Carlo Petrini: il futuro del pianeta nelle mani dei giovani

Terra Futura è il titolo del suo ultimo lavoro, ma è anche un concetto chiave per costruire a partire da oggi il mondo di domani. Durante il 69° Trento Film Festival, Agenzia di Stampa Giovanile ha intervistato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sui temi dell’educazione e quindi sui giovani, sull’attivismo e soprattutto sulla responsabilità che le nostre azioni quotidiane hanno nei confronti della natura, dell’ambiente e del futuro.

Carlo Petrini – fondatore dell’associazione Slow Food, ideatore della rete internazionale di Terra Madre e autore di “Terra Futura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale” – ha trascorso gran parte della sua vita cercando di promuovere attenzione e cura verso il nostro Pianeta. Lo ha fatto attraverso le armi della scrittura e dell’attivismo, ma soprattutto attraverso il duro lavoro nella ricerca di un dialogo tra società, istituzioni, culture, generazioni. Durante il secondo tempo del 69° Trento Film Festival lo abbiamo intervistato, cercando di concentrare la nostra chiacchierata sul grande obiettivo di Slow Food, sull’educazione e quindi sui giovani, sull’attivismo e soprattutto sulla responsabilità che le nostre azioni quotidiane hanno nei confronti della natura, dell’ambiente e del futuro.

Nel ciclo di incontri con Papa Francesco – dai quali poi è nata la pubblicazione “Terra futura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale” – scaturisce la forza delle azioni umane quotidiane e comunitarie. Azioni che possono influenzare in positivo e in negativo il benessere del nostro Pianeta. Che ruolo hanno le scelte alimentari e le azioni a esse connesse nel mantenimento e nella cura ambientale?

Da oltre 30 anni il movimento Slow Food rivendica l’idea del cibo come centro della nostra esistenza. Se oggi la multidisciplinarietà legata al cibo (parlare di alimentazione vuol dire richiamare l’antropologia, la storia, l’economia, la genetica, la biologia etc.) è un’asserzione che cerca di permeare sempre più all’interno la nostra cultura, posso assicurare che sul finire del secolo scorso così non era; anzi, il cibo era addirittura totalmente estraneo al dibattito politico. Questo mi è sempre sembrato irragionevole, soprattutto perché la nostra stessa vita ci è data in quanto noi quotidianamente mangiamo; e dunque, più di qualsiasi altro argomento, il cibo merita di essere trattato con molta attenzione. Ecco che, insieme all’associazione che ho fondato, siamo arrivati a sostenere che mangiare è un atto politico. Ogni singolo individuo attraverso le sue scelte alimentari non influenza solo il sistema produttivo, ma anche le società, le economie e i territori a esso connesso. Proprio per questo viene da sé che i nostri comportamenti quotidiani, per quanto ci possano sembrare abitudini di poca rilevanza, possono avere un impatto determinante per il nostro benessere, per la salute di tutti gli esseri viventi e per la prosperità della nostra Terra Madre. Stiamo perdendo la capacità di sognare eppure l’Italia è costellata di straordinarie esperienze di cambiamento! Mentre gran parte dei mass media sceglie di non mostrare i cambiamenti in atto, noi scegliamo un’informazione diversa, vera, che aiuti davvero le persone nella propria vita quotidiana. 

In che modo l’associazione Slow Food si impegna per promuovere un’alimentazione “buona, pulita e giusta per tutti”?

La principale caratteristica del nostro movimento è che ogni azione e ogni pensiero vengono promulgati nel pieno rispetto dei territori, delle società e delle culture in cui operiamo. Mi spiego meglio: Slow Food è un’associazione che dalla seconda metà degli anni Ottanta ha accettato la sfida di diffondere a livello internazionale la lotta all’omologazione e alla standardizzazione, ovvero a tutti quei processi sterili basati esclusivamente sul profitto economico che il modello capitalistico stava cercando di propagare ad un mondo sempre più globalizzato. Il nostro impegno quindi, che mira primariamente a difendere la biodiversità in tutte le sue forme (naturale, agroalimentare, sociale, culturale), è altamente diversificato a seconda dei territori. Sarebbe da stolti concentrarsi su di un unico modello adattabile in ogni area del pianeta: questo modo di ragionare, oltre a essere una logica altamente invasiva e ai limiti del colonialismo, porterebbe esclusivamente a una perdita di biodiversità e quindi a conseguenze catastrofiche per comunità ed ecosistemi. Ecco che le iniziative e i progetti delle nostre condotte italiane non possono essere riportate nelle comunità dell’Africa subsahariana; è necessario che i promotori delle iniziative siano donne e uomini che vivono da vicino il territorio, che conoscono le esigenze delle comunità e che sappiano valorizzare al meglio le peculiarità di ogni regione. L’educazione è il pilastro fondamentale su cui si deve basare questa rigenerazione ecologica. Una rivoluzione che non riguarda solo i sistemi produttivi e i sistemi economici, ma che deve senza ombra di dubbio rigenerare radicalmente anche il nostro modo di pensare. Allora a chi se non ai giovani, forti della loro fresca e rapida capacità di apprendimento, dobbiamo lasciare il messaggio che tutto è fortemente correlato e che la nostra salute dipende da quella del Pianeta in cui viviamo? Chi dobbiamo esortare, consci degli errori commessi finora, a sovvertire un paradigma che vede il profitto come una variabile di benessere e che non riconosce alcun valore ai beni relazionali e ai beni comuni, se non i futuri cittadini?

C’è però da fare molta attenzione, in quanto il processo educativo passa primariamente dal buon esempio. Se le generazioni più mature non sono disposte a segnare la strada a quelle che verranno, queste ultime si troveranno disorientate in un mondo che non sarà più in grado di generare salubrità e benessere per tutti. Anche in questo caso la soluzione è il dialogo. Un dialogo intergenerazionale in grado di confrontare la forza impulsiva, l’energia e la creatività dei giovani con l’esperienza, la saggezza e le suggestioni dei più “anziani”.

Inoltre sono fortemente convinto che, affinché si voglia diffondere un’educazione efficiente e strumentale all’elaborazione autonoma di pensieri critici e più consapevoli, il dialogo deve anche instaurarsi tra saperi scientifici, accademici e saperi tradizionali, popolari. Questo è il modello educativo che necessitiamo: un approccio che mi piace definire olistico, in grado di coniugare discipline umanistiche a materie scientifiche e che dal 2004, con la fondazione dell’Università di Scienze Gastronomiche, a Pollenzo cerchiamo di applicare.

Ritiene che il movimento ambientalista giovanile Fridays For Future possa portare dei risultati concreti? In che modo la voce dei giovani può essere ascoltata dalle istituzioni?

Voglio partire da una semplice riflessione: il futuro non è di certo di Carlo Petrini. Il futuro è dei giovani e se le cose non cambiano in maniera sostanziale, quando i diciottenni di oggi avranno la mia età vivranno in un mondo più che mai inquinato, poco salubre e con la fertilità dei terreni estremamente compromessa. Per non parlare degli ecosistemi marini, i quali già oggi si trovano a un punto di non ritorno. Ecco che i movimenti dei giovani sono di primaria importanza per il tessuto sociale di oggi e per il futuro di domani. Necessitiamo di questi gruppi che non si fermano solo alla propaganda o all’attivismo sterile, ma data l’energia e l’imperturbabilità propria delle giovani generazioni sono disposti a mettersi in prima linea nel concretizzare buone opere e azioni virtuose sia in campo sociale, sia in campo ambientale. Io credo che arrivati a questo punto le istituzioni non possano far altro che ascoltare la voce dei giovani e appoggiarli nelle loro lotte. Vorrei dire a questi nuovi rappresentanti della società civile che il tempo è dalla loro parte e che tra qualche anno saranno loro a occupare ruoli istituzionali. Ma non per questo devono accomodarsi e aspettare il loro turno, anzi. Condivisione e cooperazione saranno i valori di cui avvalersi per portare avanti le loro sfide e proprio per questo tengo a dare loro due suggestioni. Le comunità del futuro dovranno per forza di cose essere basate sull’austera anarchia e sull’intelligenza affettiva. Con austera anarchia intendo la capacità di prendere decisioni autonome, consapevoli e volte al bene comune. A differenza del rigido modello organizzativo che ha caratterizzato la nostra società da più di un secolo a questa parte, nelle comunità l’impegno e le progettualità nascono dalla cooperazione e dal confronto; sto parlando di una nuova organizzazione fluida che si modifica a seconda delle esigenze e dell’apporto che i singoli possono offrire in un dato momento. Il tutto regge solo ed esclusivamente se alla base delle comunità c’è l’intelligenza affettiva, cioè quel sentimento che lega ogni singolo individuo a una comunità di destino con cui condivide un percorso comune e che per questo è in grado di garantire il rispetto di ogni individualità. In altre parole, l’identificazione in un progetto comune genera una spontanea rete di relazioni e di vicinanze, che non può essere scalfita dall’esterno. Un collante molto più efficace di qualsiasi adesione formale o regola imposta dall’alto.

I disastri climatici, la mancanza di risorse, la distruzione degli ecosistemi, lo sfruttamento del terreno e il watergrabbing stanno causando molte problematiche soprattutto alle persone più svantaggiate, costrette a migrare e abbandonare le proprie abitazioni. A livello globale, perché secondo lei il grido d’aiuto delle persone è poco ascoltato e messo in secondo piano? Pensa che la logica del profitto stia sovrastando la giustizia sociale?

Come dicevo, un paradigma basato solo su consumo e profitto e che non lascia spazio al valore dei beni relazionali e dei beni comuni, oltre a essere disastroso e pericoloso è anche perdente. Questo è più che mai evidente, lo stanno dimostrando gli effetti sugli ecosistemi ma anche quelli sulla nostra stessa salute: a mio modo di vedere hanno ragione quegli scienziati che sostengono che anche questa terribile pandemia è una risposta della natura al depauperamento e alla sofferenza che le stiamo causando da decenni. Se noi non riusciamo a ricucire al più presto i forti legami con gli ecosistemi in cui viviamo, è ormai sotto gli occhi di tutti che anche a livello sociale vivremo dei grandi disagi. Risulta necessario quindi saper cogliere quanti più insegnamenti possibili da questo ultimo anno e mezzo. Proprio come l’epidemia, usciremo dalla crisi sociale – e quindi anche da quella economica – solo quando tutti saremo immunizzati da un modello che ha fatto di consumi bulimici e competitività la sua essenza. Per far sì che questo avvenga cooperazione e condivisione giocano ancora una volta un ruolo fondamentale: non possiamo più permetterci che nessuno venga lasciato indietro. A questo proposito, concludo riprendendo dalla Laudato Si’ uno dei concetti fondamentali e allo stesso tempo più rivoluzionari dell’enciclica di Papa Francesco: “Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. Ecco che in tema di esempi, in tema di educazione all’ecologia e in tema di trovare un faro da seguire in questo particolare momento storico, Bergoglio risulta essere la figura più attenta, sensibile, propositiva e influente a livello globale. Consiglio a tutti dunque di leggere le sue encicliche e di far propri gli insegnamenti rigenerativi che questo straordinario Pontefice vuole infondere per curare la nostra società.

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Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/carlo-petrini-pianeta-giovani/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Slow Food: il documento sulla prossima Politica Agricola Comune non va nella direzione della sostenibilità

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La Comunicazione sul Futuro del Cibo e dell’Agricoltura non propone misure pratiche in grado di favorire una transizione verso sistemi alimentari realmente sostenibili.

Oggi, mercoledì 29 novembre, la Commissione europea ha presentato la sua Comunicazione sul Futuro del Cibo e dell’Agricoltura, che definisce il tono delle discussioni sulla riforma della Politica Agricola Comune (Pac), al via da metà 2018. Il testo cita molte delle questioni sollevate dalla società civile, ma non propone misure pratiche in grado di favorire una transizione verso sistemi alimentari realmente sostenibili.

Secondo Slow Food, la Comunicazione non considera il sistema alimentare in modo olistico e non permette un cambiamento reale dell’attuale produzione agricola europea. Malgrado il titolo Il Futuro del Cibo e dell’Agricoltura, il documento si concentra esclusivamente sulla produzione agricola, ignorando il sistema alimentare nel suo insieme. E nonostante il riferimento a un approccio più orientato ai risultati, la Commissione continua a sostenere l’attuale sistema di pagamenti diretti, che prende in considerazione solo i diritti relativi agli ettari. La Commissione sottolinea l’importanza delle tecnologie moderne, che sono utili solo se accessibili a tutti, se sostengono la sovranità alimentare e se affrontano alla radice le problematiche in gioco. Ma le tecnologie che promettono soluzioni rapide per affrontare l’impatto del cambiamento climatico, ad esempio, daranno buoni frutti solo se considerate nel breve termine. La Comunicazione trascura del tutto il ruolo dei sistemi agroecologici e dei loro principi, fondamentali secondo Slow Food: l’agro-biodiversità in agricoltura, la minore dipendenza da fattori esterni, la promozione delle relazioni sociali e delle filiere corte, per sviluppare ecosistemi agricoli resilienti e garantire una vita dignitosa agli agricoltori. Per farla breve, secondo Slow Food, le proposte formulate nella Comunicazione non appoggiano una transizione verso sistemi alimentari sostenibili e non giustificano la spesa di quasi il 40% del bilancio Ue sulla Pac. Ritoccare le misure parzialmente non fornirà soluzioni a lungo termine. Slow Food chiede di passare a una Politica Alimentare Comune che tenga in considerazione l’intero sistema alimentare: è necessario un approccio integrato e coerente che guardi a tutta la filiera del cibo. La proposta legislativa sulla Pac sarà presentata dopo l’adozione del quadro finanziario pluriennale, prevista per la prima metà del 2018, che fissa i limiti per i bilanci generali annuali dell’Unione europea. Le discussioni sul bilancio peseranno in modo forte sul futuro della Pac, in particolare vista la perdita di contributi netti al bilancio dell’Ue di oltre 10 miliardi di euro in seguito alla Brexit.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Partiamo dal cibo che compriamo per cambiare il clima

Le parole di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sul clima hanno fatto da apripista: «Non c’è qualità alimentare senza rispetto dell’ambiente». E l’associazione ha lanciato “Menu for Change”, campagna internazionale sul rapporto tra cambiamento climatico e cibo.9659-10433

L’associazione Slow Food ha lanciato la campagna “Menu for Change”, che evidenzia la relazione tra produzione alimentare e clima che cambia. L’annuncio è stato dato dal fondatore di Slow Food, Carlo Petrini: «A chi si domanda perché un’associazione che si occupa di cultura alimentare dovrebbe promuovere una campagna sulle questioni del cambiamento climatico, posso rispondere questo: è incosciente chi si bea della qualità alimentare di un prodotto senza chiedersi se a monte c’è distruzione dell’ambiente e sfruttamento del lavoro».

Tutti noi, ha continuato Petrini, «siamo responsabili di quello che mangiamo e anche di quello che coltiviamo: «Il più grande terreno da coltivare è la lotta allo spreco. Tutte le istituzioni internazionali ripetono che siccome nel 2050 saremo 9 miliardi e mezzo “bisogna produrre più cibo”, ma già oggi abbiamo cibo per 12 miliardi di viventi. Significa che un’ampia parte di quello che viene raccolto, trasformato e venduto finisce nella pattumiera».

C’è un intero paradigma agricolo e agroalimentare da cambiare, mentre la produzione va concentrandosi nelle mani di pochi. Un esempio drammatico viene dalla filiera del pomodoro: «Tonnellate di pomodori arrivano in Italia dalla Cina, vengono lavorati e colonizzano i Paesi africani, invasi da scatole di concentrato prodotto da aziende con nomi come Gino e la bandiera tricolore sul barattolo. Questi marchi simil-italiani stanno distruggendo le produzioni agricole africane perché hanno prezzi perfino più bassi delle loro. Il risultato è che i giovani abbandonano la terra e vanno a lavorare come schiavi nei campi del Sud Italia. Siamo tutti chiamati in causa, le piccole azioni moltiplicate per milioni di persone possono cambiare il mondo».

A questi paradossi del mercato si aggiunge l’impatto devastante del cambiamento climatico. Tumal Orto Galibe, pastore del nord del Kenya, racconta che negli ultimi quindici anni «perfino l’aspettativa di vita si è ridotta. Nelle comunità dei pastori abbiamo visto un aumento delle patologie. Ed è sempre più difficile adattarsi a un clima che cambia nell’arco di mesi mentre prima cambiava nei decenni: nell’aprile di quest’anno, in una sola notte di piogge improvvise e torrenziali ho perso più di 230 capi di bestiame».

Un produttore di formaggi di Cuba ha raccontato di recente che l’isola ha già ceduto terreno al mare ed è stata battuta di recente da cinque diversi uragani, la cui potenza è correlata alla crescente temperatura delle acque. L’uragano Irma possedeva una potenza pari a 7mila miliardi di watt (circa 2 volte le bombe usate durante la guerra mondiale) e ha lasciato il 40% della popolazione priva di elettricità, danneggiando la parte più turistica del Paese. Non si tratta certo di impressioni individuali, perché ad avallarle ci sono i dati scientifici: «Siamo in chiusura della seconda estate più calda e della quarta più secca dal 1753, in Italia e in buona parte dell’Europa mediterranea» ricorda il climatologo Luca Mercalli.

Dopo il record del 2003, tutte le estati sono state più calde della media. Con conseguenze che l’agricoltura e l’alimentazione pagano fino in fondo: «Un recente studio francese ha esaminato gli effetti del cambiamento climatico sulle razze animali e i formaggi. Anche in alta montagna l’aumento delle temperature sta cambiando il modo di condurre gli alpeggi e i malgari sono costretti a tornare in pianura anche con un mese di anticipo. Siccità e parassiti arrivano dove finora non si erano mai visti».

Finora questi sconvolgimenti hanno avuto un impatto disomogeneo: alcune aree dell’emisfero nord ne hanno addirittura beneficiato. Ma non per molto ancora, affermano i ricercatori della Società Meteorologica Italiana Guglielmo Ricciardi e Alessandra Buffa: «Dal 2030 la riduzione dei raccolti vedrà un aumento esponenziale dei danni rispetto ai benefici».

Il settore agricolo è tra i più impattanti in termini di gas serra: con il 21% di emissioni è secondo solo alle attività legate all’energia (37%). La fermentazione enterica degli allevamenti industriali copre il 70% di questo dato.

«Non ci dobbiamo però concentrare solo sulla valutazione delle attività principali – avvertono i meteorologi – ma valutare le attività di preproduzione (mangimi e concimi) e di postproduzione (trasporto, stoccaggio, packaging). Le emissioni di CO2, poi, non sono l’unico parametro da considerare: vanno tenuti in conto anche il contesto geografico di produzione, la qualità dei suoli e il loro livello di tossicità e l’uso in quanto risorsa scarsa, l’utilizzo di acqua e di biosfera (water footprint e ecological footprint)».

Sebbene anche la Fao sottolinei la necessità di andare verso un’indagine multiprospettica, che tenga conto degli influssi del cambiamento climatico su sicurezza alimentare, nutrizione e perdita di biodiversità, siamo ancora lontani dall’avere una visione complessiva della filiera. Così come troppo poco sappiamo del funzionamento globale degli oceani, conferma il biologo marino Silvio Greco: «Mentre in terra il cambiamento climatico offre diversi segnali, nelle acque questo non avviene. Sappiamo per certo solo che l’oceano fa qualcosa di straordinario: ci dà il 50% del nostro respiro, immagazzinando CO2. Eppure noi lo stiamo mettendo in crisi».

Quest’anno i biologi australiani hanno decretato la morte della Grande barriera corallina, il reef più vasto del pianeta con oltre 2300 km di coralli ormai quasi interamente sbiancati. Ma non va meglio in acque a noi più familiari: «Il Mediterraneo è ancora più compromesso. Al problema dell’innalzamento dei mari qui si sommano la forte salinità di un ambiente chiuso, l’acidificazione, l’arrivo di 300 specie aliene invasive».

Il Mare Nostrum conserva il 25% della biodiversità marina mondiale e ospita il 30% dei traffici commerciali, ma ora conta anche 1 tonnellata di plastica ogni 3 tonnellate di pesce. Di fronte a tutto questo, conclude Greco, «non possiamo fare come Ulisse davanti alle sirene: la comunità scientifica è costretta a sentire il grido della Terra e a dire le cose come stanno».

Ma anche noi possiamo fare molto: scegliere cosa mettere nel piatto è un atto politico.

Fonte: ilcambiamento.it

Cibo e agricoltura: Slow Food lancia la sfida di Terra Madre Giovani a Borgofuturo 2015

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Nell’anno di Expo, Slow Food e Slow Food Youth Network lanciano anche da Borgofuturo 2015 la grande sfida di Terra Madre giovani – We Feed the Planet. In occasione del festival della sostenibilità a misura di borgo di Ripe San Ginesio (Macerata), il 4 luglio saranno chiamati a raccolta i piccoli produttori per condividere le proprie idee di impresa sostenibile e mettere in luce le problematiche più sentite nel mondo degli small scale producers.
Il programma poi si arricchisce dell’incontro “Paesologie” tra l’antropologo Franco Arminio e l’imprenditrice dei piccoli borghi Lorenza Cappanera. L’Expo 2015 di Milano ha portato alla ribalta dei mass-media il tema della nutrizione del pianeta. Per Slow Food e lo Slow Food Youth Network, tuttavia, l’obiettivo è chiaro da molto tempo. Così com’è chiaro il ritratto di chi sta portando avanti il compito di “nutrire il pianeta”: contadini, allevatori e pescatori di piccola scala. “Tutte figure – sottolinea l’associazione – vicine alla terra che fanno molto più che produrre: ci insegnano a proteggere la varietà dei semi, le piante, le razze animali, l’acqua, il suolo, le fonti insostituibili del nostro nutrimento”.

Terra Madre Giovani a Borgofuturo

Avendo in mente questo ritratto, che si compone di migliaia di volti, mani, lingue e saperi, Slow Food e Slow Food Youth Network lanciano anche da Borgofuturo, nell’anno dell’esposizione universale sul cibo, Terra Madre giovani – We Feed the Planet: una grande sfida per poter discutere su come nutrire il pianeta con coloro che ne rappresentano il futuro, ossia i giovani agricoltori. Attraverso il loro esempio, Slow Food punta a coinvolgere le nuove generazioni nel tentativo di far capire che si può cambiare il sistema alimentare rispettando le risorse del pianeta. L’appuntamento in programma a Borgofuturo (sabato 4 luglio) rappresenterà una vera e propria “chiamata” aperta a tutti gli small scale producers. Questi produttori di piccola scala animeranno un dibattito orizzontale con i partecipanti di Borgofuturo, per condividere le proprie idee di impresa sostenibile e mettere in luce le problematiche più sentite nel mondo dei piccoli produttori. L’incontro sarà anche l’occasione per selezionare un elenco di tematiche da portare al grande evento “We Feed the Planet” che si svolgerà dal 3 al 6 ottobre a Milano, dove Slow Food porterà Terra Madre nella città dell’Expo: “Perché – come spiega l’associazione – nessuno meglio dei contadini è in grado di raccontare come nutrire il pianeta e di assumersi questo compito nei prossimi anni”.

Borgofuturo, sostenibilità a misura di borgo

Il rapporto tra giovani e agricoltura va ad aggiungersi ai temi cardine di questa quarta edizione di Borgofuturo, festival della sostenibilità a misura di borgo organizzato da Ripe San Ginesio, piccolo comune di soli 800 abitanti in provincia di Macerata. Il festival, che quest’anno si svolge il 4 e 5 luglio, prevede personalità di rilievo internazionale come Silvano Agosti e Serge Latouche, incontri, spettacoli e tavole rotonde, per immaginare una nuova dimensione per i piccoli centri urbani. Una nuova dimensione che passa anche dall’invenzione di un nuovo mestiere: il paesologo.

Antropologo del centro urbano

Niente app o strumenti digitali: basta osservare, capire, interpretare il paese in cui ci si trova. Il paesologo, una sorta di antropologo del centro urbano, si muove tra le mura del borgo, nelle case abbandonate, sulle strade dissestate dove tutto ha avuto inizio. Borgofuturo 2015 offre un passaggio di questa indagine, grazie all’incontro con l’antropologo Franco Arminio e con un’imprenditrice attenta ai piccoli borghi, Lorenza Cappanera di Marche Country Homes. L’appuntamento sarà un’occasione per riflettere sul patrimonio ambientale e sociale di piccoli borghi come Ripe San Ginesio, cercando di immaginarne possibili evoluzioni, ispirate dall’esperienza già in essere a Borgofuturo.

La musica di Iosonouncane a Borgofuturo 2015

Anche la musica può essere uno strumento di reinterpretazione dei propri luoghi. È quanto capitato a Jacopo Incani, cantautore noto con lo pseudonimo Iosonouncane. Dal viscerale riavvicinamento alla sua terra natale, la Sardegna, è nato il suo nuovo album DIE (“morire” in inglese, “giorno” in sardo). Psichedelia, canto a tenore sardo, elettronica e canzone d’autore, per raccontare due sponde: un uomo in mezzo al mare che teme di morire e una donna che lo guarda dalla terra ferma, vivendo il terrore di non vederlo mai più.
Cos’è Borgofuturo

Borgo Futuro è il Festival della sostenibilità ambientale, economica e sociale a misura di borgo, che si svolgerà il 4 e il 5 Luglio 2015 a Ripe San Ginesio, in provincia di Macerata. Il paese è ad alta vocazione ambientale: raccolta differenziata che ormai da anni supera 80%, un impianto fotovoltaico che produce più della metà del fabbisogno di energia elettrica delle utenze comunali, scuola comunale ad alta efficienza energetica, solare termico che produce acqua calda per la palestra e per l’asilo nido, lampioni a led, un suggestivo anfiteatro all’aperto recuperato in modo sostenibile da una ex cava, e un progetto di riqualificazione degli spazi inutilizzati del centro storico da mettere a disposizione per coworker, giovani imprese e artisti. Maggiori informazioni su: www.borgofuturo.net

Franco Arminio

Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, nell’Irpinia orientale. Maestro elementare, poeta, scrittore e ‘paesologo’ è autore di numerosi libri, Collabora con il Manifesto, Il Mattino, il Corriere del Mezzogiorno e altre testate nazionali e locali.

Lorenza Cappanera

Lorenza Cappanera è nata in Ancona e vive a Jesi. Racconta e “vende” le colline delle Marche sul suo sito Marche Country Homes, una realtà consolidata che seleziona e restaura case di campagna nel rispetto del loro valore storico e del paesaggio in cui sono inserite, proponendole sul mercato.

Iosonouncane
Jacopo Incani, classe ‘83, nasce e cresce a Buggerru, in Sardegna, ma a diciotto anni si trasferisce aBologna, dove inizia la sua attività cantautorale e dove vive tuttora. Nel 2010, con l’album “La Macarena su Roma” ottiene ampi riconoscimenti e coagula intorno a sé un grande consenso di critica e di pubblico. Vince il premio Fuori dal Mucchio 2011 e nello stesso anno si esibisce all’Ariston di Sanremo per il Premio Tenco.

Fonte: agenziapressplay.it

Expo 2015: McDonald’s sponsor, Slow Food non gradisce

Il tema dell’Expo è Nutrire il pianeta, ma l’invasione delle multinazionali dell’alimentazione mette a nudo le contraddizioni dell’evento. Che le contraddizioni dell’Expo fossero molte lo si era già capito quando era stato annunciato il tema – Nutrire il pianeta – mentre gru, scavatrici e betoniere sottraevano chilometri e chilometri quadrati di suolo libero a ovest di Milano. Era solamente l’inizio. L’evento espositivo che andrà in scena dal 1° maggio al 31 ottobre avrà fra i suoi sponsor McDonald’s, il colosso del fast food che con i suoi 36mila ristoranti dislocati in 120 Paesi del mondo “nutre il Pianeta” a modo suo, con il mix di indubbio successo di fast food e bibite gassate che poco hanno a che vedere con l’idea di partenza dell’Expo. Quando la manifestazione ha individuato il suo filo conduttore, Nutrire il pianeta, ha cercato una sponda in Slow Food, tanto che anche il Salone del Gusto e Terra Madre dello scorso ottobre sono stati pensati in un’ottica preparatoria dell’evento milanese.

Expo Milano 2015 sarà l’occasione per riflettere e confrontarsi sui diversi tentativi di trovare soluzioni alle contraddizioni del nostro mondo: se da una parte c’è ancora chi soffre la fame (circa 870 milioni di persone denutrite nel biennio 2010-2012), dall’altra c’è chi muore per disturbi di salute legati a un’alimentazione scorretta e troppo cibo (circa 2,8 milioni di decessi per malattie legate a obesità o sovrappeso),

si legge sul sito della manifestazione.

Già, le contraddizioni. Nella nota del 27 febbraio scorso è stato annunciato lo spazio che verrà riservato alla ristorazione di Mc Donald’s: 300 posti per 400 mq più 200 mq di terrazza. In occasione di Expo la multinazionale del fast food darà vita al progetto Fattore Futuro che consisterà nell’ingaggio di 20 agricoltori under 40 come fornitori della catena di ristorazione nelle filiere delle carni bovine e avicole, più pane, insalata, patate, latte e frutta. Il tutto con il patrocinio del Ministero delle Politiche agricole. Sul sito di Slow Food il giudizio espresso su questa mossa è molto severo:

La contraddizione stride. E fa male. Expo 2015 si è posta un obiettivo ambizioso come pochi: interrogarsi su un tema cruciale qual è il nutrire il pianeta in futuro. In questa ottica, la presenza di McDonald’s suona più come un autogol clamoroso che non come una affermazione del diritto di confrontare liberamente le varie tesi, che Expo vorrebbe garantire. La presenza di McDonald’s significa che il pianeta potremo continuare a ingozzarlo a fast food o a junk food – chiamatelo come volete – senza curarci troppo del suo stato di benessere.

Come dargli tolto? L’Italia potrebbe giocare la carta delle eccellenze enogastronomiche, della gastronomia e dell’enologia senza paragoni di cui dispone e accoglie, in una rassegna nata sotto la bandiera della difesa dell’eterogeneità, le aziende che maggiormente lavorano per l’omologazione e la stereotipia del cibo e delle bevande.

Slow Food non gradisce e nell’articolo lo ribadisce spiegando che

la presenza di Slow Food e di altre organizzazioni della società civile racconterà una storia completamente diversa: quella di un pianeta che può e deve nutrirsi salvaguardando la biodiversità, tutelando le piccole produzioni, promuovendo il rispetto nei confronti delle risorse naturali e delle comunità contadine.

Insomma secondo Slow Food le scelte fatte per Expo 2015 rischiano di essere politicamente dannose:

Per noi la politica dell’ugual peso in questo caso è sbagliata e manca completamente di coerenza, ed è gravissimo avere scelto come interlocutori della visione sul futuro alimentare del pianeta coloro che sono tra i maggiori responsabili dei problemi e delle contraddizioni insanabili del sistema alimentare attuale. Un evento come Expo dovrebbe fornire linee guida, orientamenti e non farsi cassa di risonanza di visioni antitetiche che mai e poi mai potranno essere considerate risposte, tutte ugualmente valide, alla stessa domanda. Come si fa a promuovere la Carta di Milano, accogliendo le parole di Papa Francesco e di Carlo Petrini come un punto di riferimento e poi spingersi non solo ad accogliere McDonald’s, ma addirittura costruirci assieme un progetto che ambisce a essere contributo di contenuti?

Mancano due mesi all’inizio e i primi “nodi” deontologici vengono al pettine. E, c’è da crederlo, non sarà certo quella sollevata da Slow Food la prima querelle dell’Expo milanese.RUSSIA-UKRAINE-CRISIS-US-TRADE-FOOD-MCDONALDS

Fonte:  Slow Food

Terra Madre 2014: il cemento non si mangia

Nell’ultimo decennio, in Europa, si è persa una superficie grande come l’isola di Cipro. L’isola di Cipro interamente coperta dal cemento: è questo il suolo consumato in Europa nell’ultimo decennio. Il consumo del territorio e la tutela del paesaggio sono due temi molto cari a Slow Food e della questione si è parlato sabato scorso a Terra Madre. Anche il nostro Paese – in passato numero uno al mondo per numero di turisti – non brilla certo per quanto riguarda le politiche di contenimento del fenomeno: 22mila km quadrati della superficie dell’Italia è costruita, occupata da edifici, strade, infrastrutture, cave. Ciò significa che non è disponibile, non è utilizzabile ed è compromessa per sempre. Tra il 2009 e il 2012 sono stati persi 720 km quadrati di suolo, come se prendessimo le città di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo e le mettessimo una di fianco all’altra. Il consumo di territorio “galoppa” a un ritmo di 8 mq al secondo e sarebbe ancora peggio se la crisi non avesse frenato la speculazione edilizia dilagante. Ad aggravare la situazione nelle ultime ore si è messa anche l’approvazione della conversione in legge del cosiddetto Decreto Sblocca Italia, definito “surreale” da Carlo Petrini, che acuirà le problematiche legate al controllo e all’investimento in attività edilizie e di costruzione di infrastrutture. Questo nonostante circa il 47% della superficie costruita in Italia sia occupata da infrastrutture lineari, ossia strade, autostrade e ferrovie. In Italia si continuerà a costruire male, in modo forse più o meno lecito o dove non si potrebbe farlo, con una pianificazione del territorio che ignora il rischio idrogeologico, causa un’alterazione del paesaggio e riduce il terreno coltivabile. Ma come sarà possibile nutrire un pianeta che cresce in maniera esponenziale se stiamo perdendo terreni agricoli? Quali saranno le conseguenze sull’agricoltura? Queste le domande che sono state poste nell’incontro di sabato scorso. Il peggiore degli scenari vedrebbe la diffusione delle monocolture per ottimizzare le produzioni, un aumento nell’uso di concimi chimici e pesticidi, una conseguente riduzione della biodiversità, l’inquinamento delle falde acquifere e del suolo e il suo impoverimento. Fra i movimenti che si battono contro la progressiva cementificazione delle aree di suolo libero spicca il Forum nazionale “Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori”, un movimento di quasi 1.100 associazioni e circa 10.000 cittadini, che hanno come obiettivo quello di tutelare il nostro territorio dalla deregulation e quindi da decreti come lo Sblocca Italia) e dal cemento selvaggio. I rischi di simili politiche sono sotto gli occhi di tutti, primo fra tutti quello delle alluvioni, cui assistiamo con spaventosa regolarità. E poi frane, smottamenti, che insieme alla riduzione della terra coltivabile, costituiscono un serio pericolo per la vita delle persone. Ma le reazioni dal basso non mancano, come quelle dei vignaioli del Lugana, che combattono contro i cantieri per la realizzazione della Tav nella tratta tra Brescia e Verona, che comprometterebbero seriamente la produzione del vino Doc della valle, oltre che l’indotto turistico di una zona come quella del Lago di Garda. Oppure il comune di Tronzano Vercellese, in provincia di Vercelli, che cerca da anni di contrastare l’attuazione di obsolete decisioni politiche sulla realizzazione di nuove cave nel proprio territorio.ormadinosauro5-620x348

Fonte:  Comunicato stampa

Foto | Davide Mazzocco

Terra Madre 2014: un’Arca per salvare la biodiversità

Mabel Redaelli di Slow Food ci racconta quali sono gli obiettivi dell’arca situata al cento del padiglione dell’evento torinese. Il cuore dell’Oval è anche il cuore della sesta edizione di Terra Madre. Un’arca per custodire i tesori della biodiversità alimentare che le pressioni dell’agricoltura massificata e delle monocolture minacciano. Un progetto nato da lontano e che quest’anno ha trovato terreno fertile nell’anno dedicato dalla Fao all’agricoltura familiare. Curiosando nelle teche si scopre che a essere minacciate non sono solamente i prodotti di Asia, Africa e Sud America dove l’occidente ha imposto le monocolture. A essere minacciate sono numerose qualità di mele nostrane e tanti prodotti tipici che dall’orizzonte locale non sono riusciti a imporsi e a mettersi in sicurezza da un mercato che tende all’omologazione.

L’Arca del Gusto è un progetto che è nato nel 1996 e che si occupa di raccogliere segnalazioni da tutto il mondo di prodotti che sono a rischio di estinzione. Puòà trattarsi di un rischio potenziale o reale di un prodotto che sta scomparendo e noi dell’arca raccogliamo queste segnalazioni, insieme al comitato scientifico valutiamo se questi prodotti siano effettivamente a rischio, dopodiché li segnaliamo sulla nostra piattaforma per rendere noto a tutti che questi prodotti stanno scomparendo e invitiamo tutti a fare qualcosa per preservarli. A volte significa mangiarli, a volte significa non mangiarli, nel caso di alcuni pesci per esempio. Ci sono diverse iniziative che possono essere realizzate per salvare e tutelare questi prodotti,

spiega Mabel Redaelli che coordina insieme ad altri membri di Slow Food lo spazio dell’Arca del Gusto che in questa edizione di Terra Madre ha dato corpo e “fisicità” a un’idea portata avanti dall’organizzazione di Carlo Petrini sin dalla prima edizione del Salone del Gusto.

Quest’anno al Salone del Gusto l’Arca è uno dei temi principali e infatti abbiamo realizzato questa vera e propria grande arca all’interno dell’Oval, nel Padiglione Internazionale, dove raccogliamo sia prodotti che appartengono al nostro catalogo, sia prodotti che chiunque può segnalare e portare in questi giorni. I prodotti vengono esposti all’entrata dello stand per far vedere a tutti il patrimonio di biodiversità che stiamo rischiando di perdere,

conclude Redaelli.

I prodotti coltivati e i piatti a rischio di scomparsa segnalati prima di Terra Madre erano oltre 2000 e ben 595 sono italiani. Il nostro Paese è campione assoluto della eterogeneità enogastronomica, ma, nonostante ciò, ci sono ben 595 prodotti e ricette a rischio scomparsa: dal Capocollo di Martinafranca alla Bottarga di Orbetello, dal Fagiolone di Vallepietra alla Farinella di Putignano, dalle Lenticchie di Altamura all’Oliva infornata di Ferrandina. Sapori e saperi che trovano in eventi come Terra Madre una visibilità senza paragoni. E la conoscenza è una delle strade principali per garantirne la sopravvivenza.

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Foto e video | Davide Mazzocco

Fonte: ecoblog.it

Roberto Burdese e Slow Food: tradizione e innovazione per un cambiamento reale

Incontro Roberto Burdese i primi giorni del mio grande viaggio in camper. Siamo in Piemonte, per la precisione a Bra, e i miei occhi non sono stati ancora colmati dalle centinaia di volti e paesaggi che avrei poi incrociato nel resto d’Italia.

Roberto, Presidente storico di Slow Food, mi riceve nel suo ufficio e subito cominciamo a discutere di agricoltura, economia, beni comuni, acqua pubblica, cambiamenti climatici, difesa dei territori, ruolo di Slow Food e sue trasformazioni in questi decenni. Contrariamente a quanto spesso si pensa, Slow Food dopo la sua fondazione si è presto allontanata dalla pura gastronomia portando avanti un percorso evolutivo che l’ha condotta ad interrogarsi su tutto ciò che gira intorno al cibo: agricoltura, energia, disuguaglianze sociali, acqua pubblica, biocarburanti, dissesto idrogeologico, valorizzazione delle tradizioni locali, tutela del paesaggio, rinascita delle comunità. A Bra è sorta anche l’Università degli Studi di scienze gastronomiche – che approfondiremo in una prossima puntata – e in giro per il Paese sono nate diverse “condotte”: gruppi di cittadini che si attivano per valorizzare cibi e tradizioni locali e che in molti casi mettono in atto o favoriscono lo sviluppo dei cosiddetti “presidi”, coltivazioni o lavorazioni di cibi che nel tempo sono andati scomparendo (legumi di tutti i tipi, antichi mestieri, eccellenze legate ai vini, solo per citare alcuni esempi).bandiera-Slow-Food

Intorno ad un presidio, però, si sviluppa una logica sistemica che caratterizza il nuovo corso di Slow Food. Accanto alla valorizzazione della biodiversità alimentare e alla ricerca del gusto e del piacere, infatti, si sviluppano azioni tese a valorizzare tutto ciò che ruota intorno a quel cibo, a quella coltivazione, a quel luogo.

«Dobbiamo imparare a lavorare insieme – mi spiega Roberto –. Gli “altri” sono uniti perché fanno soldi, profitto. Noi, che perseguiamo i beni comuni, spesso finiamo per distinguerci su tutto, ma questa cosa deve finire». Entriamo nel merito delle politiche di Slow Food, delle sue grandi battaglie. «Viviamo in una società sommersa di cibo. Questo ne ha comportato la svalutazione. Per questo le comunità del sud del mondo sono spesso “più avanti”. È fondamentale ridurre il nostro impatto e allo stesso tempo dobbiamo adattare la nostra agricoltura ai cambiamenti climatici, cambiando anche il modo di coltivare. La chiave è semplice: tornare a produrre il cibo per gli esseri umani. Oggi in pianura padana, così come accade in molte altre parti del mondo, si produce cibo per produrre energia elettrica che viene venduta a prezzi di grandissimo favore grazie ai generosi incentivi dei Conti energia! I biogas. Se non invertiamo la rotta, rischiamo di affamare ulteriormente le popolazioni del cosiddetto terzo mondo. Lo stesso discorso si può fare per la produzione di cibo destinato al consumo degli animali “da carne”. Se vogliamo un futuro sostenibile – continua Roberto – dobbiamo diminuire il consumo di carne e incentivare le produzioni agricole locali, il cosiddetto “km 0”: il cibo prodotto in una certa zona dovrebbe essere riservato, in primis, a chi abita quella zona; poi si esportano le eccedenze.burdese

Bisognerebbe quindi andare verso un regime di “sovranità alimentare” dei popoli fondato sulle reali esigenze delle persone e possibilmente bisognerebbe tornare a mangiare cibi di stagione, variando di più la dieta». Gli chiedo cosa si aspetta dal futuro e quale sia la ricetta che lui propone.

«Tradizione e innovazione devono imparare ad andare insieme. Spesso le persone si dividono: o si è attaccati al passato o lo si rinnega. Dobbiamo invece imparare dal passato e innovare il presente. Per un cambiamento reale, dobbiamo imparare ad assumerci la responsabilità su un doppio livello, individuale e sociale. La chiave è non scoraggiarsi e provare. Provando si sbaglia, ma sbagliando si impara».

 

fonte: italiachecambia.org/

Slow Food e Fao unite per il 2014, anno dell’agricoltura familiare

Patto di ferro fra i due organismi internazionali a sostegno della biodiversità104523432-586x367

Si consolida la collaborazione fra Slow Food e la Fao. Lo scorso maggio Carlo Petrini e José Graziano Da Silva hanno siglato un protocollo di intesa per dedicare il 2014 all’agricoltura familiare. In una conferenza tenutasi di recente a Bruxelles, Da Silva ha affermato che l’agricoltura familiare deve essere considerata un’opportunità da valorizzare e non un elemento marginale dell’economia. Il direttore generale della Fao ha inoltre aggiunto come si debba passare dal modello fast food di produzione massiva e commercio su larga scala, al paradigma Slow Food basato sui circuiti locali e la varietà dei prodotti tradizionali. La produzione locale e la dimensione familiare della produzione sono uno dei principi cardine sui quali Slow Food ha costruito la sua storia e uno dei primi passi della collaborazione fra Fao e Slow Food è la pubblicazione de La Quinoa in cucina, un libro presentato ieri a Roma che è un’esempio degli sforzi che Slow Food opera in tutti e cinque i continenti per la preservazione delle coltivazioni tradizionali e dimenticate. Il libro è scaricabile in formato Pdf.

La quinoa è solo l’inizio. Secondo Da Silva,

Durante il 2014 FAO e Slow Food lavoreranno nel recuperare la ricchezza delle ricette locali custodite dalle comunità e soprattutto dalle madri che nelle case utilizzano i cibi locali per sfamare le proprie famiglie.

Carlo Petrini, presidente di Slow Food, ha ribadito quello che sarà il contributo di Slow Food all’agricoltura familiare: verranno organizzati mercati locali, orti scolastici e di comunità, verrà favorito l’accesso al mercato per i piccoli produttori e verrà catalogata la biodiversità agroalimentare a rischio scomparsa. E in autunno si rinnoverà l’appuntamento con il Salone del Gusto e Terra Madre l’appuntamento con cadenza biennale che farà convergere nei padiglioni del Lingotto di Torino contadini e produttori da tutti e cinque i continenti.

Fonte: Slow Food