WWF: «Covid, allarme mascherine e guanti gettati nell’ambiente»

«Se solo l’1% delle mascherine usate per prevenire la circolazione del Covid-19 finisse in natura, ogni mese avremmo 10 milioni di mascherine (40.000 chili di plastica) nell’ambiente»:l’allarme del WWF. «Necessario gestire il corretto smaltimento».

«La pandemia causata dal COVID-19 ha costretto il mondo a fermarsi: chiuse le scuole, fermato il traffico, città vuote. Le specie selvatiche hanno iniziato a riappropriarsi di spazi prima occupati, aria è diventata più pulita, le acque limpide. Ora però dobbiamo fare attenzione ad una nuova minaccia: i dispositivi di protezione individuale che, dopo essere stati utilizzati diventano rifiuti, devono essere smaltiti correttamente per evitare che invadano le nostre strade, i nostri marciapiede e i nostri parchi»: è la denuncia dell’associazione WWF a fronte dell’aumento esponenziale dell’uso di mascherine e guanti che poi sono da smaltire.

«Inoltre  quantitativi crescenti di mascherine e di guanti sono avvistatati in mare dove rischiano di diventare letali per tartarughe e pesci che li scambiano per prede di cui nutrirsi – prosegue l’associazione  – Una stima del Politecnico di Torino dice che per la Fase 2, in cui verranno progressivamente riavviate attività produttive e sociali, serviranno 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese. Si tratta di quantitativi molto elevati che impongono un’assunzione di responsabilità da parte di chi utilizzerà questi dispositivi di protezione: bisogna che ognuno di noi faccia uno sforzo per far sì che si proceda con uno smaltimento corretto e con il minor impatto possibile sulla natura».

«Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato».

«Così come i cittadini si sono dimostrati responsabili nel seguire le indicazioni del governo per contenere il contagio restando a casa, ora è necessario che si dimostrino altrettanto responsabili nella gestione dei dispostivi di protezione individuale che vanno smaltiti correttamente e non dispersi in natura». A lanciare l’appello è la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi che aggiunge: «È necessario evitare che questi dispositivi, una volta diventati rifiuti, abbiano un impatto devastante sui nostri ambienti naturali e soprattutto sui nostri mari. Proprio per difendere il Mediterraneo che ogni anno già deve fare i conti con 570 mila tonnellate di plastica che finiscono nelle sue acque (è come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto) chiediamo alle istituzioni di predisporre opportuni raccoglitori per mascherine e guanti nei pressi dei porti dove i lavoratori saranno costretti ad usare queste protezioni per operare in sicurezza. Ma sarebbe opportuno che raccoglitori dedicati ai dispositivi di protezione fossero istallati anche anche nei parchi, nelle ville e nei pressi dei supermercati: si tratterebbe di un vantaggio per la nostra salute e per quella dell’ambiente».

Fonte: ilcambiamento.it

Amianto, ecco l’invenzione (italiana) per smaltirlo definitivamente

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Entro il 2028 l’Europa dovrà smaltire tutti suoi rifiuti contenenti amianto. L’obiettivo è decisamente ambizioso ed attualmente l’unica tecnologia disponibile è costosissima. In Francia, il trattamento dei residui di asbesto con la torcia al plasma ha un costo di ben 1000 euro per ogni tonnellata di scorie, ma in Italia il costo raddoppierebbe in virtù di un’energia elettrica due volte più cara. Dall’Italia arriva una tecnologia decisamente più economica che il sito del Ministero dell’Ambiente ha eletto come invenzione del mese. Il principio sfruttato da un gruppo di ricercatori genovesi è vecchio di cent’anni e veniva utilizzato nella fase di saldatura dei binari delle grandi ferrovie. La necessità era quella di risparmiare energia e, quindi, si faceva reagire l’ossido metallico con altri reagenti, come il magnesio. Questa reazione produceva un’altissima temperatura che fondeva l’acciaio senza rendere necessario un massiccio utilizzo delle fiamme ossidriche. A coordinare Fibers, il progetto che si ispira a questa tecnica, è Maurizio Ferretti, un fisico della materia il cui team è supportato economicamente dall’Unione Europea (co-finanziatrice con 750mila euro) e da due aziende, la Telerobot Labs di Genova e la Vico di Cairo Montenotte (che contribuiscono con altri 750mila euro). Il lavoro di ricerca è iniziato nell’agosto 2013 e, se tutto andrà secondo i piani, si concluderà la prossima estate con la consegna di un prototipo industriale. Come funziona il procedimento? L’ossido di ferro (ruggine) e il magnesio metallico vengono mescolati alla polvere di amianto e scaldati con una fiamma ossidrica. Quando la combustione raggiunge i 1600 gradi l’amianto è diventato un altro minerale, ma soprattutto inerte e non dannoso per la salute umana.

Fonte:  Il Secolo XIX

Rifiuti elettronici: il 90% viene smaltito illegalmente

Il giro d’affari intorno allo smaltimento illegale dell’e-waste ammonta a 19 miliardi di dollari. La quantità annua di rifiuti elettronici raggiungerà 50 milioni di tonnellate nel 2017, una quantità di rifiuti enorme che rappresenta un grande problema in termini di sostenibilità. E non solo. Perché smaltire i rifiuti elettronici rappresenta un costo. Ed è proprio per questa ragione che le ecomafie si arricchiscono con lo smaltimento abusivo di questo tipo di residui dell’industria elettronica: secondo i dati dell’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, il 90% dei rifiuti elettronici del mondo viene smaltito e scaricato illegalmente per un giro d’affari che ammonta a 19 miliardi di dollari. Smartphone e computer sono fra gli oggetti che contribuiscono maggiormente all’accumulo di 42 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti che potrebbero divenire 50 nel 2017. Il rapporto Unep presentato a Ginevra sottolinea che nel 2014 il costo per lo smaltimento di 42 milioni tonnellate di rifiuti ha movimentato un costo di 52 miliardi per l’economia globale. L’esportazione di rifiuti pericolosi e dannosi per l’ambiente dai Paesi Ocse a quelli che non ne fanno parte è vietata, ma migliaia di tonnellate di rifiuti continuano a essere esportate dopo essere dichiarate come beni di seconda mano.
Fra questi ci sono pile descritte come plastica e tubi catodici spacciati come normali rifiuti metallici. Ghana, Nigeria, Cina, Pakistan, India e Vietnam si stanno trasformando in centri di smaltimento per lo smaltimento illegale di e-waste. Le condizioni in cui i rifiuti del mercato dell’elettronica vengono smaltiti possono essere molto pericolosi per la salute. Per prevenire questo “tsunami” di rifiuti, come lo ha definito il suo direttore esecutivo Achim Steiner, l’Unep vuole agire in due direzioni: da una parte con il rafforzamento delle leggi nazionali e internazionali sulla materia, dall’altro con l’implementazione di tutte le attività di recupero dei metalli preziosi che si trovano all’interno dei prodotti tecnologici.108037822

Fonte:  The Guardian

Garby, la raccolta differenziata diventa compatta e low cost

In cambio del riciclaggio di materiali in PET, HDPE, PP, PS, LDPE, alluminio o banda stagna, gli eco-compattatori dell’azienda casertana offrono eco-bonus spendibili in esercizi commerciali per ottenere sconti e premi

Ridurre lo spazio occupato dal packaging, sia esso in PET, HDPE, PP, PS, LDPE, alluminio o banda stagna, significa ridurre i costi per la raccolta differenziata, lo stoccaggio, il trasporto e, di conseguenza generare margini di guadagno più ampi sulla vendita del materiale generato dal riciclo di plastica e alluminio. Garby fornisce i servizi commerciali e le tecnologie per far sì che il volume dei rifiuti destinati al riciclaggio possa essere ridotto fino all’80%. Fra bottiglie in PET, flaconi in HDPE e lattine in alluminio, sono circa 15 miliardi i pezzi che ogni anno, in Italia, finiscono in discarica o negli inceneritori invece di diventare una preziosa risorsa economica. L’azienda casertana di San Marco Evangelista facilita i processi di riciclaggio creando un sistema capace di generare profitti. Gli eco-compattatori oltre a svolgere questa importante funzione ecologica, rappresentano lo strumento diffuso sul territorio delle attività di eco-marketing di Garby: aree pubbliche, scuole, musei, teatri, aziende private ed esercizi commerciali diventano concessionari offrendo a cittadini e clienti la possibilità di usufruire dei benefit concessi a chi si dimostra attento alle buone pratiche.  Come generare profitti dai rifiuti tutelando l’ambiente? Il primo step è la conservazione di bottiglie PET, flaconi HDPE e lattine di alluminio, il secondo lo smaltimento presso gli eco compattatori Garby, il terzo l’accumulo di eco-bonus, il quarto la visita in uno dei negozi aderenti alla rete di Garby e l’ultimo la consegna degli eco-bonus in cambio di sconti, offerte e premi. Chi volesse collaudare l’efficacia del sistema Garby può cercare l’ecopoint più vicino a casa.FRANCE-ECONOMY-WATER-CAROLA

Fonte:  Garby

© Foto Getty Images

Lavatrici, frigoriferi e computer: le 5 regole per gettarli via

Come si gettano via i vecchi frigoriferi, le lavatrici rotte o i computer che non funzionano più?

La sigla RAEE ai più non dirà molto eppure rappresenta una gran parte degli oggetti che utilizziamo ogni giorno: lavatrici, cellulari, computer, condizionatori, televisori e piccoli elettrodomestici che una volta rotti rappresentano rifiuti che spesso sono abbandonati in strada, accanto ai cassonetti dove ancora esistono, nei boschi, spiagge ma non dove dovrebbero essere poi consegnati. Quindi la domanda è: come ricicliamo gli elettrodomestici rotti?SONY DSC

A indirizzarci su come smaltire correttamente i rifiuti elettronici o RAEE – Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche – è il consorzio Ecodom che in occasione della XXII edizione di Puliamo il Mondo che si terrà dal dal 26 al 28 settembre 2014 in tutta Italia, ci ricorda le 5 regole da mettere in pratica prima di disfarsi di un elettrodomestico vecchio:

  1. Non buttare mai i RAEE nella spazzatura indifferenziata, non abbandonarli nell’ambiente e non dimenticarli in casa, in soffitta o nei garage.
  2. Portarli alle isole ecologiche più vicine. I centri di raccolta (o isole ecologiche) sono strutture allestite dagli Enti Locali per la raccolta differenziata delle diverse tipologie di rifiuti (tra cui i RAEE). Dai centri di raccolta i rifiuti vengono inviati a impianti di trattamento che garantiscono la salvaguardia dell’ambiente (evitando la dispersione di sostanze inquinanti) e il riciclo delle materie prime.
  3. In caso di acquisto di un nuovo elettrodomestico, consegnare il vecchio al negoziante che è tenuto a ritirarlo gratuitamente (dal giugno 2010, grazie all’entrata in vigore del cosiddetto decreto “Uno contro Uno”, i rivenditori sono obbligati al ritiro gratuito dell’apparecchiatura elettrica/elettronica a fronte dell’acquisto di un nuovo prodotto equivalente). Inoltre, dal mese di aprile 2014, con il nuovo Decreto Legislativo 49/2014 è stato introdotto – per i negozi con superficie di vendita superiore a 400 mq – l’obbligo di ritiro gratuito “uno contro zero” dei RAEE di piccolissime dimensioni (aventi cioè dimensione massima inferiore a 25 cm).
  4. Richiedere il ritiro a domicilio per i RAEE ingombranti: si tratta di un servizio presente in molti Comuni.
  5. Ricordare che i RAEE possono diventare preziose risorse se correttamente riciclati, mentre, se trattati in modo non corretto, possono essere dannosi per l’ambiente. Da un frigorifero, ad esempio, si ottengono fino a 28 kg di ferro, 6 kg di plastica e oltre 3 kg tra rame e alluminio, ma lo stesso frigorifero contiene anche sostanze altamente inquinanti, come i CFC e gli HCFC, gas ozono-lesivi. Se abbandonato, quel frigorifero finirà probabilmente nelle mani di soggetti interessati soltanto a ricavarne le materie prime aventi valore economico, senza la minima preoccupazione di recuperare in modo corretto le sostanze inquinanti.

Fonte:  Iko @ Flickr

Il 40% della spazzatura nel mondo bruciata in modo irregolare

Lo dice uno studio appena pubblicato del National Center for Atmospheric Research. “Gas e particelle così prodotti influenzano la salute umana e il clima”380087

Oltre il 40% dei rifiuti prodotti in tutto il mondo, circa 1,1 miliardi di tonnellate di spazzatura, vengono smaltiti in roghi non regolamentati, che producono emissioni dannose per la salute umana e i cambiamenti climatici. Un nuovo studio condotto dal National Center for Atmospheric Research e pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, mostra che l’inquinamento da gas e particelle immesse in questo modo nell’atmosfera sia maggiore rispetto a quanto mostrato da documenti ufficiali. In base ai risultati emersi, dai roghi di rifiuti irregolari derivano il 29% delle emissioni globali umane legate delle piccole particelle(inferiori a 2,5 micron di diametro), così come il 10% di mercurio e il 40% di gas idrocarburi policiclici aromatici, inquinanti da cui derivano significative conseguenze per la salute dell’uomo, come funzione polmonare ridotta, disturbi neurologici, cancro e attacchi di cuore. L’impatto sulle emissioni di gas a effetto serra è invece pari al 5% della Co2 prodotta dall’uomo. Per arrivare a questi risultati gli studiosi hanno confrontato i dati di popolazione e la produzione pro capite di rifiuti con i conteggi ufficiali di smaltimento rifiuti per ogni paese del mondo. I responsabili delle maggiori emissioni da incendi di spazzatura sono paesi popolosi in via di sviluppo: Cina, India, Brasile, Messico, Pakistan e Turchia. In particolare, è in aumento la quantità di rifiuti bruciati in villaggi remoti e megalopoli affollate, poiché sempre più persone consumano più beni e nella spazzatura finiscono insieme plastica ed elementi di elettronica così come avanzi di cibo e legno. A differenza delle emissioni da inceneritori commerciali, spesso queste combustioni non vengono denunciate alle agenzie ambientali. “L’inquinamento atmosferico in gran parte del globo è notevolmente sottostimato perché nessuno sta rintracciando la combustione a cielo aperto degli incendi di spazzatura”, spiega Christine Wiedinmyer, autrice dello studio.
(fonte ansa.it)

tratto: ecodallecitta.it

L’UOMO CHE RICICLAVA TUTTO: il caso di Jonh Newson

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Contenere il più possibile la quantità di rifiuti che si produce, riciclando, riutilizzando e smaltendo correttamente quanto noi maneggiamo quotidianamente è pratica di ogni buon cittadino del mondo: l’attenzione verso una corretta politica personale sui rifiuti e sul riuso è fortunatamente sempre più radicata in ognuno di noi e, ci si augura, con il passare del tempo saremo sempre più accorti in tal senso. Nel 2012 c’è un uomo in particolare che può fregiarsi del titolo di “Persona a impatto zero”: si chiama John Newson ed è un cittadino britannico di Balsall Heath, Birmingham, che esattamente un anno fa ha deciso volontariamente di ridurre il più possibile la quantità di rifiuti prodotti nella propria abitazione grazie ad alcune modifiche delle proprie abitudini quotidiane, focalizzandosi in particolare sugli imballaggi. john-newson-at-his-home-in-balsall-heath-565211780-586x389 I risultati sono stati sorprendenti. John Newson è riuscito a produrre, per tutto l’anno 2012, un solo sacchetto di rifiuti non riutilizzabili, riciclabili né compostabili, insomma rifiuti che per come li giri e li volti non sono altro che immondizia (non per questo da abbandonare in un prato o da gettare in un buco, sia chiaro); la prima decisione presa da Newson ha intaccato le sua abitudini alimentari: la decisione di non consumare più nè carne nè pesce ha ridotto di molto gli imballaggi che ogni settimana uscivano da casa di John direzione discarica o incenerimento (la Gran Bretagna al momento differenzia solo il 30% dei rifiuti che produce). John Newson ha infatti capito che la maggior parte dei rifiuti prodotti dagli esseri umani sono proprio le confezioni degli alimenti che essi consumano: per questo, oltre ad un regime alimentare decisamente meno carnivoro, Newson ha cominciato a coltivare da sè la frutta e la verdura, evitando l’acquisto di prodotti confezionati al supermercato. Bucce, torsoli, coste, scarti alimentari vari sono stati sapientemente e rigorosamente destinati al compostaggio, grazie al cassone apposito che Newson ha installato in giardino, mentre per il resto dei rifiuti differenziabili ha svolto un lavoro degno di un monaco certosino, selezionando e separando con attenzione carta, plastica riciclabile, vetro, metalli, cartone e servendosi semplicemente del servizio di raccolta differenziata e delle opzioni di smaltimento offerte dalla sua città (che differenzia il 31,5% dei rifiuti che produce, non una gran percentuale a dir la verità). Non un’opera particolarmente semplice: John Newson, non soddisfatto ad esempio di come la sua città differenzia le confezioni di Tetrapak alimentari (in particolare della margarina), ha preferito optare per queste per i servizi di Bristol e Londra, a suo parere più efficienti ed efficaci, ad eccezion fatta per quegli involucri costituiti da pellicola o plastica mista, che non è possibile avviare alla raccolta differenziata e dei quali egli non ha individuato dei possibili riutilizzi all’interno della propria abitazione, che hanno composto il totale del suo unico sacco di rifiuti prodotto nell’intero 2012. John Newson, ribattezzato dalla stampa britannica “l’Ecoguerriero” ha deciso di rendere pubblica la sua esperienza in virtù del fatto di essersi reso conto che è possibile a tutti, nonché un dovere preciso di ogni cittadino. Il livello di raccolta differenziata e compostaggio dei rifiuti raggiunto dall’Ecoguerriero inglese è pari all’80% o al 90% del totale, mentre in Gran Bretagna tale percentuale è del solo 30% (la città più virtuosa è Bristol, che arriva al 50%): Newson ha capito che è possibile per tutti arrivare a tanto, magari non nelle percentuali da lui raggiunte: tuttavia provare non costa veramente niente, anzi. Via| TheMirror Foto | Birmingham Mail Fonte Ecoglog

Lecco, un piano per eliminare l’amianto

Il Nuovo Centrodestra stringe i tempi per una Lecco “eternit free” e in provincia, a Dervio, si può richiedere un contributo sino a 2000 euro per la rimozione e lo smaltimento dell’amianto

Un piano per biennale per arrivare a una Lecco “eternit free”. A smuovere le acque è il capogruppo del Nuovo Centrodestra, Filippo Boscagli che ha recentemente sollevato la questione amianto in consiglio comunale, sottolineando nel suo intervento come

una tale quantità di strutture da bonificare dovuta allo sviluppo cittadino degli anni ’60 e ’70 costituisce un problema sempre più rilevante ogni giorno che passa.

In attesa del nuovo rapporto annuale, i siti che risultavano da bonificare un anno fa erano oltre mille per il territorio regionale per un totale di 2 milioni di metri cubi di materiale contenente amianto. Nella città lombarda esiste un’anagrafe dell’amianto da smaltire ed esiste un Piano Regionale Amianto Lombardia che ha legiferato su tempi e modi dello smaltimento, fissando nel 2015 il traguardo per una provincia “eternit free”. Il Nuovo Centrodestra preme affinché non vengano concesse dilazioni e chiede che la scadenza sia inderogabile: due anni. Via tutto l’amianto entro il 1° gennaio 2016. Intanto a Dervio, in provincia di Lecco, l’amministrazione comunale ha deciso di erogare un contributo economico a fondo perduto per coprire fino al 30% e con un importo massimo di2000 euro, le spese sostenute per i lavori di rimozione e smaltimento dei materiali contenenti amianto. Il contributo comunale è può essere richiesto da tutti i proprietari di immobili residenti nel Comune di Dervio. Le domande dovranno pervenire al protocollo comunale entro le ore 12.00 del 30 aprile 2014, fornite dei documenti indicati nel bando che si può scaricare dal sito del Comune di Dervio.

Fonte: Lecco Notizie | Corriere di Lecco

Italiani: popolo di santi, poeti, navigatori. E avvelenatori.

“Gli italiani? Un popolo, certo, di santi, poeti e navigatori, ma anche di avvelenatori, attraverso lo smaltimento illecito dei rifiuti”. Non usa mezzi termini Marco Villa, portavoce del Terracina Social Forum , che da tempo si batte per portare l’attenzione su tematiche ambientali e di legalità.rifiuticampania

“Gli italiani? Un popolo, certo, di santi, poeti e navigatori, ma anche di avvelenatori, attraverso lo smaltimento illecito dei rifiuti”. Non usa mezzi termini Marco Villa, portavoce del Terracina Social Forum , che da tempo si batte per portare l’attenzione su tematiche ambientali e di legalità. Villa e i membri del Tsf hanno seguito fin dall’inizio le vicende della Terra dei Fuochi, del pentito Carmine Schiavone, dei rifiuti tossici che hanno avvelenato la Campania. E la loro attenzione non manca di concentrarsi anche sui problemi “di casa”, perché anche in Lazio negli ultimi anni non sono mancate polemiche roventi sul problema della gestione dei rifiuti. “E’ un settore, quello degli smaltimenti illeciti di rifiuti, che ha sempre rappresentato, ahimè, un’eccellenza del nostro made in Italy – spiega Villa – Approfondire l’argomento riserva molte sorprese ed apre le porte ad un mondo sconcertante. Si viene a scoprire, infatti, che negli anni ’80 del secolo scorso il nostro Paese era al vertice di una vera e propria rete europea di smaltimento di rifiuti pericolosi. Si viene a sapere di navi cariche di veleni che facevano il giro del mondo: Sud America, Libano, Africa, ecc. Si viene a sapere di un imprenditore, Giorgio Comerio, che aveva elaborato un fantasioso progetto (la grande inventiva degli industriali nostrani!): utilizzare missili a carica cava per conficcare nei fondali marini le scorie nucleari. A quanto risulta, fu lo stesso Comerio ad ospitare, nella sua casa di Montecarlo, Licio Gelli quando questi evase dal carcere svizzero in cui era detenuto. Licio Gelli, un altro nome che ricorre più volte in queste vicende. Si viene a sapere di giornalisti ed operatori televisivi (o agenti segreti come Vincenzo Li Causi) che muoiono in circostanze misteriose in Somalia. Si viene a sapere, da chirurghi che hanno lavorato per decenni in Africa, che in Somalia fino agli anni ’80 del Novecento il tumore alla tiroide era praticamente assente, salvo poi registrare un’improvvisa impennata, soprattutto tra i bambini”.
“Si viene a sapere – prosegue Villa – di zone della Mauritania, Paese del nord Africa, nelle quali i contatori geiger impazziscono. Si viene a sapere di navi cariche di veleni che affondano in circostanze misteriose nel “Mare Nostrum”. Si viene a sapere di un ufficiale della Capitaneria di Porto, il capitano di corvetta Natale De Grazia, il quale, indagando su tali affondamenti, raccoglie una mole impressionante di dati, ma poi muore in circostanze altrettanto misteriose. Si viene a sapere di un pentito, Carmine Schiavone (clicca qui per leggere il verbale), che da molto loquace diventa improvvisamente reticente riguardo alle domande su quelle navi, forse perché si rende conto che se si lascia sfuggire qualcosa sull’argomento rischia veramente la vita: “… anche se ne ho sentito parlare, ormai è passato molto tempo. Adesso conduco una vita diversa, man mano la memoria passa; non ho la mente di quelli che ricordano le cose dopo quindici anni. Purtroppo, il tempo passa. Vede che belle mani? Sono tornato alle origini”. Mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti sanno perfettamente che i servizi segreti sono infinitamente più pericolosi di loro”.
E si arriva così al giorno d’oggi, con tre parole che sono diventate d’uso comune. La prima su cui si sofferma Villa è: Terra dei Fuochi. “La Terra dei Fuochi è una zona ubicata in Campania, a cavallo delle province di Napoli e Caserta. La Campania Felix divenuta pattumiera d’Italia ma, prima ancora, adibita a sede di numerose basi militari Nato e statunitensi. Basi militari? Allora la domanda sorge spontanea: nella Terra dei Fuochi sono stati smaltiti illecitamente solo rifiuti industriali o c’è dell’altro? Le indagini giudiziarie riguardano anche rifiuti radioattivi e questi ultimi possono avere due provenienze: ospedaliera (di bassa radioattività) e militare. A questo punto sorge un altro sospetto. Nel 2008, infatti, quando l’emergenza rifiuti urbani esplose in Campania in tutta la sua virulenza, i mezzi d’informazione fecero a gara nel descrivere i campani come persone che opponevano una fortissima resistenza alla raccolta differenziata. Così facendo, i media nascosero letteralmente la polvere sotto il tappeto, celando l’evidenza che le discariche campane si erano saturate prima dei tempi prestabiliti perché in esse erano stati depositati rifiuti industriali provenienti da nord”.
Dal nord Italia e dall’Europa. “Però dopo qualche anno l’impennata di malattie tumorali e la costante e continua denuncia di comitati, associazioni, cittadini, medici, sacerdoti, ha fatto emergere anche questo segreto di Pulcinella, che ora ha trovato finalmente spazio e visibilità in tv e sui giornali. Ma questa volta per nascondere che cosa? Infine, perché sul litorale domitio, un territorio storicamente controllato dai Casalesi, droga e prostituzione vengono gestite dalla mafia nigeriana?  Su questo punto gli addetti ai lavori (magistrati, politici, esponenti delle forze dell’ordine), interpellati in occasione di convegni, dibattiti o presentazioni di libri, rispondono in maniera reticente o addirittura in modo del tutto illogico, affermando che le nigeriane fungono da vedette, come se il ruolo di sentinelle lo sappiano svolgere bene solo le prostitute di quella nazionalità. È ancora aperta la rotta africana per gli smaltimenti dei rifiuti? Ma, soprattutto, i mafiosi di Casal di Principe (mafiosi, mafiosi: Carmine Schiavone ci tiene a precisarlo nelle sue interviste di non essere camorrista, bensì di essere un “punciuto”, un affiliato a Cosa Nostra) che tipo di rapporti hanno con chi è presente sul loro territorio? Perché i primi avvertimenti sull’inquinamento locale sono partiti proprio dagli statunitensi nel 2008, diretti ai loro militari di stanza in Campania? Hanno le mappe dei siti contaminati?”. L’appello è dunque accorato: così non si può andare avanti. “E ne pagano le conseguenze, sotto forma di terribili malattie, gli abitanti della Terra dei Fuochi”.

Fonte: il cambiamento

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RAEE, il vademecum di Ecolight per smaltirli bene

Dal consorzio nazionale per la gestione dei RAEE, i consigli su come smaltire le apparecchiature elettriche non funzionanti o diventate ormai vecchie e obsolete dopo le feste377768

Terminate le feste, è il momento di rimettere tutto a posto. E davanti al nuovo televisore che è stato trovato sotto l’albero, si pone il problema di dove poter mettere il vecchio apparecchio che magari funziona male o non funziona più del tutto; così anche per il frullatore che ha sostituito quello rotto o lo smartphone di ultima generazione che ha preso il posto del vecchio cellulare. La questione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche è di stretta attualità. Ma dove mettere i RAEE? Ecolight, consorzio nazionale che si occupa della gestione dei rifiuti elettronici e delle pile, propone un vademecum con tre semplici regole per smaltire correttamente i RAEE preservando così l’ambiente.
«È bene non dimenticare che i RAEE sono rifiuti speciali il cui conferimento è regolamentato dalla legge. Inoltre, da un loro corretto trattamento è possibile ricavare importanti materie prime seconde – come plastica, vetro e metalli – che possono essere utilizzate nella creazione di nuovi prodotti», premette Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecolight. Dove mettere i RAEE? Portarli in una delle 3.648 isole ecologiche attrezzate per la raccolta differenziata dei RAEE. Il rifiuto elettronico dovrà essere messo nel cassone giusto: R1 per i frigoriferi; R2 per le lavatrici e i forni; R3 per i televisori e i monitor; R4 per i piccoli elettrodomestici e l’elettronica di consumo; R5 per le sorgenti luminose neon e a risparmio energetico. Nel caso di acquisto di una nuova apparecchiatura in sostituzione di una equivalente non più funzionante, è possibile lasciare quella vecchia direttamente in negozio al momento dell’acquisto. Secondo
quanto previsto dal DM 65/2010 “Uno contro Uno”, il conferimento è gratuito per il consumatore, semplicemente compilando una scheda di consegna. Il ritiro gratuito è previsto anche con la consegna al domicilio della nuova apparecchiatura elettronica. Le imprese e i liberi professionisti, possono affidarsi al servizio di raccolta di Ecolight contattando direttamente il consorzio. Il servizio Fai Spazio è dedicato alla gestione dei rifiuti professionali e viene svolto su tutto il territorio nazionale e per ogni tipo di quantitativo. A queste tre possibilità, Ecolight ne aggiunge una quarta. «Nella zona di Bologna è attiva la sperimentazione del progetto europeo Identis WEEE realizzato dalla multiutility Hera, da Ecolight e dalla fondazione spagnola Ecolum», ricorda Dezio. Icassonetti intelligenti RAEEshop sono stati posizionati al parco commerciale Meraville di Bologna in via Tito Carnacini (nei presso del punto vendita MediaWorld, al parco commerciale Navile di Bologna in via Colombo e al Leroy Merlin in via De Curis a Casalecchio di Reno (Bo). Accedendo con la tessera sanitaria o la tessera Hera è possibile conferire gratuitamente i propri RAEE di piccole dimensioni. È stato stimato che in Italia nel 2012 siano stati prodotti oltre un milione di tonnellate di RAEE, quasi 18 kg per abitante (fonte: “Solving the e-waste problem” dell’Onu). Secondo questi dati, meno di tre RAEE su dieci hanno però seguito una corretta gestione: la raccolta infatti negli ultimi anni si è attestata intorno ai 4 kg pro capite; ben lontani sono gli obiettivi di raccolta stabiliti dalla nuova direttiva comunitaria, circa 12 kg/abitante, indicati per il 2019. Conclude il direttore generale di Ecolight: «Un piccolo sforzo può dare molto all’ambiente: in media i RAEE, dalle lavatrici alle aspirapolvere fino alle lampadine a risparmio energetico, sono riciclabili per oltre il 90 per cento del loro peso. Non sono quindi un rifiuto, ma rappresentano una risorsa che deve seguire la corretta strada di raccolta e trattamento».

Fonte. ecodallecittà