Rapporto Amnesty e di tre Ong accusa Shell di inquinamento Nigeria

A distanza di quasi 10 anni da quando la Shell, insieme ad altre compagnie petrolifere, fu sollecitata a bonificare le aree inquinate in Nigeria, queste attività sono iniziate solo sull’11% dei territori coinvolti. È questa l’accusa lanciata da Amnesty International, Friends of the Earth Europe, Environmental Rights Action e Milieudefensie.

A distanza di quasi 10 anni da quando la Shell, insieme ad altre compagnie petrolifere, fu sollecitata a bonificare le aree inquinate nella zona del Delta del fiume Niger, in Nigeria, queste attività sono iniziate solo sull’11% dei territori coinvolti, mentre gli altri risultano ancora pesantemente contaminati. È questa l’accusa lanciata da Amnesty International, Friends of the Earth Europe, Environmental Rights Action e Milieudefensie.

Nel 2011 il Programma delle nazioni Unite per lo sviluppo (Unep) diffuse in rapporto sul devastante inquinamento prodotto dalle compagnie petrolifere nell’Ogoniland, raccomandando azioni urgenti di bonifica. Le quattro Ong rivelano che le “misure di emergenza” proposte dall’Unep non sono state attuate e che il progetto di bonifica da un miliardo di dollari lanciato dal governo della Nigeria nel 2016 si è rivelato inefficace.

“Nel corso di mezzo secolo – è la denuncia- le estrazioni di petrolio e di gas hanno causato la contaminazione continua e massiccia delle acque e dei terreni delle comunità ogoni. L’altrettanto continua e sistematica mancanza d’azione delle compagnie petrolifere ha lasciato centinaia di migliaia di persone a contatto con malattie e a lottare ogni giorno per avere accesso all’acqua potabile e a qualcosa di cui vivere. Nel frattempo, sono venuti alla luce numerosi conflitti d’interesse che coinvolgono la Shell rispetto all’operato dell’agenzia locale per la bonifica (Hyprep) e al governo nigeriano”.

Ecco le principali conclusioni del rapporto delle quattro Ong:

– i lavori di bonifica sono stati avviati solo sull’11 per cento dei territori inquinati identificati dall’Unep e solo su un altro cinque per cento sono in fase di avvio; nessuno di questi territori è stato completamente bonificato;

– le azioni descritte dall’Unep come “misure di emergenza”, riguardanti l’accesso all’acqua potabile e la protezione dalle malattie, non sono state svolte adeguatamente; intere comunità non hanno ancora accesso a forniture di acqua potabile;

– non è stato svolto alcun monitoraggio sulla salute e sull’ambiente dei territori inquinati;

– non c’è stata alcuna rendicontazione pubblica su come i 31 milioni di dollari forniti dal 2018 siano stati spesi;

– 11 delle 16 imprese messe sotto contratto per la bonifica non hanno dichiarato pubblicamente alcuna competenza nei rimedi all’inquinamento da petrolio e ai problemi collegati;

– Hyprep è al centro di numerosi conflitti d’interesse e Shell continua a far parte degli organismi di bonifica, essendo riuscita persino a piazzare propri rappresentanti all’interno di Hyprep.

Le quattro Ong, nel ribadire la necessità di una rapida bonifica, chiedono in particolare:

– che il governo nigeriano garantisca alla popolazione dell’Ogoniland i diritti fondamentali, tra cui quello ad avere accesso a forniture di acqua potabile; elabori e attui una strategia che affronti le cause di fondo dell’inquinamento, coinvolgendo pienamente le comunità locali; rafforzi i poteri dell’Hyprep e assicuri la sua indipendenza e trasparenza, escludendo ogni coinvolgimento di Shell nella supervisione e nella partecipazione alle strutture dirigenziali e renda pubbliche tutte le informazioni sui progetti di bonifica e sulla loro esecuzione; – che Shell fornisca risarcimenti adeguati a tutte le comunità che hanno subito le conseguenze della mancata o ritardata bonifica delle fuoriuscite di petrolio; metta fuori uso tutti gli oleodotti obsoleti e danneggiati; s’impegni a finanziare la bonifica dell’Ogoniland e delle altre aree del Delta del fiume Niger fino a quando questa bonifica non sarà terminata;

– che i governi europei in cui hanno sede legale le compagnie petrolifere che operano nel Delta del fiume Niger facciano un significativo passo avanti dando priorità, rispetto agli interessi delle compagnie, alla bonifica dell’Ogoniland e delle altre aree del Delta del fiume Niger; aumentino le pressioni e il sostegno nei confronti del governo nigeriano affinché siano effettivamente attuate le raccomandazioni dell’Unep, vi sia un monitoraggio indipendente sulle attività delle compagnie petrolifere e siano forniti rimedi giudiziari alle comunità colpite; istituiscano una rigida normativa internazionale sulla responsabilità per i danni causati all’estero, come ad esempio una legislazione dell’Unione europea che renda obbligatoria la due diligence nel campo dei diritti umani o un Trattato vincolante delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Nel 2020 Shell sta affrontando una serie di giudizi avviati nel 2019 nei tribunali europei circa il suo operato in Nigeria.

Fonte: AskaNews

Starship: il camion ibrido, fotovoltaico e aerodinamico di Shell

Per ridurre i consumi e le emissioni del trasporto merci su gomma Shell sta sperimentando su strada un concept camion, ecco come va.camion-shell-starship-1

Il trasporto merci su gomma è uno dei settori più inquinanti dell’economia moderna: i consumi elevati di carburante dei camion causano emissioni di CO2 e particolato enormi. Shell sta tentando di risolvere questo problema con oli e lubrificanti avanzati e un trattore stradale assolutamente innovativo. Si chiama Starship e non raggiungerà mai i bassi livelli di impatto ambientale reale del trasporto su rotaia, ma almeno offre qualche vantaggio rispetto a un camion tradizionale grazie a soluzioni tecniche studiate specificatamente per ridurre i consumi. Già l’estetica di questo tir fa capire che ci troviamo di fronte a un mezzo che punta moltissimo sull’aerodinamica: carrozzeria affusolata che fa largo uso di fibra di carbonio, coda da barca e una griglia di raffreddamento che si chiude quando non è necessario raffreddare il motore del mezzo aiutano a ridurre l’attrito dell’aria durante la marcia. I sensori di pressione e un compressore tengono gli pneumatici sempre alla corretta pressione, per ridurre l’attrito da rotolamento.  Lo Starship, poi, è un mezzo ibrido: insieme al classico motore diesel che spinge l’assale anteriore del trattore monta anche un motore elettrico, che spinge l’assale posteriore e “aiuta” il termico nelle partenze e nelle salite. Due momenti della marcia critici in quanto a consumo di carburante. Lo Starship, poi, utilizza come olio motore lo Shell Heavy Duty Engine Oil, un 5W-30 a bassa viscosità completamente sintetico con additivi anti attrito. I lubrificanti Shell Rotella DEF Exahust Fluid e Shell Rotella Extended Life Coolant aiutano a mantenere motore e circuito di raffreddamento più efficienti per un consumo di carburante inferiore.  Sul tetto del rimorchio, poi, è presente un impianto fotovoltaico da 5 kWp che ricarica le batterie da 48 volt necessarie ad alimentare il motore elettrico. Nonostante il maggior peso dovuto al motore elettrico aggiuntivo, alle batterie e all’impianto fotovoltaico (peso, comunque, in parte recuperato dall’utilizzo del carbonio per la carrozzeria) questo tir ha una efficienza superiore di 2,5 volte rispetto a una classica coppia trattore-rimorchio. Durante un viaggio di test da San Diego, California, a Jacksonville, in Florida, lo Starship ha percorso più di 3.700 chilometri con un carico di circa 18 tonnellate facendo registrare un valore di 178.4 tonnellate-miglia per gallone di carburante consumato.  La media del trasporto su gomma in Nord America è di 72 tonnellate-miglia per gallone.

3 Guarda la Galleria “Shell Starship Camion ibrido, fotovoltaico, aerodinamico”

 

Fonte: ecoblog.it

 

“Effetto referendum”: Shell rinuncia alla ricerca di gas e petrolio nel golfo di Taranto

La Shell ha deciso di rinunciare alla ricerca del petrolio nel golfo di Taranto. Un altro punto a favore del movimento anti trivelle che, commentando la notizia, parla di “effetto referendum”.

La Shell ha deciso di rinunciare alla ricerca del petrolio nel golfo di Taranto. Il colosso olandese del settore petrolifero ha inviato una lettera al ministero dello Sviluppo in cui annuncia di voler rinunciare al permesso di cercare il petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria.Offshore-Drilling-Rig

Nelle scorse settimana anche Petroceltic ha abbandonato il campo rinunciando ad avviare ricerche davanti alle isole Tremiti. Se la decisione della società anglosassone è stata determinata dalla mancanza di capitali, il dietrofront della Shell sarebbe dovuto dall’incertezza generale della strategia italiana nel settore della ricerca e della produzione di idrocarburi. Nell’ottobre scorso, dopo un iter di 35 mesi, la compagnia aveva ottenuto il via libera ambientale all’analisi del sottosuolo. In seguito dieci regioni italiane dieci Regioni hanno presentato  sei quesiti referendari contro le trivellazioni in mare. Nel tentativo di evitare il referendum, dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale, il Governo ha vietato tutte le attività nelle acque nazionali, cioè entro le 12 miglia dalla costa. Una decisione determinante per la frenata della Shell: una parte delle aree ottenute dalla compagnia olandese è infatti dentro le 12 miglia. Il referendum si farà comunque, il 17 aprile. Non è stata infatti ascoltata la richiesta delle associazioni ambientalista di indire un Election Day, ovvero di accorpare il referendum sulle trivelle con il primo turno delle prossime elezioni amministrative. Ciò avrebbe facilitato la partecipazione democratica e comportato un risparmio fra i 300 e i 400 milioni di euro di soldi pubblici.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/effetto-referendum-shell-rinuncia-alla-ricerca-di-petrolio/

Perchè la più importante conferenza sulla scienza della terra è sponsorizzata da Exxon?

«Accettando la sponsorizzazione della ExxonMobil, la American Geophysical Union permette a quella società di fare greenwashing sulla sua campagna di disinformazione sul clima». Le accuse vengono da Ploy Achakulwisut, candidato al dottorato in chimica dell’atmosfera all’università di Harvard; Ben Scandella, candidato al dottorato in scienza ambientali al Mit e da Britta Voss, dottoranda in scienze della terra al Mit e al Woods Hole Oceanographic Institution.

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Ad affidare al Guardian le loro osservazioni sono Ploy Achakulwisut, candidato al dottorato in chimica dell’atmosfera all’università di Harvard; Ben Scandella, candidato al dottorato in scienza ambientali al Mit e da Britta Voss, dottoranda in scienze ella terra al Mit e al Woods Hole Oceanographic Institution. Il logo della Exxon Mobil Corporation era in bella vista sui cartelli alla conferenza di San Francisco nel dicembre scorso.exxon

«Ringraziamo i nostri sponsor: ExxonMobil, Chevron, Shell…». Questo è stato il primo messaggio «appena arrivati al meeting dell’American Geophysical Union, il ,maggiore consesso al mondo di scienziati che si occupano della terra e dello spazio» dicono i tre dottorandi. «Ciò che ci disturba enormemente è la palese complicità di queste compagnie nel negazionismo sul clima e nella disinformazione. Per esempio, recenti indagini giornalistiche hanno dimostrato che la ExxonMobile, informata dai propri scienziati interni, sapeva degli effetti devastanti del riscaldamento globale già dagli anni ’70 e nei decenni successivi ha finanziato campagne di disinformazione per confondere il pubblico e per sabotare la scienza». «Anche oggi ExxonMobil e Chevron continuano a finanziare l’American Legislative Exchange Council, un gruppo di lobbisti che regolarmente presenta informazioni distorte sul clima ai legislatori americani per tentare di bloccare le politiche energetiche favorevoli alle energie rinnovabili». L’impatto delle tattiche di Exxon sono state devastanti e hanno indotto, secondo i giovani scienziati, ritardi e confusione, anche nell’affrontare il problema a livello mondiale. Nel corso della conferenza di dicembre la corporation è stata presentata ai giovani scienziati come un’opportunità per fare carriera, nominata durante gli workshop, dipinta come un ottimo impiego. «Ci siamo chiesti come fosse possibile che l’organizzazione che aveva promosso l’evento si imbarcasse in un tale conflitto di interesse facendosi sostenere da un gruppo che mina alla base il lavoro di tanti dei membri di quella stessa organizzazione. Perchè, siccome è oggi un tabù lavorare per le industrie del tabacco grazie alla consapevolezza generalizzata dei danni del fumo, si incitano gli scienziati a imboccare carriere nel campo delle fonti fossili che continuano ad alimentare il cambiamento climatico?». L’American Geophysical Union afferma che la propria missione e i valori sono quelli di promuovere la scoperta nelle scienze della terra per il bene dell’umanità e per un futuro sostenibile. Ma permettere alla Exxon di appropriarsi della figura istituzionale del gruppo dei geofisici significa legittimare la disinformazione sul clima che la Exxon fa e inserendo i giovani in aziende simili mina il lavoro dei propri membri». «E’ tempo che l’American Geophysical Union protegga l’integrità delle scienze climatiche e che mandi un messaggio chiaro alla gente tagliando i ponti con le società che negano i cambiamenti climatici».

Fonte: ilcambiamento.it

Londra, blitz di Greenpeace con Emma Thompson alla Shell

LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 02:  Emma Thompson places a giant paw sticker on the outside of the Shell Building on September 2, 2015 in London, England. The sticker contains the names of some of the 7 million people who have signed up to the arctic movement. As part of the protest, 64 activists and puppeteers have also manoeuvred a giant polar bear puppet the size of a double decker bus to rest just metres away from Shell's front entrance. It's intended the polar bear titan will remain fixed there until Shell's Arctic drilling window ends later this month.  (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 02:  A general view of the giant polar bear puppet outside the Shell Building on September 2, 2015 in London, England. As part of the protest, 64 activists and puppeteers manoeuvred a giant polar bear puppet the size of a double decker bus to rest just metres away from Shell's front entrance. It's intended the polar bear titan will remain fixed there until Shell's Arctic drilling window ends later this month.  (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

Sessantaquattro attivisti di Greenpeace, tra i quali c’è anche la famosa attrice britannica Emma Thompson, hanno portato oggi una grande riproduzione di un orso polare, alto quanto un autobus a due piani, davanti all’ingresso del quartier generale della Shell a Londra. Aurora, così è stato chiamato il gigantesco orso finto, resterà davanti al palazzo della multinazionale petrolifera anglo-olandese fino alla fine del mese, perché questo è il tempo limite per la Shell per trovare gli idrocarburi nell’Artico prima della fine dell’inverno. La multinazionale ha ottenuto solo pochi giorni fa il permesso dall’amministrazione Obama di iniziare le trivellazioni. Sei attivisti si sono incatenati tra le zampe dell’orso per evitare che venga spostato. Aurora ogni tanto emette una sorta di ruggito. Lo scopo di questa azione è ovviamente quello di chiedere alla Shell di disattivare i suoi impianti di perforazione e abbandonare l’Artico. Oltre sette milioni di persone hanno già aderito all’appello di Greenpeace per difendere l’Artico. L’attrice Emma Thomson, che sostiene l’iniziativa in prima persona, ha commentato:

“Ho deciso di unirmi agli attivisti perché soffro nel pensare che la Shell sia lì, a trivellare per cercare il petrolio. Sono qui per dire no. Perché tutto questo deve finire. Insieme ad altri milioni di persone chiedo che vada via dall Artico prima del 28 settembre. Stiamo a vedere cosa accade. Io sono orgogliosa di essere qui con loro per questa causa”

Fonte: ecoblog.it

Gli Stati Uniti autorizzano le trivellazioni nell’Artico

Ancora una volta l’amministrazione Obama conferma il proprio appoggio ai colossi petroliferi: la Shell potrà trivellare nell’Artico

Il Governo americano ci ha ripensato e ha deciso di tornare sui suoi passi autorizzando le trivellazioni nell’Oceano Artico della Shell, una scelta che ha sollevato numerose polemiche e contro cui le associazioni per la difesa dell’ambiente si battono da tempo. La direttrice generale dell’agenzia federale incaricata della gestione degli oceani ha assicurato che Shell dovrà rispettare elevatissimi standard nelle attività di trivellazione alla ricerca di petrolio e gas e il Dipartimento dell’Interno ha assicurato che i bisogni di sussistenza e le tradizioni culturali degli abitanti dell’Alaska saranno salvaguardati. Curtis Smith, portavoce della Shell negli Stati Uniti, ha spiegato che le operazioni di trivellazione cominceranno in estate e che nelle prossime settimane la compagnia petrolifera si preparerà per essere all’altezza delle richieste dell’amministrazione Usa. Il programma di Shell ha subito numerose frenate nel corso degli anni: nel 2012 Shell aveva ottenuto l’autorizzazione, poi revocata nello stesso anno. Nel 2013 stesso copione. Ovviamente le associazioni ambientaliste si ritrovano una volta ancora sul piede di guerra e mettono in guardia prospettando gli scenari di un eventuale incidente nel mare Artico: secondo le ong green l’impatto sarebbe ancora più devastante rispetto a quello dell’incidente avvenuto dopo l’esplosione della Deepwater Horizon, nel 2010. Nel dicembre 2014 Obama aveva bloccato le trivellazioni nella Bristol Bay, una svolta che era stata accolta come l’inizio di un giro di vite alle piattaforme off shore. Una scelta illusoria, visto che ora la sua stessa amministrazione ha avallato le trivellazioni nell’Artico. Ancora una volta, il profitto prima di tutto.Ghiaccio-artico-coperto-da-acqua-586x382

Fonte:  Le Monde

Nigeria, Shell risarcirà la comunità del Delta del Niger

I singoli pescatori e la comunità di Bodo verranno risarciti con 55 milioni di sterline, pari a 70 milioni di euro

Shell risarcirà con 55 milioni di sterline (70 milioni di euro) la comunità nigeriana danneggiata da due importanti fughe di petrolio nel 2008. Oggi, mercoledì 7 gennaio 2015, si chiude con un accordo privato fra la compagnia petrolifera e le vittime del disastro ambientale del 2008 una battaglia legale durata tre anni. In ben due occasioni, alla fine del 2008, due fughe di un oleodotto avevano provocato due devastanti disastri ambientali nella zona del Delta del Niger. La filiale nigeriana del gruppo anglo-olandese verserà 35 milioni di sterline ripartiti fra 15600 persone e 20 milioni di sterline destinati all’insieme della comunità di Bodo che vive sostanzialmente di pesca. Ci sono voluti oltre sei anni per arrivare a questo successo: le pressioni di Amnesty International su Shell avevano fatto sì che la compagnia petrolifera riconoscesse le proprie responsabilità, ma la compagnia petrolifera non era mai giunta a un accordo e all’orizzonte si profilava – su sollecitazione della comunità investita dalla marea nera – un processo all’Alta Corte di Londra che avrebbe dovuto iniziare nel maggio 2015. Ora l’accordo che prevede per i 15600 pescatori una tantum di 2200 sterline, pari a tre anni di salario minimo.

Noi siamo contenti per i nostri clienti e felici per la buona decisione presa da Shell, ma devo dire che è stata molto deludente avere dovuto attendere sei anni perché Shell prendesse seriamente questa questione e riconoscesse la vera natura dei danni causati da queste fughe sia sull’ambiente che coloro che ne dipendono per vivere,

ha dichiarato Martyn Day, avvocato dello studio Leigh Day che ha difeso la comunità di Bodo durante i tre anni di battaglia legale.Crimini-ambientali-Shell-1-586x389

Fonte:  Le Monde

© Foto Getty Images

Lego divorzia da Shell e cede alle pressioni internazionali di Greenpeace

Lego annuncia la rottura con Shell dopo le pressioni internazionali di Greenpeace

Lego ha annunciato la rottura con Shell dopo che Greenpeace aveva attivato una campagna di pressione su scala globale iniziata tre mesi fa.

Scrive Greenpeace UK:

Oggi abbiamo ricevuto l’incredibile notizia: dopo una campagna di tre mesi supportata da più di un milione di persone in tutto il mondo, LEGO ha annunciato che non rinnoverà il suo contratto con il distruttore dell’Artico, Shell. Questa è una notizia fantastica per gli appassionati di LEGO e per i difensori dell’Artico. Ed è un durissimo colpo per la strategia di Shell che costruisce partnership con marchi amati per ripulire la sua immagine sporca.CHILE-SHELL-LEGO-GREENPEACE-PROTEST

Dunque Lego ha deciso di non rinnovare il suo contratto commerciale con Shell e conclude una partnership nata nel 1960. Greenpeace ha lanciato la sua campagna mediatica lo scorso luglio contro il più grande produttore di giocattoli del mondo e il video è divenuto virale totalizzando circa 6 milioni di visite. Inizialmente Lego aveva risposto a Greenpeace sostenendo che non aveva mai trattato direttamente con la Shell. A dare l’annuncio del mancato rinnovo di contratto è stato Jørgen Vig Knudstorp presidente e amministratore delegato di Lego che ha spiegato che la multinazionale rinuncia così a un contratto da 68 milioni di sterline e alla distribuzione dei giocattoli Lego nelle stazioni di servizio di 26 Paesi. Questa vittoria segna un punto importantissimo a favore della campagna internazionale Save The Artic, per cui Greenpeace chiede che siano sospese le trivellazioni petrolifere in e off shore e che si trasformi l’intera regione in un santuario dove lasciare che sia la Natura a ricostruire i ghiacci che si perdono ogni anno e che influiscono nel delicato sistema climatico.

Lego molla Shell dopo le pressioni di GreenpeaceCHILE-SHELL-LEGO-GREENPEACE-PROTEST

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Fonte: The Guardian

© Foto Getty Images

Basilicata, tre comuni compensati da Total e Shell: non pagheranno il gas

I comuni di Corleto Perticara, Guardia Perticara e Gorgoglione coinvolti nel progetto Tempa Rossa otterranno la fornitura gratuita di gas come compensazione dell’attività estrattiva

Alla fine del 2013 il comune di Corleto Perticara ha concesso alla Tecnimont la licenza per la realizzazione delle strutture funzionali al centro estrattivo Tempa Rossa che sorgerà sul suo territorio. Ora Corleto Perticara e i confinanti Guardia Perticara Gorgoglione faranno valere un accordo stipulato nel 2006 fra la Regione Basilicata e le compagnie Total e Shell. Secondo l’accordo quadro – che fa riferimento alla legge 239/2004 – e in virtù della deliberazione della Giunta Regionale n. 913 del 19 giugno 2008, i tre comuni “per compensazione per la perdita dell’uso del territorio e per compensazione per la reintegrazione dell’equilibrio ambientale e territoriale” otterranno “la fornitura gratuita di tutto il gas naturale estraibile dall’area della concessione”. Gas gratis, dunque, per tutti i cittadini dei loro territori: quando i pozzi entreranno a regime il fabbisogno di gas dei tre comuni (che attualmente ammonta a 1,2 milioni di metri cubi l’anno) sarà fornito dalle compagnie a titolo di compensazione, indipendentemente dal prezzo che avrà. A chi non sarà collegato alla rete del gas dovranno essere riconosciuti analoghi vantaggi, ancora in fase di valutazione.

Basteranno appena cinque giorni per dare ai tre comuni il gas necessario per un anno visto che la produzione giornaliera sarà di 230mila metri cubi, per un totale di 80 milioni di metri cubiall’anno. Il progetto Tempa Rossa si estende principalmente sul territorio del Comune di Corleto Perticara (Pz), a 4 km dal quale verrà costruito il futuro centro di trattamento. 5 pozzi si trovano anch’essi sul territorio del Comune di Corleto Perticara, mentre il sesto pozzo si trova nel Comune di Gorgoglione. L’area dove verrà realizzato il centro di stoccaggio GPL si trova invece nel Comune di Guardia Perticara. Oltre ai 230mila metri cubi di gas giornalieri, Tempa Rossa avrà una capacità produttiva di 50mila barili di petrolio, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo.Immagine35-620x301

Foto | Youtube

Fonte: ecoblog.it

Shell sospenderà le trivellazioni artiche anche nel 2014

La multinazionale ha ridotto i suoi profitti del 71% nell’ultimo trimestre del 2013 ed ora sta riducendo i costi e non intende rischiare un ulteriore fallimento nell’Artico. Iniziano a sentirsi gli effetti del picco di Hubbert?

Buone notizie per tutti quanto hanno a cuore il fragile ecosistema artico: Shell ha annunciato ieri che sospenderà le trivellazioni artiche nel mare di Beaufort e di Chukci a nord dell’Alsaka anche nel 2014. Nel 2013 la compagnia petrolifera era stata infatti costretta a sospendere le operazioni dopo il grave incidente con la piattaforma Kulluk, arenatasi sulle coste di un parco nazionale (video in alto). Quest’anno la pausa di riflessione è imposta dalle cattive acque in cui naviga la multinazionale che ha visto crollare i suoi profitti del 70% nell’ultimo trimestre. Come scrive il Wall Street Journal, «dopo 10 anni di tentativi di fare crescere la produzione con progetti a lungo termine sempre più onerosi, Shell si focalizzerà sulla riduzione dei costi», vendendo attività improduttive e pagando meno i suoi dirigenti.

Che cos’è questa se non una velata ammissione degli effetti del picco del petrolio? Sembra che per le aziende fossili sia l’ora della ritirata, per leccarsi le ferite. Fossero un po’ più saggi diversificherebbero il loro portfolio con le energie rinnovabili, ma sembrano davvero inestricabilmente ancorati al loro core business.

In questi stessi giorni una corte federale USA ha stabilito che il governo USA al tempo dell’amministrazione Bush non aveva adeguatamente considerato i rischi ambientali connessi alle trivellazioni artiche quando aveva concesso i permessi per le prospezioni. A settembre la Shell è stata multata per oltre un milione di dollari per aver violato il Clean Air Act(1).

Il fallimento della Shell sta avendo un effetto domino sulle altre multinazionali: il vice presidente della russa Lukoil, ha affermato che le trivellazioni artiche sono tropo rischiose per gli investimenti, la francese Total sostiene che non cercherà greggio nell’Artico perché un incidente sarebbe un disastro, mentre la norvegese  Statoil intende dismettere i suoi tentativi polari. La stessa cosa ha affermato ConocoPhillips.

In questo momento di incertezza e di debolezza delle lobby fossili è quanto mai fondamentale che la comunità internazionale faccia sentire la sua voce perchè l’Artico divenga un’area protetta dagli appetiti di militari e petrolieri, come da tempo chiede Greenpeace.

(1) Un milione di dollari è tanto per i comuni mortali, ma per i profitti annui della multinazionale (anche se in declino sono pur sempre 16 miliardi di dollari) è più o meno come per noi offrire un caffè…

Fonte: ecoblog