Lavorare meno e vivere meglio: ecco come fare

Il lavoro deve essere uno mezzo per raggiungere benessere e prosperità, non un fine o uno strumento di controllo. Lavorando meno, inoltre, è possibile raggiungere risultati migliori. Ne è convinto Fabrizio Cotza, imprenditore “sovversivo” e membro del gruppo di ambasciatori di Italia Che Cambia, che sta sperimentando questo nuovo approccio nella sua vita lavorativa. Fabrizio Cotza è un imprenditore sovversivo, di nome e di fatto. Mettendo al primo posto le persone e il tempo, usando il lavoro come un mezzo e non come un fine, sovverte il modello economico e occupazionale che ci è stato imposto. È anche uno dei cento ambasciatori che hanno partecipato alla stesura della Visione2040, recentemente pubblicata nel libro E ora si cambia.

Secondo lui, così come secondo altri economisti e imprenditori fuori dalle righe di cui abbiamo parlato su queste pagine, è possibile lavorare meno e dedicarsi di più a ciò che conta nella vita, senza rimanere schiavi della propria professione. Per farlo, ha ideato un metodo molto particolare…lavorare-meno-2

Ci puoi spiegare l’idea del 4-3-7?

È molto semplice, anche se per adesso attuabile solo per chi è imprenditore o libero professionista. Consiste nel lavorare 4 giorni a settimana, 3 settimane al mese e 7 mesi all’anno, senza intaccare le proprie entrate economiche, ovvero senza dover abbassare il proprio stile di vita.

L’hai già sperimentata? Con che risultati?

Fino a otto anni fa avevo uno stile di vita completamente diverso, ovvero stavo praticamente sempre al lavoro, tranne due settimane di vacanza l’anno (a Natale e Ferragosto) e le tradizionali feste comandate. Poi ho avuto una vera e propria crisi di rigetto e dopo un anno sabbatico ho deciso di impostare diversamente la mia vita, lavorando di qualità più che di quantità. Purtroppo questa cultura manca e si pensa che passare tante ore in ufficio o in azienda sia la soluzione a tutti i problemi, mentre è esattamente il contrario: se non ti fermi mai perdi di lucidità e diventi meno efficiente, fino addirittura a diventare dannoso. Io da quando ho ridotto le ore lavorate ho aumentato i risultati e ogni anno tolgo “quantità” aggiungendo “qualità”, in quello che ho chiamato il “Circolo Virtuoso Sovversivo”. Sovversivo perché va contro tutto quello che ci viene insegnato sin da piccoli e in piena controtendenza con il culto dominante del “duro Lavoro”.

Pensi che sia possibile rifondare non solo la pratica ma anche l’idea di lavoro, con l’obiettivo di realizzare l’auspicio di Francesco Gesualdi “lavorare meno, lavorare tutti”?

Credo che tutto nasca dallo scopo che ci diamo e dai valori che ci guidano. Se il valore dell’essere umano è determinato solo dal suo successo esteriore questo modello non potrà mai essere diffuso, poiché servirà sempre una massa inconsapevole che si sacrifichi per i pochi che godono di questo status quo. Bisogna diventare sovversivi e ricordarsi che il lavoro non è il fine ma uno strumento per migliorare la propria qualità di vita. Nel momento in cui questo non accade significa che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella cultura di una società moderna.lavorare-meno-3

Molte persone sono schiave del lavoro, alcune per motivi economici altre per via di un radicamento eccessivo a una cultura del lavoro traviata. Quale delle tue categorie si trova nella situazione peggiore a tuo avviso?

Purtroppo qui generalizzare diventa pericoloso, perché dipende molto dal singolo individuo. Io credo che ci siano momenti della vita in cui ha senso impegnarsi molto e fare dei sacrifici, soprattutto quando si è giovani. Quello che non è normale è continuare a farlo tutta la vita, per obbligo o per scelta. Se superi i quarant’anni senza aver migliorato la qualità del tuo lavoro significa che in realtà non ti sei evoluto e quindi devi sopperire con la quantità di tempo. Questo è un concetto difficile da accettare, ma l’ho vissuto sulla mia stessa pelle. E poi ci sono i drogati da lavoro, quelli che vorrebbero sempre di più e che quindi non troveranno mai pace. E sono queste persone che io aiuto, con un percorso di vera e propria disintossicazione, come si fa per chiunque sia dipendente da qualcosa. Infine c’è semplicemente chi, da dipendente, finisce in un’azienda in cui il valore umano non esiste e si cerca solo la produttività sfrenata che generi utili sempre maggiori. Devo dire che questo avviene molto più spesso nelle grandi aziende, rispetto alle PMI. In questo caso parliamo di sistemi malati, che purtroppo stanno fagocitando sempre più una sana cultura del lavoro, basata sul rispetto dell’individuo.

È possibile oggi fare impresa in Italia in maniera etica ed ecologica, rispettando l’ambiente, i lavoratori e la dignità umana in generale?

Ai titolari di PMI dico: questa è la tua unica possibilità per salvarti. Adottando i sistemi delle grandi aziende si viene stritolati, perché loro possono puntare tutto sulla quantità, quindi sui prezzi bassi e sulle economie di scala. Se tu sei a capo di una micro o piccola azienda devi adottare un approccio completamente opposto, basato sulla qualità del lavoro, il quale genera qualità di prodotti e di servizi. Ci sono innumerevoli studi, soprattutto su aziende scandinave, che testimoniano il fatto che adottando ritmi più lenti, facendo maggiori pause durante il lavoro e togliendo stress nel proprio ambiente, i risultati migliorano enormemente. A tutto vantaggio dell’azienda stessa e di chi ci lavora. Lo stesso dicasi per il rispetto dell’ambiente e del territorio in cui si opera. La benevolenza, ad esempio, è un fattore oggi strategico che molte imprese purtroppo ignorano.lavorare-meno-1

Conosci alcuni casi di “imprenditori illuminati” che stanno cambiando il paradigma introducendo nuovi modelli (homeworking, orario flessibile ecc.)?

Ne conosco tanti e la quasi totalità dei miei clienti storici adotta da tempo questo approccio con risultati eccellenti, che loro stessi testimoniano sul nostro sito di Imprenditori Sovversivi. Ma se vogliamo parlare di aziende note mi viene in mente l’amico Niccolò Branca, CEO della famosa azienda di distillati, il quale ha introdotto la meditazione e lo yoga in azienda (in orario di lavoro, sia chiaro) ottenendo benefici incredibili in termini di costi legati alle carenze qualitative, quindi meno errori e meno sprechi. Purtroppo non si parla molto di questi modelli “sovversivi” perché andrebbero davvero a destabilizzare lo status quo, rendendo realmente competitive le nostre piccole e medie imprese, a tutto svantaggio delle multinazionali. È su questo terreno che si giocherà il nostro vero futuro, anche se in pochi ne hanno consapevolezza. Quindi, come sempre, dobbiamo partire da noi, dal nostro approccio al lavoro e alla vita, per poi diffondere questo modello più sano a tutti coloro che ci gravitano attorno. Questa è l’unica vera rivoluzione possibile.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/lavorare-meno-vivere-meglio-ecco-come-fare/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Tempo di Vivere, un villaggio ecologico per costruire il futuro

Nel cuore dell’Emilia si trova Tempo di Vivere, una comunità di persone che condividono un obiettivo: costruire un nuovo modello di società che sia sostenibile, resiliente e incentrato sulle relazioni umane. Hanno affittato un terreno con un casale, organizzano corsi e laboratori e stanno creando un tessuto solidale con gli altri attori del territorio.

Un ecovillaggio, un co-living, una comune, un centro di formazione. Tempo di Vivere è tutto ciò, eppure è qualcosa di ancora diverso. È un casale vecchio e incantevole, situato su un promontorio che domina per chilometri la pianura padana. È un luogo di sperimentazione dove vengono messe in pratica nuove idee per un futuro sostenibile. Ma soprattutto, è un gruppo di persone che vuole dimostrare che è possibile vivere e crescere insieme, come individui e come comunità, per costruire un mondo migliore. Siamo andati a trovarli sulle colline modenesi per farci raccontare la loro storia.

Quella che abbiamo trovato a Tempo di Vivere è una rara miscela di spiritualità e pragmatismo. Da un lato, una piccola comunità che mette al centro la persona e le relazioni, le emozioni, le necessità, i dubbi e le speranze di ognuno. Senza giudicare, con semplicità e affetto. Dall’altra, un’iniziativa che vuole fornire strumenti concreti per costruire un nuovo modello, interagendo con il territorio e coinvolgendo i cittadini per generare una massa critica.

Il progetto, a partire dal nome, nasce da un percorso arduo e doloroso del fondatore, Antonio: «Dopo un periodo difficile della mia vita, ho avuto tanto tempo a disposizione per riflettere grazie all’ospitalità di un amico. Stando da lui ho capito il significato dell’accoglienza, del volersi bene, dell’essere accettato e ho deciso di ricreare la stessa esperienza. Il nome deriva dalla sofferenza che ho attraversato e dalla decisione che ho preso: vivere o morire? Io ho scelto di vivere».tempodivivere4-1024x589

Dopo anni di ricerche, il gruppo – che nel frattempo era diventato più folto – ha trovato la sua casa in affitto fra le colline modenesi. «Questo territorio è molto particolare, qui nacquero le prime comuni agricole», ricorda Ermanno, un altro membro di Tempo di Vivere. «C’è curiosità, molti vengono a trovarci per vedere cosa facciamo. Vogliono capire se è possibile vivere in modo sostenibile anche normalmente, senza essere “strani” o isolati, e trovare delle risposte nella propria quotidianità».

Già, perché le attività dell’ecovillaggio sono fortemente proiettate verso l’esterno: «Organizziamo molti corsi e i partecipanti arrivano da tutta Italia. Uno che abbiamo fatto recentemente e che riproporremo anche in futuro è quello per imparare a realizzare una food forest, ovvero un piccolo boschetto o giardino di piante commestibili ed erbe medicinali. Ma le tematiche degli incontri sono le più disparate: permacultura, downshifting, cucina naturale, rimedi naturali, thermocompost, autocostruzione, scollocamento e tanti altri».tempodivivere8

I workshop sono un momento importante, sia dal punto di vista relazionale che da quello pratico. Ciascun partecipante porta le proprie competenze e il proprio punto di vista, arricchendo tutto il gruppo. Inoltre, è un aiuto importante per sperimentare e realizzare opere che senza il contributo degli altri non ci sarebbero, come per esempio il forno in terra cruda o la cupola geodetica, entrambi costruiti durante dei laboratori.

Un altro degli obiettivi di Tempo di Vivere è raggiungere l’autosufficienza: «Ci autoproduciamo pane, pizza, marmellate, conserve, seitan e tutto ciò che riusciamo a fare da soli», spiega Ermanno. «Abbiamo avviato un orto sinergico, ma vogliamo sperimentare anche altre tecniche di coltivazione. Per quello che non riusciamo ad autoprodurre, abbiamo in programma di fondare un gruppo d’acquisto solidale, poiché la mole di approvvigionamenti che ci serve è ingente e non riusciremmo a entrare in uno già esistente».tempodivivere5-1024x604

L’elemento dell’accoglienza e dell’apertura verso l’esterno è ricorrente. Grazie a open days organizzati con regolarità, le persone possono visitare Tempo di Vivere e capire com’è gestito. Uno dei workshop residenziali proposti – “Vita da ecovillaggio” – consente persino di sperimentare la routine quotidiana per alcuni giorni. Poi, le braccia sono sempre aperte per chi decide di avvicinarsi ulteriormente: «Siamo incentrati sulle dinamiche emotive dell’essere umano», spiega Gabriella, che viene da un percorso professionale di facilitatrice e mediatrice. «Gli ospiti hanno la possibilità di esprimere loro stessi, con autenticità, senza giudizio, in confronto e condivisione».

Anche l’aspetto alimentare si coniuga con quello relazionale: «La gestione della cucina è complessa perché siamo tante anime diverse – vegani, vegetariani, onnivori – e ciascuna deve essere accontentata. Quello del pasto è per noi un momento molto importante: mangiamo tutti insieme per celebrare un rito comunitario, di condivisione. Ciascuno svolge la propria attività separatamente durante il giorno, ma a tavola ci ritroviamo tutti».tempodivivere1-1024x536

Antonio, Ermanno, Katia, Gabriella, Simona, i piccoli Isotta e Pietro. Ciascuno di loro si è impegnato profondamente in questo progetto, si è messo in gioco abbandonando casa e lavoro, lasciandosi alle spalle la propria vita precedente. L’obiettivo è dimostrare che è possibile costruire un nuovo modello di comunità partendo dalle relazioni e dagli affetti, fino ad arrivare all’alimentazione, all’energia, al lavoro, all’educazione e a ogni altro aspetto della vita di una persona. E tutto questo si può fare senza chiudersi in sé stessi, senza rinunciare alla socialità, ma – anzi – facendo leva sulla gioia della condivisione per contaminare positivamente chi ci sta accanto.

 

 

Visita il sito di Tempo di Vivere.

 

Visualizza la scheda di Tempo di Vivere sulla mappa dell’Italia che cambia.

 

Visualizza la Rete Italiana Villaggi Ecologici sulla mappa dell’Italia che cambia.

 

Fonte : italiachecambia.org

I figli sono un aiuto o un freno al cambiamento?

Cambiare, cioè lasciare ciò che si conosce per raccogliere la sfida e affrontare, spesso, ciò che non si conosce, può essere difficile. L’associazione Paea da tempo, grazie alla costituzione dell’Ufficio di Scollocamento, organizza momenti di confronto per guidare in questo cambiamento. E quasi sempre emerge che a fare riflettere, forse più di ogni altra cosa, è la presenza dei figli.cambiamento_prendereilvolo

Nei nostri incontri, conferenze, corsi sullo scollocamento, in merito alle persone che hanno figli ancora in età non adulta, rileviamo due diversi approcci quando si parla di cambiamento o scollocamento. Il primo è quello per il quale i figli sono visti con un approccio problematico, perché si pensa che il cambiamento possa apportare rischi o mutamenti di condizioni che i figli faranno fatica ad accettare, supportare, vedere di buon grado. C’è anche la grande paura che il cambiamento possa significare minori entrate, soprattutto se presuppone un licenziamento per passare ad un lavoro che piace di più ma che fa guadagnare meno, un part time o simili. Il secondo atteggiamento è quello per il quale si cambia, ci si scolloca anche perchè si hanno a cuore i propri figli, per dar loro una speranza di futuro, un futuro diverso da quello cupo e vuoto che questa società prospetta. Inoltre lo si fa anche perché si intuisce che la libertà loro e nostra è un aspetto fondamentale da cui non si può prescindere e la libertà non nasce dalla paura ma dalla voglia di vivere, che può essere trasmessa da genitore a figlio. A questo proposito voglio segnalare un intervento di Marìca Spagnesi, collaboratrice di Llht, Low Living High Thinking, il think net del nostro amico Andrea Strozzi; quell’intervento trovò spazio sul blog di Simone Perotti. Madre di due bambini, Marìca spiega in maniera chiara ed eccezionale quale meravigliosa fonte di libertà, forza e cambiamento siano i suoi figli per lei. Simili interventi possono essere di aiuto per chi ha timore che ai figli serva chissà cosa e che possano subire negativamente il “cambiamento”. Ai figli, ai quali non è difficile garantire una esistenza dignitosa e sobria dal punto di vista materiale, quello che serve prioritariamente è avere genitori felici e liberi o che fanno di tutto per esserlo.

Ecco l’intervento.

«Non mi sono mai sentita così libera come da quando ho partorito i miei figli. Mai così me stessa, così grande, così naturale, così spontanea. Se i figli avessero ridotto la mia libertà non li avrei mai fatti, considerando questa una cosa per me essenziale. Non ho mai ridotto la mia libertà nonostante fosse per me prioritaria, eccome. I miei figli mi hanno insegnato a essere più libera di com’ero aprendo la mia testa, il mio cuore e le mie braccia senza chiuderle mai. I miei figli non sono mai stati “rinuncia” ma un viaggio nuovo attraverso il quale ho scoperto e trovato, scambiato, condiviso, conosciuto cose straordinarie e ignote. Loro, di me stessa, della vita in generale, dell’essere umano senza condizionamenti, libero, ingenuo, vero, essenziale e nella sua “purezza”. Le responsabilità verso di loro mi piacciono, mi piace vederli crescere e vedere come si differenziano, come pensano, come costruiscono i loro pensieri e le loro relazioni. Mi piace insegnargli quel poco che ho capito e imparare da loro nella loro infinita sapienza ciò che sanno d’istinto e che io , invece, avevo dimenticato. Mi è piaciuto sentirli dentro, nutrirli, essere un tutt’uno con loro, mi è piaciuto “fornir loro materia” attraverso la quale potessero esprimere la loro anima. Mi è piaciuto come il mio corpo li ha cullati e amati fin dal primo momento. Mi è piaciuta ogni doglia, ogni nausea, ogni contrazione, ogni avvertimento del corpo necessario a farli nascere. Mi è piaciuto come un regalo straordinario della natura. La mia libertà non si ferma dove appaiono loro. La mia libertà li include, li avvolge, li forma, li educa e li accetta. La mia libertà è così grande da farci entrare dentro anche le loro libertà, i loro bisogni e i loro desideri. La natura non può togliere libertà ma solo esprimerla in uno dei suoi tantissimi modi. Se poi parliamo di strade verso il cambiamento, allora ancora di più è così. La mia strada è iniziata insieme a loro, con loro sempre, anche nelle difficoltà. Quanti scenari inaspettati! Quanti cambiamenti anche in loro! Quanti sconvolgimenti belli, positivi, nuovi! E siamo solo all’inizio».

Il 18 e 19 aprile in Umbria “Cambiare vita e lavoro: istruzioni per l’uso”

Fonte: ilcambiamento.it

‘ViviSostenibile’, storia di una scollocata e del suo progetto

Da impiegata ad animatrice del progetto ViviSostenibile, che unisce attività agrituristica, condivisione del lavoro e degli spazi e recupero dei legami comunitari. Silvia Salmeri racconta la sua storia, a pochi giorni dall’incontro dell’Ufficio di Scollocamento di cui è organizzatrice, che si è tenuta il 1 maggio.monteveglio2

Fra pochi giorni, il primo maggio 2013, l’Ufficio di Scollocamento sbarcherà a Bologna. Si tratta di una data simbolica, scelta volutamente per proporre, nella giornata dedicata ai lavoratori, un nuovo approccio nei confronti della sfera professionale. Anzi, un nuovo stile di vita. L’idea di battezzare questo giorno particolare per parlare di scollocamento è stata di Silvia, promotrice dell’evento. Per svolgere questo ruolo, nessuno sarebbe stato più indicato di lei, che – appoggiata da suo marito Valevo – da alcuni mesi ha abbandonato il posto fisso per mettere in pratica il suo interessante progetto legato alla sostenibilità sia ambientale che sociale: ViviSostenibile.

Come vi è venuta l’idea di organizzare un incontro dell’Ufficio di Scollocamento e quali sono gli obiettivi di questa iniziativa?

Ho letto il libro “Ufficio di Scollocamento” circa un anno fa, quando ancora lavoravo come impiegata, e ne sono rimasta subito molto colpita. Non appena mi sono avventurata nell’apertura del b&b, ho da subito cercato di non limitarmi alla sola attività di ospitalità, tentando di sfruttare lo spazio che avevo a disposizione per eventi rivolti alla comunità. All’inizio dell’anno mi sono ritrovata a dover programmare un po’ di iniziative e ho pensato che sarebbe stato bello, proprio in occasione della festa dei lavoratori, organizzare qualcosa di diverso, che ci permettesse di parlare di lavoro in una chiave nuova. Quale occasione migliore per invitare gli autori di quel libro che forse aveva avuto anche qualche merito nel mio scollocamento?1perotti__scollocamento

Nella tua decisione di cambiare vita c’è stato uno strappo, una goccia che ha fatto traboccare il vaso? O si è trattato di una scelta maturata più razionalmente e gradualmente?

Quando mi sono laureata, all’inizio del 2008, eravamo agli inizi della crisi economica che stiamo vivendo ancora oggi. L’unica cosa che mi interessava era trovare un lavoro che mi desse una certa stabilità e mi permettesse di mantenermi. Quasi subito sono stata assunta dall’azienda per la quale ho poi lavorato per circa quattro anni come impiegata nell’ufficio commerciale. Poco importava se non c’entrava nulla con quello che avevo studiato (Scienze Politiche). Sono stata molto contenta dell’esperienza che ho fatto e devo tanto ai colleghi con cui ho lavorato, ma ad un certo punto ho cominciato a sentirmi incastrata. Credo che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stata quando, causa problemi economici dell’azienda, mi hanno ridotto l’orario – e quindi lo stipendio! – passando da un full-time a un part-time. Non lo ritenevo giusto e per mesi mi sono torturata, finché non ho visto ciò che era accaduto come una opportunità per poter fare le cose che mi piacevano. Da lì nasce l’idea del blog“ViviSostenibile” e poi tutto quello che ne è seguito!

Una delle prime domande che vengono rivolte a chi decide di scollocarsi è: come riuscirai a far quadrare il tuo bilancio? Senza stare a farti i conti in tasca, ci puoi raccontare come hai affrontato tu questo aspetto?

Se ti rispondo che ho più soldi in banca di quando lavoravo full-time mi credi? È vero che mi sono scollocata per andare a fare un altro lavoro che mi piaceva di più, ma è altrettanto vero che ho imparato a spendere i soldi diversamente. L’argomento è delicato perché nella mia situazione, certamente, potevo permettermelo: non ho figli e mio marito ha continuato a fare il suo lavoro. Però ho notato che mentre prima avevo uno stipendio sicuro che arrivava tutti i 10 del mese e magari il 9 ero già in ansia sperando che non ritardassero a pagare, ora che le entrate sono meno certe cerco di essere più attenta a come spendo e allo stesso tempo sono molto più tranquilla.

Come mai la scelta di spostarvi in campagna piuttosto che mettere in atto la vostra idea in città, in un contesto urbano?

In realtà noi abbiamo da sempre vissuto in contesti ‘campagnoli’, quindi la scelta è stata piuttosto naturale. Nonostante questo, l’obiettivo non è quello chiuderci in noi stessi, bensì creare un network che coinvolga anche i contesti urbani, per dimostrare che è possibile vivere in maniera diversa ovunque. Il nostro è un progetto aperto a ogni persona potenzialmente interessata a portarlo avanti, anche in centro a Milano, volendo! Anzi, forse è proprio nelle città che c’è più bisogno di cambiamento.vivisostenibile_inaugurazione

Co-working, co-living, ospitalità rurale, riuso, alimentazione sana e naturale… Qual è il filo rosso che lega questi aspetti e quale realtà volete creare attuando il vostro progetto?

Certamente è il concetto di “vivere sostenibile” a legare insieme tutte queste attività. Da qui il nome del nostro progetto, che non vuole essere unicamente legato a una sostenibilità ambientale, ma si rifà a una concezione più allargata di sostenibilità sociale. Crediamo fortemente che per superare la crisi che ci ha travolti la premessa sia recuperare il concetto di comunità. I nostri comuni non devono più essere semplicemente dei dormitori, ma bisogna ritrovare il piacere di stare insieme e di condividere. Per farlo però, è necessario offrire alle persone dei luoghi dove potersi ritrovare a lavorare, a mangiare un piatto di pasta allo stesso tavolo e, perché no, magari anche a vivere! E noi stiamo lavorando in questa direzione.

Quali sono state le reazioni delle persone – amici, ospiti del b&b, fornitori, rappresentanti delle istituzioni – che avete incontrato fino a oggi? Cosa vi hanno lasciato?

Enormi soddisfazioni: siamo cresciuti e ci siamo evoluti insieme a tutte le persone incredibili che abbiamo incontrato in questi mesi grazie a ViviSostenibile. Mi sono lanciata in questa avventura a settembre del 2012, mettendo in conto anche mesi in cui non avremmo avuto nessun ospite al b&b. Andavamo incontro all’inverno e non era facile aprire in quel periodo; da subito, invece, è stato un successo. Sono davvero convinta che l’entusiasmo sia contagioso e quando dai tanto ricevi molto di più. Sembrerà retorica, ma fare colazione con i miei ospiti la mattina era la parte migliore della giornata, si creava subito una speciale alchimia, perché la maggior parte di loro si appassionava alla nostra storia. Se racconti esperienze positive, la gente comincia a credere che allora sia possibile fare qualcosa e magari, tornando a casa, si attiva nel suo piccolo. La dimostrazione che in molti credevano nel nostro progetto l’ho avuta proprio quando abbiamo dato l’annuncio che nel posto dove avevamo iniziato sarebbe terminato tutto. Non abbiamo trovato un accordo con il proprietario di casa, quindi dopo sei mesi mi sono nuovamente scollocata! Ora siamo a caccia di nuove location dove continuare e dove sviluppare la nostra attività e in questa ricerca stiamo davvero ricevendo l’affetto e la solidarietà di tantissime persone che credono come noi in questo progetto.trattore8

Una delle parole chiave del vostro progetto è ‘condivisione’. Puoi fornirci qualche esempio pratico di come la nostra vita quotidiana potrebbe cambiare in meglio condividendo esperienze, saperi, spazi o beni?

Te ne potrei fare milioni. Il primo passo consiste nel ritrovare il senso di comunità; allora, magari, non avremo più il problema di dove ‘piazzare’ nostro figlio quando esce da scuola perché noi siamo a lavorare. Ci potrebbe essere il nonno del condominio che non bada solo il proprio nipote, ma anche gli altri piccoli vicini. Le auto che possediamo passano la maggior parte della loro vita ferme in un parcheggio. Eppure, abbiamo dei costi fissi a cui non importa nulla di quante ore tu effettivamente la utilizzi al giorno. Se passassimo dalla concezione di proprietà a quella di uso potremmo condividerle, guadagnandoci in termini di traffico e di costi di mantenimento. Parliamo di lavoro: molti liberi professionisti oggi lavorano da casa, spesso perché non possono permettersi di sostenere da soli i costi di un ufficio, correndo però il rischio di alienarsi. Diffondiamo l’idea del coworking: condividiamo lo spazio di lavoro – e quindi i suoi costi – e allo stesso tempo facciamo rete. Chissà che tu non possa avere bisogno delle mie competenze e io delle tue. Concludendo, avremmo potuto abbatterci dopo la prima esperienza del b&b non andata a buon fine. E invece abbiamo deciso di rilanciare. Abbiamo capito che da soli è un’impresa ardua, ma collaborando e condividendo diventa tutto realizzabile. Non vogliamo semplicemente trovare una casa al nostro progetto, vogliamo, al contrario, che sia il nostro progetto a offrire un tetto alle tante idee innovative che ci sono in circolazione, connettendole. Quindi, continuate a seguirci e uniamo le forze!

Fonte: il cambiamento

Scollocamento, un altro modo di fare imprenditoria

Cambiare, rischiare e provare per superare la crisi attuale ed abbandonare dogmi e schemi non più proponibili. L’associazione Paea lancia il progetto di Scollocamento per imprenditori con l’obiettivo di realizzare un altro modo di fare imprenditoria dove etica, ambiente e persona sono al primo posto.

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“Per una nuova imprenditoria ci vogliono coraggio e idee nuove”

Con la crisi economica e la conseguente chiusura di molte imprese si crea una grande opportunità per ripensare completamente un sistema mercato fallimentare che si preoccupa solo di produrre merci in maniera esponenziale a discapito di persone e ambiente. Che siano in crisi gli imprenditori è facilmente concepibile ma cosa hanno fatto molti imprenditori quando c’erano i periodi di vacche grasse? Hanno accumulato, speso in cose folli, buttato soldi a destra e a manca e adesso si lamentano se sono in crisi. E perché non si è agito per tempo? Per quali motivi si dovrebbero salvare le imprese, per far loro produrre cosa? Riflettere su cosa ha senso produrre e per quale mondo è quanto mai indispensabile. Non è una strada semplice ma di sicuro con più prospettive che la vana attesa che tutto si rimetta in moto come prima e si possa produrre, spendere e spandere senza porsi alcuno scrupolo o problema. Per un cambiamento ci si scontra però con una mentalità come quella imprenditoriale che se da una parte è portata ad essere flessibile e innovativa, dall’altra troppo spesso è attaccata a dogmi e sistemi ormai non più proponibili. Prossimamente infatti si dovrà ripensare tutto in funzione della salvaguardia ambientale e servizi reali alla persona in un quadro di radicale riduzione dei consumi/sprechi a parità di comfort. Quindi non ragionare più in termini classici di crescita economica ma di qualità innanzitutto.

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Con la crisi economica e la conseguente chiusura di molte imprese si crea una grande opportunità per ripensare completamente un sistema mercato fallimentare

Gli spazi di intervento sono molto vasti, si pensi anche solo alla riqualificazione energetica degli edifici, alle fonti rinnovabili, all’agricoltura biologica, al turismo di qualità, alla mobilità sempre meno legata alle automobili, alla localizzazione da opporre alla globalizzazione per la quale necessariamente servirà un recupero e rafforzamento dell’artigianato inteso anche come riscoperta dei lavori e capacità manuali con tutti gli utensili che possono essere di supporto per un artigianato moderno che si richiama alla tradizione. Attendere quindi che tutto riprenda come prima o cambiare, rischiare, provare? Tanto che cosa può succedere oltre la crisi attuale, almeno si potrà dire di averci provato. L’atteggiamento però è spesso quello sbagliato, si vogliono garanzie, sicurezze, si vuole rischiare il meno possibile e così ci si spegne lentamente. Per una nuova imprenditoria ci vogliono coraggio e idee nuove dove l’imprenditore ha un ruolo sociale e si pone in maniera positiva nei confronti dell’ambiente e delle persone, accettando anche di non guadagnare cifre stratosferiche ma di dare un senso al suo lavoro e ai suoi prodotti. Ora è il momento di guardare seriamente in faccia la realtà e saper rischiare ed è questo anche il motivo per cui proponiamo al Parco Energia Rinnovabili il primo corso di Ufficio di Scollocamento per Imprenditori dove si possono avere spunti e idee nuove per cominciare o ricominciare con la prospettiva di un imprenditoria sana e cosciente per il mondo che verrà.

Fonte: il cambiamento

Ufficio di Scollocamento - Libro

Voto medio su 2 recensioni: Buono

€ 11.5

Pasqua vegan al centro PER

.vegan

Luogo Parco dell’Energia Rinnovabile (Terni)
Data dal 29/3/13 al 1/4/13
Link http://www.per.umbria.it

Una Pasqua all’insegna dello Scollocamento,
della cucina Vegan e del cibo Slow
da venerdì 29 marzo al 1 aprile 2013

al PeR – Parco dell’Energia Rinnovabile
Frattuccia – Terni

Immerso nella verde Umbria, il PeR (Parco dell’Energia Rinnovabile) è un centro scientifico, divulgativo e ricreativo, totalmente autofinanziato, in prima linea nella ricerca e nella sperimentazione di tecnologie, processi e azioni virtuose che migliorino la vita dell’uomo e riducano l’impatto delle attività della società civile sul pianeta.
Il PeR, che propone ai suoi visitatori una cucina prevalentemente vegetariana e a chilometro Zero, per questa Pasqua vuole offrire di più: un soggiorno di piacere alla scoperta dei sapori della cucina Vegan con un corso tenuto dai cuochi di VeganRiot che ci accompagneranno con la loro simpatia ed esperienza.
Una Pasqua Slow non solo perché il principio della lentezza e dei dolci ritmi della natura da sempre caratterizzano il PeR, ma anche perché i partecipanti avranno la possibilità di conoscere ed assaporare la Fava Cottora, presidio Slow Food che ha sede nel PeR. La Fava Cottòra, fino a due anni fa a rischio di estinzione (probabilmente a causa dell’industrializzazione agricola), è un alimento antico e straordinario, ricchissimo di proteine, altamente nutriente e con poteri antiossidanti. Chiamata così proprio per la caratteristica di cuocere bene e in fretta, non è una varietà qualsiasi, ma un ecotipo selezionato di generazione in generazione dagli abitanti del posto che la coltivavano manualmente o con l’aiuto di pochi mezzi meccanici2. Ci saranno anche il laboratorio pratico per imparare quali sono i sistemi per la conservazione naturale degli alimenti, e l’incontro su “Energia, ambiente e alimentazione” con gli esperti Paolo Ermani (PAEA e Il Cambiamento) e Alessandro Ronca (PeR) per discutere insieme del legame tra questi grandi temi e riflettere sulle possibili vie da percorrere per un mondo più sostenibile.
Ovviamente non mancherà la visita guidata alle strutture e agli spazi del Parco dell’Energia Rinnovabile, alla scoperta di un sistema insediativo pensato per ridurre al minimo gli sprechi e per l’autosufficienza energetica, idrica ed alimentare.
Per dare valore a tutti i beni che non sono merci, si farà lo “Scambiamento”: ognuno porterà qualcosa che desidera condividere con gli altri (gli oggetti fatti in proprio, oggetti, vestiti che non si usano più,..)
Il soggiorno si concluderà con una “Passeggiata letteraria”: immersi nella natura e nei boschi circondanti il Parco, passeggeremo lentamente apprezzando i suoni, i colori, i profumi e i ritmi slow della natura e della primavera e, chi vorrà, potrà condividere un passo di una lettura a lui cara con gli altri.

COSTI 
Soggiorno dal 29/3 al 01/04 in camera multipla (max 4 pers. Con bagno) in pensione completa e seminario-laboratorio sistemi naturali di conservazione e corso cucina vegana 245,00€ a persona supplemento di 20,00€ camera doppia

Per informazioni e prenotazioni

Iscrizioni ENTRO MERCOLEDI’ 26 MARZO

mail: scrivi@per.umbria.it

tel. 0744 988050

scarica il modulo di iscrizione

fonte: eco dalle città