvero risparmiare?

“Indubbiamente sì, ma solo qualora vengano utilizzate materie prime derivate da un riciclo sensato o facilmente reperibili e a basso costo se non addirittura a costo zero. Capita, però, che all’inizio di un’attività creativo/manuale la spesa iniziale sembri troppo esosa, tanto da indurci a riflettere se non sarebbe il caso di acquistare direttamente un prodotto finito anzichè avvicendarci nel riprodurlo in casa. Ma è davvero necessario acquistare tante materie prime? Secondo il mio punto di vista no! Prendiamo ad esempio il sapone: per farlo in casa sono necessari solo 3 ingredienti di base, cioè olio (generalmente un olio di oliva o di sansa), acqua e soda caustica o idrossido di potassio. A conti fatti il nostro lotto di sapone, da cui ricaviamo almeno 13-14 panetti da circa 100g l’uno, ci viene a costare totalmente circa 4 euro, quindi ogni panetto ammonterebbe a meno di 40 centesimi. Passiamo ora ad esaminare il più semplice dei cosmetici, ovvero una crema base. Se non abbiamo la pretesa di voler imitare una comune crema commerciale, anche questa possiamo realizzarla con semplicissimi ingredienti economici, di facile reperibilità e, soprattutto, senza avere alle spalle studi e studi di cosmetologia e farmacia. Gli ingredienti necessari per realizzare una Cold Cream sono: acqua, olio (anche un extravergine di oliva va bene) e cera d’api. Con questi semplici ingredienti noi saremo in grado di realizzare una crema base multifunzionale da 100g ad un costo totale di circa 1,00€. A seconda della nostra disponibilità economica, possiamo arricchire la crema di oli essenziali e/o sostanze funzionali che soddisfino le nostre esigenze”.

Oltre al risparmio, quali sono i vantaggi dell’autoproduzione nel campo di sapone e cosmetica?

“Saper fare da soli è molto gratificante perché ci rende autonomi e autosufficienti. È una gran bella soddisfazione quella di andare al supermercato evitando lo scaffale dei detergenti senza dover perder tempo a leggere lunghissime etichette di ingredienti sconosciuti e dal nome complicato! Inoltre, sai sempre quello che metti in un prodotto e quindi quello che andrà a contatto con la tua pelle, se qualche componente ti dà dei problemi puoi in ogni momento modificare la composizione andando a creare un prodotto su misura per te. Ancora: possiamo scegliere ingredienti naturali e biodegradabili che rispettano la nostra Madre Terra sdebitandoci per tutti i doni che essa quotidianamente ci offre, senza contare la notevole diminuzione del consumo di flaconi e contenitori di plastica, altamente impattanti sull’ambiente! Infine ho sempre pensato che l’autoproduzione riesca a tenere lontano quella terribile malattia che è la depressione.Nella mia vita ho avuto tantissimi momenti terribili che mi hanno fatto sfiorare questa malattia, quindi per me usare le mani in modo creativo ha sempre significato curare il mio spirito; l’autoproduzione mi permette ogni giorno di scoprire cose nuove che mi riempiono di gioia e mi stimolano a svegliarmi presto ogni mattina, per scoprirne delle altre”.

Un’ultima domanda: hai dei progetti per il futuro legati al settore dell’autoproduzione?

“Il mio vero sogno nel cassetto, sin dall’infanzia, è quello di possedere una fattoria e di creare una piccola comunità autosufficiente. Sognavo gli ecovillaggi quando ancora questi non esistevano!! O meglio, esistevano in una certa misura nei piccoli borghi dove l’artigianato locale era molto apprezzato e dove in realtà sussisteva ancora uno strascico di baratto. Infatti ricordo che, per esempio, le mie zie mi chiamavano per preparare le torte di compleanno dei miei cuginetti ed in cambio io ricevevo delle stoffe con cui potevo cucirmi i vestitini; oppure ricamavo un asciugamano per una delle mie maestre e questa mi regalava un libro; o la mia vicina di casa parrucchiera, in cambio dei miei burrocacao al cioccolato, mi tagliava i capelli gratis. Insomma era uno scambio di beni e servizi che faceva comodo un po’ a tutti e mi piacerebbe fosse il modo di vivere del futuro!”

QUI il blog di Flavia

e la sua pagina Facebook

https://www.facebook.com/Magica-Natura-305885399440448/

fonte: ilcambiamento.it

Scegliamo la nostra terra per vivere in maniera naturale e sostenibile

Stefania e Silverio a 25anni decidono di cambiare vita: “Volevamo finire gli studi e andare a lavorare all’estero, poi un ritorno alle origini ci ha cambiato la vita e oggi dedichiamo ogni secondo del nostro tempo alla nostra terra, all’agricoltura naturale e alla condivisione di antichi e nuovi saperi”.cover_cali

“Sveglia alle 5.00 per essere in campagna alle 5.30”. Ci sono cose che senti solo nelle storie dei nonni. E invece, in questo caso, a raccontarle sono Stefania e Silverio due ragazzi di venticinque anni che hanno scelto di vivere di terra e di sogni. Stefania Cannone e Silverio Liso, pugliesi, classe 1990, laureati in Tutele e benessere animale lei e Bioteconologie lui, entrambi all’Università di Teramo, oggi agrotecnici. “Un percorso simbiotico di scelte fatte insieme” lo definiscono loro, uniti da dieci anni di amore, amicizia e tanta passione. “Abbiamo un amore viscerale per la terra e per la nostra terra” racconta Stefania. “Non mi piaceva studiare ma l’agricoltura ce l’ho nel sangue” gli fa eco Silverio, che aggiunge: “Mai avrei pensato di trovare però una donna con la quale condividere il sogno di una vita in campagna”. E invece la donna non solo l’ha trovata ma è anche più appassionata di lui. “Stefania non pensa ad altro – continua Silverio – da quando abbiamo lasciato Teramo per tornare ad Andria la nostra vita ruota attorno a questo pezzo di terra”.

Un pezzo di terra comprato con pochi soldi e quasi per caso: “Era un’occasione. Ma non avevamo ancora un progetto concreto… ” dice Silverio. “Dopo la laurea pensavamo di andare all’estero – prosegue Stefania – Ogni volta che tornavamo al nostro paese però vedevamo le cose peggiorare, tanti nostri coetanei se ne erano andati e in tanti si erano rassegnati. Allora ci siamo detti: perché non provare a migliorare le cose qui?”. “Abbiamo fatto le valigie e siamo tornati a casa – continua Silverio – Gli esami che ho dato stando a Teramo in tre anni, li ho fatti da pendolare in un anno, vivendo ad Andria e lavorando”.

L’entusiasmo è sorprendente e i risultati ottenuti pure, perché l’azienda agricola Calì non è solo un’azienda agricola, anzi. E’ un laboratorio di idee, un luogo in cui si piantano amore e passione e se ne condividono i frutti. Certo, la strada non è sempre semplice… “oggi siamo inquadrati come aspiranti imprenditori agricoli, un passo necessario per poter aprire un’azienda agricola. La burocrazia è la parte più complicata e costosa… confronto a queste pratiche zappare o svegliarsi alle cinque sono cose da nulla!” sorride Silverio. “I miei genitori ancora non si rassegnano – continua Stefania – sognano per noi il posto statale, l’impiego fisso… non hanno capito che questa ormai è la nostra vita”

Una vita che in brevissimo tempo si è parecchio riempita. “Abbiamo tre ettari di terreno, quindici galline, un pavone, una faraona e due cani che hanno abbandonato sul nostro terreno l’anno scorso – ricorda Silverio – Stavamo per partire per il campeggio ma abbiamo deciso di rinunciare alla vacanza per far loro i vaccini. Così abbiamo passato l’estate lì, a fare campeggio in campagna!”. “Il terreno è diviso tra uliveto, orto e vigneto – prosegue orgogliosa Stefania – facciamo vino, olio, ci dedichiamo all’autoproduzione e vendiamo i nostri prodotti tramite un Gas, un Gruppo di Acquisto Solidale fondato da noi… facciamo le consegne in bicicletta per essere sostenibili dall’inizio alla fine!”. Lo scopo è infatti proprio quello di promuovere uno stile di vita più sostenibile, un’agricoltura naturale e un modo di mangiare sano… ma non parlategli di biologico! “Naturale – spiega Silverio – significa totalmente priva di trattamenti, il biologico è un’altra cosa…” “Naturale, genuino, salutare ma a costi accessibili e concorrenziali – sottolinea Stefania – Perché non deve essere una cosa per pochi…”.  “Vorremmo organizzare corsi di Orticoltura Naturale, Ortoterapia, Fitoalimurgia, Formazione settoriale… Magari un giorno aprire un Agrinido e creare una masseria eco-didattica per ospitare animali e persone, piccoli e grandi” afferma Stefania, una mente in fermento e tantissimi progetti per promuovere le loro idee. “Con Legambiente di Andria, per esempio, abbiamo progettato e realizzato un orto urbano insieme ai cittadini e agli immigrati… per fortuna hanno aderito tanti immigrati perché in molti nostri compaesani non sapevano tenere neanche una zappa in mano!” sorride Stefania mentre racconta quest’avventura che ha segnato molto entrambi. “Sono persone che vogliamo aiutare, meritano una mano – continua Silverio – Per questo, insieme al progetto SfruttaZaro, vorremmo creare uno spazio  all’interno del nostro terreno da dedicare agli immigrati… per permettergli di lavorare e vivere in modo dignitoso”.
“E intanto facciamo anche consulenze – prosegue Silverio – Vogliamo condividere la nostra esperienza e le nostre conoscenze. Ci sono tantissimi ragazzi che come noi vorrebbero intraprendere questa strada ma non sanno come muoversi. Noi proviamo ad aiutarli”. “A tutti comunque diciamo di venirci a trovare – sottolinea Stefania – venite! Anche nel week end ci troverete sempre in azienda”. E pure per chi non è comodo ad Andria c’è una soluzione: “Abbiamo aperto una sorta di Bed and Breakfast per dare la possibilità a chi sta pensando di tornare ad una vita più naturale di mettersi alla prova e a chi non ha mai avuto la fortuna di sporcarsi le mani, di farlo” E chissà che non riescano a contagiare anche qualche ospite. Perché alla fine, quando si scopre la Pugliosità, come la chiama Stefania, poi è difficile tornare indietro. “Questo modo di vivere, genuino e a contatto con la natura, ti da gioia, ti riempie il cuore. Non è solo un lavoro. Noi qui siamo felici e questo traspare a chi ci incontra” spiega Stefania. “Certo, forse non uno stile di vita che si confà alla nostra età – continua Silverio, che oltre a tutto questo aiuta anche il padre lavorando come fabbro, per arrotondare le entrate – Per i nostri coetanei, per esempio, è normale uscire dopo le dieci, noi invece a quell’ora siamo già a letto! Ma a noi va bene così. Non ci manca nulla, anzi! Pensiamo al tempo sprecato. Potevamo finire prima l’Università. Potevamo iniziare prima! Se tornassi indietro farei le cose più velocemente”. Ma quest’anno ci andate in vacanza? “Assolutamente no! – ride Stefania – Tra pochi giorni inizieremo a costruire la serra e quindi dobbiamo necessariamente stare qui. Però abbiamo montato una piscina per rinfrescarci dopo il lavoro e va benissimo così. Perché, alla fine, le vacanze non sono altro che uno stato mentale”.

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Fonte: ilcambiamento.it

Olio di palma sostenibile, il convegno mondiale a Kuala Lampur

La 12 esima Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile si terrà a Kuala Lampur dal 17 al 20 novembre.

L’olio di palma è un alimento, un grasso vegetale, che provoca la deforestazione. Lo usiamo tantissimo perché rende i prodotti da forno leggeri e friabili e avendo un gusto delicato non interferisce con gli altri sapori. Pensate che le attuali proiezioni di crescita della popolazione ci dicono che il consumo di olio di palma crescerà del 35 per cento entro il 2050 e questo incremento sarà concentrato in Asia, Africa e Sud America. Si ipotizza che qui l’urbanizzazione sarà sempre più elevata e che anche i redditi cresceranno e che dunque sarà possibile un maggiore consumo di cibo. Prendendo in considerazione questi fattori, la FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite) stima che la domanda alimentare globale aumenterà del 60 per cento mettendo sotto pressione i sistemi agricoli esistenti, ovvero si verrà a creare una maggiore competizione sull’uso della terra coltivabile e dell’acqua. In più dobbiamo considerare che risorse come azoto, fosfati, carburanti, pesticidi e lo stesso suolo graveranno sulla produzione agricola. A peggiorare le previsione il panel di esperti intergovernativi delle nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) che hanno affermato in modo inequivocabile che i cambiamenti climatici saranno inevitabili. Dunque è questo lo scenario che sarà discusso alla 12 esima Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile, perché proprio la RSPO ha l’ambizione di portare in commercio solo olio di palma che per essere ottenuto tenga conto del rispetto del suolo e delle risorse e che non provenga da suoli che hanno subito la deforestazione. E’ un’ambizione appunto, perché la realtà è ben diversa e nel Borneo sopratutto intere aree sono state sacrificate alla palma da olio.Indonesia's Deforestation Rate Becomes Highest In The World

La RSPO Roundtable on Sustainable Palm Oil nasce nel 2003 come piattaforma per riunire governi, investitori, produttori, commercianti e la società civile nell’ elaborare criteri per la
produzione sostenibile dell’olio da palma. Da allora il primo carico di olio di palma sostenibile e certificato CSPO si è avuto nel 2008 e nel 2010 erano già 25 mila i piccoli agricoltori certificati. Nel 2011 nasce il marchio di certificazione RSPO e nel 2013 si è completata la certificazione per tutta la filiera di approvvigionamento. Attualmente l’olio di palma certificato RSPO è pari al 15 per cento della fornitura globale facendo registrare un punto percentuale di aumento dal 2012. Nonostante questo aumento dell’offerta di olio CSPO resta ancora molto lavoro da fare. E la strada scelta è appunto quella del dialogo.

Fonte:  RT12

© Foto Getty Images

In rete chi lavora “sostenibile”

Tessere una rete tra professionisti sensibili ai temi della sostenibilità e del benessere e loro potenziali clienti a patto che si seguano principi etici ed eco-compatibili. E’ l’idea da cui nasce il progetto WIDE-Savona, grazie alla collaborazione tra il Cesavo (Centro Savonese di Servizi per il Volontariato) e Manipura (associazione sportiva dilettantistica e di promozione sociale).widesavona

Il Cesavo ci ha messo gli spazi, una serie di locali che possono fungere da uffici, le idee nascono invece dalle tante teste pensanti che in questo progetto vogliono credere. «Si tratta di un progetto di promozione sociale che vuole sostenere neo professionisti sensibili ai temi della sostenibilità e del benessere, creare una rete di connessione tra loro e tra loro e i loro potenziali clienti, promuovere nella comunità locale una cultura orientata verso un’economia più etica, un modello di sviluppo eco-compatibile, uno stile di vita più sano e naturale – spiega Antonello Angeli di Wide –  L’idea è quella del co-working, un ambiente condiviso in cui svolgere un’attività professionale indipendente con occasioni di incontro per un gruppo di persone che condividono valori e sono interessati alla sinergia che può nascere dal lavorare nello stesso spazio con persone di talento che la pensano in modo simile”. L’obiettivo è perciò quello di creare uno spazio, reale e virtuale, per tutte le persone che si riconoscono tra i cosiddetti “creativi culturali”, cioè quelle persone che, preoccupate per lo stato dell’ambiente, per la pace nel mondo, per il mutamento climatico, la salute degli individui, l’ingiustizia sociale e quella economica, si fanno creatori attivi di una nuova cultura, ispirati da comuni valori: amore per la natura e profonda cura della sua conservazione e del suo naturale equilibrio; forte consapevolezza di alcune questioni planetarie rilevanti, come il cambiamento climatico e la povertà del bisogno di interventi più incisivi a riguardo; disponibilità a pagare tasse più alte o spendere più soldi per i beni se quel denaro in più è destinato a migliorare l’ambiente; forte enfasi sull’importanza di sviluppare e mantenere relazioni interpersonali e sull’importanza di aiutare gli altri a sviluppare i loro talenti; valorizzazione del volontariato per una o più buone cause; orientamento verso il consumo critico (alimentazione biologica ed equosolidale, architettura eco-compatibile, energie rinnovabili, turismo sostenibile, finanza etica, medicine complementari, discipline bionaturali, psicoterapia, corsi di crescita personale) e orientamento all’acquisto e alla fruizione di prodotti culturali più che materiali; intenso interesse per lo sviluppo spirituale, psicologico e per la crescita personale; spiritualità come aspetto importante della vita, ma preoccupazione verso gli effetti dei fondamentalismi religiosi; desiderio di eguaglianza dei diritti di donne e uomini nel mondo degli affari, della vita e della politica; preoccupazione e sostegno del benessere di tutti, in particolar modo delle donne e dei bambini; richiesta di impegno dei politici e dei governi a investire più risorse per l’istruzione, per programmi comunitari e per il sostegno di un futuro più ecosostenibile; richiesta di coinvolgimento nella creazione di un nuovo e migliore modo di vivere e necessità di fare qualcosa in prima persona; avversione verso le imprese che, per generare profitti, utilizzano mezzi che distruggono l’ambiente, sfruttano i paesi poveri, creano ingiustizie e diseguaglianze sociali; avversione verso l’enfasi di culture improntate al successo, al consumismo, all’accumulo di denaro. A Wide possono aderire professionisti (architetti, ricercatori, insegnanti, assistenti sociali, progettisti, artigiani, pubblicisti, liberi professionisti, medici, psicologi, operatori del benessere e delle relazioni di aiuto); startupper; piccole imprese; organizzazioni non profit; studenti. Prosegue Angeli: «Wide è quindi un luogo reale e virtuale di incontro tra domanda ed offerta: tra i professionisti, per costruire sinergie, connettere saperi, scambiare contatti, condividere spazio di lavoro, e tra i professionisti  e la cittadinanza, per promuovere l’attività dei professionisti aderenti al progetto e per diffondere il più possibile questi valori. Il tutto negli spazi della Casa del Volontariato e con il coinvolgimento diretto delle organizzazioni no-profit, per loro natura particolarmente attente e sensibili a questi valori e alla loro diffusione nella comunità locale».

Agli aderenti al progetto vengono offerte due consulenze orientative (a scelta tra quella fiscale, legale, progettuale, di web designer o di grafica), particolarmente utili per i professionisti in fase di start up; viene data la possibilità di tenere conferenze e presentazioni del proprio lavoro all’interno degli spazi di Wide, di diffondere i propri materiali informativi, e viene garantita una pagina personale sul sito del progetto. Per chi ne ha bisogno, è possibile accedere direttamente al servizio di co-working predisposto negli spazi di Wide attraverso un contributo per le spese molto contenuto e con piani personalizzabili a seconda delle esigenza ( una postazione fissa, una scrivania o una stanza privata, con diversi abbonamenti di frequenza). Per promuovere un’attenzione al benessere anche sul luogo di lavoro, ad ogni aderente viene inoltre offerta una sessione individuale di pratica olistica e un accesso privilegiato alle iniziative per il benessere che saranno organizzate dal progetto (incontri di meditazione, di yoga, di energetica, …)

Fonte: ilcambiamento.it

La Nuova Geografia del Lavoro - Libro
€ 10.5

Il Lavoro - The Work - DVD
€ 17.9

La bottiglia pieghevole per dissetarsi sostenibilmente

Sbarca sul mercato italiano l’Anti-Bottle Vapur, una borraccia pieghevole, leggera, riutilizzabile e BPA free Element_tutte-586x409

Dopo aver “debuttato” sul mercato statunitense, arriva anche sul mercato italiano Anti-Bottle Vapur, una borraccia pieghevole che ha l’ambizione dei diventare la principale alternativa all’utilizzo delle bottiglie di plastica. A differenza di una normale borraccia, l’Anti-Bottle è flessibile, leggera e può essere comodamente trasportata all’interno di zaini, zainetti e borsette limitando la minimo lo spazio e il peso. Una volta riempita, la bottiglia pieghevole può essere  agganciata a cinture o borse, in modo da consentire l’utilizzo di tutto lo spazio interno a zaini e borse. La struttura a triplo strato di nylon e polietilene può essere messa in freezer in modo da consentire ai liquidi di rimanere refrigerati il più a lungo possibile ed BPA free ossia non contiene il Bisfenolo A, dannoso per la salute e presente nella maggior parte dei prodotti in plastica. L’idea di realizzare questa bottiglia pieghevole è venuta a tre appassionati di outdoor californiani che hanno deciso di dare una risposta ecologica al consumo annuo di bottiglie di plastica che ammonta a 200 miliardi di pezzi che, ogni anno, viaggiano dalle aziende ai consumatori e da questi alle discariche o ai centri di riciclaggio con un impatto ambientale enorme. Solo il 12% di queste bottiglie viene riciclato, mentre i restanti 176 miliardi finiscono nelle discariche o galleggiano negli oceani. Molte acque sono riempite con acqua di rubinetto che viene venduta dalle 240 alle 10mila volte più cara rispetto al costo dell’acqua domestica. Nella classifica del consumo pro-capite di bottiglie di plastica, l’Italia è il terzo Paese al mondo dopo Arabia Saudita e Messico che, a differenza del nostro, sono paesi con grandi difficoltà nel reperimento e nella potabilizzazione dell’acqua. Se le bottiglie di plastica vengono buttate via dopo l’utilizzo, l’Anti-Bottle Vapur ha una vita media di tre anni e può essere usata tutti i giorni.   È disponibile in 5 diversi modelli: Element (dedicata agli sportivi e agli amanti dell’outdoor), Eclipse (mimetica), Shades (fashion), Quenchers (dedicata ai più piccoli) e Reflex (il primo modello da cui sono stati poi sviluppati i successivi). Anti-Bottle è disponibile nei negozi di articoli sportivi e outdoor e, attualmente si può ordinare sul sito internet di Vapur.Element-586x553

Fonte:  Vapur