Il casale in Cilento che è scommessa di resilienza

Amedeo ha 37 anni e, dopo essersi innamorato di un luogo in cui ha avvertito l’energia che cercava, ha messo in piedi una fattoria bioecologica nel basso Cilento. Ecco cos’è oggi il Casale Il Sughero.9462-10200.jpg

Lui è Amedeo Trezza, ha 37 anni, è dottore di ricerca in semiotica del paesaggio, ma soprattutto è fondatore e anima del progetto ‘Casale il sughero’, piccola fattoria bioecologica a Vibonati nel Basso Cilento, in un’area contigua al Parco del Cilento e Vallo di Diano, sul Golfo di Policastro, in provincia di Salerno.

«Dopo alcuni anni di ricerca universitaria e al contempo di lavoro dipendente, a partire dal 2006 decisi di riprogettare la mia vita altrove, non più in città e soprattutto secondo una visione del mondo (nata in ambiente accademico ma poi maturata a contatto con la terra) totalmente alternativa al paradigma esistenziale e produttivo in cui si è comunemente inseriti» spiega Amedeo.

«Così decisi di utilizzare le mie esperienze pregresse mettendole a disposizione della nuova scommessa che mi accingevo a giocare».

«Cercavo un luogo abbandonato da recuperare e girando prima in bicicletta e poi in auto scoprii un terreno in Cilento con un rudere che a stento si intravedeva tra la vegetazione; decisi subito di iniziare da lì. Per fortuna l’area rurale non era servita da acquedotto e quindi la prima opera da realizzare fu un pozzo artesiano per cercare l’acqua. Trovata l’acqua potei iniziare a immaginare un recupero possibile del luogo. All’inizio sembrò casuale quel rudere in quel posto lontano da tutto, ma pian piano iniziai a imparare a leggere il territorio e a decodificarne il suo linguaggio e mi resi conto che quel rudere era in quel punto per motivi ben precisi: roccia affiorante su cui era stato costruito, strada di passaggio che era una vecchia mulattiera di collegamento tra le aree interne e il mare per le transumanze stagionali, presenza di accumulo stagionale di acque superficiali. Scavando poi nella memoria del paese a valle, capii che quel terreno era stato nei decenni addietro una importante vigna e infatti pian piano sono emersi terrazzamenti in parte crollati. Quindi quel luogo, originariamente luogo di sosta e transito di armenti, era stato poi in epoca recente (fino a dopo la seconda guerra) bottaio della vigna. Per decenni abbandonato fino a che non arrivai io e iniziai il recupero in chiave abitativa oltre che produttiva».

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«Ascoltando la natura – prosegue Amedeo – capii subito che bisognava lavorare recuperando con i materiali locali, ovvero pietra e legno. Dopo una impegnativa ristrutturazione realizzai anche il primo impianto di fitodepurazione privato attivo della provincia di Salerno e affidai alla legna e al sole il compito di riscaldare la casa e l’acqua, riducendo al minimo l’utilizzo di energia non rinnovabile.  La piccola fattoria che oggi ho dimostra che è possibile lasciare la città per la campagna tornando alla coltivazione della terra, alla cura degli animali, alla gestione del bosco e all’ospitalità rurale. Casale Il Sughero ha vinto anche nel 2015 il premio nazionale “Recupera/Riabita” promosso dall’associazione “Piccoli Paesi”».

«L’idea e la pratica di ospitalità rurale qui significano accoglienza in casa di viaggiatori sensibili e alla ricerca di se stessi anziché un luogo da consumare, un’ospitalità che fa del cibo come prodotto della terra un vero e proprio linguaggio di conoscenza e decodifica della identità dei luoghi, una accoglienza a impatto ambientale limitatissimo che preserva e valorizza il territorio anziché mortificarlo: il turismo che consuma cadaveri (paesi e paesaggi finti creati ad hoc per l’industria del turismo) non abita qui. Chi viene qui non trova tv ed aria condizionata ma una vista sul mare e il pane fresco sfornato, non trova la pasticceria raffinata ma il latte di capra e la marmellata del giorno prima, non trova lenzuola di raso e acqua bollente ma profumo di legna e un fiore sul letto, non trova un sorriso di plastica ma una fronte sudata e una mano sporca di terra».

«Infatti Casale Il Sughero è soprattutto un gesto simbolico, casa radical-concettuale, un progetto filosofico e sociale che si pone come obiettivo il recupero del rapporto simbiotico e “bastevole” tra uomo-natura-territorio, che ritengo sia l’alternativa al modello di sviluppo improntato al consumo e una risposta funzionale che superi in maniera costruttiva il concetto di decrescita. Un ritorno alla terra e la volontà di riabitare luoghi abbandonati come scelta di vita da condividere per realizzare un nuovo equilibrio socio-economico e una nuova armonia con l’ambiente e con se stessi, all’insegna della gestione sostenibile delle risorse».

«Un gesto di fondazione – prosegue ancora Amedeo – recuperare un angolo abbandonato di territorio rurale a nuova urbanità possibile e riabitarlo facendolo un piccolo punto di presidio per una nuova esistenza è stato ed è per me una continua scommessa di resilienza e di incontro amoroso possibile con l’altro. È per questo che essendomi messo io stesso in viaggio interiore e quotidiano verso l’Altra Città, ho deciso di aprire le porte di questo luogo ai viaggiatori temporanei – affidando loro una scommessa di contemporaneità – che vogliono conoscere a loro volta un ‘altro’ modo di interpretare lo stare al mondo, un po’ ‘laterale’ e per questo più rischioso ma di certo più affascinante».

«È in questo spirito dunque che qui al Casale l’accoglienza smette di essere una categoria merceologica e diventa incontro e scambio, l’autoproduzione di beni primari diventa condivisione di beni di relazione e così l’incontro diventa finalmente vera occasione di esercizio di reciprocità. Il turismo viene dopo».

Si coltivano orti sinergici e frutta antica, con particolare attenzione al recupero di semi e cultivar antiche a rischio di estinzione; si pratica un piccolo allevamento di animali da cortile e da pascolo e non ultima la cura delle piante spontanee tipiche della macchia mediterranea. Vengono periodicamente attivati anche laboratori di sostenibilità di panificazione naturale con grani autoctoni, autoproduzione di saponi naturali, recupero della lana, caseificazione naturale del latte di capra, trasformazione dei prodotti dell’orto in conserve e confetture, attività educative per bambini, autocostruzione con materiali naturali e di recupero. Il casale ospita inoltre numerosi volontari italiani e stranieri all’interno di diversi progetti di scambio e formazione.

«Casale Il Sughero è quindi luogo stanziale in quanto persistenza e presidio sul territorio – conclude Amedeo – ma al contempo anche luogo di nomadismo interiore: Casa in Cammino, in quanto luogo dell’anima che è in costante cammino interiore e sempre aperto a infinite nuove possibili…rifondazioni».

Fonte: ilcambiamento.it

Bike messenger, Ecomilano Express scommette sul trasporto in bicicletta

Le consegne a impatto zero possono diventare un business con interessanti margini di guadagno per le imprese più lungimiranti.

Dal 1° settembre Milano Express e Orobici, due società di consegne a domicilio in bicicletta con sede nel capoluogo lombardo e a Bergamo hanno dato vita a Ecomilano Express, una società che ambisce a diventare il primo Ucc (Urban consolidation center) d’Italia, ovverosia l’hub in cui i trasportatori consegnano i pacchetti che vengono successivamente distribuiti con veicoli ecologici e a impatto zero. Si tratta di un modello che calza a pennello all’Italia Paese con ben 70 città con una popolazione compresa fra 60mila e 120 mila abitanti ovverosia un “taglio” molto consono agli spostamenti in bicicletta e 103 città dotata di Ztl. Secondo quanto dichiarato da Luca Mortara di Elettronlt-Elettroventures a L’Espresso, la logistica a impatto zero potrebbe raggiungere un giro d’affari di 80-100 milioni nel giro di cinque anni impegnando un parco di mezzi a emissioni zero del valore di 20 milioni di euro. Uno studio dell’Unione Europea afferma che la metà delle merci potrebbe arrivare a destinazione in bicicletta: per le esigenze di una città di 200mila abitanti sono sufficienti una trentina fra furgoni, cargo scooter e cargo bikes. La cargo bikes utilizzate da Ecmilano costano fra i 4 e i 5mila euro e possono trasportare 100 chili di merce al giorno per circa 250-280 giorni l’anno, se si stima in tre anni il ciclo di vita della bici il costo di trasporto per ogni chilo di merce è di 6 centesimi di euro. La differenza fra questi 6 centesimi e la tariffa di consegna di un pacco da un chilo finisce nelle tasche dell’azienda e dei lavoratori. Oltre all’impatto zero ci sono spese vive prossime allo zero. A Milano l’assessore alla Mobilità, Pier Francesco Maran, ha capito che la politica deve fare la sua parte: con l’introduzione dell’area C i mezzi con i motori a combustibile pagano, quelli elettrici no. Nel Nord Europa i dati sulle consegne in bicicletta sono decisamente incoraggianti, in Italia si insegue e l’impressione è che, nonostante i progressi a singhiozzo, la nostra corsa sarà sempre il paradosso di Achille e la tartaruga: quando avremo raggiunto quello che oggi è un modello, il modello starà già facendo qualcosa e lo starà facendo meglio.Immagine-620x522

Fonte: L’Espresso