A quando la prossima catastrofe nucleare?

Quando si parla di nucleare sembra che nemmeno la famosa pedagogia delle catastrofi di cui parla Serge Latouche abbia effetti tangibili. Semmai Hiroshima e Nagasaki non avessero aperto gli occhi, almeno dopo Chernobyl il mondo avrebbe dovuto capire che con la maledetta follia nucleare non si poteva più avere a che fare. Invece niente, si è andati avanti come se nulla fosse. Intanto, una settimana fa un altro incidente in Ucraina è passato inosservato.nucleare_incidente

Sono proseguiti gli incidenti (l’ultimo la settimana scorsa in Ucraina) e si è arrivati a Fukushima e nuovamente l’intero mondo ha tremato: catastrofe di dimensioni incalcolabili che non ha ancora avuto fine e le cui conseguenze drammatiche dureranno per tempi incredibili. Per qualche giorno in quel periodo si è parlato di moratoria a livello mondiale e poi con il passare del tempo tutto è stato dimenticato, il Giappone ha pure eletto un premier che era favorevole al nucleare; Cina, India e altri paesi vanno avanti con i loro programmi di costruire nuove centrali e via di questo passo. Non si capisce cosa debba succedere di ancora più catastrofico per chiudere per sempre questa strada di morte certa. Ci dovranno essere milioni di cadaveri per le strade, magari di un paese occidentale dove i media dell’horror sono più presenti, per far dire la parola basta? Il conto alla rovescia è di nuovo iniziato, questa tecnologia è così insicura, fragile e pericolosa che se non verrà fermata è purtroppo molto probabile che accada un prossimo incidente catastrofico e non si tratta di malaugurio ma di fredde statistiche. Gli esperti dicevano che incidenti come quelli di Chernobyl, Three Mile Island e Fukushima non sarebbero mai potuti accadere: ce ne sono stati tre nell’arco di trentacinque anni, senza contare le centinaia di incidenti cosiddetti minori. E due di questi sono avvenuti nei paesi più tecnologicamente avanzati come Stati Uniti e Giappone, senza contare che la Germania, altro paese super tecnologico, deve smantellare un importante deposito di scorie radioattive (senza sapere nemmeno bene come) perché non è sicuro come sembrava. Non sarà quindi il caso di chiudere tutte le centrali al mondo quanto prima anziché attendere una prossima catastrofe? E, a proposito: le scorie di cui si parla ultimamente da stoccare in Italia, eredità della nostra stagione nucleare e che non si sa dove posizionare, suggerisco di metterle in comode confezioni regalo nei garage e nelle case di coloro che hanno fortemente voluto le centrali. Visto che a loro piace tanto e che dicono che il nucleare è pulito e sicuro, di certo non avranno problemi ad ospitarle nelle loro dimore per i prossimi millenni cioè il tempo della loro vita radioattiva. E… il 3 dicembre si viene a sapere che cinque giorni prima si è verificato un incidente alla centrale nucleare di Zaporozhskaya in Ucraina

Fonte: ilcambiamento.it

Salone del Libro, Serge Latouche racconta i precursori della decrescita felice

Il filosofo francese a Torino per il lancio della nuova collana di Jaca Book dedicata ai precursori della decrescita

Fare mezz’ora di coda al Salone Internazionale del Libro di Torino per assistere a una conferenza sulla decrescita felice è un buon segno, ma la folla non stupisce se a parlare èSerge Latouche, universalmente riconosciuto come uno dei principali, se non il principale fautore della decrescita e del localismo. Il filosofo è arrivato a Torino nella giornata inaugurale del Salone Internazionale del Libro per presentare insieme a Giulio Marcon la nuova collana dedicata da Jaca Book alla decrescita. L’idea di Sante Bagnoli e Vera Minazzi è quella di evitare la consunzione di un termine che è stato abusato tanto a destra quanto a sinistra. Come? Andando alla radici della decrescita per scoprire che quest’idea è tutt’altro che innovativa e ha padri nobili. Con grande umiltà e onestà intellettuale, Serge Latouche allontana da sé qualsiasi “copyright” e spiega come l’idea alla base della sua filosofia sia tutt’altro che originale: i precursori della decrescita si chiamano Epicuro e Diogene, ma sono anche i taoisti e gli amerindi (il buen vivir degli Aymara è uguale in tutto per tutto alla nostra decrescita). A livello politico uno degli esponenti della decrescita è il presidente uruguaiano José “Pepe” Mujica. Precursori furono i socialisti pre-marxisti, William Maurice, il nostro Aurelio PecceiAlex Langer, ma anche personaggi universalmente noti come Lev Tolstoj Ghandi possono essere ascritti a questo filone di pensiero. Lo stesso Pier Paolo Pasolini con gli Scritti corsari e Tiziano Terzani, il romanziere Aldous Huxley. Per restare nel campo filosofico Zygmunt BaumanSlavoj ZizekMax HorkheimerWalter BenjaminTheodor Adorno hanno sfiorato, chi più chi meno, il tema della decrescita.

Al cospetto di questi giganti del pensiero Latouche sostiene che

i pensatori della crescita sono una piccola parentesi nella storia del pensiero dell’umanità. I grandi pensatori sono sempre stati molto duri contro il produttivismo.

A questa famiglia apparteneva anche Enrico Berlinguer, protagonista del saggio di Giulio Marcon. Il leader del Pci viene descritto come un uomo molto sobrio, del quale vanno evitati i “santini” come quelli fatti di recente in campo documentaristico, ma del quale non si può non sottolineare la lungimiranza di vedute. L’austerità di Berlinguer era agli antipodi rispetto a quella proposta da Angel Merkel: per il primo austerità significava ricorso all’intervento dello Stato e protezione dei beni comuni, per la Cancelliera è governo del mercato, precarizzazione, aumento dei consumi.

Ma, come conclude Latouche,

i popoli felici non consumano, sono quelli infelici a rifugiarsi nel consumo.

Latouche prende le distanze dalle accelerazioni del progresso:

Ivan Ilic diceva che possiamo salvarci solo grazie a un tecno-digiuno. Non dobbiamo diventare schiavi della nostra creazione, capovolgendo il rapporto tra soggetto e oggetto.

Latouche si è poi congedato con una riflessione:

Quando è stata scritta la dichiarazione dei diritti dell’uomo, avrebbero dovuto scrivere anche quella dei doveri. La libertà dell’uomo non può essere assoluta: l’umanità deve porsi dei limiti.Immagine14-620x345

Video e foto : Davide Mazzocco
Fonte: ecoblog.it

Il paradosso di Jevons: più efficienza causa più consumo

Il miglioramento delle tecnologie energetiche non basta a ridurre la nostra impronta ecologica, perchè è verificato che se aumenta l’efficienza aumentano anche i consumiEfficienza-e-consumi-cemento

Il grafico qui sopra illustra bene il paradosso di Jevons, raccontato da Serge Latouche nella citazione che segue. Tra il 1998 e il 2006, quindi prima della crisi, i miglioramenti dell’efficienza energetica nella produzione del cemento in Italia non hanno ridotto i consumi energetici totali, ma li hanno aumentati.

«Un rapporto del Sustainable Europe Research Institute conferma che negli ultimi trent’anni, malgrado una diminuzione del 30% della quantità di risorse naturali consumate per punto di PIL supplementare, l’estrazione totale di materie prime non si è affatto ridotta. Questo fenomeno è stato battezzato effetto rimbalzo o, nella letteratura specializzata,paradosso di Jevons. L’economista neoclassico W.S. Jevons aveva osservato che le caldaie a vapore consumavano sempre meno carbone grazie ai perfezionamenti tecnici, ma che il consumo globale  di carbone continuava a crescere  a seguito della moltiplicazione delle caldaie stesse. Le tecnologie efficaci in ultima istanza sollecitano la crescita della domanda; l’aumento dell’efficienza è più che controbilanciato da un aumento delle quantità consumate. Soddisfatti di avere ridotto il nostro consumo di energia, per esempio usando lampadine a risparmio energetico, ci offriamo un viaggio in più alle Antille… Il TGV va più veloce: allora andiamo più lontano e viaggiamo più spesso. La casa è meglio isolata: con i soldi risparmiati in energia ci compriamo un’altra automobile. Internet dematerializza l’accesso all’informazione: e noi stampiamo più carta. Il risultato è che ci sono sempre più autostrade e TGV, il traffico aumenta e il consumo di carta non cala.»

Serge LatouchePer un’abbondanza frugale, Torino 2012, pp 96-97

Fonte: ecoblog

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Alternative in movimento, in Val di Susa gli Stati Generali del Lavoro

Dal 27 al 29 settembre a Vaie, in Valle di Susa, si terranno gli Stati Generali del Lavoro, una grande assemblea organizzata da Etinomia e Movimento No-TAV durante la quale otto tavoli tematici si riuniranno per formulare nuove idee di lavoro.lavori8

“Si deve lavorare meno ore per tutti i lavori, ma soprattutto si deve lavorare meno per vivere meglio, questo è più importante e più sovversivo”

Serge Latouche

Dal 27 al 29 settembre a Vaie, in Valle di Susa, si terranno gli Stati Generali del Lavoro, una grande assemblea organizzata da Etinomia e Movimento No-TAV durante la quale otto tavoli tematici si riuniranno per formulare nuove idee di lavoro, concetto che mai come in questi ultimi anni di crisi generalizzata sta mostrando la corda. Io sarò la referente del tavolo n. 3, che si intitola “Significato di lavoro e reddito di cittadinanza” e i cui propositi sono sintetizzati qui:

“Il significato che siamo abituati ad attribuire alla parola ‘lavoro’ è meramente quello di ‘attività tramite la quale si percepisce reddito monetario’. Chiusi in questa gabbia semantica non riusciamo neppure a intravedere quanto sia restrittiva, addirittura punitiva, ostinata com’è nel negare dignità di occupazione profittevole per il singolo e per la comunità a qualsiasi altro nostro agire: adempiere ai nostri obblighi familiari, procurarci cibo sano che ci mantenga in salute, informarci adeguatamente, viaggiare, imparare cose nuove, in una parola diventare giorno per giorno persone e cittadini migliori e non solo ripetitori di gesti destinati a produrre ulteriori cose, materiali o no, il cui eccesso è ormai fin troppo evidente.stati_generali_lavoro7

La crisi, quella che ci attanaglia tutti, è in questa accezione soprattutto crisi di senso, che sempre più persone avvertono e cercano di contrastare, inventandosi strade e soluzioni. Per farlo bisogna certo ripensare anche all’idea di consumo, di spesa e di reddito, ma anche avere la possibilità di superare il ricatto della dipendenza dall’impiego pressoché totale del nostro tempo solo per avere, come si suol dire, di che vivere. In quest’ottica la richiesta di un reddito di cittadinanza che sancisca il diritto a esistere diventa pressante, necessaria, imprescindibile. Questo gruppo vuole discutere e sintetizzare i temi esposti per contribuire alla formulazione della proposta di cambiamento concreto che è lo scopo degli Stati Generali del Lavoro”.

Sono invitati a partecipare agli Stati Generali del Lavoro tutti coloro che condividono queste idee.

Per iscriversi basta andare qui, ma vi sarò grata se me ne darete comunicazione via mail così che sappia la consistenza del gruppo che via via si forma.

Ulteriori informazioni sono sul sito di Etinomia e sulla pagina Facebook dell’ evento.

Fonte: il cambiamento