Acque inquinate da pesticidi: il rapporto ISPRA 2014

Sono 175 le sostanze attive trovate nelle acque italiane e in alcune zone l’ISPRA ha rinvenuto contemporaneamente fino a 36 sostanze per campione. Il rapporto pubblicato qualche giorno fa da ISPRA ha portato alla luce indagini svolte sulle acque italiane (superficiali e sotterranee) nel periodo che va dal 2011 al 2012 evidenziando la presenza di 175 sostanze attive. Nel 2012 i punti di campionamento sono stati 3.500 per 14.250 campioni (nel biennio 2011-2012 sono stati analizzati 27.995 campioni) e sono state cercate complessivamente 335 sostanze. I pesticidi nelle acque superficiali erano presenti nel 56,9 per cento dei 1.355 punti controllati; mentre nelle acque sotterranee erano presenti nel 31 per cento dei 2.145 punti. In generale sono state osservate basse concentrazioni a fronte di una ampia diffusione; nelle acque sotterrane i livelli di contaminazione sono più bassi sebbene si spingano fino alle falde profonde e in taluni campioni si sono conteggiate anche 36 molecole diverse. Si consideri che nel rapporto dello scorso anno, le sostanze attive erano 166. Il punto è che le molecole non scompaiono rapidamente e si assiste così all’effetto accumulo, per cui si vanno a sommare nel corso del tempo. Tra le regioni che presentano acque maggiormente contaminate ci sono la Lombardia (92 per cento), Sicilia (88 per cento) e Emilia Romagna (87,5 per cento), quest’ultima in classifica anche per la maggiore percentuale di acque sotterranee inquinate (72 per cento). In generale però sono la Pianura Padana e quella Veneta a risultare le zone maggiormente contaminate in Italia.2015_ispratab-620x339

L’agricoltura è la fonte principale di questa contaminazione sia delle acque superficiali, sia delle acque sotterranee e infatti nel 2012 sono state usate 400 sostanze diversi per 134.242 tonnellate di prodotti fitosanitari. Le molecole non sono altro che i residui di prodotti fitosanitari quali erbicidi, insetticidi, funghicidi immessi nell’ambiente che si ritrovano come molecole di bentazone, metalaxil, desetil-terbutilazina, atrazina e atrazina-desetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide. Desta particolare preoccupazione l’imidacloprid noto anche all’EFSA per cui è stato richiesto l’abbassamento dei livelli guida essendo considerato dannoso per il sistema nervoso dei bambini. Eppure, ci ricorda l’ISPRA, nell’ultimo decennio le vendite di pesticidi sono diminuite del 10 per cento anche se questa riduzione non corrisponde poi alla presenza dei veleni nell’ambiente anche se le concentrazioni non appaiono particolarmente alte.

Fonte:  VASMieli d’ItaliaIspra ambiente

Tinture per capelli: trovate sostanze cancerogene in alcuni prodotti

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Diverse ricerche hanno analizzato il problema della tossicità delle tinture per capelli, soprattutto nello sviluppo di malattie gravi. Non solo, quindi, sensibilità ai composti chimici adoperati nella realizzazione dei prodotti, ma anche aumento della percentuale di tumori tra chi è costantemente a contatto con queste sostanze. Secondo un nuovo studio condotto dallaUniversity’s Division of Occupational and Environmental Medicine di Lund (Svezia), alcune tinture permanenti per capelli potrebbero ancora contenere delle sostanze chimiche cancerogene, già bandite per la loro pericolosità. I ricercatori dell’Università di Lund hanno infatti riscontrato la presenza di sostanze tossiche, in concentrazioni più elevate, nel sangue dei parrucchieri che applicano tinture permanenti. A rischio sarebbero quindi i professionisti e i consumatori che fanno uso mensile di questi prodotti. La sostanza incriminata è l’o-toluidina, un’ammina aromatica, tossica e pericolosa per l’uomo e per l’ambiente. Secondo i ricercatori, le presunte sostanze cancerogene entrerebbero a far parte della composizione delle tinture durante il processo di produzione. Le tinture permanenti per capelli funzionerebbero infatti sfruttando una reazione chimica tra i cosiddetti “intermedi”, appunto le ammine aromatiche. Molte delle ammine aromatiche, tra cui l’o-toluidina, sono sospettate di provocare cancro della vescica, linfoma non-Hodgkin, leucemia e cancro al seno. Tali sostanze, come fa notare il DailyMail, sono state vietate dall’UE nei primi anni ’90 proprio per la loro pericolosità. Gli scienziati che hanno realizzato lo studio hanno misurato i livelli di otto composti cancerogeni, tra cui l’o-toluidina, nel sangue di 295 parrucchieri, 32 clienti che tingono regolarmente i capelli, e 50 persone che non avevano usato alcuna tintura permanente per 12 mesi. I risultati hanno evidenziato che le persone che sono entrate regolarmente a contatto con le tinture per capelli presentavano livelli di toluidina più alti, con un più alto rischio di cancro. La conclusione è chiara: l’esposizione ad alcune tinture permanenti porta all’introduzione nel flusso sanguigno di sostanze coloranti cancerogene. Per tali ragioni, i ricercatori hanno deciso di effettuare ulteriori studi sugli ingredienti presenti in tali prodotti, anche per verificare la probabilità che queste sostanze chimiche vengano trasferite nell’acqua. C’è ancora un ampio dibattito sulla presenza o meno di composti cancerogeni nelle moderne tinture per capelli. Questi prodotti sono così complessi, che spesso non si ha idea di cosa contengono e delle reazioni chimiche che possono innescare. Proprio per questo, le persone che li utilizzano dovrebbero adoperare guanti monouso e cercare di ridurre al minimo il contatto con la pelle. Già precedenti studi hanno collegato l’uso di tinture per capelli a un aumento del rischio di alcuni tumori (carcinoma della vescica e della mammella). Ricordiamo, ad esempio, una ricerca presso la University of Southern California (“Use of permanent hair dyes and bladder-cancer risk” Int J Cancer. 2001 Feb 15;91:575-9.) condotta nel 2001, che aveva dimostrato come le tinture per capelli potessero provocare il cancro. Lo studio aveva evidenziato che le donne che erano solite tingersi i capelli una volta al mese avevano il doppio dei rischi di contrarre il cancro. Un rischio che si triplicava se l’uso raggiungeva  i 15 anni o più (se volete approfondire l’argomento, potete farlo a questo link). Nel nostro articolo avevamo avuto modo di vedere come anche alcuni prodotti naturali per la tintura dei capelli contenessero in realtà degli aiuti chimici per potenziarne il colore. Cosa fare quindi?

Di sicuro, il primo passo è imparare a leggere bene l’etichetta dei prodotti. In alternativa, potete utilizzare dei metodi naturali per coprire i capelli bianchi, come ad esempio l’Henné o dei preparati a base di erbe. Potete trovare alcuni consigli utili a questo link:http://ambientebio.it/tinture-naturali-per-coprire-i-capelli-bianchi/

(Foto: ohsarahrose)

Fonte: ambientebio.it

Inquinamento, alzati i limiti delle sostanze pericolose

Nel Decreto Competitività previsti innalzamenti dei limiti per gli sversamenti delle sostanze inquinanti in mare e delle tolleranze di sostanze tossiche nei siti militari. Qual è il prezzo da pagare per tornare a essere competitivi? Ancora una volta le ragioni del profitto avranno la meglio su quelle della natura? Fra le pieghe del Decreto Competitività, nella sezione Ambiente protetto, spettante al dicastero retto da Gian Luca Galletti, si dà il via libera all’innalzamento dei limiti per gli sversamenti delle sostanze inquinanti in mare e delle tolleranze di sostanze tossiche nei siti militari. La denuncia parte dalle associazioni ambientaliste che sottolineano come, per risolvere l’oneroso problema delle bonifiche, i livelli di inquinamento siano stati equiparati a quelli delle aree industriali, quindi molto più alti rispetto ad aree verdi e residenziali. I valori dei cianuri potranno essere centuplicati (da 1 a 100 mg/kg), così come il benzopirene o la sommatoria dei composti policiclici aromatici (etilbenzene, stirene, toluene e xilene), lo stagno potrà avere una concentrazione nel suolo di 350 volte superiore rispetto alle vecchie tolleranze, mentre i fluoruri potranno essere rilasciati in quantità venti volte superiori, così come il benzene. Per Angelo Bonelli, co-portavoce dei Verdi, si tratta di “un evidente regalo al Ministero della Difesa, che in questo modo potrà evitare di intervenire sui numerosi siti di propria competenza”. Senza infrazioni ai nuovi limiti non ci saranno bonifiche, secondo la logica della polvere scopata sotto il tappeto. Cambiano anche le regole per gli impianti industriali di grandi dimensioni come acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, stabilimenti chimici, rigassificatori e inceneritori: d’ora in poi più si produrrà e più alto sarà il quantitativo di reflui che si potranno scaricare in mare. Il profitto prima della salute, l’industria prima dell’ambiente. La sezione ambientale del Decreto Competitività è una beffa ad anni di conquiste nell’ambito della salute pubblica. Come se le pagine oscure di Taranto e Casale Monferrato non fossero mai state scritte. In poco più di un anno ben quattro decreti sulle bonifiche sono stati emanati da tre diversi governi. All’inizio del 2013, nelle ultime settimane del Governo Monti, il ministro Corrado Clini portò Siti di interesse nazionale (quelli maggiormente inquinati e pericolosi per la salute) da 57 a 39, affidandone 18 alla competenza delle Regioni. Il Decreto del Fare del Governo Letta previde che le bonifiche potessero essere compiute “ove economicamente possibile”. Con Destinazione Italia è stato previsto un condono, con contributi pubblici erogati anche per finanziare le bonifiche a carico dei responsabili dell’inquinamento. Nessuno dei tre decreti ha sortito gli effetti sperati, anzi, il margine di operatività è stato ridotto al minimo e il Decreto Competitività l’ammissione di una sconfitta per la collettività e una vittoria per le aziende coinvolte nella stagione dei veleni che possono assistere compiaciute alla progressiva riduzione della chiamata alle proprie responsabilità a opera della politica.top8-586x389

Fonte:  L’Espresso

© Foto Getty Images –

Inquinamento: allarme per la correlazione fra sostanze chimiche e deficit cerebrali

Una ricerca pubblicata su Lancet Neurology amplia la black list delle sostanze chimiche che interferiscono negativamente nello sviluppo cerebrale dei bambini

Secondo una ricerca pubblicata da Lancet Neurology negli ultimi sette anni sarebbe raddoppiato il numero delle sostanze chimiche in grado di provocare alterazioni nello sviluppo cerebrale fetale e infantile. Secondo Philippe Grandjean della Harvard School of Public Health e Philip J. Landrigan delle Icahn School of Medicine at Mount Sinai molte sostanze estremamente nocive per il sistema neuronale si troverebbero in molti oggetti di uso quotidiano, dall’abbigliamento ai mobili, ma soprattutto nei giocattoli, oggetti con i quali i bambini interagiscono per molte ore al giorno. Otto anni fa, nel 2006, le sostanze tossiche sotto osservazione per i danni allo sviluppo cerebrale erano piombo, metilmercurio, arsenico, policlorobifenili (PCB) e toluene, ora, a questa black list, si sono aggiunte anche manganese, i fluoruri, i pesticidi chlorpyrifos e DDT, il solvente tetracloroetilene, e i ritardanti di fiamma a base di polibromodifenileteri (PBDE), si tratta di sostanze chimiche che potrebbero andare dal disturbo da deficit di attenzione (ADHD) alla dislessia e agli altri Dsa (discalculia, disgrafia). Anche se la placenta è un potentissimo “filtro” in grado di proteggere il feto, molti composti tossici ambientali passano dalla madre al feto. Nei soli Stati Uniti l’avvelenamento da piombo nella popolazione infantile costa alla collettività 50 miliardi di dollari, mentre quello da metilmercurio circa 5 miliardi. Secondo i due ricercatori sarebbe in atto una vera e propria pandemia con pesanti conseguenze non solo sulla salute pubblica, ma sulla stessa economia. La perdita di un punto di QI peserebbe, nell’intera vita lavorativa, in una cifra stimabile in 12mila euro e visto che nell’Unione Europea si stimano come perduti 600mila punti QI a causa dell’interazione con sostanze tossiche, il danno economico sarebbe di circa 10 miliardi di euro annui. A queste sostanze in grado di condizionare negativamente lo sviluppo cerebrale vanno aggiunte altre 200 capaci di danneggiare il cervello adulto. Ma le sostanze tossiche potrebbero essere molte di più visto che la maggior parte degli 80mila composti chimici utilizzati negli Stati Uniti non sono mai stati testati in tal senso. Una delle soluzioni suggerite dai ricercatori è vincolare la distribuzione delle sostanze chimiche all’obbligo per i produttori di dimostrare la non nocività della propria produzione. Un iter molto simile a quello seguito prima dell’uscita dei farmaci sul mercato.169225259-586x415

Fonte:  Lancet Neurology