«Azzeriamo i fondi per nuove armi e destiniamoli a scuola e sanità»

«Azzerare per un anno i fondi per nuove armi e stop alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Sarebbero più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere investiti per la riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per la sanità»: questa la richiesta di Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Rete della Pace.

Culminano oggi con iniziative e conferenze stampa in tutto il mondo (Seoul, Sydney, Berlino, Roma, Barcellona, Washington, Buenos Aires, Rosario, Montevideo alcune tra le città confermate) le “Giornate Globali di azione sulle spese militari” coordinate dalla Global Campaign on Military Spending (GCOMS). Una Campagna «Azzerare per un anno i fondi per nuove armi e stop alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Sarebbero più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere investiti per la riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per la sanità»: questa la richiesta di Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Rete della Pace.

«Le armi e gli eserciti non ci garantiranno maggiore sicurezza. Anzi, renderanno sempre più catastrofiche le conseguenze dei conflitti attualmente in corso e quelli futuri – dicono le tre organizzazioni nella lettera aperta – Dobbiamo invece dedicare le nostre energie a costruire dialogo, iniziative di diplomazia, politiche di sicurezza comune. E ciò è particolarmente evidente nella lotta contro il Covid-19, una minaccia non militare che potrà essere risolta solo con la cooperazione globale».

«In questi tempi di pandemia, con il Covid-19 che rischia di travolgere i sistemi sanitari di tutto il mondo, l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma SIPRI ha reso pubblici i dati aggiornati sulle spese militari riferiti al 2019 registrando un aumento del 3,6% rispetto al 2018 con una cifra record di 1.917 miliardi di dollari, e cioè 259 dollari per ogni abitante del pianeta – si legge ancora – Tale aumento mostra che il mondo è travolto da una corsa agli armamenti a beneficio di pochi, che rischia di condurci alla catastrofe globale. E’ indice inoltre dell’enorme potere delle industrie del settore difesa, in particolare in Europa, in America del nord, in Asia e Oceania. Il solo bilancio militare della NATO arriva a 1.035 miliardi di dollari, cioè il 54% della spesa militare globale. Nel Medio Oriente, l’unica regione in cui le spese militari siano diminuite, le conseguenze tragiche dei conflitti militarizzati sono evidentissime».

«Tutto questo avviene mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con tutti i suoi limiti l’unico tentativo globale e concertato di rispondere alle crisi di natura medico-sanitaria, ha un bilancio biennale di circa 4,5 miliardi di dollari per la maggior parte contributi volontari di Stati e privati – sottolinea Giulio Marcon portavoce di Sbilanciamoci – Stiamo parlando di una cifra che annualmente è solo lo 0,11% di quanto i Governi spendono globalmente per il settore militare».

«Un altro paragone possibile è con l’investimento nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dei Paesi industrializzati che è pari a 152,8 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,30% del loro PIL e meno dell’8% della spesa militare – aggiunge Sergio Bassoli della segreteria di Rete della Pace – Un dato significativo che denuncia dove stia il vero interesse ed investimento da parte dei Governi (nell’industria militare e nelle guerre) in totale contraddizione con gli impegni sottoscritti per l’Agenda 2030».  

«La situazione è del tutto simile anche in Italia, con una stima (elaborata dall’Osservatorio Mil€x, in allegato scheda con i dettagli) complessiva di spesa militare prevista per il 2020 in circa 26,3 miliardi di euro con crescita di oltre il 6% (quasi un miliardo e mezzo in più) rispetto al comparabile bilancio preventivo 2019. “E questi sono solo i numeri delle previsioni di partenza – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – perché nei bilanci consuntivi si verifica una spesa effettiva decisamente superiore. Va sottolineato poi che nella previsione per il 2020 quasi 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma».

«Questi dati e considerazioni spingono Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Rete della Pace a una presa di posizione congiunta, con l’obiettivo di recuperare fondi utili per la fase di uscita dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 e per iniziare un vero processo di spostamento di risorse dalle spese militari a settori più utili per la società». 

«La proposta che intendiamo avanzare al Governo e al Parlamento è chiara e netta: una moratoria di un anno per il 2021 su tutti gli acquisti di natura militare per nuovi sistemi d’arma. Se non è forse ipotizzabile fermare i programmi che sono già stati finanziati e decisi con la Legge di Bilancio votata a fine 2019 è invece sicuramente possibile intervenire sulle prossime decisioni di budget dello Stato. Quello che chiediamo è dunque concretamente realizzabile: azzerare completamente per un anno i fondi per nuove armi allocati sia presso il Ministero della Difesa che presso il Ministero dello Sviluppo economico e non dare avvio alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Complessivamente si tratterebbe di più di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere immediatamente riconvertiti e investiti per gli interventi di riorganizzazione scolastica post Covid-19 e per acquisto di strumentazione medica al fine di aumentare i posti letto, soprattutto quelli di terapia intensiva. Una scelta semplice e in un certo senso anche naturale, con fondi già previsti e per i quali ci sarebbe solo un cambio di destinazione da investimento negativo e non utile a investimenti fondamentali per il futuro dell’Italia». 

«Chiederemo a tutte le forze politiche, al Governo, al Parlamento di avere per una volta il coraggio di mettere le necessità reali dei cittadini italiani davanti agli interessi militari e dell’industria delle armi» concludono le tre organizzazioni.

Fonte: ilcambiamento.it

Vaccini, la lettera aperta di un medico: “I pazienti vanno ascoltati”

“Ascoltare i pazienti è uno dei compiti del medico. I medici sono gli esperti della salute, ma i pazienti sono coloro che ricevono i trattamenti che i medici somministrano, per tanto hanno tutto il diritto di chiedere, mettere in discussione e soprattutto scegliere”. Pubblichiamo la lettera aperta di Chiara Mussi, medico chirurgo, che esprime le sue considerazioni sul decreto vaccini, la libertà di scelta e l’importanza della condivisione tra medico e paziente. Quando ho iniziato a lavorare in ospedale, come studente, la maggior parte dei miei mentori mi insegnarono una regola molto importante: ascoltare i pazienti. Su questa base, vorrei invitare ad una riflessione i medici e tutti i cittadini sul decreto legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale. Tra le premesse alla riflessione vorrei ricordare alcuni punti.doctor-thinkstock-2-1-1

Nella pratica clinica, i trattamenti sanitari obbligatori (TSO), vengono raramente utilizzati e riservati a situazioni di emergenza e soggetti incapaci di intendere e volere. Caratteristiche che non vedo applicabili ai genitori di neonati sani.

La medicina moderna , è andata sempre più verso la condivisione tra medico e paziente delle scelte terapeutiche. L’alleanza terapeutica che si crea tra chi cura e chi è curato, aumenta la compliance del paziente e porta a migliori risultati. Il consenso informato è nato a garanzia del paziente e rappresenta una tutela importantissima per il cittadino, alla quale una società civile non dovrebbe rinunciare. La nostra Costituzione e numerosi altre leggi e convenzioni nazionali ed internazionali, riconoscono l’inalienabilità del corpo umano, tutelano la salute del singolo cittadino, anche nei confronti degli obiettivi di salute pubblica e limitano fortemente l’utilizzo di trattamenti sanitari obbligatori. A fronte di queste premesse mi chiedo se sia invece lecito che la classe medica si ponga così al di sopra del cittadino. Con questo approccio, gli “esperti” decidono che cosa rappresenta il meglio per i singoli e per la collettività, ma non sono tenuti a convincerli, possono imporre multipli trattamenti, anche in assenza di malattia, di emergenza, di incapacità di intendere e di volere. Con questo approccio, i genitori, ma direi in generale i pazienti, non contano più nulla. Sono assimilati ad interdetti mentali, poiché evidentemente ritenuti tali.Baby-Vaccine-Shot-2

Ho ascoltato in questi giorni i racconti di molti genitori. Non mi sono per nulla infastidita nel vedere mamme che hanno fatto ricerche bibliografiche su internet, degne di uno studente universitario. Anzi mi sono commossa. Mi sono ricordata di quello che diceva Sant’Agostino: “solo chi ama conosce”. Mi sono ricordata dei miei grandi professori che mi hanno più volte suggerito, quando non capivo le complicazioni e la patologia di un paziente, di ascoltarlo, di visitarlo ancora, di sedermi al suo fianco a pensare e ripensare.

Tra le migliaia di persone che hanno manifestato in questi giorni contro il decreto, nel silenzio assordante dei media e nell’indifferenza generale, ci sono moltissime famiglie che hanno figli con qualche disabilità in casa, che loro ritengono essere il risultato di un danno da vaccino. Far finta che queste persone non esistano, censurarne la voce, multarle, deriderle, non ha nulla né di etico né di scientifico.

Queste malattie, richiedono un focus da parte della comunità scientifica, che analizzi nel dettaglio cosa è capitato nel singolo soggetto e nella collettività. Questo focus può essere solo positivo, poiché darà chiarezza e conoscenza. Non è sufficiente laconicamente affermare che non sappiamo cosa è successo.

Queste famiglie necessitano inoltre di un’attenzione umana e sociale, da parte dei medici, delle istituzioni e della comunità. L’indifferenza non fa che aumentare la rabbia.  A questo proposito ho sempre avuto grande ammirazione e rispetto per le associazioni pazienti e per i patient advocacy groups. Credo che diano un contributo fondamentale alla medicina e siano da incoraggiare, non scoraggiare.

Ascoltare i pazienti è uno dei compiti del medico. I medici sono gli esperti della salute, ma i pazienti sono coloro che ricevono i trattamenti che i medici somministrano, per tanto hanno tutto il diritto di chiedere, mettere in discussione e soprattutto scegliere.

Il dibattito scientifico sui vaccini è complesso, così come lo è il nostro sistema immunitario ed il corpo umano. Il dottor Berrino ha paragonato questo decreto ad una tortura di un sistema totalitario, in cui si ripetono slogan che rappresentano un’enorme semplificazione della realtà e si minacciano coloro ancora non del tutto persuasi del lavaggio del cervello a cui vengono sottoposti.

Spero che in questa confusione, che ha creato una vera frattura sociale, si possa riprendere un vero dibattito scientifico, che è quello che appassiona e libera la mente. Poiché la medicina deve andare avanti e non si deve mai accontentare dei risultati raggiunti. Spero soprattutto che si possa ridare serenità alle famiglie, che si sentono private del diritto all’informazione e alla scelta.

Per quanto riguarda il diritto alla scelta, continuo a riflettere sul fatto che ogni nostra decisione influenza gli altri, da quando prendiamo la macchina al mattino per andare al lavoro, inquinando l’aria che è di tutti, a quando saliamo in metropolitana col mal di gola, esponendo altri al contagio. Per quanto riguarda i vaccini, questa riflessione dovrebbe tener conto di tutta la popolazione, non solo di quella pediatrica.istock_000019041370_large

Dal punto di vista tecnico, va invece ricordato che questo tema riguarda solo quelle malattie per le quali il vaccino dovrebbe produrre un effetto gregge (no tetano, pertosse, improbabile per meningite, etc) e questo effetto gregge dovrebbe essere scientificamente dimostrato e non solo desiderato. Dal punto di vista giuridico, il diritto dei pazienti che vorrebbero vaccinarsi ma non possono e la cui salute in qualche modo potrebbe dipendere dalla vaccinazioni di altri, si contrappone a quello di chi non vuole essere vaccinato perché teme complicazioni da vaccino o per altre ragioni. Dal mio punto di vista, questi diritti hanno pari dignità e credo che debba essere lasciata libertà di scelta, come per tutti i trattamenti che riguardano il nostro corpo e la nostra salute. In ogni caso, questo è sicuramente un complesso tema di riflessione, che necessita di approfondimenti giuridici e non di frettolosi provvedimenti.

In generale penso che sia questa la differenza tra una tirannia e la democrazia. Nella democrazia i singoli hanno diritto a contribuire liberamente al raggiungimento del proprio bene e del bene pubblico. Nei regimi totalitari il bene pubblico è conosciuto da pochi, che lo impongono ai cittadini, che non sono più visti come protagonisti, ma come sudditi, da comandare, poiché incapaci di riconoscere la giusta strada da percorrere.

Con tutti i limiti della democrazia e pur conscia che la verità non è democratica, continuo a ritenere il sistema democratico il meno peggiore che l’uomo possa produrre.

Infine, vorrei invitare tutti, anche coloro che non hanno figli ad immedesimarsi nella situazione. Provate ad immaginare se foste voi a ricevere una lettera, in cui gli esperti hanno deciso che dovete sottoporvi, per garantire la vostra salute e quella pubblica, a 12 (+X) vaccinazioni (decise ad hoc dai tecnici, adeguate ai vostri rischi e alla vostra fascia d’età) . Pena non poter andare più al lavoro. Per quest’anno. L’anno prossimo potrebbero essere di più, a seconda dei nuovi preparati a disposizione. Il numero verrà deciso da una commissioni di esperti e vi verrà comunicato. Ma dovete farle tutte e, altrimenti in ufficio non si entra. E si paga anche una multa. Così e basta.

È questo il modo con cui vorreste che venga trattato il tema della vostra salute e del benessere della comunità? Questa lettera non è fantasia. È la realtà che stanno vivendo in questi giorni migliaia di famiglie. È così che i medici vogliono far valere le loro buone ragioni? È questo il futuro del rapporto medico paziente?

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/07/vaccini-lettera-aperta-medico/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ebola e cambiamenti climatici preoccupano al Summit mondiale della Sanità

Cambiamenti climatici e Ebola sono i due fattori che più preoccupano i medici. Al World Health Summit 2014 di Berlino sono state esposti i rischi dovuti alla carenza di sistemi sanitari efficienti.
http://europarltv.europa.eu/admin/plugins/MFEmbeded.aspx?id=1aaec4ed-ae12-4893-a9ea-a2c2417f178f&language=en&autosize=true

Al World Health Summit 2014, simposio di esperti e specialisti in medicina, che si è chiuso ieri a Berlino sono state espresse preoccupazioni per i cambiamenti climatici e il virus Ebola. Ha commentato al Summit, Thomas Silberhorn segretario allo Sviluppo economico in Germania:

I paesi più poveri, con i sistemi sanitari deboli, sono i più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. I disastri naturali porteranno via più vite umane. Malattie come la malaria e la dengue si diffonderanno ulteriormente perché le zanzare che li trasmettono prosperano a temperature più elevate. E i casi di diarrea aumenteranno se la siccità e le inondazioni porteranno scarsità di acqua potabile.

E infatti le previsioni ci dicono che tra il 2030 e il 2050 ci potranno essere oltre 250 mila morti causati proprio dalle conseguenze ambientali dei cambiamenti climatici. Ma la comunità internazionale è ancora lontana dal realizzare il suo obiettivo di contenimento entro i due gradi centigradi. Il gruppo di esperti intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) stima che il maggior aumento delle emissioni degli ultimi 30 anni ha avuto luogo tra il 2000 e il 2010 e se i paesi continuano come hanno fino ad ora, il riscaldamento globale aumenterà 3,7-4,8 gradi centigradi entro il 2100. In pratica al Summit è emerso che mentre Ebola può essere controllato, gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute sono irreversibili e ciò che può fare davvero la differenza è un sistema sanitario efficiente. Gli esperti però hanno anche rimarcato che la questione centrale da sostenere è la capacità di adattamento, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
Un adattamento efficace è caratterizzato da investimenti che rafforzano i servizi sanitari anche se resta un problema significativo l’accesso ai contributi finanziari. Due paesi sono stati portati come esempio calzante nella riposta sanitaria ai cambiamenti climatici, ovvero Cambogia e Fiji che hanno iniziato a riprogettare il loro sistema sanitario proprio sulle emergenza causate dai cambiamenti climatici. Altro passo importante è la cooperazione e il sostegno dei governi dei Paesi più ricchi che possono finanziare i Paesi più poveri con l’obiettivo di migliorare l’assistenza sanitaria.world-health-summit-620x414

Fonte:  Euractiv
Foto | World Health Summit @ Facebook

Nasce la rete italiana per la salute sostenibile

Un sistema sanitario che abbia come priorità la sostenibilità sociale e ambientale e la tutela della salute dei cittadini, non il profitto economico. È questo ciò che serve oggi in Italia secondo la neonata Rete Sostenibilità e Salute. «Nell’ottica della sostenibilità, i modelli di salute, sanità e cura devono porre al centro la persona, privilegiando l’attenzione al paziente», spiega Jean Louis Aillon, portavoce del sodalizio che raggruppa ventuno associazioni attive da tempo nell’ambito della salute che hanno deciso di unirsi per coordinare i propri sforzi su tutto il territorio nazionale.
Oggi il parametro su cui si basano tutte le valutazioni sono le prestazioni erogate. Numeri e statistiche che però non sono in grado di dirci se le persone che ricorrono alle cure mediche traggono realmente beneficio da esse, in termini di salute fisica e spirituale, di benessere e di qualità della vita. «Nell’ottica della sostenibilità – spiega Jean –, i modelli di salute, sanità e cura devono porre al centro la persona, privilegiando l’attenzione al paziente. Integrazione tra saperi, interazione dei professionisti e delle organizzazioni e importanza delle sinergie con le medicine tradizionali e non convenzionali, sono parole chiave importantissime».3b-Foto-rete-seria

Manifesto della Rete Sostenibilità e Salute è la “Carta di Bologna per la sostenibilità e la salute”, che si apre constatando come l’attuale modello di sviluppo, basato sul paradigma della crescita infinita, non sia sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, ma anche in termini di salute dei cittadini di oggi e di domani. È quindi necessario prima di tutto un nuovo approccio culturale, che ponga l’attenzione sulla salutogenesi piuttosto che sulla patologia, evitando la medicalizzazione eccessiva – uno studio rivela che su 2.500 prestazioni sanitarie supportate da buone evidenze scientifiche, solo il 46% è sicuramente utile e il 4% è giudicato addirittura dannoso. Ma la Carta affronta anche aspetti pratici, suggerendo misure importanti in termini di prevenzione delle frodi, coordinamento dei servizi, criteri di valutazione, gestione della fiscalità e condizioni di accesso. «È indispensabile – aggiunge in proposito Jean – che il Servizio Sanitario Nazionale, basato sulla prevenzione e sull’assistenza primaria, resti una risorsa per tutti, senza disuguaglianze di accesso, indipendente dalle influenze del mercato, sulla base di un sistema che valuti i risultati in termini di “produzione di salute” e non solo di numero di prestazioni sanitarie erogate». Vengono anche fissati gli obiettivi della Rete: favorire la circolazione delle informazioni, organizzare momenti di incontro, coinvolgere le istituzioni, attivare collaborazioni e sinergie, avviare un percorso di reciproca conoscenza fra le associazioni aderenti. Da Slow Food al Movimento per la Decrescita Felice – di cui Jean è vicepresidente nazionale –, dal Centro Salute Internazionale dell’Università di Bologna a Medicina Democratica, si è creato un network eterogeneo in termini di competenze, ma coeso e unito negli intenti.6Logo-ufficiale

A questa iniziativa aderisce con entusiasmo anche Italia Che Cambia, inserendosi perfettamente in una rete che promette di accoppiare in maniera così efficace ciascun ingranaggio per far funzionare il grande meccanismo del cambiamento, per di più in un ambito così importante come quello della salute e del benessere delle persone.
«C’è davvero un’Italia che cambia vorticosamente», ha commentato Jean. «È sotto i nostri occhi e stiamo cominciando a rendercene conto. Chi avrebbe mai detto qualche anno fa che, quasi contemporaneamente al successo del progetto “Italia che Cambia”, si sarebbe creato un gruppo di 21 associazioni che per la prima volta parlano di salute e sostenibilità, mettendo in dubbio il dogma della crescita economica? Due reti che vengono alla luce insieme e che mi auguro possano felicemente incontrarsi per lavorare insieme a quel cambiamento che solo unendo le forze possiamo portare nel mondo!».

 

Francesco Bevilacqua

 

Fonte: italiachecambia.org/

Smog, ufficialmente cancerogeno: Per lo IARC “ci sono sufficienti evidenze scientifiche”

L’International Agency for Research on Cancer, agenzia specializzata dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha annunciato che l’inquinamento atmosferico è stato appena classificato fra gli agenti definiti sicuramente cancerogeni per gli esseri umani. E’ la prima volta che accade dopo anni di studi376669

L’International Agency for Research on Cancer, agenzia specializzata dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha annunciato che l’inquinamento atmosferico è stato appena classificato fra gli agenti definiti sicuramente cancerogeni per gli esseri umani. E’ la prima volta che accade dopo anni di studi

La percezione del rischio campi elettromagnetici: una problematica ancora attuale

images

 

In ambito di prevenzione e sicurezza, i campi elettromagnetici costituiscono una tipologia di rischio che suscita ancora perplessità nella popolazione, non sono in Italia ed in Europa, ma in tutto il mondo

I risultati delle ricerche portate avanti nel corso degli ultimi 10 anni non hanno fornito purtroppo risposte conclusive ed omogenee per quanto riguarda gli effetti della esposizione ai campi elettromagnetici sulla nostra salute.

E’ pertanto possibile affermare che ci si trova di fronte ad un fenomeno complesso caratterizzato da una rilevante incertezza dal punto di vista scientifico che richiede, oltre ad una continua integrazione delle conoscenze disponibili, anche una accurata e trasparente diffusione delle stesse, allo scopo di permettere una corretta valutazione e gestione del rischio.

Il problema pertanto non deve essere trattato unicamente da un punto di vista scientifico, soffermandosi esclusivamente sulle potenziali conseguenze sanitarie e biologiche della esposizione, ma anche da un punto di vista sociale, attraverso analisi approfondite che permettano di comprendere gli atteggiamenti e le percezioni delle persone nei confronti di tali effetti.

A tal proposito, nel 2003 l’agenzia australiana ARPANSA (Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency) ha istituito un Registro in cui vengono riportati vari problemi alla salute lamentati da cittadini australiani e la cui comparsa potrebbe essere messa in relazione all’esposizione a campi elettromagnetici.

In tale Registro vengono considerate le esposizioni a campi con frequenze comprese tra 0 e 300 GHz. I cittadini che ritengono di soffrire o di aver sofferto di patologie correlabili all’esposizione ai campi elettromagnetici possono quindi compilare un questionario standard nel quale hanno la possibilità di descrivere in dettaglio le modalità della loro esposizione, sia residenziale che professionale, e gli eventuali sintomi o patologie da loro ritenuti associabili alla esposizione ai campi elettrici, magnetici o elettromagnetici.

Il Registro ancora non è molto utilizzato dai cittadini, infatti da quando è stato istituito, ha ricevuto in totale 55 report di cui 24 nel periodo Luglio 2003-Giugno 2004, 5 tra Luglio 2004-Giugno 2005, 1 tra Luglio 2005-Giugno 2006, 7 tra Luglio 2006-Giugno 2007, 3 tra Luglio 2007-Giugno 2008, 9 tra Luglio 2008-Giugno 2010 e 6 tra Luglio 2010-Giugno 2012.

Considerando nello specifico le segnalazioni giunte e le fonti di esposizione dichiarate per il periodo 2010-2012, si osserva che i campi elettromagnetici prodotti dai terminali mobili non vengono mai indicati come fonte associabile ad insorgenza di fastidi o patologie, mentre nel periodo 2003-2010 si trovavano al secondo posto.

L’analisi dei dati segnalati dai cittadini hanno permesso di costruire un quadro abbastanza dettagliato dei disturbi percepiti come legati alla esposizione a campi elettromagnetici.

Il quadro emerso varia a seconda degli anni: nel periodo 2010-2012 le patologie maggiormente segnalate consistono in dolori vari al corpo, vertigini, aritmia, insonnia, nausea, sensazione di tintinnio alle orecchie; non sono stati invece riportati emicranie, sensazione di bruciore diffuso, problemi a livello di concentrazione che nei periodi precedenti (2003-2010) avevano avuto un’incidenza elevata.

Si tratta in ogni caso di disturbi di lieve entità che possono essere ricondotti a sindrome idiopatica di ipersensibilità, fenomeno afferente al campo della psichiatria e non della medicina generale, per il quale non ci sono evidenze sperimentali di una possibile associazione tra esposizione ai campi elettromagnetici e sviluppo delle reazioni fisiche lamentate, ma con molta probabilità un effetto di tipo nocebo.

Oltre a queste statistiche, sono stati condotti numerosi altri studi sulla percezione del rischio, non solo in materia di campi elettromagnetici ma anche prendendo in considerazione tutte le tecnologie che fanno uso di radiazioni sia ionizzanti che non. Dall’analisi di tali studi si può affermare che le percezioni e le valutazioni della popolazione sono spesso eterogenee e possono subire influenze esterne ad esempio dai media.

Tra i vari risultati, infatti, è emersa una bassa percezione del rischio associato ai campi emessi dagli elettrodomestici, strumenti di uso comune e considerati innocui e, di contro, un’altissima percezione del rischio associato ai cavi di alta tensione delle linee elettriche; analogamente nel campo delle radiofrequenze, la percezione del danno alla salute derivante dall’utilizzo del terminale mobile è minore rispetto a quella associata alla presenza di stazioni radiobase negli ambienti di vita.

Si può perciò affermare che la percezione del rischio non dipende sempre dal valore reale del rischio stesso ma piuttosto dal modo in cui il pubblico lo percepisce e spesso anche dalla familiarità con una determinata situazione. Nel caso specifico dei campi elettromagnetici, l’impossibilità di percepirli a livello sensitivo e visivo e la mancanza di una risposta scientifica chiara ed esaustiva sui loro potenziali effetti biologici e sanitari, rendono questo agente fisico poco conosciuto e, di conseguenza, maggiormente temuto.

Da questa analisi emerge che la percezione del rischio può portare ad inutili allarmismi e arrivare a bloccare o rallentare il progresso o l’applicazione di determinate tecnologie, va pertanto affrontata in modo chiaro, trasparente e concertato, mettendo sempre in primo piano i risultati di una ricerca scientifica che deve venire aggiornata con continuità e rivolgersi alla popolazione in modo comprensibile e, ove possibile, univoco.

Fonte: Elettra2000

Smog: stimato oltre i 15 miliardi di euro per l’Italia il danno sanitario prodotto dai trasporti su strada


ecodaleecitta

 

Milano e’ terza in classifica dopo Zurigo e Bucarest per costo dell’impatto dei camion per km: 0,107 euro per i mezzi Euro III e 0,064 euro per i mezzi Euro IV. Queste le stime dell’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), che fa il punto sui costi dell’inquinamento causato dagli autocarri in Europa

L’inquinamento dei trasporti su strada in Italia costa caro in termini di salute: 15,5 miliardi di euro complessivi, di cui 7,2 miliardi a carico dei mezzi pesanti. Su 33 città’ esaminate, Milano e’ terza in classifica dopo Zurigo e Bucarest per costo dell’impatto dei camion per km: 0,107 euro per i mezzi Euro III e 0,064 euro per i mezzi Euro IV. Queste le stime dell’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), che fa il punto sui costi dell’inquinamento causato dagli autocarri in Europa.

L’Aea stima che nel complesso l’inquinamento atmosferico causi 3 milioni di giorni di assenza per malattia e 350.000 morti premature in Europa ogni anno, con relativo impatto economico. Solo i costi derivanti dalle emissioni inquinanti degli automezzi pesanti dei paesi membri dell’Aea ammontano a 43-46 miliardi di euro all’anno, quasi la metà del costo di circa 100 miliardi di euro per l’inquinamento atmosferico causato da tutte le modalità di trasporto. Gran parte di questi mezzi pesanti usa il gasolio, che genera emissioni considerate cancerogene dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. E più ci sono densità di popolazione, assenza di sbocco al mare e aree montuose, più sono i danni.

Un automezzo Euro III da 12-14 tonnellate ha effetti negativi elevati in Svizzera (0,12 euro per km), ma anche in Italia, Germania, Austria, dove ammontano a circa 0,08 euro per km, contro circa mezzo centesimo a Cipro. Di qui la proposta dell’Aea: i pedaggi stradali per gli automezzi pesanti (HGV o autocarri) dovrebbero rispecchiare i vari effetti sulla salute legati all’inquinamento da traffico. Quindi i pedaggi dovrebbero essere più cari in alcuni paesi rispetto ad altri.

Fonte: eco dalle città