Scorie radioattive in Italia, dal 2020 il deposito unico nazionale

Le ultime informazioni sulla realizzazione del deposito nazionale delle scorie nuclearideposito-unico-scorie-radioattive-italia

Dovrebbe iniziare nel 2020 e terminare nel 2024 la costruzione del deposito unico nazionale delle scorie radioattive in Italia. Il tema è chiaramente molto delicato e i fattori e gli elementi in gioco sono davvero tanti: in primis ovviamente l’aspetto sicurezza; c’è poi il dibattito politico (con alcuni ritardi strategici per aspettare di superare l’Election Day); il confronto tra le parti in campo e le popolazioni locali; l’ipotesi (per ora improbabile) del coinvolgimento di altre nazioni europee per un deposito comune dell’UE. Le centrali nucleari italiane sono spente. Ciò però non significa che il nostro paese non abbia dei rifiuti radioattivi, per ora sparsi in diversi (24) centri temporanei. Inoltre stanno per ritornare da Francia e Inghilterra delle scorie ad alta attività. La faccenda deposito è gestita dalla Sogin, la società dello Stato italiano responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari e della messa in sicurezza delle scorie. E’ la Sogin ad aver realizzato la Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), affidandola poi ai ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, che dovranno prendere la decisione finale sul luogo dove verrà edificato il deposito. La Cnapi non è stata pubblicata, ma si conoscono le linee guida alla base della sua realizzazione. Il luogo prescelto dovrà essere fuori da aree sismiche, zone soggette a frane, zone protette. Non dovrà essere sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri, a meno di 5km dal mare, a meno di 1km da fer­ro­vie o strade di grande impor­tanza, vicino alle aree urbane e ai fiumi. Secondo quelle che al momento sono solo indiscrezioni, la Sardegna potrebbe essere la regione scelta per ospitare il deposito. Quando il Governo renderà nota la scelta, è facile immaginare che scatterà un braccio di ferro tra la Regione designata e il Governo stesso, per un deposito che per ovvi motivi nessuno vuole avere in casa. Due sono i tipi di componenti che conterrà il deposito: 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività (60% prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari, 40% prodotti dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) e 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Ma è proprio necessario che questi rifiuti debbano rimanere in Italia? Per Ermete Realacci, presidente Commissione Ambiente della Camera, “è chiaro che la meta finale dei rifiuti ad alta attività deve essere ottenuta facendo un accordo con Paesi che hanno questo problema dieci, cento volte più di noi e che sono obbligati a gestirlo“. Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, spiega è necessario gestire separatamente i rifiuti nucleari ad alta attività: “Si tratta di piccole quantità che fortunatamente non produciamo più perché le nostre centrali nucleari sono spente. I rifiuti ad alta attività possono essere gestiti in un deposito internazionale a livello europeo“. La questione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari ritornerà prepotentemente al centro del dibattito politico e sociale solo a partire da metà giugno, dopo i ballottaggi delle elezioni amministrative, quando si aspetterà da parte del Governo Renzi la comunicazione del luogo prescelto.

Foto: Centrale elettronucleare Garigliano, da Wikipedia

Fonte: ecoblog.it

Fukushima, altre 300 tonnellate di acqua radioattiva nell’Oceano

La TEPCO ammette la fuoriuscita di altre 300 tonnellate di acqua radioattiva dalla centrale nucleare di Fukushima.JAPAN-NUCLEAR-DISASTER-ENVIRONMENT

La Tokyo Electric Power Co ha confermato una fuoriuscita di 300 tonnellate di acqua radioattiva dalla centrale nucleare di Fukushima, che, come è noto, è stata colpita dallo tsunami nel marzo del 2011. Non sono quindi solo 120 i litri di acqua sfuggiti al controllo, la stima iniziale è stata ottimista, perché in realtà, appunto sono 300 tonnellate. Si tratta del liquido che viene usato per raffreddare i reattori danneggiati. A ogni litro sono collegate emissioni di 80 bequerel, un livello altissimo e pericoloso, tanto che le autorità giapponesi che hanno competenza sul nucleare hanno classificato come incidente di livello 1 la fuga di acqua radioattiva. Il governo della Corea del Sud è molto preoccupato e vuole che da Tokyo spieghino questo sversamento.  Intanto la stessa TEPCO ha ammesso che molto probabilmente l’acqua ha contaminato il suolo, infatti sono state individuate delle pozzanghere con alti livelli di radioattività vicino ai bacini di stoccaggio dell’acqua. Già ieri la TEPCO ha dovuto comunicare un’altra grana con cui aveva avuto a che fare in questi giorni, ossia la contaminazione di due lavoratori. Due impiegati che erano in attesa dell’autobus all’esterno del centro operazioni, dove i livelli di radioattività sono bassi e non si usano le maschere per il viso, sono risultati contaminati, ma le particelle radioattive sono state eliminate dai loro corpi prima che lasciassero l’impianto. Dopo accurati esami è emerso che non c’è stata una contaminazione interna. Lo stesso fatto era accaduto la settimana scorsa ad altri dieci lavoratori che probabilmente erano stati contaminati da particelle che provenivano da una pompa usata per rinfrescare lo staff a causa del caldo di questo periodo.

Fonte: Rainews24, Reuters

 

Scorie nucleari in 4000 pentole a pressione, l’annuncio in Francia

L’annuncio è vero e confermato: in Francia servono 4000 pentole a pressione in acciaio per stoccare scorie nuclearipentola-a-pressione-620x350

L’annuncio del Commissariat à l’énergie atomique è vero e confermato: in Francia servono 4000 pentole a pressione in acciaio per stoccare scorie nucleari. Le pentole, le cui specifiche richieste per la fornitura sono molto dettagliate, servono al sito nucleare di Is-sur-Tille in Côte-d’Or dove sono fabbricate le testate nucleari francesi ma tenuto sotto segreto militare. Le associazioni antinucleariste francesi sono allarmate poiché dicono che l’uso delle pentole a pressione per il trasporto delle scorie nucleari non è una novità: 4000 pentole a pressione da 17 litri ciascuna potrebbero trasportare 70 tonnellate di rifiuti solidi, ma cosa? uranio, plutonio, trizio? Alain Houpert presidente di Seiva associazione indipendente di valutare l’impatto ambientale e Senatore dell’UMP in Côte-d’or, è alla ricerca di maggiori rassicurazioni. Non conosce il perché della fornitura delle 4000 pentole a pressione né come saranno utilizzate ma essendo radiologo e ammette che effettivamente le pentole possono essere usate per stoccare scorie nucleari.

Fonte: France Info

Da Fukushima 300 tonnellate al giorno di acqua contaminata nel Pacifico, la stima ufficiale

Il governo Giapponese ha reso noto che ogni giorno, da due anni, dalla centrale di Fukushima Daiichi finiscono in mare 300 tonnellate pari a 300000 litri di acqua contaminatacontaminazione-fukushima-620x350

Ebbene quel che si temeva è accaduto, l’incidente di Fukushima Daichi non è mai stato sotto il controllo della TEPCO. Ogni giorno, da quell’11 marzo 2011, data del terremoto e dello tsunami poi, sono stati sversati in mare ogni santo giorno 300 tonnellate di acqua contaminata da vari elementi radioattivi, tra cui lo stronzio. TEPCO sebbene sapesse ha sempre taciuto minimizzando al mondo il problema, probabilmente nel goffo tentativo di nascondere la sua imperizia e fors’anche di tenere in piedi la lobby del nucleare. Il premier del Giappone Shinzo Abe, nuclearista convinto, si è impegnato oggi a sostenere con gli sforzi del governo la perdita di acque radioattive nell’Oceano Pacifico per cui è stata dichiarata l’emergenza dalla RNA e ha ordinato al ministro dell’Economia, Commercio e Industria di agire con urgenza. Le perdite sono state stimate pari a 300 litri di acqua altamente contaminata da elementi radioattivi che si versa nell’oceano Pacifico ogni giorno. Secondo il governo anche se la TEPCO, la società che gestisce l’impianto nucleare di Fukushima Daiich,i prende tutte le misure necessarie per accelerare la decontaminazione del sito occorreranno almeno 40 anni e più di 8 miliardi di euro. Secondo un responsabile del ministero per l’Industria si inizieranno a pompare le acque sotterranee per limitare le perdite con l’obiettivo di ridurre quei 300 litri quotidiani giorno per giorno. Ma probabilmente questo obiettivo non sarà facile da raggiungere poiché già era stato dichiarato che la capacità di pompaggio si fermava a 240 litri al giorno. Appena sabato scorso il quotidiano giapponese Asahi Shimbun aveva reso noto che le acque della falde sotto la centrale stavano risalendo rapidamente e che entro tre settimane sarebbero esondate. TEPCO aveva reso immediatamente noto che era pronta a progettare muri di contenimento in cemento che purtroppo però sarebbero inutili avendo il livello delle acque già superato la possibile altezza. La soluzione immediata adottata da Tepco consiste nell’iniettare nel suolo sostanze che lo rendano più solido per impedire che l’acqua appunto fuoriesca, ma non si crede molto in questa possibilità.

Fonte: Les Echos

Trasferimento di scorie in Basilicata, imprecisa la spiegazione di Sogin: restano tanti punti oscuri

300 agenti hanno scortato un convoglio partito all’alba di ieri dalla Itrec di Rotondella (Mt): forse scorie nucleari dirette all’aeroporto militare di Gioia del Colle?centro_trisaia_di_rotondella-586x392

La versione della Gazzetta del Mezzogiorno

Secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno il comunicato della Sogin non riporta propriamente la verità (ciò non significa che riporti falsità, solo che è l’ennesimo incompleto tassello nella vicenda); secondo la Gazzetta il materiale trasportato in gran segreto, e con uno spiegamento di forze incredibile, da Rotondella a Gioia del Colle è in realtà nitrato di uranile, pare pochi grammi, un sale di uranio attraverso il quale si realizza la preparazione dell’esafluoruro di uranio nell’ambito della produzione di combustibile nucleare. Il nitrato di uranile è il risultato delle operazioni di riprocessamento condotte al centro Trisaia di Rotondella sulle ormai famose barre di uranio provenienti dal reattore Elk River del Minnesota, Stati Uniti. A causa della totale opacità di questa operazione, della quale nemmeno gli enti locali erano stati avvertiti, la Regione Basilicata ha convocato per venerdi prossimo il Tavolo della trasparenza sulle questioni nucleari, che il presidente De Filippo non convocava da due anni. C’è anche da chiedersi: a fronte delle informazioni inesistenti, dei dubbi sui materiali custoditi nel centro Trisaia di Rotondella e dei segreti che aleggiano attorno a quella zona, esiste un piano di evacuazione della popolazione in caso di incidente? Esiste un’informazione periodica dettagliata agli enti pubblici sui materiali contenuti nel centro? Esistono monitoraggi ambientali sulla radioattività nell’area della Trisaia? Perchè questi non sono mai stati resi pubblici?

Sogin: “rimpatriati materiali USA”

Aggiornamento 30 luglio 2013, ore 19:22 – Il clamore sollevato sul mistero del trasporto notturno di scorie nucleari dalla Sogin di Rotondella (Mt) all’aeroporto di Gioia del Colle (Ba), scortato da 300 agenti di polizia, parrebbe così risolto: è la stessa Sogin, in un breve comunicato stampa, a svelare l’arcano:

“In ossequio agli impegni presi dall’Italia in occasione del Vertice sulla Sicurezza Nucleare svoltosi a Seoul nel marzo del 2012, si è concluso oggi il rimpatrio negli Stati Uniti di materiali nucleari sensibili di origine americana, che erano custoditi in appositi siti sul territorio nazionale per attività di ricerca e di sperimentazione.
Il rimpatrio di tale materiale negli USA si inquadra nell’ambito dell’Accordo internazionale tra Stati Uniti e Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM) concernente l’utilizzo dell’energia nucleare a scopi pacifici.”

Il riferimento è agli 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale statunitense Elk River, importanti in Basilicata tra il 1965 ed il 1970.

Basilicata, le scorie nucleari si muovono di notte in gran segreto

Nella notte silenziosa della Basilicata tra il 28 ed il 29 luglio (alle 3 del mattino) un convoglio carico, si teme, di scorie nucleari è uscito dalla Sogin/Itrec di Rotondella (Mt), scortato da 300 agenti (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza): a bordo del “trasporto speciale” un grande mistero, trasportato in tre ore all’aeroporto militare di Gioia del Colle (Ba). La statale 106 Jonica è stata completamente ed abilmente presidiata dai 300 agenti di scorta, uno spiegamento di forze decisamente ingente in una regione piccola ed inoffensiva come la Basilicata che ha inevitabilmente reso evidente l’importanza del trasporto e della materia trasportata, su cui si sta tenendo uno strettissimo riserbo. Ciò che è certo, ovverosia non coperto dal Segreto di Stato, è che l’impianto Itrec è ubicato all’interno del Centro Enea Trisaia di Rotondella (MT) ed è stato costruito tra il 1965 e il 1970 dal Cnen (Comitato nazionale per l’energia nucleare). La Sogin, tra il 1969 e il 1971, in seguito ad un accordo tra il Cnen e la statunitense USAEC (United States atomic Energy commission) ha aperto le porte del centro ed accolto a tempo indeterminato ben 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale statunitense Elk River.

Secondo la Ola (Organizzazione Lucana Ambientalista) i dubbi che si tratti di materiale radioattivo sono molto pochi:

“[…] materiale radioattivo di cui se ne chiede di conoscere tipologia e quantità sarebbe stato traslocato da o per il centro Itrec di Rotondella verso o da l’aeroporto militare di Gioia del Colle. La Ola, come più volte denunciato, paventa la possibilità che ciò potrebbe preludere alla trasformazione del centro della Trisaia di Rotondella in deposito provvisorio delle scorie radioattive. Quanto accaduto questa notte palesa l’intenzione di procedervi lasciando all’oscuro le amministrazioni comunali ed i cittadini.”

Cosa, questa, in parte già esplicitata nel 2010, quando Nicola Maria Pace(ex procuratore capo di Matera), audito dalla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti dichiarò:

“[…] Mi riferisco alla giacenza per quanto riguarda l’impianto ITREC di Rotondella di 2,7 tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta attività giacenti in strutture ingegneristiche di contenimento, che già vent’anni fa avevano mostrato i segni dell’usura ed erano già «scaduti», secondo il gergo tecnico utilizzato in sede di analisi di rischio, e che, essendo stati corrosi e avendo manifestato cedimenti strutturali, avevano dato luogo ai tre rilevanti incidenti nucleari. […]
L’ENEA ha sempre menato le cose per le lunghe immaginando una forma di solidificazione per cementificazione, ma all’epoca feci una consulenza per dimostrare al più alto livello scientifico possibile che la cementificazione non solo determinava un abnorme aumento dei volumi, fatto da evitare in materia di gestione del nucleare, ma esponeva i materiali al fenomeno del dilavamento, quindi a una possibilità di propagazione nell’ambiente.”

Una situazione drammaticamente descritta nel libro “La Peste Italiana – Il caso Basilicata” di Maurizio Bolognetti. Questa volta, è facile immaginare altri trasferimenti simili in passato, il trasloco non è passato inosservato agli ambientalisti (talvolta definiti “terroristi” nella Regione della remissione di tutti i peccati ambientali), che si sono immediatamente attivati per chiedere delucidazioni sul tema, invocando un sacrosanto principio di trasparenza (a maggior ragione quanto trasferiscono rifiuti nucleari nottetempo passandoti sotto la finestra di casa). Tutti, dallo stesso Bolognetti alla Ola, dal Comitato No Scorie Trisaia al M5s, si sono appellati al sottosegretario agli interni, il lucano Filippo Bubbico, chiedendo chiarimenti in materia:

“[…] vorremmo chiedere cosa hanno trasferito, nottetempo, dalla Trisaia di Rotondella all’aeroporto di Gioia del Colle o – e la cosa sarebbe di certo ancora più preoccupante per noi lucani – da Gioia del Colle alla Trisaia. E di domande senza risposta sulla Trisaia e su tutto quello che è ruotato attorno a quel centro ne abbiamo fatte tante e tante ancora vorremmo farne. Qualcosa ci ha raccontato la buon’anima del dott. Nicola Maria Pace. Resta di certo il mistero del Capitano Natale De Grazia, deceduto in circostanze misteriose. Ma anche quello, mistero era e mistero resterà.”

si chiede Bolognetti in un comunicato: una linea simile tenuta anche dalle associazioni, dai comitati, dai molti cittadini di Basilicata oramai stanchi dei silenzi istituzionali, delle perle ai porci dei bonus benzina e della situazione di degrado ambientale che attanaglia questo meraviglioso territorio.

Fonte: ecoblog

 

Fukushima, a due anni dal disastro nessuna compensazione per le vittime

A due anni dal disastro nucleare a Fukushima la situazione è ben lungi dall’essere stata risolta. Da Greenpeace i report con tutti i dati: “ancora nessuna compensazione per le vittime”. E intanto Legambiente promuove l’appello lanciato da un gruppo di donne giapponesi e invita tutti a inviare messaggi di solidarietà su Twitter.

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Due anni fa, l’11 marzo 2011 si verificava il disastro di Fukushima, il secondo più grave della storia dell’industria nucleare dopo Cernobyl. Sono 160 mila i cittadini che sono stati evacuati forzatamente e decine di migliaia quelli che lo hanno fatto volontariamente. Vite distrutte, senza che ancora una sola persona abbia avuto una compensazione adeguata per i danni sofferti. A loro sono dedicate le iniziative intraprese in questi giorni da Greenpeace in varie parti del mondo. Secondo il nuovo rapporto di Greenpeace “Fukushima Fallout” non solo la responsabilità civile di chi fornisce le tecnologie nucleari è pari a zero – dunque chi ha fornito i reattori o le componenti tecnologiche non è legalmente chiamato a rispondere in caso di incidente – ma paradossalmente due delle imprese che hanno fornito le tecnologie che hanno contribuito a provocare l’incidente – Toshiba e Hitachi – sono coinvolte nelle operazioni di bonifica, dunque lucrano su un incidente di cui sono in qualche modo corresponsabili.

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A fronte di un danno stimato fino a 169 miliardi di euro, è stata nazionalizzata l’azienda proprietaria dell’impianto: a pagare il conto saranno i contribuenti giapponesi. Se guardiamo le convenzioni sulla responsabilità civile in campo nucleare, vediamo che o esistono limiti molto ridotti alle compensazioni cui è tenuta l’azienda esercente dell’impianto oppure di fatto non esistono strumenti finanziari di protezione. Nel caso di catastrofe nucleare a pagare sono i cittadini, sia in termini di salute e distruzione delle loro vite che economici. A Fukushima la situazione è ben lungi dall’essere stata risolta: la catena alimentare contaminata, enorme la quantità di rifiuti radioattivi provenienti dalle operazioni di bonifica (29 milioni di metri cubi), lunghi i tempi e i costi dello smantellamento dei reattori, la cui situazione è tuttora precaria con grandi quantità di acqua radioattiva di raffreddamento da dover stoccare. In Europa, il progetto del reattore nucleare francese EPR – che doveva coinvolgere anche l’Italia con quattro reattori – ha finalmente rivelato il suo costo: 8,5 miliardi di euro – non i 3,2-3,5 con cui era stato proposto in Finlandia e poi in Italia propagandato da Enel, che è di recente dovuta uscire dal progetto di Flamanville in Francia per i costi esorbitanti. L’azienda francese EDF per costruire reattori nel Regno Unito chiede un acquisto garantito dell’elettricità per 40 anni a un prezzo circa doppio di quello attuale. Un sussidio economico che dura persino più di quello concesso alle rinnovabili. L’industria nucleare dunque non solo non paga per i danni che provoca, ma è un vicolo cieco dal punto di vista delle prospettive future. Esistono alternative più sicure e pulite su cui basare un futuro sostenibile.

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Intanto Legambiente promuove l’appello lanciato da un gruppo di donne giapponesi e invita tutti a inviare messaggi di solidarietà su Twitter, con l’hashtag #rememberFukushima e su http://www.acandleforfukushima.com. “A due anni dal disastro di Fukushima – dichiara in una nota l’associazione – mentre 160 mila persone sono ancora costrette a vivere lontano da casa per le radiazioni (e molte non ci torneranno mai più), il governo giapponese vuole riaccendere le centrali atomiche, riaprire quelle spente in seguito al disastro di Fukushima e realizzarne di nuove”. Nel secondo anniversario della tragedia nucleare giapponese, Legambiente si unisce quindi all’appello delle donne di Fukushima contro le centrali perché, come recita l’appello: “Nessuna dichiarazione di cessato allarme del governo né la sua promessa dell’energia nucleare più sicura del mondo potrà mai restituirci le vite perdute, le famiglie frammentate, gli amici strappati, le abitazioni, il lavoro, la salute e la pace interiore devastati, né la nostra amata Fukushima….”. Gli italiani con il referendum del 2011 hanno espresso chiaramente la loro volontà contro l’utilizzo dell’energia nucleare. Ma l’impegno italiano non può fermarsi entro i nostri confini: è importante continuare a lottare fino a quando l’ultima centrale nel mondo sarà spenta. Per questo, nel secondo anniversario del disastro di Fukushima, Legambiente, insieme a ‘Semi sotto la neve’, aderisce e promuove in Italia l’appello delle donne giapponesi e invita tutti a far arrivare un messaggio di solidarietà ai bambini, alle donne e agli uomini di Fukushima che continuano a soffrire, e a tutto il popolo giapponese, con l’augurio che anche loro possano liberarsi presto delle loro pericolose centrali nucleari.

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“Le alte concentrazioni di cesio 137 rinvenute nei giorni scorsi nei cinghiali in val Sesia mostrano inequivocabilmente la durata nel tempo e la gravità dei danni del nucleare – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza-. Continuare a percorrere la strada dell’atomo oggi risulta illogico, vista la possibilità di utilizzare le nuove tecnologie rinnovabili in grado di sostituire in modo più sicuro e pulito le centrali nucleari e di condurci sulla via dell’uscita anche dalle fonti fossili”. “La tragedia nucleare di Fukushima – spiega Angelo Gentili, responsabile nazionale Legambiente solidarietà – ha molte similitudini con l’incidente avvenuto ventisei anni fa a Chernobyl. Non soltanto per la mancanza di informazioni nei confronti delle popolazioni locali e per la mancanza di un monitoraggio costante sulla presenza delle radiazioni, ma anche per la diffusa contaminazione e la dissennata e inconcepibile scelta di continuare a utilizzare l’atomo senza un forte e significativo segnale di tutela della salute dei cittadini. Questo dimostra che occorre una pressione molto forte da parte dei movimenti antinuclearisti di tutto il mondo per fare chiarezza e cercare di arrestare questa scelta inconcepibile”.

Fonte: il cambiamento

Treno con scorie radioattive passa stanotte da Torino direzione Francia.

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Proprio nel giorno del secondo anniversario dell’incidente nucleare di Fukushima un treno con scorie nucleari attraverserà il Piemonte per dirigersi verso La Hague, in Francia, nel centro di stoccaggio delle scorie nucleari Cogema.

Legambiente non ha fatto attendere la replica:

Nella totale assenza di comunicazioni ufficiali da parte dei sindaci e delle prefetture, questa notte sarebbe prevista la partenza di nuovo treno carico di scorie nucleari. Un convoglio che da Vercelli raggiungerebbe La Hague in Francia, percorrendo tutto il territorio piemontese e coinvolgendo, tra le altre, le cittadine di Novara, Alessandria, Asti, Torino per poi raggiungere la Valsusa e il Frejus.

Per il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani

i cittadini ancora una volta, contrariamente a quanto previsto per legge, rimarranno ignari del pericolo e non informati sui piani d’emergenza per la loro messa in sicurezza. Davvero un modo paradossale di commemorare il secondo anniversario della tragedia nucleare di Fukushima.

All’Italia manca un deposito nazionale definitivo e, attualmente, l’unica soluzione è trasportare le scorie nucleari da un deposito all’altro (come, nello specifico, quello di Saluggia) per proseguire con riprocessamenti che rappresentano un rischio ambientale e dei costi notevoli.

Fonte: Comunicato stampa