Quando gli scienziati scomodi vengono cacciati…

Peter Gøtzsche, uno dei padri fondatori della Cochrane Collaboration, ente di revisione scientifica e ricerca che si dice indipendente, è stato cacciato dai vertici dell’organizzazione dopo avere pubblicato affermazioni scomode su alcuni argomenti risultati tabù, come il tamiflu, la mammografia e la vaccinazione anti HPV. Giovanni Peronato, dell’associazione “No Grazie Pago Io”, torna sull’argomento proponendo la libera traduzione di un’interessante analisi della giornalista scientifica Melanie Newman.

Un terremoto ha scosso la Cochrane a causa di divergenze interne in relazione alla revisione sistematica sulla vaccinazione anti-HPV. Un articolo del BMJ ci aiuta a capire, per cui ne proponiamo una traduzione adattata.

Melanie Newman, l’autrice dell’articolo, è una giornalista scientifica che ha fatto parte del Bureau of Investigative Journalism, organizzazione indipendente e no-profit che si occupa di grandi inchieste sul potere, per la quale è stata autrice di report sulle attività di lobby e sui finanziamenti della politica. L’espulsione di Peter Gøtzsche, uno dei padri fondatori della Cochrane, e le conseguenti dimissioni di 4 membri del consiglio di amministrazione, sono da considerare un segno di malessere interno dovuto ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni. Fondata da Iain Chalmers nel 1993 come una rete internazionale di 77 ricercatori, la Cochrane Collaboration era nata con lo scopo di aiutare i medici a prendere decisioni informate attraverso revisioni sistematiche di qualità. Si presta servizio gratis, uniti dal lavoro di squadra, si condividono i processi decisionali e si combattono i bias. “Contro ogni autoritarismo” (“Challenge authority”) è il grido di battaglia sulla T shirt indossata da Chalmers. A 25 anni dalla nascita, la Cochrane è prospera, vanta 12.500 iscritti, e i suoi proventi sono raddoppiati negli ultimi 4 anni raggiungendo gli 8 milioni di sterline. Ha aperto nuovi centri in Asia e America del sud, può contare su 7.500 revisioni, delle quali la metà di libero accesso, scaricate milioni di volte.

Quantità, non qualità

Ecco il dilemma di molti critici, come David Hammerstein, già membro del consiglio di amministrazione, per il quale conta poco il numero elevato di revisioni sistematiche, convinto che in sanità fare di più non significhi necessariamente fare meglio. Secondo Hammerstein, nell’ultima decade la Cochrane se l’è presa comoda nel dare risposta alle preoccupazioni sul fatto che molte revisioni derivassero da studi sponsorizzati. Hammerstein è anche favorevole a un accesso libero dopo un anno a pagamento. Un’altra voce critica dall’interno, Tom Walley, concorda che le priorità devono cambiare, perché la Cochrane è diventata “una macchina per sfornare revisioni”. Più che il numero è importante la qualità delle stesse e l’argomento trattato, che deve privilegiare aree di vasto interesse per i pazienti. Secondo Walley, la Cochrane deve essere più iconoclasta e maggiormente attenta alla medicina basata sulle evidenze scientifiche. Le divergenze sono anche su altri punti. Per Hammerstein e i sostenitori di Gøtzsche dovrebbe esserci maggiore indipendenza dei centri periferici; il centralismo burocratico avrebbe isolato il gruppo dirigente sia intellettualmente che professionalmente. Al contrario, secondo Walley, già finanziatore della Cochrane attraverso il suo ruolo di presidente del National Institute of Health Research, il cambiamento culturale va operato all’interno dei gruppi di revisione, quelli creati negli anni ‘90 sulla base dell’entusiasmo iniziale di individui ora però per la maggior parte in pensione. L’introduzione del team centrale, che ha individuato nuovi ambiti di interesse quali la medicina d’urgenza e l’oncologia, è una mossa nella giusta direzione. Meno interessi individuali, giustificabili negli anni passati, e più regole di indirizzo generali con obiettivi chiari e omogenei per tutti.

Divisioni interne

Il licenziamento di Gøtzsche è un fatto decisamente nuovo, ma anche in passato ci sono state molte controversie. All’inizio, negli anni ‘90, la governance era minima, come ricorda Lisa Bero, coordinatrice per un decennio negli USA. Tuttavia è sempre stata presa in seria considerazione l’influenza dell’industria e il pericolo che avrebbe rappresentato per i pazienti è sempre stato fatto presente ai revisori. Poi molti hanno cominciato a chiedere di inserire nelle revisioni studi non pubblicati, mentre i più radicali spingevano per poter accedere ai dati grezzi dai quali gli autori degli studi avevano tratto le loro conclusioni. In una decina d’anni, la Cochrane ha cambiato il modo di prendere decisioni in campo sanitario, conducendo la sua battaglia per una medicina basata su evidenze scientifiche. Certo non è infallibile: una revisione del 1998 rivelava un eccesso di favore circa le conclusioni nel 23% di 53 revisioni. Un momento decisivo sul problema degli sponsor è intervenuto a 10 anni dalla sua nascita. La Cochrane prevedeva che fosse inaccettabile avere un’unica fonte di finanziamento con interessi finanziari sui risultati finali della revisione. A quel tempo la regola era già stata violata in due revisioni di farmaci finanziate dal produttore. Quest’ultimo aveva messo a disposizione tutti i dati grezzi, così i revisori avevano pensato di non dover applicare la regola. Ecco uno dei motivi di protesta di Gøtzsche, coordinatore del Nordic Cochrane Center, che al Cochrane Colloquium del 2003 proponeva l’abolizione tout court di ogni sponsorizzazione da parte dell’industria. Nonostante un’accettazione generica del principio, non veniva raggiunto un accordo pieno sul finanziamento dei singoli centri, mentre veniva concesso di produrre revisioni a soggetti dipendenti dell’industria farmaceutica e di apparecchiature medicali.

Una storia di successi

Il 2003 è stato un anno significativo per l’influenza delle revisioni Cochrane, visto che una di queste aveva favorito il rientro dell’amodiachina nell’elenco dei farmaci essenziali dell’OMS. La Cochrane si consolidava nel ruolo di fonte più affidabile di evidenze nel campo della salute. Nel 2009 Tom Jefferson e colleghi ribaltavano la loro precedente opinione sul farmaco anti influenzale oseltamvir (Tamiflu) sostenendo che non aveva vantaggi rispetto alla comune aspirina. Intanto l’OMS ne aveva suggerito l’uso per la preoccupazione di una nuova pandemia, con il conseguente accaparramento di ampie scorte da parte di numerosi paesi. Nel 2008 la Cochrane contava più di 50 gruppi di revisione con circa 20.000 collaboratori e una dozzina di finanziatori indipendenti, senza però perdere le caratteristiche di un’organizzazione non verticistica.

Aziendalizzazione
Nel 2009 venivano approvate raccomandazioni a favore di un maggiore sostegno ai centri periferici da parte degli organi centrali. Ciò comportava maggiori spese sulle quali dissentiva Jeremy Grimshaw, co-direttore del board centrale, secondo il quale i soldi dovevano servire per sostenere i gruppi periferici e non per gli organi centrali. La strategia per rafforzare l’influenza e i finanziamenti del gruppo dirigente viene messa in atto dal 2012, all’insediamento del nuovo amministratore delegato Mark Wilson, un giornalista esperto che aveva lavorato anche per la Croce Rossa Internazionale, ma privo di retroterra scientifico. Egli descrive la Cochrane come un’organizzazione gestita in modo semplicistico che necessita di una profonda trasformazione per affrontare il futuro e raccogliere la sfida al cambiamento. Il piano di Wilson sulla produzione delle revisioni e sull’influenza futura delle stesse in politica sanitaria viene approvato all’unanimità dal consiglio d’amministrazione. Nel 2015 la Cochrane perde la definizione di Collaboration; il termine si può ancora usare ma con la ‘c’ minuscola. Contro questi cambiamenti si esprimeva Hilda Bastian, tra i fondatori, che aveva già lasciato la Cochrane. Secondo il suo modo di vedere, l’organizzazione stava diventando un marchio di qualità da appuntare su un prodotto da vendere piuttosto che una fonte di risposte alle domande della gente. Veniva poi istituita la figura del portavoce ufficiale, soprattutto in risposta alle opinioni personali di Gøtzsche, espresse nel suo libro del 2014, dove definiva l’industria farmaceutica un ‘crimine organizzato’, o in un articolo sul Lancet dove sosteneva che gli antidepressivi fanno più male che bene. A rincarare la dose arrivava una nuova revisione sul Tamiflu, dopo che la martellante campagna del BMJ aveva permesso di consultare dati fino ad allora secretati dal produttore, revisione che ne confermava la scarsa utilità nell’influenza. A questo punto Gøtzsche, con la sua cerchia di colleghi, viene salutato come campione della verità e della qualità della ricerca. Anche se qualche volta si era spinto un po’ troppo in là, aveva comunque sempre rifiutato ogni compromesso, mantenendo una posizione intransigente. La politica del portavoce ufficiale creava malumori, ma anche consensi. La stessa Lisa Bero sosteneva che in un’organizzazione degna di questo nome solo la leadership parla a nome di tutti. Al contrario Carl Heneghan, uno dei corevisori sul Tamiflu, all’assemblea annuale del 2015 ribatteva di avere sempre parlato a nome della Cochrane, se no perché si dovrebbe ancora chiamare collaborazione. Il direttore del gruppo francese, Philippe Ravaud, stava per dimettersi proprio per l’evoluzione ‘piramidale’ della Cochrane, retta da ‘tecnocrati assetati di potere’, mentre la qualità delle revisioni rimaneva in secondo piano. Un altro problema si è verificato quando Wilson, l’amministratore delegato, ha messo in atto il controllo centrale sulle nuove revisioni, la scelta degli argomenti, la loro produzione, il coordinamento dei dati. Questo ha notevolmente scontentato i 52 coordinatori periferici che hanno visto minare la loro autonomia. Anche il gruppo dirigente ha subito cambiamenti e nel 2016 sono entrati membri esterni non elettivi, mentre quelli eletti cessavano la loro funzione di rappresentanza di specifici gruppi periferici. Le entrate della Cochrane salivano dai 4.4 milioni del 2014 ai 6.8 milioni di sterline del 2016, ma anche i costi della dirigenza erano lievitati a più di 3 milioni di sterline. In un’altra organizzazione la crescita sarebbe stata motivo di vanto, ma nella Cochrane venivano contestate le spese per il mantenimento di uno staff che non contribuiva per nulla alla ricerca, mentre si allungavano i tempi per il libero accesso alle revisioni. Un rappresentante per la Germania arrivava a proporre un taglio dei costi centrali del’80%.

Conflitti al vertice

Per Hammerstein, dal 2017 nel consiglio di amministrazione, il costoso gruppo dirigenziale non aveva favorito per nulla la qualità della ricerca, se mai il contrario. Molti aderenti premevano per ridurre il numero di revisioni, migliorandone qualità, credibilità e indipendenza. Certo questo rallentamento produttivo avrebbe influito negativamente sulle entrate. Nel 2017 la Cochrane ha fatturato 8.6 milioni sterline, dei quali 6.5 derivanti dalle royalties delle revisioni. Nancy Santesso, dal 2017 nel consiglio di amministrazione, non approvava i cambiamenti operati; secondo la sua opinione le nuove proposte erano state presentate in fretta e furia con troppo poco tempo per la discussione prima del voto. Come Hammerstein e Santesso, anche Gøtzsche, entrato nel 2017 nel consiglio di amministrazione, si era chiaramente espresso contro una gestione verticistica, auspicando inoltre un’azione più incisiva nei riguardi del conflitto di interessi. Su questo problema la politica della Cochrane aveva avuto una svolta nel 2014. Le revisioni dovevano essere prodotte da una maggioranza di autori non in conflitto d’interessi e con un autore principale senza conflitti, mentre non ci dovevano essere autori dipendenti da soggetti detentori di brevetti relativi agli studi esaminati. Regole severe, ben oltre quanto richiesto in genere dalle riviste biomediche, commentava Lisa Bero, anche se di fatto permettono che un revisore possa rivedere i propri studi e che quasi la metà del team di revisori possa avere relazioni con le società il cui prodotto è oggetto di valutazione. Nel 2018 Wilson riconosce che su questi argomenti l’opinione generale è disomogenea, ma le regole contestate da Hammerstein sono state approvate dalla maggioranza e del tutto valide.
Ma il vero scontro di Gøtzsche con il gruppo dirigente avviene dopo le sue critiche alla revisione sul vaccino anti HPV. In precedenza vi era stata un’altra accusa, quella di avere infranto la politica del portavoce ufficiale. In una lettera all’EMA, contenente una sua valutazione personale dei possibili danni del vaccino anti HPV, Gøtzsche aveva usato carta intestata della Cochrane. Queste ed altre accuse sono state sottoposte ad alcuni giuristi, ma le conclusioni, raggiunte nel settembre scorso, non sono state rese pubbliche. Nello stesso mese la direzione della Cochrane, con un voto di 6 a 5 (più un’astensione) ha proceduto all’espulsione per comportamento scorretto di Gøtzsche, non solo dal gruppo dirigente, ma addirittura dall’organizzazione stessa, fatto questo senza precedenti. Immediatamente 4 dei 5 membri che avevano votato a suo favore elevavano una vivace protesta. Successivi chiarimenti e precisazioni di Gøtzsche e poi della Cochrane non hanno fatto che gettare benzina sul fuoco. Il gruppo Cochrane di lingua spagnola (Spagna e America del Sud) ha invocato un’inchiesta indipendente, la Società dei Drug Bulletins ha sollecitato le dimissioni del gruppo dirigente oramai decimato. Gartlehner, del gruppo austriaco, ha dichiarato che le conseguenze stavano andando al di là del problema Gøtzsche: la Cochrane deve fronteggiare una crisi esistenziale, il gruppo dirigente attuale è oramai screditato e dovrebbe dimettersi, lasciando il posto a volti nuovi. La vicenda Gøtzsche coagula così il malcontento di tutti quelli che condividono i temi a lui cari: conflitto di interessi, miglioramento della qualità della ricerca, rapido accesso libero alle revisioni. A questo punto sembra proprio impossibile sentire l’opinione del 13.000 membri senza sottoporre loro un questionario. A maggior ragione dopo la notizia della petizione con 8000 firme al ministro della sanità danese per scongiurare il licenziamento di Gøtzsche dall’ospedale dove lavorava. Così un gruppo di membri della Cochrane guidato da Jos Verbeek, capo redattore del gruppo di lavoro sulle revisioni, ha stilato una petizione chiedendo alla Cochrane di intervenire su quattro punti chiave: discussione aperta senza recriminazioni, maggiore sostegno finanziario ai gruppi che producono revisioni, maggior coinvolgimento dei membri nella governance dell’organizzazione, maggiore possibilità di libero accesso alle revisioni. La petizione ha già ottenuto circa 600 firme.

E adesso?

Grimshaw, già co-presidente del consiglio di amministrazione, pensa che Gøtzsche avrebbe potuto evitare la sua espulsione, e sostiene che la Cochrane ha solo bisogno di migliorare le relazioni al suo interno. È stato un campanello d’allarme, si tratta solo di dare risposte adeguate. Ma sino ad oggi la leadership della Cochrane ha fatto orecchie da mercante resistendo alla richiesta di dimissioni, e il suo co-presidente Martin Burton ha sostenuto che è la maggioranza della Cochrane che ha deciso per l’espulsione di Gøtzsche. Secondo Burton sono solo pochi i protestatari, la Cochrane è una comunità di 13.000 persone delle quali oltre il 90% vuole andare avanti con il lavoro. Gli fa eco Mark Wilson che dichiara al BMJ: “se un gran numero di persone stesse abbandonando la Cochrane, si potrebbe giustamente affermare che la nostra strategia stia fallendo; ma non è questo il caso, la comunità è cresciuta enormemente.” Per i più critici, l’espulsione di Gøtzsche rappresenta l’ultimo passo di un percorso di allontanamento dai principi fondanti. Per i sostenitori della Cochrane è invece un passaggio obbligato per diventare un’organizzazione globale più potente. Il dibattito sul futuro sembra improbabile possa essere risolto rapidamente o facilmente. I firmatari della petizione di Verbeek includono alcuni dei membri più fedeli della Cochrane: scienziati che hanno dedicato molte ore di lavoro non pagato a una causa che consideravano più grande di loro. Non si tratta di semplici impiegati, che possono essere costretti ad obbedire e allinearsi. Mantenere l’entusiasmo nei gruppi di volontari richiederà ben più di semplici linee guida imposte. Richiederà diplomazia, volontà di ammettere le proprie colpe e serrato dialogo all’interno dell’organizzazione. Dialogo la cui assenza è probabilmente la causa prima della crisi.

Fonte: ilcambiamento.it

L’appello di 22 scienziati a Matteo Renzi: stop alle trivelle dello Sblocca Italia

Da Bologna 22 scienziati chiedono al Premier di rivedere la politica energetica del governo contenuta nel decreto Sblocca Italia

Non solo le opposizioni ma ora anche la scienza prova a spiegare al Premier Matteo Renzi perché le scelte adottate in materia energetica nel decreto Sblocca Italia rappresentino un grave ostacolo allo sviluppo economico del nostro Paese. In una lettera firmata da 22 scienziati è contenuto l’appello accorato a ritirare le disposizioni per le trivellazioni off shore nei mari italiani. L’appello può essere sottoscritto da altri docenti e scienziati ma anche da semplici cittadini. In sostanza il comitato promotore composto dai 22 scienziati: Vincenzo Balzani (coordinatore), Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna; Nicola Armaroli Istituto ISOF-CNR; Alberto Bellini Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università di Bologna; Giacomo Bergamini, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” Università di Bologna; Enrico Bonatti, ISMAR-CNR; Alessandra Bonoli, Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, dell’Ambiente e dei Materiali, Università di Bologna; Carlo Cacciamani, Servizio IdroMeteoClima, ARPA; Romano Camassi, INGV; Sergio Castellari, Divisione servizi climatici, CMCC e INGV; Daniela Cavalcoli, Dipartimento di Fisica ed Astronomia, Università di Bologna; Marco Cervino, ISAC-CNR; Maria Cristina Facchini, ISAC-CNR; Sandro Fuzzi, ISAC-CNR; Luigi Guerra, Dipartimento di Scienze dell’Educazione «Giovanni Maria Bertin», Università di Bologna; Giulio Marchesini Reggiani, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna; Vittorio Marletto, Servizio IdroMeteoClima, ARPA; Enrico Sangiorgi, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università di Bologna; Leonardo Setti, Dipartimento di Chimica Industriale, Università di Bologna; Micol Todesco, INGV; Margherita Venturi, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna; Stefano Zamagni, Scuola di Economia, Management e Statistica, Università di Bologna e Gabriele Zanini, UTVALAMB-ENEA scrive al Premier Renzi:

In particolare, il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38 facilita e addirittura incoraggia le attività di estrazione delle residue, marginali riserve di petrolio e gas in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in zone dove sono presenti città di inestimabile importanza storica, culturale ed artistica come Venezia e Ravenna, lungo tutta la costa del mare Adriatico dal Veneto al Gargano, le regioni del centro-sud e gran parte della SiciliaITALY-GOVERNMENT-RENZI

E suggeriscono al Premier Renzi la strategia da seguire:

L’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera, un settore dove il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia. Sviluppando le energie rinnovabili e le tecnologie ad esse collegate il nostro Paese ha un’occasione straordinaria per trarre vantaggi in termini economici (sviluppo occupazionale) e ambientali dalla transizione energetica in atto.

Gli scienziati ricordano a Matteo Renzi che la vera fonte di energia risiede nel risparmio energetico purché sia adottato come strategia nazionale e non solo come iniziativa del singolo cittadino. Nella riqualificazione energetica degli edifici, nella riduzione dei limiti di velocità sulle autostrade, nel sostegno dell’uso delle biciclette e dei mezzi di trasporto pubblici si trovano inaspettate risorse energetiche da rivalutare e condividere, piuttosto che nelle trivellazioni alla ricerca di idrocarburi che rappresentano oramai i combustibili da archiviare e dismettere.

Fonte:  SpeziaPolis

© Foto Getty Images

Super tempesta solare: arriverà avvertono gli scienziati

La copertina del numero di agosto di Physics World in stampa, è dedicata alle conseguenze sulla Terra di un “super-tempesta solare”

Le conseguenza di una super tempesta solare sono analizzate nel numero di Physics World di prossima uscita. Il team di scienziati autori dello studio e appartenenti alla task force internazionale SolarMax che studia proprio i fenomeni solari, analizza i fenomeni derivanti da una possibile super tempesta solare come violenti disturbi al campo magnetico della Terra il che porterebbe a danni alle linee elettriche, satelliti e disturbi nelle telecomunicazioni. Una super tempesta solare si è verificata già nel 1859 e conosciuta come Carrington Event, chiamata così in onore dell’astronomo inglese che individuò il brillamento solare che l’aveva preceduta. la super tempesta solare ebbe una potenza di circa 1.022 kJ di energia – l’equivalente di 10 miliardi di bombe di Hiroshima che esplodono nello stesso tempo – e scagliò circa un trilione di chilogrammi di particelle cariche verso la Terra a una velocità fino a 3000 km / s. Il mondo a metà del 19 ° secolo era poco evoluto tecnologicamente e le conseguenze furono relative. Ma se una tempesta di forza simile si verificasse oggi, l’impatto potrebbe essere devastante per il nostro stile di vita.

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Lo scenario è stato descritto da Ashley Dale dell’Università di Bristol, che l’anno scorso ha partecipato a una riunione di esperti spaziali per esaminare e riferire in merito alle possibili conseguenze di una super-tempesta solare sulla Terra. Come sottolinea Dale, senza creare allarmi, si deve però considerare che tempeste solari simili al Carrington Even sono possibili in un ciclo di 150 anni il che significa che siamo già con 5 anni di ritardo. Scrive Dale:

Senza energia avremo problemi a alimentare le auto presso le stazioni di servizio, o a ritirare soldi al bancomat o a pagare on line. I sistemi idrici e fognari sarebbero colpiti, il che potrebbe avere conseguenze su vaste aree urbanizzate.

le tempeste solari sono causate da violente eruzioni sulla superficie del Sole e sono accompagnate da espulsioni di massa coronale (CME). Le CME sono gli eventi più potenti del nostro sistema solare e coinvolgono enormi bolle di plasma espulsi dalla superficie del Sole nello spazio. CME sono spesso precedute da un flare solare – un massiccio rilascio di energia sotto forma di raggi gamma, raggi X, protoni ed elettroni. Dunque gli scienziati invitano alla prevenzione e suggeriscono soluzioni ai governi tra cui una rete di 16 satelliti in orbita intorno al sole. Questa rete potrebbe dare in giro di qualche settimana il preavviso di dove, quando e con quale magnitudo le tempeste solari avranno luogo, fornendo il tempo sufficiente per spegnere le linee elettriche vulnerabili, ri-orientarei satelliti e cominciare con i programmi di recupero nazionali.

Fonte: Physic WorldIOP

Foto | Nasa

Viaggio al centro della terra per scoprire l’origine degli tsunami

Un team di scienziati raggiungerà, per la prima volta, il punto dove si scontrano le placche tettoniche51902461-586x424

Venerdì scorso un team di sismologi ha intrapreso una missione di studio della crosta terrestre al largo del Giappone. Lo scopo è di comprendere l’origine dei terremoti. L’imbarcazione che ospita i ricercatori e la torre di perforazione di 121 metri capace di penetrare a 7.000 metri sul fondo del mare si chiama Chiku, ovverosia Terra. Partita dal porto di Shimizu, la nave riprenderà un lavoro di perforazione cominciato nel 2007 e riproposto con regolarità nell’Oceano Pacifico. I ricercatori studieranno la faglia Nankai anche nota come la “faglia del mare del sud”, dove la placca del mare delle Filippine scivola sulla placca eurasiatica. L’intensa attività geologica della zona viene costantemente monitorata poiché potrebbe essere l’epicentro di scosse potenzialmente devastanti, molto più potenti di quella di magnitudo 9 che l’11 marzo 2011 ha provocato lo tsunami che ha scatenato l’incidente nucleare di Fukushima con epicentro a circa 1000 km a nord est della faglia Nankai. Il Governo giapponese ha rivelato lo scorso anno che una scossa della Nankai associata a un tsunami potrebbe provocare circa 320mila vittime sulle coste giapponesi. L’obiettivo dei ricercatori è riuscire a raggiungere i 5200 metri sotto il livello del mare, laddove le placche si scontrano. Sarà la prima volta che un sondaggio raggiungerà direttamente una zona sismica, laddove si genera l’energia che provoca i movimenti della crosta terrestre. Gli scienziati piazzeranno dei rilevatori nella crosta terrestre che saranno collegati ai sistemi d’analisi sulla terraferma:

Vogliamo studiare come la crosta terrestre si muove negli istanti che precedono i terremoti in modo da poterli prevenire più facilmente, ha dichiarato Omata, uno degli scienziati del team di lavoro. Situato nel punto di incontro di ben quattro placche tettoniche, il Giappone subisce, ogni anno, il 20% dei sismi più potenti registrati dai sismografi di tutto il mondo.

Fonte: Le Parisien