Valvole termostatiche obbligatorie: cosa fare

Le scadenze, i vantaggi e le modalità per adeguarsi alle nuove regole per i condomini con riscaldamento centralizzatogettyimages-491821904

I prossimi dodici mesi saranno decisivi per l’adeguamento alla direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica dei condomini con riscaldamento centralizzato. I tempi, però, sono molto più stretti perché i lavori di adeguamento vanno fatti a impianto spento, nel periodo compreso tra aprile e ottobre.

Valvole termostatiche obbligatorie: la scadenza
La scadenza fissata per l’adeguamento degli impianti condominiali di riscaldamento è quella del 31 dicembre 2016. A partire dal 1° gennaio 2017 tutti gli impianti non adeguati saranno da ritenere irregolari. Obiettivo della norma comunitaria è migliorare il risparmio energetico e migliorare la spesa dei condomini che attualmente si basano sulle tabelle millesimali. La direttiva è in linea con il Protocollo 20-20-20 che prevede la diminuzione del 20% delle emissioni di Co2 e la conversione della stessa percentuale di rinnovabili entro il 2020.

Valvole termostatiche obbligatorie: le sanzioni
Per i condomini che non si adegueranno sono previste sanzioni da 500 a 3000 euro a unità immobiliare, a secondo delle disposizioni delle singole Regioni.

In Piemonte e Lombardia i termini sono già scaduti nel 2014, ma è stata concessa una sospensione che durerà fino al termine ultimo del 31 dicembre 2016. Pertanto anche nelle due regioni del Nord Ovest le sanzioni inizieranno dal 1° gennaio 2017.

Valvole termostatiche obbligatorie: il risparmio

Quanto si risparmierà? Abbassando la temperatura di un grado: per esempio da 20° a 19° C si risparmia il 7%. L’installazione dei dispositivi apporta una significativa riduzione delle emissioni di Co2 fino al 50%. Dunque l’adeguamento alla normativa oltre a essere un vantaggio economico per i condomini in regola (pagando il consumo effettivo si tende a consumare meno) è anche un vantaggio ecologico per l’ambiente (il riscaldamento delle abitazioni è una delle principali cause di inquinamento nelle nostre città) e in più può usufruire della detrazione fiscale della spesa.

Fonte: ecoblog.it

La lotta allo spreco della ministra francese

La ministra francese dell’ecologia, Ségolène Royale, prosegue nella sua lotta contro gli sprechi e ha ottenuto l’ok dai supermercati che si impegnano a limitare i rifiuti alimentari. La Royale sta anche proponendo di modificare il sistema europeo che determina la scadenza di certi cibi.sprecoalimentare_vignetta

Naturalmente non li può obbligare per legge, ma la Royale ha ottenuto dai supermercati del paese l’impegno a tagliare gli sprechi e ridurre i rifiuti alimentari. E’ stato siglato un vero e proprio accordo tra la ministra francese dell’ecologia e i rappresentanti delle catene di supermercati francesi: il cibo non venduto verrà regalato agli istituti della carità. L’accordo vieta anche di distruggere il cibo invenduto che sia ancora commestibile e abolisce la data di scadenza per determinati prodotti come zucchero e aceto. Nel giro di tre mesi partiranno i primi controlli e la Royale assicura che userà tutti gli strumenti legali a sua disposizione per garantire il successo dell’accordo. Altra parte dell’intesa riguarda il fatto di ampliare la gamma di prodotti per i quali abolire l’obbligo di indicare la scadenza, ma la lista viene formulata dall’Unione Europea e per modificarla occorrerà intavolare una trattativa. La Royale ha quindi intenzione di nominare una commissione di esperti che individuino una serie di raccomandazioni che poi potranno essere sottoposte alle autorità europee competenti in materia. E’ però vero che la maggior parte degli sprechi e dei rifiuti alimentari prodotti si individuano nelle case private e nei ristoranti, come risulta da un rapporto redatto dal parlamentare francese Guillaume Garot. In media i francesi gettano dai 20 ai 30 chili di cibo a persona ogni anno, inclusi 7 chili di alimenti nemmeno aperti. Se si considera l’intera filiera alimentare, la cifra sale a 140 chili a persona ogni anno. Ma il problema non è chiaramente solo francese. L’Onu ha stimato che venga sprecato nel mondo dal 30 al 50% del cibo. In media, nell’Unione Europea gli sprechi arrivano a 179 chili di cibo gettato e, se si continua così, si stima che si arriverà a 126 milioni di tonnellate ogni anno nel 2020. In Italia riscuote molto successo l’iniziativa “Brutti ma buoni della Coop, che prevede la distribuzione ai bisognosi dei cibi quasi a scadenza e rimasti invenduti. Collaudata ed efficacissima anche l’esperienza di Banco Alimentare, che dall’1 gennaio di quest’anno ha già raccolto 45mila chili di cibo da fornire a cittadini in difficoltà.

Fonte: ilcambiamento.it

MyFoody, la start up che coinvolge grossisti e ristoranti per contrastare lo spreco di cibo

MyFoody è una start up italiana ideata nel novembre 2012 che ha l’obiettivo di coinvolgere grossisti, imprese di ristorazione e piccole e grandi distribuzioni per far sì che il cibo “a richio”, (quello che non verrebbe immesso sul mercato o in eccedenza perché prossimo alla scadenza), venga venduto ad un prezzo più basso e accessibile a tutti381217

Contro lo spreco di cibo l’Italia continua ad essere un territorio ricco di idee innovative. Sorti negli ultimi anni, sono ormai numerosi i progetti che ambiscono a trovare soluzioni ad uno dei problemi più evidenti della società del consumismo: lo spreco, quello di cibo in particolare. Con lo scopo di contrastare il fenomeno è sorta poco meno di un anno fa una start up con base a Milano, dopo un periodo di incubazione a Firenze, dal nome MyFoody. Si tratta di una piattaforma e-commerce che dà la possibilità di comprare prodotti alimentari che altrimenti sarebbero sprecati ad un prezzo scontato. Il progetto è molto semplice e, a “popolare” concretamente la piattaforma, ci sono i prodotti in eccedenza, in scadenza o con difetti estetici di confezionamento che, come ormai è noto, sono una discriminante fondamentale per la vendita. Tutti questi prodotti alimentari, proprio grazie alla piattaforma, vengono “salvati” evitando che diventino rifiuto.

“MyFoody è un progetto che rientra nella Blue Economy o Economia Circolare – si legge sul sito www.myfoody.it-. Il principio fondamentale è quello secondo cui gli sprechi di un’attività diventano risorse di un’altra attività. Con MyFoody, infatti, gli attuali sprechi alimentari diventano risorse per l’intera comunità”. Già, perché grossisti, imprese di ristorazione o grande e piccola distribuzione, veri protagonisti del sistema, hanno la possibilità di cedere, grazie alla piattaforma, il cibo in eccedenza, dando la possibilità ad altri, privati ma anche organizzazioni non profit, di acquistare il cibo ad un prezzo scontato. “Perché pagare il prezzo pieno per un prodotto in scadenza? Perché buttare prodotti perfettamente commestibili ma vicini alla scadenza? E i prodotti con difetti di packaging, perché sprecarli?” Sono queste le domande che hanno ispirato nel novembre 2012 l’ideazione di questo progetto contro lo spreco alimentare.
Nel concreto la piattaforma funziona mediante un servizio di geolocalizzazione: gli utenti, in base al luogo in cui vogliono ricevere la spesa, vengono geolocalizzati e possono acquistare i prodotti della propria zona di riferimento.
La geolocalizzazione è un elemento fondamentale del progetto, perché l’obiettivo degli ideatori è quello di offrire un servizio di consegna a domicilio che sia anche ad impatto zero, usando per il trasporto, dunque, mezzi non inquinanti.
Il progetto, che vanta di essere stato selezionato tra le migliori star up europee vincitrice del Chest Project, ha ricevuto anche il patrocinio di Expo2015 e vinto il concorso per idee di impresa Alimenta2talent, che premia le migliori idee per innovare il modo di fare agricoltura riducendo gli sprechi.

Fonte: ecodallecitta.it

Cibo “scaduto”: in Svezia lo mangiano 8 su 10. Da noi sono in 2,7

 “Pensate che sia sicuro consumare prodotti alimentari dopo la data di scadenza indicata sull’etichetta?” Risponde sì l’81% degli Svedesi, il 75% dei Finlandesi e il 74% dei Francesi. In Italia appena il 27%. Percentuali più basse solo in Romania, Bulgaria e Ungheria. Da cosa dipende uno scarto simile?

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Gli alimenti impacchettati si possono ancora mangiare dopo la data di scadenza? L’ha chiesto la Commissione Europea a più di 25.000 cittadini di tutti i Paesi membri, all’interno di un sondaggio apparentemente c’entrava poco: tutte le domande che precedevano questa chiedevano agli intervistati di valutare l’affidabilità delle aziende che si dichiarano green, e l’effettiva sostenibilità dei prodotti ecologici – o presunti tali – che si trovano sul mercato. E questo è un elemento da tenere presente. Chissà se i risultati sarebbero stati diversi se la stessa domanda fosse stata posta in un contesto diverso, per esempio in un sondaggio sulla la riduzione degli sprechi alimentari
In ogni caso, lo scarto fra i vari Paesi nelle risposte date è impressionante. Alla domanda “Pensate che sia sicuro consumare prodotti alimentari dopo la data di scadenza indicata sull’etichetta?” hanno riposto :

– Il 14% dei Romeni
– Il 22% dei Bulgari.
– Il 26% degli Ungheresi.
– Il 27% degli Italiani.
– II 27% dei Polacchi.
– Il 29% dei Greci.
– Il 36% dei Portoghesi.
– Il 42% degli Spagnoli.
– Il 47% degli Estoni.
– Il 47% dei Danesi.
– Il 50% degli Sloveni.
– il 51% dei Lettoni.
– Il 65% dei Tedeschi.
– Il 69% dei Lussemburghesi.
– Il 73% di Belgi Olandesi.
– Il 74% dei Francesi.
– Il 75% dei Finlandesi.
– L’81% degli Svedesi.

Che lettura si può dare a questo risultato? E’ vero, la domanda necessiterebbe di qualche articolazione in più: di quali alimenti stiamo parlando? Un mucchio di persone mangiano lo yogurt scaduto la settimana prima. A nessuno verrebbe in mente di fare lo stesso con un branzino. Ma al di là delle sottigliezze, uno scarto di 70 punti percentuali fra un Paese e l’altro sull’argomento è quantomeno curioso. Proviamo ad analizzare la classifica. Il primo, banale elemento che salta all’occhio è quello economico: i più “schizzinosi” in fatto di cibo oltre la scadenza sembrerebbero proprio i Paesi che soffrono di più per le difficoltà economiche. Un controsenso?Apparentemente sì, ma è anche vero che in fatto di riduzione dei rifiuti e degli sprechi, sono sempre stati i Paesi del Nord i più ricettivi. A un maggior benessere economico corrisponde quindi maggior cultura, maggior interesse per l’educazione ambientale e dunque maggior consapevolezza sugli sprechi alimentari. Anche quelli apparentemente dettati dalla legge. In seconda battuta, potrebbe esserci la questione climatica: può sembrare una sciocchezza – e in parte forse lo è! – ma la percezione del deterioramento degli alimenti è molto, molto diversa se fuori dalla finestra ci sono venticinque gradi o meno venticinque…Infine, analizzando il dato nel contesto del sondaggio, si nota come i Paesi dell’Est e dell’Area Balcanica siano i più pessimisti quando si tratta di valutare le (auto)dichiarazioni di sostenibilità delle aziende. Dietro all’86% di Romeni che non mangerebbero un alimento passata la data di scadenza c’è forse più la diffidenza (l’esperienza?) che la scarsa sensibilizzazione ambientale…

fonte: eco dalle città