È vero che il glifosato, un erbicida diffuso in tutto il mondo, è cancerogeno?

FORSE. In laboratorio il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo, ma negli studi nell’uomo la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza, tanto che lo IARC lo considera tra i “probabili cancerogeni”, mentre altre istituzioni sono più rassicuranti.glifosato

In breve

  • Il glifosato è l’erbicida più diffuso al mondo, per via della sua efficacia e della minore tossicità rispetto agli analoghi prodotti che erano disponibili quando è stato messo in commercio.
  • Uno studio svolto con il glifosato somministrato ai ratti sembrava averne dimostrato la cancerogenicità. Tuttavia, l’articolo pubblicato nel 2012 è stato in seguito ritrattato per problemi di metodo e i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore.
  • Dopo attenta analisi delle prove disponibili, lo IARC di Lione ha classificato il glifosato nel gruppo 2 A, tra i probabili cancerogeni.
  • EFSA, OMS e FAO hanno espresso giudizi più rassicuranti, ma hanno previsto comunque misure di cautela, come la valutazione dei residui di glifosato nei cibi e il divieto di utilizzarlo in aeree densamente popolate.
  • A livello nazionale si osservano decisioni che vanno dal divieto di vendita ai privati per uso casalingo (Olanda) fino al divieto di commercializzazione della combinazione del glifosato con ammina di sego polietossilata (Italia) che potrebbe essere all’origine dei problemi di tossicità per l’uomo.

Cos’è il glifosato?

Il glifosato è un erbicida introdotto in agricoltura negli anni Settanta del secolo scorso dalla multinazionale Monsanto con il nome commerciale di Roundup. Ha avuto una grande diffusione perché alcune coltivazioni geneticamente modificate sono in grado di resistergli: distribuendo il glisofato sui campi si elimina ogni erbaccia o pianta tranne quella resistente che si desidera coltivare. Si aumenta così la resa per ettaro e si riduce l’impegno per l’agricoltore. Per la sua bassa tossicità rispetto agli erbicidi usati all’epoca è stato da subito molto usato anche in ambienti urbani per mantenere strade e ferrovie libere da erbacce infestanti. È attualmente l’erbicida più usato al mondo anche per la caratteristica di rimanere negli strati superficiali del terreno e di essere degradato e distrutto con relativa facilità dai batteri del suolo. Il brevetto della Monsanto è scaduto nel 2001 e da allora il glifosato è prodotto da un gran numero di aziende.

Per saperne di più

Perché il suo uso preoccupa?

Il glifosato è da molti anni oggetto di studi scientifici che hanno dato risultati discordanti. In particolare, una ricerca svolta nei ratti da un gruppo di ricercatori francesi diretti da Gilles-Eric Séralini aveva segnalato una grave cancerogenicità. La ricerca, i cui risultati furono pubblicati nel 2012 sulla rivista Food and Chemical Toxicology, aveva ottenuto molto spazio sui giornali, ma anche suscitato numerosissime critiche su diversi aspetti tecnici e, in generale, sull’affidabilità del metodo usato e dei risultati. Le lettere di critica spedite alla rivista, numerose e dettagliate, hanno in breve tempo spinto la direzione editoriale del giornale ad analizzare meglio lo studio e quindi a prendere l’inusuale e grave decisione di ritrattare l’articolo. Lo stesso studio è stato successivamente ripresentato dagli autori per la pubblicazione su una rivista di minore prestigio e credibilità. Le conclusioni estreme di questo studio restano dibattute e controverse. Ma anche le più importanti istituzioni scientifiche internazionali si sono espresse, seppure con maggiore cautela, in modo non del tutto concorde sulla potenziale pericolosità del glifosato.

La classificazione della IARC tra i “probabili cancerogeni”

Un gruppo di esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha preso in esame tutti gli studi relativi ai possibili effetti per l’uomo e per gli animali. L’analisi approfondita si è conclusa nel 2015, con la decisione di inserire il glifosato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” (categoria 2A). Nella stessa categoria sono presenti sostanze come il DDT e gli steroidi anabolizzanti, ma anche le emissioni da frittura in oli ad alta temperatura, le carni rosse, le bevande bevute molto calde e le emissioni prodotte dal fuoco dei camini domestici alimentati a legna o con biomasse. In pratica si tratta di sostanze per cui ci sono prove limitate di cancerogenicità nell’uomo, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali. In particolare, gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un possibile, lieve aumento del rischio di linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti per lavoro a questa sostanza, mentre gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo.

Il giudizio rassicurante di EFSA, OMS e FAO 

Sempre nel 2015, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha condotto un’altra valutazione tecnica – affidata all’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio – secondo la quale “è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo”. Ad ogni modo l’EFSA ha disposto “nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti” come misura di cautela.
Anche le conclusioni dell’EFSA sono state oggetto di critiche, finché nel 2016 l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura (FAO) hanno condotto un’analisi congiunta giungendo anche loro alla conclusione che “è improbabile che il glifosato comporti un rischio di cancro per l’uomo come conseguenza dell’esposizione attraverso l’alimentazione”.

Le misure per la riduzione del rischio

Anche se il giudizio sulla potenziale pericolosità è incerto, numerosi Paesi hanno da tempo adottato misure precauzionali per ridurre l’uso inappropriato dei prodotti contenenti glifosato. In Olanda, per esempio, la vendita ai privati per uso casalingo è stata vietata nel 2014, mentre le vendite in ambito professionale non hanno subito limitazioni. In Francia il ministro dell’Ecologia ha chiesto nel 2015 a vivai e negozi di giardinaggio di non esporre il glifosato sugli scaffali accessibili al pubblico, che rimane però in libera vendita. In Italia un decreto del ministero della Salute ha stabilito nell’estate del 2016 che il diserbante non si potrà più usare nelle aree “frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bimbi, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie”. Un altro decreto del ministero della Salute ha poi stabilito che i prodotti che contengono ammina di sego polietossilata accoppiata al glifosato – una combinazione che secondo il rapporto dell’EFSA potrebbe essere responsabile degli effetti tossici sull’uomo – fossero ritirati dal commercio nel novembre del 2016, e che il loro impiego da parte dell’utilizzatore finale fosse vietato dalla fine di febbraio del 2017.
In sostanza il caso del glifosato rappresenta, al momento attuale, un buon esempio di sospetta cancerogenicità non sufficientemente dimostrata, nei confronti della quale le istituzioni hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione: non vietarne del tutto l’uso (mossa che potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola) ma istituire limiti e controlli nell’attesa di ulteriori studi.

Fonte:  airc.it

Veneto, acque inquinate dai Pfas: 60mila persone contaminate

73080873

Sostanze cancerogene nelle acque del Veneto. Per anni. È questo quanto sta emergendo negli ultimi giorni dopo che la Regione Veneto ha deciso un cambio di passo sull’emergenza sanitaria e ambientale per le sostanze perfluoroalchiliche. Dalle riunioni tecniche, ora si è deciso di uscire allo scoperto, Regione ed esperti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Oms hanno reso nota la situazione:

“Più di 60mila persone residenti nelle zone a maggior impatto sono contaminate. Altre 250 mila sono interessate dal problema”.

spiega l’assessore regionale alla Sanità, Lucio Coletto.

Coletto ha presentato i risultati del biomonitoraggio che la Regione Veneto ha effettuato con l’Iss sulla popolazione esposta ai Pfas, “possibili cancerogeni” per lo Iarc. Il risultato è scioccante: nel sangue dei veneti scorrono quantità rilevanti diPfas, composti chimici prodotti per decenni dalla fabbrica Miteni di Trissino, nel vicentino. Si tratta di composti utilizzati per impermeabilizzare pentole e tessuti. I Pfas hanno raggiunto nel falde acquifere delle province di Vicenza, Verona e Padova, la zona maggiormente colpita è quella compresa fra i comuni di Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego, in provincia di Vicenza. Un impatto minore interessa la zona dei comuni di Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana e Treviso. Nell’agosto 2013 erano stati messi in sicurezza gli acquedotti con i carboni attivi, ma fino a quella data la popolazione è stata intossicata. La Regione Veneto, sotto il coordinamento dell’Iss ha fatto sapere di voler avviare uno studio epidemiologico che durerà 10 anni che comincerà con le 60mila persone maggiormente esposte alle sostanze tossiche. I Pfas si legano alle proteine del plasma e del fegato e vengono eliminate dai reni molto lentamente: fra le conseguenze per la salute vi sono colesterolo alto, ipertensione, alterazione dei livelli del glucosio, effetti sui reni, patologie della tiroide e, nei soggetti maggiormente esposti, tumore del testicolo e del rene.

Fonte:  Il Fatto Quotidiano

 

Tinture per capelli: trovate sostanze cancerogene in alcuni prodotti

tinture-per-capelli-300x336

Diverse ricerche hanno analizzato il problema della tossicità delle tinture per capelli, soprattutto nello sviluppo di malattie gravi. Non solo, quindi, sensibilità ai composti chimici adoperati nella realizzazione dei prodotti, ma anche aumento della percentuale di tumori tra chi è costantemente a contatto con queste sostanze. Secondo un nuovo studio condotto dallaUniversity’s Division of Occupational and Environmental Medicine di Lund (Svezia), alcune tinture permanenti per capelli potrebbero ancora contenere delle sostanze chimiche cancerogene, già bandite per la loro pericolosità. I ricercatori dell’Università di Lund hanno infatti riscontrato la presenza di sostanze tossiche, in concentrazioni più elevate, nel sangue dei parrucchieri che applicano tinture permanenti. A rischio sarebbero quindi i professionisti e i consumatori che fanno uso mensile di questi prodotti. La sostanza incriminata è l’o-toluidina, un’ammina aromatica, tossica e pericolosa per l’uomo e per l’ambiente. Secondo i ricercatori, le presunte sostanze cancerogene entrerebbero a far parte della composizione delle tinture durante il processo di produzione. Le tinture permanenti per capelli funzionerebbero infatti sfruttando una reazione chimica tra i cosiddetti “intermedi”, appunto le ammine aromatiche. Molte delle ammine aromatiche, tra cui l’o-toluidina, sono sospettate di provocare cancro della vescica, linfoma non-Hodgkin, leucemia e cancro al seno. Tali sostanze, come fa notare il DailyMail, sono state vietate dall’UE nei primi anni ’90 proprio per la loro pericolosità. Gli scienziati che hanno realizzato lo studio hanno misurato i livelli di otto composti cancerogeni, tra cui l’o-toluidina, nel sangue di 295 parrucchieri, 32 clienti che tingono regolarmente i capelli, e 50 persone che non avevano usato alcuna tintura permanente per 12 mesi. I risultati hanno evidenziato che le persone che sono entrate regolarmente a contatto con le tinture per capelli presentavano livelli di toluidina più alti, con un più alto rischio di cancro. La conclusione è chiara: l’esposizione ad alcune tinture permanenti porta all’introduzione nel flusso sanguigno di sostanze coloranti cancerogene. Per tali ragioni, i ricercatori hanno deciso di effettuare ulteriori studi sugli ingredienti presenti in tali prodotti, anche per verificare la probabilità che queste sostanze chimiche vengano trasferite nell’acqua. C’è ancora un ampio dibattito sulla presenza o meno di composti cancerogeni nelle moderne tinture per capelli. Questi prodotti sono così complessi, che spesso non si ha idea di cosa contengono e delle reazioni chimiche che possono innescare. Proprio per questo, le persone che li utilizzano dovrebbero adoperare guanti monouso e cercare di ridurre al minimo il contatto con la pelle. Già precedenti studi hanno collegato l’uso di tinture per capelli a un aumento del rischio di alcuni tumori (carcinoma della vescica e della mammella). Ricordiamo, ad esempio, una ricerca presso la University of Southern California (“Use of permanent hair dyes and bladder-cancer risk” Int J Cancer. 2001 Feb 15;91:575-9.) condotta nel 2001, che aveva dimostrato come le tinture per capelli potessero provocare il cancro. Lo studio aveva evidenziato che le donne che erano solite tingersi i capelli una volta al mese avevano il doppio dei rischi di contrarre il cancro. Un rischio che si triplicava se l’uso raggiungeva  i 15 anni o più (se volete approfondire l’argomento, potete farlo a questo link). Nel nostro articolo avevamo avuto modo di vedere come anche alcuni prodotti naturali per la tintura dei capelli contenessero in realtà degli aiuti chimici per potenziarne il colore. Cosa fare quindi?

Di sicuro, il primo passo è imparare a leggere bene l’etichetta dei prodotti. In alternativa, potete utilizzare dei metodi naturali per coprire i capelli bianchi, come ad esempio l’Henné o dei preparati a base di erbe. Potete trovare alcuni consigli utili a questo link:http://ambientebio.it/tinture-naturali-per-coprire-i-capelli-bianchi/

(Foto: ohsarahrose)

Fonte: ambientebio.it

Microonde: 10 motivi per utilizzarlo il meno possibile.

usi_alternativi_elettrdomestici

Il microonde può essere considerato uno strumento sicuro per cucinare o dovrebbe essere evitato per proteggere la nostra salute? Risultano al momento numerosi e differenti i pareri e le teorie in proposito. Da una parte il microonde potrebbe essere considerato uno strumento utile ed innocuo, dall’altra parte esso altererebbe il sapore e le caratteristiche degli alimenti, con possibili danni per la nostra salute. Proviamo dunque ad approfondire l’argomento in dieci punti, tenendo conto di come, rispetto alla progressiva diffusione dell’uso dell’elettrodomestico, gli studi riguardanti i suoi effetti sui cibi sarebbero relativamente poco numerosi.

1) Energia elettromagnetica e molecole

Le microonde vengono definite, secondo quanto riportato da Progetto Caduceo (un sito web dedicato alla ricerca delle cause profonde delle malattie) come una forma di energia elettromagnetica, in grado di cambiare polarità, dal positivo al negativo, per un determinato numero di volte nel corso di ogni ciclo. Le radiazioni emesse dal forno a microonde interagirebbero con le molecole dei cibi, “bombardando” gli alimenti dall’interno verso l’esterno. Ciò sarebbe in grado di deformare e di danneggiare la struttura delle molecole, tanto da portare alcuni ad affermare che il cibo cotto al microonde conservi soltanto il proprio aspetto esterno, ma non potrebbe più essere considerato “cibo” dal punto di vista del proprio contenuto.

2) Sostanze cancerogene

In Russia sono stati condotti studi approfonditi riguardo l’impiego del microonde, che hanno ricevuto la propria pubblicazione ufficiale tra le pagine della rivista Atlantis Raising Educational Center di Portland (Oregon). Da tali studi sarebbe emerso come in numerosi alimenti sia possibile la formazione di sostanze cancerogene a seguito dell’impiego del microonde. Tali alimenti sono costituiti in particolar modo da: carne, latte e cereali, verdure (crude, cotte o surgelate, per cui anche una breve esposizione trasformerebbe i loro alcaloidi in sostanze cancerogene), frutta scongelata al microonde. In barbabietole e rape cotte al microonde si formerebbero radicali liberi cancerogeni. Nel 1976 la Russia mise al bando i forni a microonde, poi riabilitati con la Perestroika.

3) Valore nutritivo degli alimenti

Il valore nutritivo degli alimenti, ancora una volta secondo gli studi russi, subirebbe una drastica diminuzione a causa dell’esposizione alle radiazioni emesse da parte del microonde. Il valore nutritivo di tutti gli alimenti testati verrebbe ridotto dal 60 al 90%. Ad essere interessate sarebbero in particolar modo le vitamina, con riferimento alle vitamine del gruppo B, alla vitamina C ed alla vitamina E. Sarebbero inoltre interessati da un calo del valore nutritivo i minerali essenziali ed i fattori lipotropi (sostanze in grado di modificare il metabolismo dei grassi) presenti negli alimenti).

4) Effetti sul sangue

Dal sito web Disinformazione.it apprendiamo come uno dei maggiori studi riguardanti l’effetto del microonde sul sangue sia da attribuire al professor Bernard Blanc, dell’Università di Losanna, il quale, insieme ad un altro esperto, di nome Hans U. Hertel, propose al Swiss National Fund una ricerca riguardante gli effetti sulla salute umana del cibo cotto con il microonde. La proposta fu rifiutata e la ricerca venne dunque condotta su piccola scala e con fondi privati. Otto volontari furono coinvolti nello studio, senza che fossero a conoscenza dei metodi di cottura del proprio cibo. A parere degli esperti, secondo quanto riportato all’interno dello studio in questione: “I cibi cotti con microonde, paragonati a quelli non irradiati, causano cambiamenti nel sangue delle persone testate, tali da indicare l’inizio di un processo patologico, proprio come nel caso di un iniziale processo canceroso”. Dalle analisi del sangue condotte sui volontari emerse come a seguito di assunzione di cibi cotti al microonde si verificassero una riduzione dell’emoglobina ed un aumento dell’ematocrito, dei leucociti e del colesterolo.

5) Le microonde sono tossiche?

Il sito web Disinformazione.it riporta un’intervista rivolta al dottor Hans U. Hertel, nella quale le microonde vengono definite in contraddizione con la natura e quindi tossiche, principalmente poiché nel caso del microonde ci troviamo di fronte ad un’energia basata sulla corrente alternata, mentre le energie naturali si basano sulla corrente continua, a impulsi. Gli alimenti verrebbero resi tossici proprio dall’azione delle microonde, con effetti a lungo termine pericolosi per la salute dell’uomo, compreso il cancro.

6) Involucri per microonde

Un’ulteriore situazione di dubbio è legata all’impiego di involucri per il confezionamento di alimenti destinati alla cottura in microonde. Nell’anno 2000 la University of California ha posto in luce la migrazione dagli involucri per microonde verso gli alimenti in essi contenuti di una sostanza cancerogena denominata dietilexiladepate, in una quantità compresa tra le 200 e le 500 parti per milione. Tra le sostanze in grado di migrare dagli involucri agli alimenti vennero inoltre individuate gli xenoestrogeni, correlate al tumore al seno ed alla diminuzione degli spermatozoi.

7) Esposizione alle microonde

La nostra esposizione agli effetti della cottura al microonde non avverrebbe unicamente attraverso l’assunzione di cibo preparato utilizzando tali metodi, ma anche a causa di una eccessiva vicinanza all’elettrodomestico durante il suo funzionamento. Sarebbe dunque necessario mantenere una distanza di almeno 90 centimetri dal forno a microonde funzionante per non esporsi agli effetti cumulativi delle sue onde. La parte del corpo a maggior rischio di esposizione alle microonde sarebbe il cristallino degli occhi, in quanto non avrebbe modo di disperdere l’energia termica.

8) Struttura cellulare degli alimenti

L’invenzione del forno a microonde sarebbe avvenuta durante la seconda guerra mondiale, in Germania, al fine di facilitare la preparazione dei cibi all’interno dei sottomarini oppure per facilitare i soldati nel corso delle manovre di invasione dell’Unione Sovietica. La tecnologia venne in seguito esportata negli Stati Uniti ed il primo forno a microonde venne posto in commercio da parte di Rayethon nel 1952. Soltanto negli anni Settanta iniziarono però a comparire i primi studi che apparivano porre in dubbio la sicurezza del microonde. Studi condotti su broccoli e carote cotti al microonde avrebbero evidenziato come la struttura molecolare degli alimenti si deformasse al punto tale da distruggere le pareti cellulari. Nella cottura tradizionale, invece, le strutture cellulari rimarrebbero intatte (Journal of Food Science, 1975).

9) Biberon e latte per l’infanzia

L’Università del Minnesota, tramite un annuncio trasmesso via radio, avrebbe indicato come il microonde non sia raccomandato per riscaldare il biberon dei bambini. Il contenitore potrebbe apparire freddo all’esterno, ma il liquido contenuto al suo interno potrebbe risultare bollente e causare ustione. Inoltre il riscaldamento al microonde potrebbe provocare alcuni cambiamenti all’interno del latte stesso con perdita di vitamine nel latte formulato e con la distruzione di alcune proprietà protettive nel caso del latte materno. L’Università consigliava dunque di riscaldare il biberon immergendolo in una ciotola contenente acqua calda in sostituzione del microonde.

10) Obesità

La complessa questione della cottura al microonde è stata infine posta in correlazione con la diffusione di una vera e propria epidemia di obesità nel corso degli ultimi decenni. Il microonde ha contribuito alla diffusione dell’obesità? Secondo un articolo pubblicato nel 2007 da parte di BBC News, dal titolo “Did microwaves ‘spark’ obesity?”, la diffusione del microonde dovrebbe essere valutata tra le possibili cause dell’epidemia dell’obesità. L’inizio dell’epidemia di obesità è stato datato da parte degli esperti tra il 1884 ed il 1987, periodo in cui ebbe inizio un’ampia diffusione dell’impiego del microonde, che avrebbe dunque reso più rapida la preparazione degli alimenti, accompagnato dalla comparsa nei supermercati di cibi pronti da cuocere in poco tempo. Ciò potrebbe aver condotto ad una minore qualità dei cibi introdotti nella propria alimentazione, ad un incremento delle quantità di cibi di scarsa qualità consumati e ad un conseguente aumento incontrollato del peso corporeo.

Marta Albè

Fonte: http://pianetablunews.wordpress.com/