Bangladesh, grandi marchi firmano accordo per la sicurezza sul lavoro

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In seguito alla tragedia avvenuta il mese scorso in Bangladesh, diversi marchi dell’abbigliamento internazionale hanno siglato un accordo per migliorare la sicurezza delle fabbriche tessili in Bangladesh, nelle quali sono impiegate oltre 3 milioni di persone, spesso in condizioni di lavoro disumane. Tra le aziende firmatarie vi sono l’italiana Benetton, le spagnole Inditex e Mango, la britannica Marks and Spencer e la svedeseH&M. Mancano invece alcuni nomi, come l’americana Wal Mart, o il gruppo Gap, o la francese Carrefour che sta ancora studiando l’accordo. L’iniziativa è stata lanciata da UNI Global Union alla quale aderiscono 20 milioni di lavoratori e di industriali, con 50 milioni di affiliati in 140 Paesi. “Sono contento – dichiara il segretario generale dell’Uni – che così tanti marchi nel mondo abbiano sottoscritto l’accordo. Appena due giorni fa non avrebbe firmato nessuno. Adesso abbiamo circa 30 firme fra i gruppi più importanti”. L’accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi in Bangladesh è stato firmato dalle grandi aziende, tra cui l’italiana Benetton, grazie anche alla Campagna Abiti Puliti. L’accordo, si legge sul sito della campagna, prevede la formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e l’obbligo di revisione strutturale degli edifici e obbligo per i marchi internazionali di sostenere i costi e interrompere le relazioni commerciali con le aziende che rifiuteranno di adeguarsi, al fine di rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori. “Il cuore dell’accordo – spiega Deborah Lucchetti – è l’impegno delle imprese internazionali a pagare per la messa in sicurezza degli edifici, unitamente ad un ruolo centrale dei lavoratori e dei loro sindacati. Solo attraverso una diretta partecipazione dei lavoratori del Bangladesh sarà possibile costruire condizioni di lavoro sicure e mettere la parola fine a tragedie orribili come quella del Rana Plaza”. “Dal 2005 – si legge ancora sul sito – più di 1700 lavoratori tessili in Bangladesh sono morti a causa della scarsa sicurezza degli edifici. Ora si apre una fase nuova, nella quale i marchi si sono impegnati ad essere parte attiva e collaborativa. Tutti insieme siamo riusciti a creare un precedente storico di mobilitazione dal basso che difficilmente potrà essere ignorato d’ora in avanti”.

A.P.

Fonte. Il cambiamento

Benetton ammette subforniture dalla fabbrica della morte in Bangladesh

Il CEO di Benetton ammette che l’azienda ha avuto una subfornitura dalla fabbrica della morte in Bangladesh. Dopo il più grave incidente sul lavoro del 21° secolo le multinazionali non possono più fare finta di niente e devono iniziare a rispettare i di ritti dell’uomo e dell’ambiente.Benetton-morti-Bangladesh-586x412

Questa foto non fa parte dell’ennesima campagna eccentrica di Oliviero Toscani, ma è un’immagine di una manifestazione di protesta di attivisti del sindacato spagnolo UGT contro lo sfruttamento dei lavoratori tessili in Bangladesh. Tra gli altri marchi coinvolti (vedi gallery) anche Mango, C&A, El corte Ingles. La protesta nasce dal più grave incidente sul lavoro del 21° secolo: il crollo del Rana Plaza in Bangladesh che ha causato la morte di oltre 1000 lavoratori (912 vittime e 149 dspersi alla data di oggi). Non dimentichiamo che lo scorso novembre oltre 100 lavoratori sono morti nell’incendio della fabbrica tessile Tazreen, sempre in Bangladesh. Dopo aver inizialmente smentito di essere coinvolta in forniture dalla fabbrica della morte, ora Benetton fa marcia indietro. In un’intervista all’Huffington Post il CEO dell’azienda ammette che Benetton a dicembre 2012 ha avuto una subfornitura di 200 000 camicie dalla New Wave company, una delle cinque aziende ospitate nell’edificio crollato, tramite un altro fornitore indiano. La notizia è confermata anche dal Wall Street Journal.

Secondo il CEO la fornitura è stata poi interrotta perchè l’azienda non era in grado di fornire “standard di qualità ed efficienza”. E’ impressionante il livello di indifferenza e cinismo di questa affermazione. Per i grandi manager il problema è solo la qualità e l’efficienza; diritti e sicurezza del lavoro sono evidentemente degli optionals. Si aggiungono le solite considerazioni per cui “non è pensabile abbandonare i fornitori in Bangladesh”, visto che il modo migliore di aiutare i paesi più poveri è “fornendo lavoro”. E’ ora di porre termine a questa ipocrisia. Le multinazionali non possono più fare finta di non sapere che, se spingono in modo aggressivo per contratti al massimo ribasso, i fornitori e subfornitori locali possono soddisfare queste richieste solo con paghe basse, turni di lavoro massacranti, attività antisindacale, nessuno standard di sicurezza o di protezione ambientale. La ricerca del massimo profitto e del minor costo del lavoro ha ucciso il lavoro tessile in Italia e sta letteralmente uccidendo i lavoratori nei paesi più poveri. Forse è bene fermarsi, riflettere e cambiare strada, cominciando dal firmare la petizione on line che chiede alle multinazionali di rispettare gli standard di sicurezza.c-a-morti-bangladesh

Fonte: ecoblog