Un gruppo di persone che si riconoscono nei valori della nonviolenza e dell’ecologia, un giorno di metà ottobre 2021, si è messo al lavoro con l’intento di pensare e scrivere una lettera aperta per un cammino non-violento ed ecologista. La condividiamo allo scopo di favorire un dibattito aperto, plurale, libero da pregiudizi e finalizzato al conseguimento del bene comune nel rispetto di tutte e tutti.
Per un cammino radicalmente ecologista e non violento
Come pacifist* ed ecologist*, vorremmo contribuire al dibattito che attualmente infiamma e spacca la società.
Siamo profondamente preoccupat* per la pericolosa polarizzazione e radicalizzazione del conflitto: da una parte i gruppi più violenti ed eversivi che cavalcano il malessere sociale, dall’altra il blocco di potere politico-industriale-mediatico che governa il paese e che impone il suo programma liberista. Condanniamo nel modo più fermo i neofascisti e ogni violenza e tutti coloro che spalleggiano questi gruppi, chiedendoci perché siano stati lasciati agire impunemente dalle autorità, negli eventi del 9 ottobre a Roma. Queste violenze non fanno altro che delegittimare ogni forma di protesta e sono l’occasione per stringere e limitare il diritto a manifestare (cosa che puntualmente sta accadendo).
La nostra è una società malata e non solo a causa della pandemia Covid-19. Una società che ha ereditato, ancor prima del Covid-19, modelli socio-economici e stili di vita insostenibili che incidono fortemente sulla salute delle persone, delle comunità, dei territori e dell’intero Pianeta. Una società centrata su un modello di sviluppo che ha distrutto l’equilibrio tra le persone e l’ambiente e che alimenta enormi ingiustizie nord-sud del mondo.
Oggi più che mai, è importante coltivare un pensiero critico che metta la salute (nel suo aspetto globale), il rispetto e la nonviolenza al centro del dibattito. Contestiamo quindi la narrazione “bellica” che tende a mettere in un angolo anche il semplice diritto al dubbio. Abbiamo vissuto con sgomento e preoccupazione le “guerre all’untore” che in Italia si sono scatenate contro coloro che per dubbio, convinzioni o scelte di vita decidono di non affidarsi al vaccino. Come ecopacifist* rigettiamo l’hate speech, da ogni parte esso provenga, il linguaggio violento, umiliante, disumanizzante verso chi non la pensa allo stesso modo. Vogliamo favorire l’empatia, il dialogo, l’ascolto.
Crediamo nel sistema sanitario, una conquista da difendere, e rifiutiamo ogni malaugurata idea di un sistema sanitario dove chi ha “colpe” deve pagarsi le cure.
Purtroppo molti media hanno abdicato al proprio dovere di esercitare un controllo sull’operato del governo e di garantire un dibattito effettivamente pluralista, aperto e trasparente: ragionevoli e accorati appelli contro il green pass (di docent, student, scrittor* e filosof*), non hanno trovato adeguato spazio nei media “mainstream”.
Anche a nostro parere lo strumento del green pass (così come è declinato in Italia), è pieno di contraddizioni e fallacie sul piano sanitario, finalizzato a un rigido e burocratico controllo sociale, umiliante e divisivo, oltre a contraddire i principi contenuti nella Risoluzione 2361 (2021) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e nel Regolamento Ue n. 953/2021.
Sul green pass e sulle scelte politiche di gestione della pandemia, la differenza tra i singoli Stati, anche all’interno della Unione Europea, è molto forte. Perché quindi non si può discutere e criticare apertamente questa misura, che non è – come spesso si dice – “scientifica”, ma meramente “politica”?
L’11 ottobre il Collettivo Lavoratori Portuali di Trieste e Genova (gli stessi che negli ultimi anni hanno incrociato le braccia al traffico di armi diretto in Arabia Saudita), e i sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale, anche (ma non solo) contro il green pass. Tra le altre richieste avanzate, che noi condividiamo, il reddito universale, la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, il rilancio dello Stato sociale, investimenti nella scuola pubblica, nella sanità pubblica, potenziamento del trasporto pubblico, sicurezza vera sul lavoro.
Rivendichiamo un pensiero critico sulla pervasività degli interessi economici e politici nella medicina e nella sanità, sull’invadenza del digitale e delle tecnologie del controllo, sul mito della crescita economica infinita, sulla deriva scientista che si accanisce contro visioni del mondo e approcci di cura considerati non conformi.
Se davvero la salute non è solo assenza di malattia ma presenza di uno stato di benessere psico-fisico che va dalle persone alla comunità, allora la via d’uscita è nella rivisitazione globale dei nostri stili di vita (e quindi politiche che sappiano indirizzare e favorire queste scelte, modificando l’attuale sistema economico senza lasciare impuniti i crimini ambientali che minacciano la salute pubblica).
Si è più in salute mangiando cibo sano, locale, modificando radicalmente il nostro modo di muoverci e rapportarci alla terra, riducendo la nostra impronta ecologica, i nostri frenetici e consumisti stili di vita, praticando la sobrietà e la lentezza, organizzando vere e proprie comunità educanti, rafforzando la medicina di base. La capacità di accettare i limiti che ci impone la natura ci condurrà ad un nuovo equilibrio sociale ed esistenziale, con l’ambiente e con gli altri popoli del mondo.
Siamo più in salute se ci prendiamo cura del territorio in cui viviamo, se anche la scuola diventa più democratica, esperenziale e all’aperto, (da qui l’importanza di spazi verdi, cortili, parchi e giardini anche in città), un luogo dove educare al pensiero critico, alla cittadinanza attiva, a sani stili di vita.
Purtroppo la gestione securitaria e fobica della pandemia rischia di schiacciare questo cammino, costringendoci ancora più di prima dentro vite segnate dal predominio della tecnocrazia, della farmacologia e della medicalizzazione spinta. Il continuo martellamento di messaggi ansiogeni, repressivi e colpevolizzanti ha contribuito ad aumentare sindromi depressive, consumo di alcool e psicofamaci.
La scuola è sempre più “ingessata” e chiusa in sé, con progetti e realtà educative innovative (ricordiamo ad esempio il caso di Bimbisvegli), bloccate da regole senza senso.
Oltretutto queste imposizioni controproducenti e ingiuste esasperano gli animi e rendono le persone insofferenti anche ai “limiti ambientali” che multinazionali e mafie calpestano quotidianamente in totale impunità. Limiti all’inquinamento e al consumo che saranno sempre più necessari per fronteggiare l’emergenza climatica ed ambientale.
Abbiamo bisogno di ripartire dalla salute globale di ogni essere vivente, dobbiamo creare le condizioni per iniziare un nuovo cammino, contrastando il dominio di un capitalismo che non potrà mai avere un volto umano. Non vogliamo arrenderci a una deriva che schiaccia i mondi diversi possibili o già praticati, vogliamo disegnare un nuovo umanesimo ecologista, pacifista e antifascista.
La famiglia è la chiave di volta del sistema dell’educazione, dell’apprendimento e dell’istruzione e, in quanto tale, va sostenuta e aiutata a svolgere questo ruolo fondamentale, in particolar modo in questa drammatica epoca. Sergio Leali, presidente di LAIF Italia – Associazione Istruzione Familiare, ci fornisce alcune suggestioni in merito nel primo di una serie di approfondimenti dedicati al mondo dell’educazione parentale e dell’homeschooling. La straordinarietà del momento che stiamo vivendo sta portando in uso anche straordinari modi di approcciare molte categorie della nostra vita: tra queste, anche la vita famigliare e l’istruzione. Alcuni fenomeni basilari del vivere quotidiano, come quelli dell’apprendimento e della socialità, stanno facendo emergere con prepotenza diversi aspetti problematici. Questi ultimi, per la verità, erano già presenti nella modalità considerata “normale”, ma ora sono stati evidenziati dalla vicenda Covid-19, non possono più essere elusi e richiedono una progettualità attenta: le “classi pollaio”, gli autobus stracolmi, una didattica superata, le relazioni famigliari relegate a tempi residuali, solo per citarne alcuni. Oggi la scuola non riesce più a essere adeguata e la famiglia vive uno stato di forte smarrimento. In ambito scolastico si stanno sviluppando ragionamenti e si intraprendono percorsi tesi a introdurre nel sistema dell’istruzione procedure alternative a quelle messe in atto fino ad ora. L’interesse si sta concentrando sul lato tecnico della didattica, se non addirittura su quello tecnologico. La forte e prevalente attenzione a questo dato tuttavia non porta ad un avanzamento, bensì accentua il rischio di un pericoloso, ulteriore regresso e di un travisamento della questione. Infatti l’interposizione di un apparato strumentale sofisticato di mediazione tra gli attori della trasmissione del sapere e dello stimolo dell’apprendimento e i giovani destinatari solleva nuove problematiche: si affievolisce – ovviamente – la qualità del contatto, si introducono opportunità di falsificazione e vi è suscettibilità di amplificare le gravi criticità a carico della salute, che oramai sono generalmente segnalate.
Il focus del problema non sta nella componente tecnica e/o tecnologica. Esso risiede piuttosto nella relazione e nella motivazione all’apprendimento: nel sentire, da parte dei giovani, la necessità e il piacere di studiare. Tali caratteristiche si inverano nel momento in cui la giovane persona in divenire intravede nel suo agire la scoperta di un senso vitale e nel momento in cui percepisce il riconoscimento fiducioso degli adulti che la attorniano, in prossimità e in lontananza. In questa fase storica il problema dell’istruzione – o per meglio dire, dell’apprendimento – non è tanto della scuola, del suo aggiornamento tecnologico o della tecnica didattica. Questa criticità trova la sua origine e la sua tenacia nella persona e nelle sue esigenze esistenziali che, in quanto tali, chiamano a una riflessione seria ed approfondita soprattutto gli adulti più vicini ai giovani: i genitori e l’ambito familiare. Questa entità – la famiglia – è chiamata a mettersi in gioco e a riprendere in sé effettivamente i doveri che le sono propri nei confronti della prole: accudimento, accompagnamento, riconoscimento, valorizzazione, ascolto. Art. 30 della Costituzione: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti…”.
L’emergenza Covid-19 ha evidenziato come la famiglia debba mettere in discussione quel processo di delega ed esternalizzazione delle proprie funzioni – umane soprattutto – massicciamente in atto da qualche decennio a questa parte. Se non è solida ed energeticamente carica la motivazione del giovane, ogni sforzo, anche quello mosso dalla buona volontà, sarà vano; ogni tecnica didattica o tecnologia a disposizione non avrà efficacia.
Didattica a distanza, lezioni online e quant’altro possono essere certamente utili, sono forse una condizione necessaria ma sicuramente non sufficiente per creare quel clima indispensabile di apprendimento perché la giovane persona in crescita possa sviluppare le sue migliori potenzialità. La tematica va discussa nel mondo scolastico, ma ancor più da parte di chi sta delegando a esso le problematiche che invece sono a suo carico. Il riferimento è primariamente al mondo della famiglia, della cultura e della politica. La partenza di ogni discorso non può che risiedere nel concetto espresso dallo stesso MIUR nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo” del 2012: “ Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici…”. “La scuola non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere”. Brani tratti dal capitolo “Cultura Scuola Persona”.
È chiaro che le attenzioni primarie, economico-politiche e culturali dovrebbero essere rivolte proprio alla famiglia, perché è da lì che scaturiscono e possono liberarsi verso “l’altro” – oppure no – gli entusiasmi e le motivazioni di cui sopra. L’economia e la politica dovrebbero adoperarsi con azioni concrete perché nella famiglia possano esserci quei riavvicinamenti e si creino quelle prossimità di tempo e spazio necessarie per il suo sviluppo, e in tanti casi per la sua sopravvivenza. Qui si pensa a una famiglia moderna in cui i ruoli e i rapporti sono improntati al riconoscimento delle aspirazioni personali e sociali di ogni componente e dove le naturali propensioni possano trovare spazio nei tempi adeguati alle varie fasi della vita, senza che ne escano mortificate le prospettive personali. Certo non è facile, ma davvero pensiamo che tutto possa riprendere come prima? Siamo convinti che questa debba e sia solo una spiacevole parentesi, nello spasmodico flusso delle nostre esistenze? Sarebbe un’altra vera tragedia, più angosciante dell’attuale.
Stiamo vedendo come alla fin fine il sistema non si sfarina perché il perno che raccorda la dimensione individuale e quella sociale, la famiglia, sta ammortizzando i duri colpi che stiamo subendo nei vari ambiti. Questo accade pur non essendo essa nella pienezza della sue possibilità e, anzi, essendo a un livello allarmante di degrado. È persino banale notare come i giovani, in particolar modo se mossi da vivide motivazioni, intraprendono percorsi, anche di studio, straordinari. Il luogo primario dove tali motivazioni possono sgorgare ed esser curate è l’ambito familiare e, di converso, quello comunitario, i quali dovranno trovare il necessario e valido supporto nei servizi dello Stato. Questa sinergia dovrebbe far sì che si compia quanto la Costituzione all’articolo 4 con semplicità espone: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Zero Waste Italy ripercorre le tappe salienti che hanno portato all’acquisto e alla distribuzione di milioni di mascherine monouso nelle scuole, proponendo soluzioni alternative che contengano questo enorme spreco e diano un esempio positivo di cultura ecologica e responsabile. Ecco il comunicato proposto da Rossano Ercolini – Goldman Prize 2013 e Presidente di Zero Waste Europe – e Laura Lo Presti, responsabile del progetto mascherine lavabili per Zero Waste Europe.
Trovare una linea unitaria di corretto recepimento rispetto al protocollo sarebbe auspicabile per una chiara ed efficace informazione. Qui di seguito ripercorriamo i passaggi significativi:
09/05/2020, L’istituto Superiore della Sanità, citando il DPCM del 26/4/20, scrive: «In base al comma 2 dell’articolo 3 dello stesso DPCM, possono essere utilizzare mascherine di comunità, ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche autoprodotte, in materiali multistrato idonei a fornire un’adeguata barriere e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mente al di sopra del naso».
28/05/2020, Relazione del Comitato Tecnico Scientifico sulla modalità di ripresa delle attività didattiche c/o il Dipartimento della Protezione Civile: «Gli alunni dovranno indossare per l’intera permanenza nei locali scolastici una mascherina chirurgica o di comunità di propria dotazione, fatte salve le dovute eccezioni (ad esempio attività fisica, pausa pasto ecc.); si definiscono “mascherina di comunità” mascherine monouso o mascherine lavabili, anche autoprodotte, in materiali multistrato idonei a fornire un’adeguata barriere e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mente al di sopra del naso».
06/08/2020, nel Protocollo d’intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico nel rispetto delle regole di sicurezza per il contenimento della diffusione di covid-19 emesso dal Ministero dell’Istruzione si legge: «La scuola garantirà giornalmente al personale la mascherina chirurgica, che dovrà essere indossata per la permanenza nei locali scolastici». Nessuna traccia di obbligo.
31/08/2020, verbale numero 104 del Ministero dell’Istruzione, che tenendo ferme le indicazioni del CTS, afferma: «Sarà necessario assicurare l’uso della mascherina, preferibilmente di tipo chirurgico». Nessuna traccia di obbligo.
Per quanto sopra, il Governo potrà continuare a fornire le mascherine alle scuole, ma non vi è traccia di obbligo da parte dei cittadini di ritirarle o di usarle. Sono tante le famiglie che, nel pieno rispetto della sicurezza della salute e delle evidenze scientifiche, si sono organizzate con mascherine lavabili che rispettano anche una coscienza ambientale e un migliore esempio didattico per i figli. Le mascherine intanto sono state acquistate e verranno consegnate alle scuole. Per evitare lo spreco di fondi statali e di prodotti nuovi, onde evitare che vadano buttati, suggeriamo di organizzare negli istituti la raccolta di tutte le mascherine monouso che rimarranno inutilizzate ogni mese e di comunicarlo al ministero per il conguaglio sul mese successivo. In alternativa, laddove il ministero abbia già programmato gli acquisti e gli invii, le mascherine non utilizzare dagli alunni che rinunciano e ritirare quelle messe a disposizione dagli istituti scolastici potrebbero essere donate a RSA, ospedali, centri di accoglienza e altre strutture.
Evitando il monouso dove non sia realmente necessario, che si tratti di mascherine o di qualsiasi altro prodotto, il problema dello smaltimento trova una via per la sua stessa soluzione.
“Per uscire davvero dalle emergenze…” è il documento-appello a firma della Coalizione Clima, la rete nazionale composta da oltre 200 organizzazioni, ambientaliste, sindacali, del terzo settore, di impresa, movimenti studenteschi e tanti singoli cittadini. Che propongono un modello di sviluppo molto diversi da quello attuale.
“Per uscire davvero dalle emergenze…” è il documento-appello a firma della Coalizione Clima, la rete nazionale composta da oltre 200 organizzazioni, ambientaliste, sindacali, del terzo settore, di impresa, movimenti studenteschi e tanti singoli cittadini. Che propongono un modello di sviluppo molto diversi da quello attuale.
Ecco il documento nei suoi punti salienti.
«Le preoccupazioni per l’emergenza climatica, sulla quale si è costituita la Coalizione Clima, sonooggi amplificate da quella sulla pandemia da COVID-19, estesa a livello globale, che èindubbiamente legata alla sottovalutazione dell’impatto delle attività umane sulla natura e sull’ambiente. Il riscaldamento climatico, ben più dirompente e distruttivo della pandemia che il mondo sta vivendo, non trarrà molto beneficio dalla momentanea flessione delle emissioni di gas serra; al contrario la situazione potrebbe essere peggiorata da eventuali rinvii o rallentamenti dell’azione per azzerare le medesime emissioni. Rilancio economico e decarbonizzazione devono diventare sinonimi, se non vogliamo perdere un’occasione unica e finanziamenti ingenti che non saranno di nuovo disponibili a breve. Per questo la Coalizione Clima si sta interrogando, nelle sue diverse componenti, ritenendo che oggi più che mai occorra perseguire con decisione la progressiva riconversione del modello disviluppo, che non abbia unicamente a riferimento i parametri economici e il Prodotto Interno Lordo, quanto piuttosto, le questioni della salute e della sicurezza; dei diritti e del contrasto alle diseguaglianze, nella società e nel lavoro; dell’uso razionale ed efficiente delle risorse naturali. A maggior ragione torna oggi di grande attualità, il concetto di “Giusta Transizione”, che non si limita a misure occupazionali sulla decarbonizzazione (ovvero la rinuncia all’utilizzo di tutti i combustibili fossili, non solo delcarbone) ma allarga la visione, per attivare un processo di radicale cambiamento del modello di sviluppo, verso un modello economico che tenga conto di tutti i traguardi di crescita sostenibile fissati dalle Nazioni Unite (SDGs)».
«Gli obiettivi generali dovranno essere coerenti anche con quelli dell’accordo di Parigisul clima(2015), e lo slittamento della COP26 al 2021 non deve essere un motivo per rinviare la revisione degli NDC (i contributi dei singoli paesi al raggiungimento degli obiettivi). A questo proposito l’Italia – che ha tutti gli interessi a difendere obiettivi ambiziosi – deve adoperarsi a livello europeo per promuovere l’innalzamento del target di riduzione delle emissioni come minimo al 55% al 2030, provvedendo nel contempo alla revisione in senso più ambizioso del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e dei suoi obiettivi, anche in vista del ruolo che avrà il nostro Paese come co-organizzatore della COP26, dove sarà fondamentale essere ambiziosi e chiari sui percorsi e le strade da seguire. Le attuali misure che il Governo sta mettendo in atto – e quelle attese da interventi Europei –mettono indubbiamente in campo una mole significativa di risorse; la questione è che le stesse siano orientate verso un progetto e una strategia coerente e lungimirante, e non siano semplicemente rivolte a far fronte alle esigenze più immediate. Gli impegni del Green Deal europeo e italiano devono misurarsi con questa necessaria strategia».
«Così come indica anche la comunicazione della Commissione Europea sul fondo di recupero da 750 miliardi di Euro, per rafforzare la competitività, la resilienza e il ruolo dell’Unione Europea a livello globale, occorre che tutti gli investimenti siano orientati ad accelerare la transizione ecologica e digitale e a costruire una società più equa e resiliente. L’emergenza, nella quale siamo immersi, fa già intravedere dei cambiamenti necessari – in alcuni casi già accennati – nei modi di produrre, di lavorare, di consumare, di muoversi. Per questo, oltre al ruolo fondamentale dei decisori politici, delle Istituzioni pubbliche, delle aziende pubbliche e private, serve assicurare una vera partecipazione democratica. È necessario dotarsi di una Strategia e di un piano per recuperare e riqualificare le aree inquinate e inutilizzate che sono disseminate nel Paese, consentendo di liberare e risanare ingenti spazi privi di destinazione d’uso e creare i presupposti per una loro riconversione. La transizione ecologica sarà possibile solo se superiamo l’attuale separazione e frammentazione degli interventi e i divari territoriali, mettendo in campo idee nuove e una diversa visione d’insieme delle politiche. Va affrontato in modo sinergico e nuovo il tema della rigenerazione delle periferie,legando assieme obiettivi ambientali sociali e occupazionali».
«Devono essere superati i ritardi negli interventi di messa in sicurezza del territorio e vanno affrontate con urgenza e determinazione le questioni legate al rischio idrogeologico e sismico che caratterizzano gran parte del nostro Paese. La particolarità della coalizione Clima, composta da tante e diverse organizzazioni (ambientali,sociali, sindacali, imprenditoriali, del volontariato, ecc.) è quella di coinvolgere competenze e conoscenze specifiche che, a partire dai diversi settori, possono mettere in evidenza possibili soluzioni, ma anche concrete criticità, dalle quali cercare di trarre sintesi condivise, per proposte comuni. Indichiamo qui di seguito solo alcuni dei punti, sui quali individuiamo l’emergenza dell’azione»
GIUSTA TRANSIZIONE
È necessaria e urgente l’attivazione di processi divisione strategica e programmazione integrata, che favoriscano la transizione verso l’economia del futuro, e non la crisi permanente attraverso misure che rafforzino i problemi attuali. Va anche assicurata la partecipazione democratica a tali processi per garantire il raggiungimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, compreso quello della piena occupazione di qualità, con il pieno coinvolgimento di Enti Locali [su questo fronte l’associazione Paea da anni sostiene e segue le amministrazioni nella programmazione della riconversione ecosostenibile], parti sociali, comunità e società civile. Il Governo deve sostenere la riconversione delle imprese e creare, al contempo, opportunità di riqualificazione e il rilancio produttivo ed occupazionale in aree che rischiano di subire una forte crisi sociale e occupazionale. Sarà necessario convogliare risorse per la riconversione industriale di queste aree, prevedendo investimenti ingenti nelle fonti rinnovabili, nell’accumulo di energia, negli impianti per la chiusura del ciclo dei materiali.
PRODUZIONE DI ENERGIA ED EFFICIENZA ENERGETICA
Accelerare gli investimenti per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili, puntando sui nuovi modelli energetici (comunità rinnovabili ed autoconsumo collettivo) e confermando il phase out del carbone al 2025, è un’azione necessaria per ridurre le emissioni climalteranti. È ugualmente urgente promuovere la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, anche prorogando i recenti provvedimenti sulle detrazioni fiscali al 110% e rendendo strutturale la cessione del credito alle banche, al fine di ottimizzare la riduzione dei consumi e delle emissioni e di rimettere in moto alcuni settori produttivi, portando un beneficio economico ai cittadini, anche delle fasce più povere, che potranno effettuare gli interventi senza, o con un ridotto, esborso di denaro.
SUSSIDI AMBIENTALMENTE DANNOSI
Devono essere gradualmente eliminati e/o rimodulati entro il 2025: in Italia, come documenta il terzo catalogo del Ministero dell’Ambiente -su una stima totale di 19,7 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi nel 2018 – 17,7 miliardi sono sussidi alle fonti fossili. Per tale fine sarà necessario che questa operazione venga fatta accompagnando i settori produttivi con misure di attenuazione di impatto sociale e di riallocazione delle risorse recuperate che, tendenzialmente, dovranno essere ripartite attraverso un mix di misure che, da una parte aiutino le fasce meno abbienti della popolazione, dall’altra sostengano interventi e attività virtuose, investimenti pubblici in ricerca, sviluppo e infrastrutture per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. L’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi deve essere accompagnata da una riforma fiscale di tipo ambientale che orienti le produzioni e i consumi verso la riconversione ecologica e la sostenibilità e da una forte riduzione delle spese militari da convogliare nella riconversione ecologica.
FILIERA AGRO-ALIMENTARE
L’emergenza ha reso evidente a tutti il ruolo primario dell’agricoltura, troppo spesso, a torto, considerata la cenerentola del mercato delle commodites. Servono strumenti per dare dignità al settore, con politiche di giusti prezzi per i produttori e politiche di sostegno per la riduzione dell’impatto sulle emissioni e sui suoli, nonché per la garanzia di qualità per i consumatori. Servono tutele e dignità per i lavoratori, inclusa la lotta al caporalato. In questa fase, e non solo, si sono sviluppate interessanti esperienze di distribuzione di prodotti a km zero, che andrebbero rafforzate per il futuro, per i consumi dei cittadini, tenendo presente anche la possibilità di sviluppo per mense scolastiche e aziendali. Respingiamo le proposte che prevedono per le mense scolastiche la possibilità di somministrare il pasto all’interno di lunch box in polipropilene, con pasti confezionati ore prima che escludono la possibilità di nutrire i bambini con alimenti freschi. Oltre al problema dei rifiuti e dello spreco che sarebbe generato da questo sistema, verrebbe svilito il ruolo e il diritto educativo e nutrizionale del momento mensa, gettando al vento anni di consapevolezza e di misure migliorative del servizio che erano state introdotte dai nuovi criteri ambientali e nutraceutici, aprendo invece la porta a produzioni industriali che spesso utilizzano prodotti da agricoltura e allevamenti intensivi, conservanti, ecc.
MOBILITÀ
Oggi sono necessari e urgenti interventi radicali per la mobilità: rafforzamento del trasporto pubblico locale con nuove flotte elettriche o idrogeno verde; innovazioni per la mobilità privata, sempre elettrica; mezzi condivisi; sviluppo della micro-mobilità nelle città; sviluppo di tecnologie sostenibili, ecc. In questa direzione è necessario dare sostegno alle Amministrazioni impegnate nel ridisegnare gli spazi della mobilità a favore di mezzi sostenibili come TPL, biciclette, micro-mobilità e mezzi elettrici in sharing. In questo periodo, la “scoperta” dello smart working ha consentito di ridurre notevolmente gli spostamenti, ma ha anche evidenziato limiti, quali la mancanza di socialità e il “diritto alla disconnessione” (per evitare un tempo di lavoro senza limiti). Lo smart working non può quindi considerarsi la chiave per la riduzione della mobilità, anche se può senz’altro aiutare, se applicato correttamente.
ECONOMIA CIRCOLARE (E CICLO DEI RIFIUTI)
Non ci sono dubbi sulla necessità di favorire un modello di sviluppo basato sull’economia circolare, attraverso la diffusione della raccolta differenziata, la tariffazione puntuale, la costruzione di impianti di nuovi impianti di riciclo e per la riparazione dei prodotti, sia per i rifiuti urbani che per quelli speciali, per ridurre l’uso di risorse ed energia, riducendo a pochi punti percentuali, rispetto al totale, il conferimento alle discariche e agli inceneritori. L’emergenza COVID-19 ha generato un’ampia varietà di rifiuti, come mascherine, guanti, tute e altri materiali monouso utilizzati dagli operatori sanitari, che vanno all’incenerimento, a cui si aggiungono i dispositivi monouso impiegati dai cittadini. È necessario, nel limite del possibile, ridurre l’uso dei materiali monouso e promuovere l’utilizzo di materiali riutilizzabili.
DIGITAL DIVIDE
Il distanziamento sociale ha reso ancora più evidente la necessità di dotarsi di un piano organico ed adeguato per la connettività tale da garantire, su tutto il territorio nazionale incluse le aree rurali e montane, pari accessibilità alla rete per tutti i cittadini. La digitalizzazione va attuata, però, in modo da minimizzare gli impatti ambientali e sociali e tutelando la salute.Siamo contrari, pertanto, a revisioni dei limiti delle emissioni radiomagnetiche.
COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il contrasto al cambiamento climatico è un’azione collettiva globale a cui l’Italia deve contribuire. Purtroppo il suo impegno internazionale, in termini di aiuto pubblico allo sviluppo e come impegno di sistema, si è ridotto negli ultimi anni. Risulta quindi necessario rilanciare la cooperazione partecipando di più al finanziamento del Fondo Verde, collaborando con i paesi partner per la realizzazione di piani di adattamento che riducano l’esposizione ai rischi delle popolazioni impoverite e vulnerabili, attivando tutti gli attori del sistema della cooperazione sulla base di criteri trasparenti di contributoallo sviluppo sostenibile. Allo stesso modo, i finanziamenti pubblici all’internazionalizzazione economica devono aderire sostanzialmente ai criteri ESG (Environmental, Social and Governance) e promuovere un cambiamento dei modelli di produzione nelle catene di fornitura e del commercio, in chiave di sostenibilità ambientale e sociale. Il governo italiano dovrebbe lavorare con l’Unione Europea per rendere vincolanti gli impegni sullo sviluppo sostenibile e la tutela dei diritti umani e del lavoro, promuovendo una valutazione d’impatto dei trattati in essere e in negoziato alla luce della fase post-pandemica, e assumere di conseguenza un maggiore impegno nel negoziato delle Nazioni Unite per un trattato vincolante su impresa e diritti umani, così come a livello europeo per un nuovo regolamento di due diligence che copra i diversi settori economici in modo da garantire la loro sostenibilità.
SCUOLA, UNIVERSITÀ E RICERCA
Centrale dovrà essere il ruolo di Scuola, Università e Ricerca per una Giusta Transizione. La pandemia ha dimostrato come il divario Nord –Sud e i continui tagli degli ultimi 25 anni al sistema di welfare e al sistema dell’istruzione pubblica, abbiano recato danni irreparabili, acuiti dalla falsa convinzione che la Didattica a Distanza avrebbe potuto essere un’alternativa per uscire dalla crisi. L’istruzione è innanzitutto relazione e non può essere sostituita dalla digitalizzazione. La pandemia ha messo il dito nella piaga dei tagli, degli organici insufficienti, delle classi pollaio, della mancata sicurezza degli edifici scolastici, dell’aziendalizzazione della scuola, ridotta a fattore di produzione con la “Buona Scuola” e non più finalizzata alla crescita sociale dei cittadini. Analogo discorso va fatto per le Università, afflitte da tagli pesantissimi degli ultimi decenni, sempre più orientate alla promozione delle eccellenze piuttosto che alla diffusione orizzontale dei saperi, all’incremento dei laureati (troppo pochi) e al rafforzamento del patrimonio di ricercatori (troppo basso rispetto alle medie degli altri paesi europei, ma che si fa apprezzare a livello internazionale). Infine, mai come in questa crisi, è parso evidente il ruolo che la ricerca di base e la ricerca orientata alla giusta transizione possono giocare per la realizzazione di una società più giusta, per una vera economia circolare, per la salvaguardia del nostro Pianeta. La scienza non ha dubbi ormai sulle ricadute delle attività umane sui cambiamenti climatici e sull’urgenza di un cambio di paradigma per un nuovo modello di sviluppo eco-sostenibile. Per tutto ciò è imprescindibile una revisione a tutto tondo del ruolo pubblico, che sia in grado di tornare a governare processi tanto ambiziosi per cui occorrono risorse adeguate
Fare dell’istruzione una forza per unire i popoli e valorizzare le diversità, perseguendo la pace e un futuro sostenibile. È questa la missione dei Collegi del Mondo Unito, un movimento internazionale che educa i giovani a divenire portatori di cambiamento. Ecco la storia del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico che a Trieste accoglie ogni anno più di 180 studenti da oltre 80 paesi per l’ultimo biennio della scuola superiore.
Terza tappa. Ci troviamo ancora a Trieste. Oggi andiamo a visitare un’esperienza internazionale, ma per davvero. Si chiama il Collegio del Mondo Unito e già il nome è tutto un programma. È sempre gennaio, fa freddo, ma la vista del mare ci riscalda. Dopo una notte in camper, io, Paolo e Danilo (che al suo solito si è fatto ospitare da amici!) entriamo nella scuola changemaker. Il Collegio Mondo Unito dell’Adriatico, infatti, è uno di quegli istituti superiori che Ashoka ha selezionato e che diventa allo stesso tempo promotore e ospite di cambiamenti.
I Collegi del Mondo Unito (UWC)
Facciamo un passo indietro. Si legge sul sito ufficiale dei collegi: “I Collegi del Mondo Unito (United World Colleges – UWC) sono un movimento globale che rende l’educazione una forza per unire popoli, nazioni e culture per la pace e per un futuro sostenibile. Il fulcro dell’etica del movimento UWC è la convinzione che l’educazione possa unire giovani con qualunque tipo di bagaglio socio-culturale sulla base della loro umanità comune. […] Esistono 18 Collegi del Mondo Unito in quattro continenti. La maggior parte di questi sono specializzati nell’educazione di ragazzi tra i 16 ed i 19 anni, età in cui l’energia e l’idealismo di un giovane possono essere canalizzati in empatia, responsabilità ed impegno a lungo termine. […] Gli studenti dei Collegi del Mondo Unito vengono selezionati a livello nazionale in 155 paesi attraverso il sistema dei comitati nazionali. La selezione si basa sul potenziale dimostrato dai candidati. In linea con la convinzione del movimento secondo la quale l’educazione dovrebbe essere indipendente dalle possibilità socio-economiche degli studenti, il 74% degli studenti che concludono il Diploma IB ricevono assistenza finanziaria totale. Circa il 15% degli studenti riceve, invece, una borsa di studio parziale, a seconda delle necessità”.
Ecco, in questo contesto si inserisce la scuola che siamo andati a visitare e che si rivolge quindi a ragazzi interessati a vivere e studiare per un biennio in un contesto realmente multiculturale e multilinguistico, fuori da ogni schema rigido e da ogni riferimento esclusivamente locale. Il campus che abbiamo deciso di visitare si trova vicino Trieste, nella piccola Duino. Il Collegio di Duino nasce nel 1982 e trae ispirazione dalla cultura, dalla musica, dall’arte, dall’architettura, dalla storia e dalla diversità linguistica di questa terra e vi attinge per coltivare la creatività e la riflessione tra i propri studenti. Tra le attività “obbligatorie” per gli studenti, è previsto il volontariato. L’obiettivo dichiarato di questa istituzione è permettere ai ragazzi e alle ragazze di “sviluppare appieno il loro potenziale e di acquisire le competenze che li faranno diventare portatori di cambiamento in un mondo sempre più interconnesso”.
La nostra esperienza
Ok, ora vi ho riportato i dati ufficiali. Ma per comprendere davvero quanto sia affascinante e unica questa storia occorre visitare questi luoghi o almeno osservare attraverso il mini-documentario che vi proponiamo i volti, le aule, l’intensità degli sguardi, la vibrazione delle voci. Nella giornata trascorsa a Duino abbiamo avuto l’occasione di intervistare insegnanti, dirigenti, studenti e genitori. La lingua ufficiale, qui, è l’inglese ma si ascoltano le lingue più disparate nei corridoi, insieme alla musica prodotta da ragazze e ragazzi. Ci sono circa 180 studenti tra i 16 e i 18 anni. Gli studenti sono coinvolti nelle lezioni, raccontano le loro storie, sono stimolati dagli insegnanti ad intervenire continuamente. Il pomeriggio, oltre alle attività di volontariato (tra cui quelle rivolte ai bimbi delle scuole elementari di Duino), ci sono le attività sportive. Le famiglie sono ovviamente lontane e quindi la scuola ospita una serie di figure di accompagnamento per i giovani: medici, infermieri, tutor. Gli insegnanti, commuoventi nella loro passione e dedizione, abitano tutti a Duino e una volta a settimana cenano con i ragazzi… (Sì, lo so sembra tutto inventato lo so. Ma succede veramente!).
Oltre le barriere economiche e sociali
Tra le caratteristiche più innovative di questa scuola, si trova la contaminazione non solo geografica ma anche “economica”. Grazie al sostegno del Ministero degli Esteri, infatti, quasi tre studenti su quattro non pagano la retta, permettendo la partecipazione a ragazze e ragazzi provenienti da tutto il mondo. In effetti, incontriamo ragazzi europei, sudamericani, africani, asiatici. Giovani provenienti da ricche famiglie e immigrati dal passato drammatico che hanno lasciato tutto nel loro Paese e sono stati introdotti nel nostro Paese attraverso centri di accoglienza. Li osservi uno accanto all’altro e non sai dire chi sia ricco e chi povero.
Conclusioni Quando pensiamo alla scuola italiana, pensiamo sempre alle aule sovraffollate, gli insegnanti precari, le scuole che crollano per i terremoti, e così via. Eppure le scuole che vi stiamo raccontando attraverso questi documentari sono scuole vere, scuole italiane. Per ora abbiamo visitato il Friuli Venezia Giulia, ma abbiamo incontrato esperienze analoghe in tutte le regioni italiane. Buona scoperta.
P.S. Una storia esemplificativa
Nel piccolo video riportato in appendice vi proponiamo la storia di David, un giovane studente immigrato dalla Nigeria. Dopo due anni di quasi schiavitù in Costa D’Avorio e varie esperienze traumatiche tra Niger e Libia, David è arrivato in Sicilia e poi, grazie ad un video segnalato da un suo tutor che presentava l’esperienza di questa scuola, è finito qui, in Friuli Venezia Giulia. Ascoltate le sue parole, osservate il suo volto. E poi ditemi ancora che realizzare i propri sogni non sia possibile.
«Azzerare per un anno i fondi per nuove armi e stop alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Sarebbero più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere investiti per la riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per la sanità»: questa la richiesta di Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Rete della Pace.
Culminano oggi con iniziative e conferenze stampa in tutto il mondo (Seoul, Sydney, Berlino, Roma, Barcellona, Washington, Buenos Aires, Rosario, Montevideo alcune tra le città confermate) le “Giornate Globali di azione sulle spese militari” coordinate dalla Global Campaign on Military Spending (GCOMS). Una Campagna «Azzerare per un anno i fondi per nuove armi e stop alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Sarebbero più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere investiti per la riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per la sanità»: questa la richiesta di Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Rete della Pace.
«Le armi e gli eserciti non ci garantiranno maggiore sicurezza. Anzi, renderanno sempre più catastrofiche le conseguenze dei conflitti attualmente in corso e quelli futuri – dicono le tre organizzazioni nella lettera aperta – Dobbiamo invece dedicare le nostre energie a costruire dialogo, iniziative di diplomazia, politiche di sicurezza comune. E ciò è particolarmente evidente nella lotta contro il Covid-19, una minaccia non militare che potrà essere risolta solo con la cooperazione globale».
«In questi tempi di pandemia, con il Covid-19 che rischia di travolgere i sistemi sanitari di tutto il mondo, l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma SIPRI ha reso pubblici i dati aggiornati sulle spese militari riferiti al 2019 registrando un aumento del 3,6% rispetto al 2018 con una cifra record di 1.917 miliardi di dollari, e cioè 259 dollari per ogni abitante del pianeta – si legge ancora – Tale aumento mostra che il mondo è travolto da una corsa agli armamenti a beneficio di pochi, che rischia di condurci alla catastrofe globale. E’ indice inoltre dell’enorme potere delle industrie del settore difesa, in particolare in Europa, in America del nord, in Asia e Oceania. Il solo bilancio militare della NATO arriva a 1.035 miliardi di dollari, cioè il 54% della spesa militare globale. Nel Medio Oriente, l’unica regione in cui le spese militari siano diminuite, le conseguenze tragiche dei conflitti militarizzati sono evidentissime».
«Tutto questo avviene mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con tutti i suoi limiti l’unico tentativo globale e concertato di rispondere alle crisi di natura medico-sanitaria, ha un bilancio biennale di circa 4,5 miliardi di dollari per la maggior parte contributi volontari di Stati e privati – sottolinea Giulio Marcon portavoce di Sbilanciamoci – Stiamo parlando di una cifra che annualmente è solo lo 0,11% di quanto i Governi spendono globalmente per il settore militare».
«Un altro paragone possibile è con l’investimento nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dei Paesi industrializzati che è pari a 152,8 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,30% del loro PIL e meno dell’8% della spesa militare – aggiunge Sergio Bassoli della segreteria di Rete della Pace – Un dato significativo che denuncia dove stia il vero interesse ed investimento da parte dei Governi (nell’industria militare e nelle guerre) in totale contraddizione con gli impegni sottoscritti per l’Agenda 2030».
«La situazione è del tutto simile anche in Italia, con una stima (elaborata dall’Osservatorio Mil€x, in allegato scheda con i dettagli) complessiva di spesa militare prevista per il 2020 in circa 26,3 miliardi di euro con crescita di oltre il 6% (quasi un miliardo e mezzo in più) rispetto al comparabile bilancio preventivo 2019. “E questi sono solo i numeri delle previsioni di partenza – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – perché nei bilanci consuntivi si verifica una spesa effettiva decisamente superiore. Va sottolineato poi che nella previsione per il 2020 quasi 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma».
«Questi dati e considerazioni spingono Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Rete della Pace a una presa di posizione congiunta, con l’obiettivo di recuperare fondi utili per la fase di uscita dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 e per iniziare un vero processo di spostamento di risorse dalle spese militari a settori più utili per la società».
«La proposta che intendiamo avanzare al Governo e al Parlamento è chiara e netta: una moratoria di un anno per il 2021 su tutti gli acquisti di natura militare per nuovi sistemi d’arma. Se non è forse ipotizzabile fermare i programmi che sono già stati finanziati e decisi con la Legge di Bilancio votata a fine 2019 è invece sicuramente possibile intervenire sulle prossime decisioni di budget dello Stato. Quello che chiediamo è dunque concretamente realizzabile: azzerare completamente per un anno i fondi per nuove armi allocati sia presso il Ministero della Difesa che presso il Ministero dello Sviluppo economico e non dare avvio alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Complessivamente si tratterebbe di più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere immediatamente riconvertiti e investiti per gli interventi di riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per acquisto di strumentazione medica al fine di aumentare i posti letto, soprattutto quelli di terapia intensiva. Una scelta semplice e in un certo senso anche naturale, con fondi già previsti e per i quali ci sarebbe solo un cambio di destinazione da investimento negativo e non utile a investimenti fondamentali per il futuro dell’Italia».
«Chiederemo a tutte le forze politiche, al Governo, al Parlamento di avere per una volta il coraggio di mettere le necessità reali dei cittadini italiani davanti agli interessi militari e dell’industria delle armi» concludono le tre organizzazioni.
A rischio chiusura per mancanza di utenza, una
scuola di una piccola frazione di Sondrio è rinata all’insegna dell’educazione
ambientale e delle buone pratiche. Nell’Eco School di Triangia oggi i bambini
trascorrono all’aperto la maggior parte del tempo, mangiano cibo sano, allenano
la creatività e coltivano un orto dove imparano attraverso l’esperienza attiva
anche i contenuti disciplinari. Affinché la società
possa cambiare in meglio è cruciale porre la massima attenzione sulle nuove
generazioni ed è per questo che Italia Che Cambia ha sempre cercato di
intercettare e documentare il lento ma inesorabile cambiamento in atto anche in
ambito scolastico. L’intervista all’Eco School Triangia nella piccola frazione della città di Sondrio, è
stata una ventata d’aria fresca e non soltanto per il fatto che grazie
all’ambiente naturale in cui è immersa ci fosse molto più fresco che in città,
ma perché qui tutto è pensato per favorire un approccio più consapevole da
parte dei bambini e del personale che lavora nella scuola verso l’ambiente
circostante e più in generale, verso la natura.
Appena arrivata,
sono stata accolta nel bel giardino alberato della scuola dal corpo insegnanti
e dagli alunni che si trovavano a fare la ricreazione all’aperto, con tanto di
enorme zuppiera piena di spicchi di arancia da cui i bambini attingevano per lo
spuntino di metà mattina. Chiedo alla coordinatrice del progetto Eco-School,
Meri Tognela, da cosa nasce il progetto: «Il progetto di Eco-School è nato
nell’anno scolastico 2013-2014 quando la scuola di Triangia era considerata una
scuola a rischio chiusura, come molte piccole scuole del nostro territorio che
sono state chiuse per mancanza di utenza. Quindi nel 2013, in collaborazione
con l’amministrazione comunale dell’epoca e con degli esperti che già
collaboravano sulle tematiche dell’educazione ambientale, abbiamo cercato un
modo per caratterizzare la scuola. La proposta del programma Eco-School
ci è sembrata fatta ad-hoc per noi, considerato il tipo di ambiente nel quale
siamo inseriti e così abbiamo implementato il protocollo che viene
effettuato dalle scuole che sono interessate ad ottenere la certificazione di
Eco-School. È una certificazione internazionale: nella rete ci sono tantissime
scuole sparse in tutto il mondo e viene proposta alle scuole dall’associazione
internazionale FEE (Foundation for Environmetal Education, ndr.) che lavora con
il patrocinio dell’UE. Grazie al programma (non solo hanno salvato la scuola,
ndr.) abbiamo sperimentato un modo di lavorare che ha permesso di portare
dentro la scuola un’innovazione didattica attraverso metodologie che vanno
oltre la lezione frontale, ma più laboratoriali, più cooperative e più
significative per i bambini».
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In seguito mi
mostrano la scuola al suo interno, tutta adornata con i bei lavori creativi
dei bambini, e la loro aula in cui, come mi spiega la maestra di matematica
e scienze, Alessia Schiappadini: «I banchi sono disposti a piccoli gruppi per
favorire il lavoro cooperativo e di gruppo, perché lavorando insieme ai suoi
pari il bambino è più motivato ad assumere un ruolo attivo in cui aiuterà o
spiegherà lui stesso, rendendo la lezione molto proficua».
Nel vedere i
piccoli studenti così incuriositi dalla mia presenza, ne approfitto subito per
coinvolgerli e chiedo loro di raccontarmi cosa fanno a scuola. Mi mostrano così
alcuni dei loro lavori, come il “dìDiario dell’orto” o il “Taccuino della
scoperta del mondo”, poi parlando uno alla volta, diligentemente e per alzata
di mano, mi raccontano con grande entusiasmo del bosco che si trova dietro alla
scuola, del loro giardino alberato, dell’orto (dove ci trasferiremo subito
dopo) e in definitiva del fatto che adorano passare all’aria aperta
buona parte del tempo e non dover stare sempre sui libri. Come non capirli! Le
maestre mi raccontano anche di aver preso parte alle varie mobilitazioni dei
Fridays For Future, come lo scorso 15 marzo e quella del 24 maggio in cui
mi dicono di aver fatto un flash mob e aver scritto dei messaggi per poter
coinvolgere ed ispirare la cittadinanza, disseminando il paese di Triangia e la
città di Sondrio di messaggi ecologici. Ci spostiamo poi nuovamente fuori per
raggiungere il piccolo orto che hanno allestito dentro il giardino,
dietro l’edificio scolastico e la maestra Alessia mi spiega che il progetto è
uno dei tanti rientra nella didattica esperienziale, perché i bambini in questo
modo imparano meglio e l’esperienza attiva le competenze; la lezione del giorno
ad esempio verterà sull’individuazione del perimetro e dell’aerea, ma nel
concreto, ovvero sulle particelle ortive.
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L’orto ve lo faccio
raccontare direttamente dalle parole di Meri: «Siamo nell’orto didattico
dell’Eco School di Triangia, che è uno spazio molto frequentato dai bambini in
tutte le stagioni e che viene utilizzato come strumento di apprendimento dei
contenuti disciplinari. Quindi la finalità di questo progetto non è
rappresentata esclusivamente dall’apprendere le modalità di coltivazione ma
viene spalmata all’interno degli apprendimenti disciplinari. In questo momento
i bambini stanno svolgendo un’attività di geometria, in altri momenti abbiamo
utilizzato l’orto per esempio per scrivere un diario delle attività, per produrre
dei testi descrittivi, narrativi o anche regolativi, proprio perché quello che
ci interessa è di dare un senso all’apprendimento, quindi cerchiamo sempre di
legarlo all’esperienza che poi viene ricostruita in classe. Viene rielaborata
per arrivare poi alla sistematizzazione dei contenuti delle varie discipline e
questo ovviamente ha un impatto molto forte sull’apprendimento dei nostri
alunni, i quali apprendono attraverso una modalità molto significativa
per loro e contribuisce ad attivare le competenze andando a superare il modello
di apprendimento nozionistico e meccanico a memoria».
«Il progetto orto –
continua Meri – si chiama “Cresciamo nell’orto” e questo riassume nel titolo il
valore aggiunto di questa attività ed è strettamente legato a un altro progetto
che abbiamo che si chiama “Rifioriamo la terra” e che ci ha consentito di
riportare nella frazione di Triangia la coltivazione del grano saraceno e
della segale che, purtroppo in tutta la Valtellina, è stata abbandonata da
qualche decennio, nonostante la gastronomia valtellinese, compresi i piatti
principe come i pizzoccheri e gli shatt, siano fatti utilizzando farina di
grano saraceno, nelle botteghe si venda il pane di segale etc.; per questo oggi
tutta la materia prima viene importata dall’estero.
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Ecco perché ci
interessa lavorare sul bagaglio delle memorie storiche e delle tradizioni:
perché pensiamo che sia importante conoscere le radici del territorio in cui
viviamo per costruire la nostra identità e quella dei nostri alunni. Abbiamo fatto
anche il collegamento con il significato di filiera corta, di km 0, agricoltura
biologica, sostenibilità del territorio e biodiversità. Per questo motivo
coltiviamo ortaggi al di fuori dalle specie comuni e quest’anno siamo diventati
anche “custodi di semi” e facciamo libero scambio di semi anche col resto della
cittadinanza a Sondrio».
«Come fine ultimo
di questo tipo di educazione che stiamo portando avanti con loro, oltre ad
augurarci che possa portare un cambiamento nell’immediato, cerchiamo di pensare
anche al loro futuro; nell’immediato poiché essendo portatori di buone
prassi dentro le loro famiglie e i loro contesti sociali, già contaminano molto
il modo di pensare, ma pensiamo anche al domani e ai futuri cittadini che
avranno una sensibilità e una consapevolezza più sviluppate. Loro sanno di
essere bambini, ma sanno anche che sia oggi che in futuro possono contribuire
anche loro al cambiamento».
1. È stato in
quest’ultima occasione infatti che ho potuto assistere di persona alla
creazione dei messaggi e alla loro collocazione nella piazzetta principale
della frazione di Triangia.
Un connubio originale tra Maria Montessori e
Marshall Rosemberg per portare nelle aule un approccio educativo fondato sulla
libertà e la comunicazione non violenta. È la direzione scelta
dall’associazione Parlare Pace che a Bargecchia, in provincia di Lucca, ha
avviato l’esperienza pedagogica di “A scuola in libertà”.
“Maria Montessori
diceva che realtà e fantasia non vanno divise, bisogna che vadano a braccetto
perché la fantasia è quella che ti permette di sviluppare l’intelligenza, e
l’intelligenza porta al cambiamento”. Queste sono alcune delle parole che Paola
Francesconi, presidente dell’Associazione Parlare Pace, ha condiviso con noi quando, in una calda giornata di giugno, ci siamo
inerpicati con il nostro mitico camper, su per le colline del comune di
Massarosa. Direzione la sede di “A scuola in libertà”, a Bargecchia, in
provincia di Lucca.
Queste prime parole
raccontano già tanto di questo progetto: la capacità di osservare la realtà e
con creatività individuare nuove linee di azione e cambiamento, partendo
da ciò che piace, interessa, appassiona. Il mondo si può cambiare partendo da
qualsiasi punto. Come nei Sette Sentieri di Italia che
Cambia, non è importante tanto da dove si parte, quanto dove le nostre strade
confluiscono e si incontrano. Parlare Pace Onlus nasce nell’ottobre 2012 da
un’idea di Paola, studi in Scienze della Pace e numerose esperienze nel sud del
mondo, e non solo, con bambini e adolescenti, e suo marito. In comune il
desiderio di dare il proprio supporto al cambiamento. Per farlo hanno pensato
di dedicarsi ad un progetto che mettesse le famiglie al centro, chiedendosi
prima di tutto se questo fosse un desiderio condiviso da altri, se ci fossero
altre persone che avessero i loro stessi interessi e che volessero un cambiamento
sociale effettivo. Una comunione di intenti e modalità di operare
essenziale per poter costituire una vera associazione. Così è nato un primo
spazio “in cui i bambini potessero crescere felici”, racconta Paola, “siamo
partiti con due bambini, mia figlia e un bimbo polacco, in un appartamento in
una fattoria. Lì siamo rimasti finché il numero dei bambini non è arrivato a
dodici. Ci siamo inventate la nostra quotidianità, e abbiamo approfondito l’approccio
Montessori, grazie a Prisca Melucco presidente di Montessori in pratica”.
Parlare Pace segue
infatti due filoni, uno legato alla pedagogia di Maria Montessori e uno legato
alla comunicazione non violenta di Marshall Rosemberg. Un approccio che
si realizza nella quotidianità di “A scuola in libertà” che da settembre 2017
si è insediata nella ex scuola elementare di Bargecchia. Un edificio comunale
inutilizzato da tempo che l’associazione ha in gestione dall’agosto 2017, dopo aver
vinto un bando di gara. Oggi sono 22 le famiglie coinvolte e 35 i bambini
che frequentano la scuola: c’è la casa dei bambini dai 3 ai 6 anni e la
parte dedicata ai bambini della scuola primaria, dalla prima alla quarta, tutti
insieme. Quest’anno per la prima volta c’è anche la quinta elementare.
“A scuola in
libertà” è una scuola parentale ma, ci dice Paola, “quando si parla di progetto
di educazione parentale spesso si fraintende, si pensa che la mamma e il
papà siano presenti nella didattica del figlio, in classe. Per noi il progetto
necessita di una sua entità ed identità nell’approccio, quindi ci vogliono
persone formate” per accompagnare i bambini nel loro processo formativo. “Poi
ci vuole la parte dei genitori, senza la quale non è possibile andare avanti,
sono due facce della stessa medaglia. Ci riuniamo ogni 15 giorni per
condividere e progettare. C’è una grande partecipazione. I genitori si
organizzano autonomamente in gruppi, per svolgere ciò che esula dai compiti
dell’educatore: c’è chi si occupa delle pubbliche relazioni, chi organizza gli
eventi, chi pensa all’organizzazione delle gite ed altri hanno aiutato con i
permessi comunali e nei lavori di restauro della scuola”.
La ristrutturazione
della scuola, che si estende su due piani per 500 metri quadrati, non è
stata semplice, i lavori sono stati molti e importanti, e non sono conclusi. Un
investimento necessario perché questo “vuole essere un progetto a lungo
termine”.
“Sono andata a
scuola proprio qui – prosegue Paola – qui ho fatto le elementari e le mie
insegnanti mi hanno trasmesso l’amore per il sapere, il conoscere,
l’interessarsi agli altri”. Oggi Paola osserva tra le stesse mura, bambini
interessati alla cultura, al sapere, curiosi, grazie all’approccio educativo,
connubio originale tra Montessori e Rosemberg. Nella scuola questo si
riflette “in ogni cosa che viene detta e fatta. Maria Montessori mette al
centro il bambino nella sua interezza, cioè quello che può essere,
l’uomo futuro, il potenziale che ha dentro. L’approccio alla comunicazione di
Rosemberg mette in risalto quello che io sento e quello che io desidero, che
sono cose distinte. Qui abbiamo questo tipo di comunicazione, anche nel gestire
i pochi conflitti che accadono. Ci preoccupiamo di cosa è vivo nell’altro e in
me”.
Quella di
Bargecchia è una scuola libertaria, la quale si basa sulla convinzione
che ogni bambino è competente. Il compito della scuola è quindi mettere ogni
studente in condizione di scegliere secondo i propri interessi. Non si tratta
di un insieme di regole da rispettare e neppure della libertà assoluta dei
bambini. Questa scuola opera per incoraggiare il loro apprendimento e le loro
capacità pratiche ed intellettuali in modo armonico e integrale. Tutto ciò
viene fatto per permettere ad ogni essere di diventare ciò che è e che desidera
diventare. Altri concetti di base di questo approccio educativo sono: la politica
del bene comune, che viene stimolato attraverso attività pratiche che
conducano i bambini/cittadini a riflettere sul senso di appartenenza alla
comunità in cui si trovano, al senso di responsabilità verso le proprie azioni
e ad agire secondo le proprie vocazioni. E l’importanza del contatto con
la natura e con gli animali: la scuola è immersa nel verde, e c’è un
grande spazio all’aperto dove poter fare molte attività e interagire con gli
animali.
“Se penso a un
sogno è rendere possibile quello che per tanti è un’utopia, è metterlo in
pratica. I bambini cambieranno il mondo”.
Saranno 12mila gli alunni milanesi coinvolti nella prima fase di #Ambienteascuola, l’iniziativa del Comune e Amsa – Gruppo A2A, con il contributo dei consorzi Cial, Comieco, Corepla e Ricrea per promuovere l’educazione ambientale dei giovani. A Milano la Giunta approva il progetto pilota #Ambienteascuola – nato da un gruppo di lavoro che comprende Comune di Milano e Amsa, società del Gruppo A2A, con il supporto dell’Ufficio scolastico Territoriale di Milano – per portare in modo sistematico all’interno degli edifici scolastici la raccolta differenziata, promuovendo l’educazione ambientale dei giovani milanesi e contribuendo al raggiungimento di alcuni degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs) definiti dalle Nazioni Unite. Sono 540 le classi di Primarie e Secondarie di I e II grado, distribuite in una trentina di plessi scolastici nei nove Municipi, per un totale di 12mila alunni, che parteciperanno a questa prima fase, durante la quale saranno distribuiti circa 2.400 contenitori nelle classi e negli spazi comuni per plastica e metallo, carta e cartone e indifferenziata (l’umido prodotto dalle mense è già oggi gestito in tutte le scuole da Milano Ristorazione) e ottocento poster informativi, entro dicembre.
“L’avvio di una sistematica raccolta differenziata all’interno delle scuole è un passo importantissimo che questa Amministrazione ha voluto fortemente e che porterà la città, che già oggi arriva quasi al 60% di differenziata, a fare un ulteriore importante passo avanti in questa direzione – commentano gli assessori Laura Galimberti (Educazione) e Marco Granelli (Mobilità e Ambiente) –. Nel 2016 era stato richiesto ad Amsa di inserire all’interno del Piano Strategico degli anni successivi la creazione di un gruppo di lavoro per promuovere l’educazione ambientale e oggi possiamo dirci totalmente soddisfatti dei risultati”.
Il progetto prevede anche incontri formativi e informativi in ciascuna delle scuole coinvolte, sia per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, per illustrare il funzionamento e promuovere le corrette prassi del conferimento, sia per i docenti, ai quali saranno presentate anche le ulteriori opportunità didattiche collegate. Tra queste, il contest ‘Cestini in cerca d’autore’: ogni classe personalizzerà in modo creativo i propri contenitori utilizzando qualsiasi tecnica artistica e materiali di riciclo, sarà poi selezionata una scuola vincitrice per ogni ordine scolastico, che riceverà un premio di 500 euro, messi a disposizione da Amsa – Gruppo A2A.
Saranno inoltre realizzati una serie di video didattici, grazie al supporto dei consorzi Cial, Comieco, Corepla e Ricrea, per sensibilizzare gli studenti su diverse tematiche ambientali, a partire da cause, effetti e soprattutto concrete e quotidiane soluzioni per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Dopo un focus generale sul tema, infatti, ai ragazzi e alle ragazze sarà raccontato attraverso i video come ciascuno di loro possa fare tanto nella vita di tutti i giorni per contribuire a contrastare questo fenomeno: dal risparmio energetico alla produzione, smaltimento e trasformazione dei singoli materiali riciclabili, fino al corretto uso degli spazi pubblici urbani.
Al termine dell’anno scolastico Amsa produrrà un report per valutare sia l’impatto educativo sia gli effettivi risultati di raccolta differenziata. I risultati saranno poi utilizzati per progettare le azioni future, estendendo progressivamente la raccolta a tutti gli istituti scolastici.
Finisce la prima parte del viaggio alla scoperta dell’Economia del Bene Comune in Italia. Concludiamo con le scuole, analizzando un’interessante iniziativa nata in Alto Adige: la Piattaforma delle scuole sostenibili, tra cui l’Istituto tecnico-economico Franz Kafka di Merano. Una rete che vuole trasformare l’approccio alla sostenibilità delle scuole verso un’ottica più propositiva e fortemente legata alla filosofia dell’Economia del bene comune. Eccoci giunti a quest’ultimo (per il momento) appuntamento alla scoperta del mondo della Federazione dell’Economia del bene comune in Italia. Dopo aver approfondito i temi più importanti legati al Bilancio, aver ascoltato le voce dei principali protagonisti di questo movimento e aver scoperto le storie degli imprenditori più sensibili alle tematiche dell’Economia del bene comune, mancava un solo tassello al nostro variegato puzzle: il mondo della scuola. Torniamo così in Alto Adige, dove siamo partiti, alla scoperta di un illuminante iniziativa nata dalla collaborazione tra alcune scuole altoatesine e la Federazione italiana dell’Economia del bene comune: la Piattaforma delle scuole sostenibili e il lavoro, all’interno della stessa, dell’Istituto tecnico-economico “Franz Kafka” di Merano.
La Piattaforma delle scuole sostenibili è un progetto nato nel 2014 che mira a realizzare una rete di scuole che si occupano del tema della sostenibilità, sia a livello di buone pratiche interne che di insegnamento, allo scopo di condividere esperienze e saperi tra le nuove generazioni riguardo al tema della salvaguardia ambientale, del risparmio e dell’efficienza energetica e dell’applicazione di questi principi nell’imprenditorialità. In questa maniera, proprio come un’azienda, le scuole possono diventare un modello di sostenibilità e possono diventare un motore di conoscenza per gli studenti, in maniera tale da infondere e far incontrare la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità con il progetto del percorso da affrontare per raggiungerla nella propria vita e nelle attività economiche. Le varie scuole partecipano proponendo ognuna le proprie attività, in maniera indipendente, avente come stella polare il tema della sostenibilità: il punto di partenza in comune è una relazione, divisa in tre fasi, sull’economia sostenibile, alla quale tutte le scuole sono invitate a partecipare. Nella prima parte di questa relazione (che dura in totale circa tre ore) viene illustrata la situazione economica globale e i problemi ad essa connessa, nella seconda fase si comincia ad analizzare gli esempi virtuosi e cosa è possibile fare per poter invertire la rotta, ed è qui che viene presentato come esempio anche quello dell’Economia del Bene Comune. Nella terza e ultima fase, gli studenti vengono divisi in gruppi più piccoli e cercano insieme delle proposte e delle soluzioni, che vengono messe su carta. A partire da queste proposte, nelle varie scuole, si lavora poi
Uno dei fondatori della rete è Wilfried Meraner, insegnante presso l’Istituto Tecnico Industriale Max Valeri di Bolzano: “Io avevo l’idea e il sogno di poter fare qualcosa per la sostenibilità nelle scuole. Questo perché secondo me le scuole rappresentano un altissimo potenziale di cambiamento, dato che gli studenti di oggi sono l’economia di domani”. Uno degli incontri più fruttuosi di Meraner è stato quello con l’Istituto tecnico-economico Franz Kafka di Merano, in particolar modo con Gerda Corazza, Insegnante e Coordinatrice per l’educazione alla sostenibilità nella scuola, e Uta Tribus, Insegnante e Responsabile per la “Entrepreneurship education” (traducibile nell’Educazione all’Imprenditorialità) presso la stessa scuola. “II mio punto di partenza coincideva con quello di Wilfried: il mio sogno era quello di poter collaborare a creare una scuola che fosse l’esempio di un’ idea di economia diversa – ci spiega Gerda Corazza – L’economia è un ambito così importante per il nostro futuro che abbiamo sentito fortemente il desiderio di collaborare con la Piattaforma delle scuole sostenibili e di far partecipare i nostri studenti alle varie attività”. Nella scuola Kafka di Merano l’impegno nella sostenibilità ha avuto inizio prima della Rete di economia sostenibile, con la partecipazione ad un concorso chiamato “Entrepreneurship Schule” (La Scuola dell’Imprenditorialità), come ci spiega Uta Tribus. “È un concorso su iniziativa dell’Austria dalla durata di due anni e partire da questo concorso abbiamo creato un modello, diviso per gruppi, basato sul lavoro con i ragazzi, con il coinvolgimento degli insegnanti e del Preside stesso. Dopo la presentazione di una documentazione finale, la commissione valuta se assegnarci un premio o meno”.
La scuola Kafka di Merano
Questo lavoro ha posto le basi per la struttura di lavoro che si è ripetuta con efficacia nella partecipazione alla Piattaforma delle scuole sostenibili: la scuola Kafka ha proposto, nei vari gruppi di lavoro partecipanti alla Piattaforma, dei progetti legati alla lotta allo spreco alimentare nei ristoranti, con l’ideazione di alcuni “Gourmet bag”, delle confezioni in cartone riciclato da dare in dotazione ai ristoranti e da consegnare ai clienti, che possono così portare a casa l’eventuale cibo avanzato. Così dei giochi sostenibili in legno da proporre nei locali per i bambini. “Anche la nostra scuola di Bolzano ha partecipato con delle iniziative” spiega Wilfried Meraner “abbiamo lavorato molto sul riscaldamento della nostra scuola, arrivando ad ottimi risultati sulla riduzione degli sprechi. E ci siamo anche preoccupati di assicurarci che la scuola usi carta riciclata per le proprie esigenze”.
Tornando alla scuola Kafka di Merano, un altro aspetto molto importante è il forte legame con l’Economia del bene comune, come ci spiega Uta Tribus: “Nelle nostre quinte superiori, è obbligatorio imparare a stipulare il Bilancio dell’Economia del bene comune, fa parte del programma. In alcune classi vengono inviati alcuni Bilanci di alcune imprese, che realizzano già questo tipo di Bilancio, dove vengono analizzati. Il passo successivo è quello di andare direttamente nelle aziende per farci spiegare tutto il percorso necessario per realizzare il Bilancio, tappa che abbiamo già raggiunto con alcune classi. I ragazzi apprezzano e hanno capito che il Bilancio è lo strumento giusto per affrontare il futuro e per creare le solide basi di un’economia sostenibile”.