In Etiopia una serra per sconfiggere fame e sete

Un progetto dell’università di Gondar per raccogliere l’acqua utile per l’uomo e per l’agricoltura anche nei deserti più aridi. Nei deserti dell’Etiopia la carenza d’acqua continua a essere una delle principali cause delle migrazioni dovute all’impossibilità di coltivare e, dunque, di sopravvivere senza aiuti esterni. Il progetto Roots Up, promosso dall’Università di Gondar sta tentando di portare l’acqua dove l’acqua non c’è. Come? Con una serra speciale, multifunzionale che è, allo stesso tempo, orto e cisterna. Questa tenda-orto raccoglie la condensa che si forma durante la notte e la accumula all’interno di serbatoi. I ricercatori etiopi hanno creato una tenda-orto che riesce a mantenere al suo interno un’atmosfera ideale in virtù della ventilazione naturale favorita dall’escursione termica che si crea fra la parte alta e quella bassa di questa tenda piramidale.roots-up-620x347

Questa piccola piramide riesce a produrre l’acqua che è in grado di soddisfare tanto le esigenze fisiologiche, sia quelle dell’agricoltura. Laddove non piove per settimane, quando non per mesi, laddove non ci sono pozzi che pescano nelle profondità delle falde, l’acqua va pescata dall’aria, con l’ingegno e lo spirito d’adattamento, come fa, in natura, il coleottero delle nebbie (Onymacris unguicularis) che mantiene il corpo costantemente inclinato in avanti in modo che la condensa che si forma sull’addome gli scivoli alla bocca dissetandolo. La forma della struttura intrappola l’aria calda al suo interno, provocando un innalzamento della temperatura durante il giorno. Di notte, quando la temperatura scende, gli agricoltori aprono la parte superiore della serra per rinfrescarla e, a questo punto, il vapore acqueo condensa le goccioline d’acqua che vengono convogliate in un serbatoio da una sorta di imbuto. Con quell’acqua si provvederà poi ad irrigare le piante contenute nella stessa serra.roots-up-2-620x347

Fonte: Roots up

Immagini : Roots up

Dove nascono le rose

La coltivazione in serra genera più di dieci posti di lavoro per ettaro ed è una buona opportunità per le campagne, se viene rispettata la sicurezza dei lavoratori.

 Dopo l’allevamento delle trote, la coltivazione delle rose sfata un altro mito del Messico, che non è solo fatto di cactus e serpenti a sonagli. Nella zona di Toluca, nel sud ovest dello Stato del Messico (1), la coltivazione è effettuata in serra, perché le temperature sarebbero altrimenti troppo basse, mentre la quantità di acqua fornita è più che sufficiente. Le rose sono molto assetate: ogni fiore richiede in media 4500 litri d’acqua(2) I fiori sono venduti per metà in Messico e per metà negli USA, soprattutto nell’area di Los Angeles. Il trasporto refrigerato è effettuato via terra, in questo modo l’impatto ambientale è molto inferiore rispetto al trasporto via aerea da altre nazioni del Sud America. La produzione è ad alta intensità di lavoro, poiché impegna oltre 11 lavoratori per ettaro. L’azienda è di piccole dimensioni (pochi ettari) e occupa una posizione al fondo di una piccola valle poco adatta all’agricoltura. Il problema maggiore è la qualità del lavoro. Per almeno due decenni i lavoratori sono stati particolarmente esposti ai pesticidi, facendo trattamenti senza protezione adeguata. L’esposizione nelle serre è naturalmente maggiore che in campo aperto. Ore sembra che i lavoratori abbiano protezione adeguata, ma la competizione del mercato potrebbe sempre spingere qualcuno a tagliare i costi.

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(1) Lo Stato del Messico, la cui capitale è Toluca, è uno dei 31 della Repubblica Federale del Messico e circonda come un ferro di cavallo il distretto federale della capitale. (2) Dati forniti dal produttore. Per ogni giorno e per ogni ettaro, occorrono 20 mc di acqua di fonte nella stagione secca e 5 nella stagione delle piogge. Poiché le due stagioni durano metà anno ciascuno, il fabbisogno medio è di 12,5 mc/ha/giorno, cioè 4,5 milioni all’anno. La produzione annua è di 1 milione di fiori per ettaro.

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Fonte: ecoblog.it