Germogliatore: come usarlo e altri consigli pratici

Coltivare i germogli in casa è semplice, divertente e… salutare! Possiamo coltivare germogli di trifoglio, di soia, di rucolafagioli azuki, mung e tanto altro ancora: è un fai-da-te che non richiede perizia alcuna, non ruba spazio e poi i germogli sono tutti alimenti estremamente pregiati dal punto di vista nutritivo, avendo un notevole contenuto vitaminico e di sali minerali. Altra cosa, i semi costano davvero poco, per cui è anche un modo economico di fare il pieno di salutari vitamine.germogli-trifoglio-400x250

Germogliatore, si o no? Rispondiamo a questa domanda innanzitutto? E’ davvero necessario il germogliatore, ossia quel contenitore in plastica o terracotta, dove riponiamo i semi da fare germogliare? Per quella che è le mia esperienza, il germogliatore è utile per ottimizzare gli spazi, la resa in termini di germogli e semplificare il procedimento complessivo. Ma non è indispensabile. In rete troverete anche altri procedimenti di germogliazione casalinga, come il metodo dei vasetti o il piatto con garza, ma personalmente, specie per chi è alle prime armi e non ha troppo tempo, ritengo che il germogliatore non sia una cattiva idea. L’altra cosa di cui abbiamo bisogno naturalmente sono i semi da germogliare: rigorosamente bio, costano anche davvero poco. Una volta muniti di germogli (nel nostro caso, oggi documentiamo l’ultima germogliata di trifoglio), possiamo cominciare la nostra avventura. Dopo avere tenuto a bagno in acqua i germogli per una notte, la mattina successiva li disponiamo sul germogliatore, che deve essere situato in un luogo luminoso, ma non esposto direttamente ai raggi del sole. Un mobile o un davanzale andranno benissimo: in quest’ultimo caso, fate però attenzione di non avere un calorifero sotto

Giorno della posa: i germogli di trifoglio non hanno bisogno di tantissima acqua: basterà mantenerli umidi. Nel mio caso, qualche spruzzata di acqua con uno spruzzino la sera del primo giorno è più che sufficiente.
Attenzione a non mettere troppa acqua durante la germogliazione, c’è sempre il rischio di ammuffire i germogli. Il secondo giorno, vedrete più chiaramente che i semi si sono spaccati e stanno cominciando a germogliare. Aumentate leggermente le dosi di acqua (circa una tazzina di caffè la mattina e una la sera) e scolate l’acqua che si accumula nella vaschetta inferiore: non buttatela via, è ricca di sali minerali e di vitamine, potete sempre usarla per innaffiare le piante.

 

Provate a fare anche voi i germogli di soia con i germogliatori e i relativi kit di semi che potete acquistare qui:

 

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Il terzo giorno il colore dominante comincia a diventare il verde: i germogli di trifoglio sembrano crescere a vista d’occhio. Noterete come i germogli sul ripiano superiore – più esposti alla luce – crescono più in fretta. Ci basterà invertire la posizione dei vari ripiani per mantenerli alla pari nella crescita. Altra cosa, se germogliate nei mesi caldi, potrà capitare di vedere degli insetti aggirarsi “minacciosamente” attorno ai vostri germogli. Potrete proteggere i germogli con una garzetta che allontanerà gli insetti, ma che non ne impedirà la crescita.

Il quarto giorno i germogli vi sembreranno quasi pronti, ma pazientate ancora un attimo, raramente sono pronti già al quarto giorno. Il quinto giorno i nostri germogli di trifoglio sono prontisi consumano crudi, in modo da potere beneficiare di tutte le loro proprietà nutritive. Su insalate, ma anche su una bruschetta, una fetta di pane imburrata, in una minestra o anche tranquillamente da soli, leggermente conditi come una comune insalata.

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Si possono conservare altri 4/5 giorni dopo la raccolta in frigorifero (ma non congelare), anche perché – a differenza della verdura che comincia a perdere proprietà nutritive dopo la raccolta – i germogli mantengono intatte le loro proprietà anche fuori dal germogliatore. Una cosa importante: non lasciateli nel germogliatore dopo il quinto giorno, anche se cresceranno ancora. Di fatto una crescita eccessiva comporterà una perdita di sostanze nutritive e li renderà poco commestibili.

Fonte: tuttogreen.it

In Brasile la magistratura vuole mettere al bando il glifosato e altri pesticidi

La procura federale ha chiesto la sospensione dell’uso per rivalutarne la tossicità sull’uomo e l’ambiente, dopo che nel decennio passato la quantità di pesticidi impiegata è triplicata. In Brasile, il Procuratore federale ha chiesto al Dipartimento di Giustizia di sospendere l’uso del glifosato, l’erbicida più usato nel paese sudamericano. La messa al bando riguarda anche altri pesticidi (2,4-D, metil paratione, lactofem, phorate, carbofuran, abamectina, tiram e paraquat) Le azioni giudiziarie sono due: La prima intende obbligare l’agenzia nazionale di sorveglianza per la salute (ANVISA) a rivalutare la tossicità di otto principi attivi di pesticidi sospettati di causare danni alla salute e all’ambiente; la seconda mette in discussione la registrazione del 2,4-D usato sugli infestanti a foglia larga. Il ministero dell’Agricoltura sospenderà la registrazione dei prodotti fino al termine dell’indagine. La grande diffusione della soia OGM resistente al glifosato è la principale responsabile dell’abnorme consumo di erbicidi in Brasile: tra il 2003 e il 2008 l’area di coltivazione della soia geneticamente modificata è passata da 7 a 14 milioni di ettari e nello stesso periodo il consumo di erbicidi usati sulla soia è triplicato. La soia OGM tollera l’erbicida glifosato e questo avrebbe dovuto darle un vantaggio competitivo su altre erbe infestanti, ma tramite la selezione naturale, ora si sono diffuse numerose specie resistenti al glifosato. Questo ha portato gli agricoltori a consumare più erbicida e a usarne varietà più tossiche. La risposta del biotech è stata analoga, visto che sono allo studio varietà di soia resistenti a più erbicidi. In questa folle corsa agli armamenti, i perdenti sono la salute umana e l’ambiente, per cui bene ha fatto la magistratura ad imporre una battuta d’arresto. Questo intervento segue di poche settimane il bando al glifosato imposto dal governo dello Sri Lanka a causa delle gravi patologie renali causate ai contadini.brasile

Fonte: ecoblog.it

Mais, soia e cotone OGM negli USA: le rese non crescono, ma gli erbicidi sì

Negli ultimi 10 anni il mais, la soia e il cotone OGM hanno monopolizzato oltre il 90% della produzione negli USA. Le rese di fatto non sono aumentate, mentre è molto cresciuto l’uso dell’ erbicida glifosato, che fa più danni di quanto si pensasse finora

Il video qui sopra mostra perchè Monsanto è stata votata dai lettori di Natural News come l’azienda più malvagia del 2011. L’argomento OGM in Italia suscita delle vere e proprie guerre di religione tra i (molti) contrari e i (pochi) a favore. E’ opportuno provare a lasciare da parte le passioni e vedere quali sono i dati relativi agli ultimi due anni. Come si può vedere dalla curva rossa nel grafico qui sotto, tra il 2000 e il 2012, gli OGM hanno progressivamente conquistato il mercato del mais, passando dal 20 al 90% della superficie coltivata. Crescita analoghe sono riscontrabili anche nella soia e nel cotone, anche se nel 2000 la loro quota OGM era già più alta(1).Mais-OGM-USA

Occorre notare però che le rese non sono di fatto cresciute secondo le aspettative: con una superficie OGM doppia nel periodo 2007-2012, le rese sono cresciute solo del 4% rispetto al periodo 2000-2006 (2). Si tratta tuttavia di un aumento che non è statisticamente significativo.(3)

Inoltre negli ultimi anni, il mais OGM non si è mostrato particolarmente resistente alla siccità estiva. La situazione è analoga per la soia, mentre per il cotone il trend è leggermente migliore, ma pur sempre basso (6% di aumento tra i due periodi). E’ invece cresciuto in modo significativo, intorno al 30%, l’uso degli erbicidi, su tutte e tre le colture. Come abbiamo scritto alcuni giorni fa, l’erbicida glifosato è responsabile di una grave patologia renale in alcuni paesi poveri come lo Sri Lanka, El Salvador e il Nicaragua, ed è molto più persistente nell’ambiente di quanto si pensasse.

Una recente ricerca francese mostra inoltre che i più comuni pesticidi sono più tossici per le cellule umane dei soli principi attivi dichiarati; anche gli ingredienti inerti contribuiscono ad aumentarne la pericolosità.Uso-erbicidi-OGM

(1) Roughly speaking, esistono due principali categorie di OGM, quelli tolleranti agli erbicidi (HT) che sopravvivono quando i campi sono irrorati di glifosato roundup e quelli naturalmente resistenti agli insetti grazie all’inserimento di un bacillo nel genoma(BT); esistono varietà HT e BT di mais e cotone e solo HT per la soia.

(2) I dati sulle rese  provengono dalla FAO, i dati sulla percentuale di OGM e sui pesticidi dall’USDA. L’USDA tace sul tema delle rese globali riportando solo i risultati di studi parziali che sono tendenzialmente favorevoli agli OGM. Tali studi non riflettono però la totalità della produzione, secondo i numeri che invece riporta FAO.

(3) A voler essere pignoli, il trend temporale della resa è pari a 0,04 t/ha anno con un errore di +/- 0,05 t/ha anno, quindi il coefficiente positivo non è assolutamente significativo; R²=0,04, cioè non c’è correlazione e c’è più o meno il 50% di probabilità che l’aumento sia del tutto casuale.

Fonte: ecoblog

Contadini filippini distruggono campo di riso OGM

Si trattava di una coltivazione di golden rice, il riso arricchito di vitamina A usato dalle multinazionali come “grimaldello” per avere il monopolio del mercatoProteste-riso-filippine-586x391

Un gruppo di contadini filippini militanti del movimento KMP hanno distrutto una coltivazione sperimentale governativa di riso OGM. Si tratta del cosiddetto golden rice, riso arricchito con vitamina A con l’intenzione di ridurre la malnutrizione infantile. Secondo Willy Marbella, segretario del KMP, la malnutrizione si combatte con la lotta alla povertà, non con le sementi biotech. L’ IRRI, che gestiva la coltivazione OGM, sostiene che il rischio di contaminazione sarebbe stato minimo, perché  i campi erano recintati e coperti da reti. Il golden rice non avrebbe poi alcun vantaggio evolutivo rispetto alle coltivazioni tradizionali per poterle soppiantare. Secondo Greenpeace, che è riuscita a bloccare le coltivazioni OGM in Thailandia, non si tratta solo di contaminazione ambientale, ma anche  di “contaminazione economico-sociale”. Il riso OGM con vitamina A verrebbe cioè usato come specchietto per allodole per migliorare l’immagine delle compagnie biotech e per permettere a loro di arrivare ad avere il monopolio delle sementi di riso come già lo hanno nel caso della soia.

 

Fonte: ecoblog

Allevamenti killer: moria di pesci in laguna a Venezia

Migliaia di pesci galleggiano senza vita nella laguna di Venezia. All’origine della moria di pesci vi sarebbe il maggior rilascio di azoto e fosforo, che proviene dagli allevamenti. “La scelta per l’ambiente è incompatibile con l’alimentazione carnivora”.laguna_venezia

Di che cosa sono morti le migliaia di pesci che galleggiano senza vita nella laguna di Venezia, dopo una lunga e penosa agonia? Secondo quanto riportato dai giornali, la proliferazione e successiva decomposizione delle alghe ha provocato la carenza di ossigeno nelle acque e il conseguente“soffocamento” dei pesci; questo fenomeno ha visto sì come causa scatenante le intense precipitazioni prima e l’aumento di temperatura poi, ma il problema di base, come ribadito dalle fonti citate dai vari quotidiani, rimane il livello troppo alto di composti a base di azoto e fosforo, che da decenni le imprese e le aziende agricole sversano in laguna e che funzionano da fertilizzante per le alghe. Il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione intende proporre una riflessione proprio su questo aspetto, facendo notare come, in ogni parte del mondo, sia l’industria dell’allevamento di animali per la produzione di carne, latticini e uova ad avere la maggior responsabilità relativamente all’inquinamento delle acque. Ciò è confermato anche dal dossier della FAO del 2006 “Allevamenti, una grande minaccia per l’ambiente” in cui si afferma che, per quanto riguarda le acque, i maggiori agenti inquinanti sono proprio le deiezioni degli animali, ricche di antibiotici e altre sostanze chimiche usate nell’allevamento nonché i fertilizzanti e pesticidi usati nella coltivazione dei mangimi per gli animali. Infatti, i raccolti assorbono solo da un terzo alla metà dell’azoto applicato al terreno come fertilizzante: le sostanze chimiche rimaste inutilizzate inquinano il suolo e l’acqua. Dato che, secondo le statistiche della FAO, metà dei cereali e il 90% della soia prodotti nel mondo sono usati come mangimi per animali, e che queste sostanze chimiche sono per la maggior parte usate nelle monocolture per la produzione di mangimi animali, è chiaro che la maggior responsabilità per questo enorme uso di sostanze chimiche sta proprio nella pratica dell’allevamento.pesticidi8__

Un ulteriore problema sono le deiezioni degli animali allevati: le deiezioni liquide e semi-liquide contengono livelli di fosforo e azoto al di sopra della norma, perché gli animali possono assorbire solo una piccola parte della quantità di queste sostanze presenti nei loro mangimi. Quando gli escrementi animali filtrano nei corsi d’acqua, l’azoto e fosforo in eccesso rovina la qualità dell’acqua e danneggia gli ecosistemi acquatici e le zone umide. Circa il 70-80% dell’azoto fornito ai bovini, suini e alle galline ovaiole mediante l’alimentazione, e il 60% di quello dato ai polli “da carne” viene eliminato nelle feci e nell’urina e finisce nei corsi d’acqua. Oggi, le deiezioni in eccesso vengono sparse sul terreno e nelle acque, mettendo in pericolo la salubrità delle acque e i pesci che ci vivono. Questo accade in ogni zona del mondo, perché ormai la pratica dell’allevamento intensivo è diffusa ovunque. Per esempio, lo spandimento delle deiezioni animali è strettamente collegato alla “zona morta” di 7.000 miglia quadrate nel Golfo del Messico, che non contiene più vita acquatica. Nel giugno 2010 il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite ha pubblicato un report intitolato “Calcolo degli impatti ambientali dei consumi e della produzione” le cui conclusioni affermano: “Si prevede che gli impatti dell’agricoltura aumentino in modo sostanziale a causa dell’aumento di popolazione e del conseguente aumento del consumo di alimenti animali. Una riduzione sostanziale di questo impatto sarà possibile solamente attraverso un drastico cambiamento dell’alimentazione globale, scegliendo di non usare prodotti animali”. Lo stesso report specifica: “La produzione di cibo è quella che più influenza l’utilizzo del terreno, e quindi il cambiamento di habitat, il consumo di acqua, il sovrasfruttamento delle zone di pesca e l’inquinamento da azoto e fosforo”.allevamento__vacche_2

Gli animali d’allevamento, oggi considerati come “macchine” che producono “proteine animali”, hanno bisogno di una grande quantità di mangime per “produrre” una quantità di carne, latte, uova molto più bassa. Si possono definire in questo senso “fabbriche di proteine alla rovescia”, perché per ottenere un kg di carne sono necessari mediamente 15 kg di vegetali coltivati appositamente. Ernst von Weizsaecker, uno scienziato ambientale dell’IPCC (il Panel di scienziati dell’ONU sui cambiamenti climatici), ha dichiarato nel 2010: “Il bestiame oggi consuma la maggior parte dei raccolti mondiali, e di conseguenza la gran parte dell’acqua potabile, di fertilizzanti e di pesticidi”. Se le persone, anziché basare la propria alimentazione sui cibi animali, si nutrissero di cibi vegetali, come accadeva fino a pochi decenni fa, il risparmio, in termini di risorse e di inquinanti emessi, sarebbe enorme. Nello studio “Alimentazione e ambiente: quel che mangiamo è importante?” pubblicato nel 2009 dalla rivista scientifica “American Journal of Clinical Nutrition”, i risultati mostrano che la dieta non vegetariana richiede 13 volte più fertilizzanti rispetto a una dieta vegetariana. Dal punto di vista dell’ambiente, concludono gli scienziati, quello che ciascuno sceglie di mangiare fa la differenza. Se la terra fosse usata per produrre cibo per il consumo umano diretto, infatti, da un lato servirebbero molti meno terreni, dato che la quantità di vegetali da produrre sarebbe molto minore (perché viene eliminato lo spreco della trasformazione da prodotti vegetali a prodotti animali, che da 15 kg di vegetali fa ottenere 1 solo kg di carne), dall’altro la produzione potrebbe avvenire in maniera sostenibile, con la tradizionale coltivazione a rotazione, che non richiederebbe l’attuale uso massiccio di sostanze chimiche. E i pesci non morirebbero soffocati. Prima scegliamo di spostare i nostri consumi verso i cibi vegetali anziché quelli animali, prima potremo contrastare i danni enormi che il pianeta e tutti gli esseri che ci vivono (noi inclusi) è costretto a subire. E potremo così evitare che la meravigliosa laguna di Venezia rischi di diventare una delle “zone morte” del pianeta.

Fonte: il cambiamento

Dieta vegana e dieta mediterranea consigliate per controllare il diabete di tipo 2

Una svolta alimentare basata sulla dieta vegana per chi ha il diabete di tipo 2 viene proposta della Asl di Milano come protocollo rivolto a 1100 medici che dovranno poi estenderlo ai loro pazienti. ovviamente diventa importante anche sostenere l’alimentazione con il corretto e costante esercizio fisico.

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Il documento si chiama p-PDTA ovvero Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale del paziente affetto da diabete mellito di tipo 2 ed è un protocollo che viene aggiornato da un gruppo di medici di medicina generale, rappresentanti dell’Asl di Milano e diabetologi di vari ospedali e importanti istituti milanesi come il Niguarda, Istituto Auxologico, Casa di cura San Pio X, Policlinico, San Paolo e serve a fornire ai medici prima e ai pazienti poi le linee guida per una corretta gestione del diabete di tipo 2. Ebbene in questa recente versione messa a punto alla fine del 2012 si riscontra il consiglio di rivolgere i pazienti con diabete di tipo 2 verso la dieta vegana attraverso il volume di ricette Scacco al diabete con un pizzico di fantasia in cui sono suggerite preparazioni con soli ingredienti vegetali, soia e legumi. Il primo passo riguarda la perdita di peso ponderale, fondamentale per normalizzare glicemia, emoglobina glicata e steatosi epatica che in taluni casi porta anche alla regressione del diabete. La dieta mediterranea anche è considerata valida a patto che sia come originariamente proposta, ovvero:

ricca di verdura, frutta fresca e secca oleosa, cereali integrali, legumi e semi, olio di oliva; moderatamente ricca di pesce e con latticini consumati soprattutto in forma di yogurt; ma povera di carne, soprattutto rossa e trasformata, e di grassi saturi e trans (acidi grassi industrialmente idrogenati presenti in prodotti da forno e fritture industriali e dei fast-food); e ancora povera di zuccheri e bevande zuccherate.

La dieta vegana dunque viene contemplata poiché:

In studi specificatamente disegnati per testare queste ipotesi, un’alternativa che si è dimostrata mediamente più efficace e gradita, non richiedendo imposizioni di restrizioni caloriche, è rappresentata da una dieta vegana basata unicamente su cibi vegetali, o da una dieta vegetariana a basso indice glicemico. Le diete vegetariane- hanno prevenuto o migliorato il diabete.

Il confronto tra una dieta tradizionale per diabetici e la dieta vegana è stato scientificamente misurato e ha vinto la dieta vegana:

Le due diete hanno dato miglioramenti ma quella vegana maggiori risultati clinici e accettabilità e dovrebbe costituire la prima scelta. La buona accettazione rispetto alle diete classiche, legata al consumo a volontà, dovrebbe incoraggiare a proporre attivamente questo modello alimentare, a partire dai circa 70 pazienti diabetici, in gran parte sovrappeso e obesi, che un medico di medicina generale ha ogni mille assistiti.

Fonte: Sindacato medici italiani