Zero salvaguardia e prevenzione del territorio, spreco di denaro pubblico e la gente continua a morire

È risaputo: l’ambiente è un tema semi-inutile che appassiona solo i protettori delle foche monache… Ancora meno interessano veramente i cambiamenti climatici, l’effetto serra e tutto ciò che questo comporta; anche questi sono temi che appassionano i soliti catastrofisti…

Porta voti parlare o fare qualcosa in questo senso? No, e allora facciamo passare “la nuttata” e poi avanti tutto come prima. Intanto però la gente continua a morire, si contano già decine di vittime della furia della natura di questi giorni e la stessa Protezione Civile, non i catastrofisti ambientalisti, ha parlato di devastazione apocalittica in merito alla situazione al nord est e nel bellunese in particolare con venti che sono arrivati fino a 180 km orari, cosa mai vista prima e ci sono ancora migliaia di famiglie isolate e al buio.

Ci si accorge che si ha a che fare con qualcosa che travalica ogni nostra possibile immaginazione, come i giapponesi che costruiscono le centrali nucleari in riva al mare e poi si stupiscono se arriva uno tsunami, che gli umani ritenevano impossibile di quelle dimensioni e distrugge tutto.

Non si salva nessuno, nemmeno quel nord est motore della crescita, ricchissimo, preso sempre a modello dagli adoratori del PIL che però nulla può di fronte alla natura che fa esattamente quello che gli pare, come purtroppo tristemente abbiamo già ricordato più volte. Le risposte della natura alla nostra criminale cecità colpiscono ovunque e nemmeno la ricchezza, i soldi la fermano.

E già il fatto che nessuno è e sarà immune alle sue pesanti risposte ai nostri attacchi contro di lei, dovrebbe fare agire immediatamente, perché continuare a pensare che si possa fare dell’ambiente quello che si vuole è idea letteralmente sucida. In Veneto si parla di milioni di alberi distrutti; ma in fondo che sarà mai… gli alberi ci regalano solo ossigeno per farci respirare, mica stiamo parlando di un problema serio come la forfora sui capelli… E ancora nel Veneto si prevede un miliardo di euro di danni e chissà quanti altri ancora in tutta Italia, ma questi soldi mica vengono conteggiati quando si fanno i famosi calcoli “costi-benefici” per decidere se aumentare di più o di meno l’effetto serra con una qualsiasi grande, inutile e inquinante opera energetica. Eppure sono soldi sonanti quelli che paghiamo noi per rimediare ai danni di chi ragiona solo e unicamente in termini di convenienza. Convenienza per i soliti noti, non certo nostra.  La Sicilia riceve quantità impressionanti di soldi pubblici dallo Stato e dall’unione Europea e per inciso con le sue potenzialità geoclimatiche e la sua spettacolare agricoltura è una delle regioni più ricche al mondo, quindi non avrebbe certo bisogno di valanghe di soldi. I politici della Giunta regionale siciliana sono fra i più pagati della galassia, c’è una quantità di forestali impiegati nella regione che ci si potrebbe monitorare tutta Europa, abbiamo tecnologie sofisticatissime che potrebbero individuare ogni più piccolo movimento di sasso sul territorio ma non si riesce a monitorare, prevenire, proteggere e salvare persone che a casa loro vengono travolte e uccise da un fiume che esce dagli argini.

Si piangeranno i morti, ognuno dirà che la colpa è di qualcun altro e avanti così, sempre peggio. Ma quali stragi devono ancora accadere perché si capisca che la manutenzione, la salvaguardia del territorio è fondamentale? La ricchezza dell’Italia non sono le “fabrichette e fabbricone” che producono troppo spesso cose del tutto superflue e inquinano a più non posso; la ricchezza dell’Italia è costituita dal nostro territorio, il nostro cibo, la nostra bellezza paesaggistica. Da lì bisogna partire, con una formazione a tappeto della popolazione, delle scuole, sulla tutela del territorio che non è una discarica o un posto dove cementificare ovunque anche in posti dove la pericolosità è altissima.

Con tutti i disoccupati che abbiamo, ma perché non puntare sull’ambiente, sulle enormi risorse naturali che abbiamo e che ci darebbero solo vantaggi da ogni punto di vista? Perché non destinare i soldi che ora vanno agli uffici per l’impiego, che attualmente sono soldi buttati, per pagare invece direttamente persone che lavorino nel campo ambientale, della salvaguardia del territorio? E’ così ovvia, banale, semplice e fattibile la cosa che probabilmente non si farà nulla in questo senso. Visto che non sono purtroppo in tanti a dire queste cose che riteniamo fondamentali, noi ci ritorneremo sempre, martelleremo finché potremo perché ne va della nostra vita e di quella delle prossime generazioni che non possono essere ignorate da chi ha soldi, potere per decidere e intervenire e non fa nulla. Figli e nipoti di chi doveva e poteva agire e non lo ha fatto, un giorno diranno ai loro padri o nonni: “Potevi fare e non hai fatto e ora per me non c’è nessun futuro e pago le gravi conseguenze della tua ignavia, del tuo menefreghismo, della tua idiozia.”

Fonte: ilcambiamento.it

Deforestazione: nel 2014 persi 18 milioni di ettari

La superficie di foreste persa lo scorso anno è doppia rispetto a quella del Portogallo ed uguale a quella di Cambogia e Siria452167606

La deforestazione continua a un ritmo forsennato: nel 2014 sono spariti dal nostro Pianeta 18 milioni di ettari di foreste vale a dire 180.000 kmq, una superficie pari al doppio del Portogallo e uguale a quella di Paesi come Siria e Cambogia.

La piattaforma Global Forest Watch ha pubblicato i dati che sono stati forniti dall’Università del Maryland, e da Google. Questa diminuzione delle foreste – la cui superficie rappresenta un terzo delle terre emerse – non cessa. Ogni minuto vengono tagliati circa 2400 alberi e più della metà delle foreste vengono tagliate nei Paesi tropicali. Nuove aree del mondo – prima trascurate – vengono private della vegetazione: nel bacino del Mekong, in Cambogia, nell’Africa Occidentale, in Madagascar e in Sud America, in modo particolare in Paraguay.

Giornata della Terra: l’appello del WWF contro la deforestazione. In occasione dell’Earth Day 2015, WWF lancia una campagna per la salvaguardia delle foreste. La principale causa della deforestazione non è – come si potrebbe pensare – la “fame” di legname, ma quella di spazio: le foreste liberano spazio per le piantagioni di soia, di caucciù e di olio di palma. Uno studio reso noto lo scorso aprile ha stabilito una forte correlazione fra la deforestazione della regione del Mekong e l’aumento del prezzo del caucciù a livello mondiale. In Paraguay sono le coltivazioni di soia e di bovini a spingere alla distruzione delle foreste. I dati pubblicati da Global Forest Watch vengono riattualizzati ogni otto giorno grazie alla sorveglianza satellitare consentita dal programma Landsat sviluppato dalla Nasa che garantisce un’altissima risoluzione. Sono circa 300 milioni le persone che vivono nei pressi delle foreste e la sopravvivenza del 60% delle popolazioni indigene dipende da esse.

Fonte:  Le Monde 

Trivellazioni nel Parco Yasunì: addio al piano per salvare gli ecosistemi dell’Ecuador

L’Ecuador voleva lasciare intatte le sue riserve sotterranee di greggio, in modo da preservare aree protette come il Parco Yasuní, la zona più ricca di biodiversità dell’intero pianeta. Ma dopo avere raccolto in un solo anno 300 milioni di dollari dalla comunità internazionale, cifra richiesta al mondo da Rafael Correa per compensare i mancati introiti petroliferi, il tutto si è bloccato. Il lavoro del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), incaricato di iniziare con il finanziamento di energie verdi, la riforestazione e i progetti per le comunità locali in alternativa alle trivellazioni, infatti, rimarrà solo un bel sogno infranto. La denuncia arriva da Survival, preoccupata per gli effetti di questa scelta sulle tribù incontattate di quelle terre.parco_yasuni

L’iniziativa Yasuni Ishpingo Tambococha Tiputini (ITT) era nata nel 2007 e proponeva di fermare le trivellazioni petrolifere all’interno del parco a condizione che i sostenitori internazionali raccogliessero una somma di denaro pari a metà del valore stimato delle riserve di petrolio dell’area. Una scelta dovuta al fatto che, in soli quattro decenni, l’industria petrolifera aveva portato a livelli di inquinamento e degrado sociale tali da convincere il Paese del Buen Vivir a cambiare rotta, tutelando in particolare la IITT, una delle aree naturalistiche più importanti del pianeta. Situata all’interno del Parque Nacional Yasuní, è un paradiso per insetti, uccelli, mammiferi e anfibi, che in un solo ettaro ospita fino a 655 specie di alberi, lo stesso numero di quelle in Usa e Canada messi insieme. Un gioiello di biodiversità, sotto cui però si nasconde un altro tesoro: 850 milioni di barili di oro nero, il 20% delle riserve nazionali. Dopo avere provato a compensare le mancate entrate chiedendo il contributo della comunità internazionale (3 miliardi e 600 milioni di dollari), da raccogliere nell’arco di 13 anni, lo Stato sudamericano ha cambiato idea: ora nonostante l’opposizione della nazione, il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha cancellato il progetto ideato per proteggere dalle trivellazioni petrolifere il Parco Nazionale Yasunì. “Il mondo ci ha abbandonato”, ha dichiarato il Presidente Correa. Ma il problema, ora, oltre a quello di un ambiente che verrà consacrato alle trivellazioni petrolifere è che nel Parco Yasuni abitano diversi popoli indigeni, tra cui le tribù incontattate dei Tagaeri e dei Taromenane. “Le tribù non hanno difese immunitarie verso le malattie portate dall’esterno e qualsiasi contatto potrebbe essere fatale. Molte tribù della regione sono già state decimate a seguito del contatto con gli operai petroliferi”, afferma John Wright di Survival International: “Si pensa, inoltre, che il conflitto tra gli Indiani Waorani locali e le tribù incontattate sia dovuto alla crescente pressione esercitata dai taglialegna e dalle compagnie petrolifere che già operano nell’area”. Nelle scorse settimane, centinaia di manifestanti si sono riversati nelle strade della capitale dell’Ecuador per protestare contro la decisione di Correa. Il loro timore è legato in realtà ad una certezza: le compagnie petrolifere metteranno in pericolo le vite delle tribù incontattate, e devasteranno la preziosa biodiversità del parco come hanno già fatto altrove. Ma sappiamo già come andrà a finire: il mondo si dimenticherà ed abbandonerà presto anche loro.

Fonte: il cambiamento

OGM: “subito la clausola di salvaguardia”

Si chiama Task Force per un’Italia Libera da Ogm e mette insieme una serie di realtà contrarie alla diffusione del transgenico in Italia: un’ipotesi che non piace al 76% degli italiani e che dovrebbe tradursi, per i promotori della mobilitazione di giovedì scorso in piazza Montecitorio, nel ricorso alla clausola di salvaguardia da parte del Governo italiano. agricoltura2__3

Il 76% degli italiani è contrario agli OGM. Otto paesi europei – Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Polonia e Ungheria – hanno adottato la clausola di salvaguardia per vietare la messa a coltura nel proprio territorio di piante geneticamente modificate autorizzate a livello dell’Unione europea. L’Italia finora non l’ha fatto, nonostante il contesto di urgenza dettato da due sentenze della Corte di Giustizia europea che, in pochi mesi, hanno smantellato la strategia difensiva italiana, che all’ingresso degli Ogm oppone la mancanza di norme nazionali che ne regolino la coesistenza con l’agricoltura tradizionale. A settembre la Corte di Giustizia Ue, nella causa tra l’azienda biotech Pioneer Hl Bred Italia srl e il Ministero dell’Agricoltura, ha infatti affermato che semi autorizzati dalla Commissione europea possono automaticamente essere commercializzati in tutti gli stati membri e a maggio, intervenendo nella vicenda di un agricoltore che aveva piantato mais Mon810 in Friuli senza autorizzazione nazionale, ha ribadito che non occorre alcun via libera per la messa a coltura di semi iscritti nel catalogo comune. Il Ministero continua a sostenere il diritto dello Stato membro a condizionare la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, ma nei fatti l’Italia ha solo due alternative: può rassegnarsi all’ingresso degli Ogm, e limitarsi a dettare delle regole sulla coesistenza con l’agricoltura bio e tradizionale, oppure può ricorrere alla clausola di salvaguardia e bloccare le piante biotech. Questa via, invocata dai cittadini attraverso un appello sul web, e indicata anche da una mozione sostenuta da tutti i gruppi parlamentari al Senato, è anche al centro della mobilitazione della Task Force per un’Italia Libera da Ogm, che la scorsa settimana ha protestato davanti a Montecitorio contro l’inattivismo del Governo italiano. A chiedere una soluzione definitiva alla vicenda degli Ogm, diverse realtà imprenditoriali e sociali: dalla Coldiretti, che ricorda che sette italiani su dieci sono contrari agli Ogm, alla Cia-Confederazione italiana agricoltori, secondo cui “l’omologazione a cui gli organismi geneticamente modificati conducono” è incompatibile con l’agricoltura italiana e metterebbe a rischio oltre 5mila prodotti tipici della nostra enogastronomia. E ancora, sul palco della manifestazione si sono alternati esponenti di Greenpeace, Federconsumatori, Legambiente, Slow Food, Univerde e Campagna Amica, insieme a rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Assente all’appello Confagricoltura che, con un comunicato del presidente Mario Guidi, ha bollato come ‘caccia alle streghe’ i tentativi di bloccare l’ingresso delle piante biotech: la protesta, secondo l’organizzazione, alimenterebbe “una guerra di religione” che “lega le mani a scienziati e agricoltori”. Ma l’opposizione agli Ogm non è uno scontro ideologico: in gioco ci sono questioni molto concrete, dalla tutela della nostra salute all’evitare che gli agricoltori siano costretti ad acquistare ogni anno semi brevettati, dalla minaccia di perdita di biodiversità a quella della diffusione della resistenza agli erbicidi. Non è una forma di rifiuto del progresso, nè della razionalità economica, perchè il no al transgenico non chiude le porte alla ricerca agricola in altri campi e la difesa dell’unicità dei prodotti italiani è anche una strategia di valorizzazione della nostra agricoltura nei mercati globali. Piuttosto, i caratteri della guerra di religione sembra averli la crociata dei fautori del transgenico: la conversione al geneticamente modificato, che impone l’omologazione a ciò che è funzionale al profitto di pochi; il dogma degli Ogm come soluzione alla fame nel mondo, che rifiuta le soluzioni possibili alle cause vere dell’insicurezza alimentare; la guerra alla biodiversità, che minaccia la sopravvivenza dell’altro, semi, tradizioni e specificità dei territori.

Il link per inviare un messaggio al Ministro della Salute Lorenzin

Fonte: il cambiamento

 

Parco del Lambro chiuso ai motori: si entra solo più a piedi o in bicicletta!

Chiuso definitivamente 24 ore su 24, l’accesso da cui potevano entrare le auto nel parco Lambro. Una scelta condivisa con il Consiglio di Zona 3 e le attività presenti all’interno, con l’obiettivo di salvaguardare il verde e la sicurezza delle tante famiglie che lo frequentano, a piedi o in bicicletta375317

Chiuso definitivamente tutti i giorni della settimana, 24 ore su 24, l’accesso da cui potevano entrare le auto nel parco Lambro. Una scelta condivisa con il Consiglio di Zona 3 e le attività presenti all’interno, con l’obiettivo di salvaguardare il verde e la sicurezza delle tante famiglie che lo frequentano, a piedi o in bicicletta. “Un provvedimento importante per la nostra città, a tutela delle famiglie, delle bambine e dei bambini, dell’ambiente e del verde – hanno dichiarato gli assessori Chiara Bisconti (Qualità della vita e Verde) e Pierfrancesco Maran (Mobilità e Ambiente) -. Il parco Lambro è uno dei più grandi del nostro Comune, una risorsa ambientale irrinunciabile per Milano, e non aveva senso fosse raggiungibile con mezzi a motore. Adesso finalmente tutti potranno viverlo in sicurezza e serenità”. “Accogliamo con soddisfazione questa notizia, richiesta dalla Zona diverso tempo fa, e che ha richiesto un po’ di tempo per necessità di organizzazione e di tutela dei diritti di chi ha attività di interesse pubblico all’interno del Parco”, ha dichiarato il presidente della Commissione Qualità dell’Ambiente urbano e Mobilità del Consiglio di Zona 3, Dario Monzio Compagnoni. “Ci auguriamo che ora, in un ambiente più protetto, il parco venga fruito al meglio da bambini e famiglie con attività sportive e ricreative anche nel periodo invernale, durante il quale ora era aperto alle auto”. Dal divieto di transito sono derogati biciclette, mezzi di soccorso, di emergenza e di polizia, veicoli per manutenzione stradale, del verde, dei sottoservizi e dell’Amsa, gli aventi diritto in quanto proprietari o locatari di attività interne al parco, Guardie ecologiche di zona e operatori dell’Ente Parco Agricolo Sud, i veicoli delle associazioni con finalità socio-sanitarie o assistenziali interne al parco (e i loro operatori o utenti dei servizi con documentazione rilasciata dall’associazione), auto-negozi con autorizzazione, veicoli per la predisposizione di eventi autorizzati dalla Polizia locale, trasporto cose per carico/scarico destinati alle attività interne (da lunedì a sabato).

Fonte: eco dalle città

Marcia per la terra di “Salviamo il Paesaggio”

Dove: Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Piemonte

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Il Forum nazionale “Salviamo il Paesaggio” propone – in concomitanza con l’Earth Day mondiale – una manifestazione generale pubblica a salvaguardia dei terreni liberi e fertili rimasti

Si tratta di una grande Marcia per la Terra, che si terrà domenica 21 aprile, in Piemonte, Liguria e Lazio, sabato 20 aprile in Friuli Venezia Giulia.
La manifestazione potrà svilupparsi in contemporanea anche in altre Regioni, a cura dei comitati locali Salviamo il Paesaggio, continuate a visitare questa pagina per vedere tutti gli aggiornamenti.
Per il momento pubblichiamo i programmi indicativi di queste quattro regioni, da cui le altre regioni e comitati locali potranno eventualmente prendere spunto…

Marcia per la Terra in Piemonte

Marcia per la Terra in Liguria

Marcia per la Terra in Friuli Venezia Giulia

Marcia per la Terra nel Lazio

Fonte: eco dalle città

 

Crescita forzata o decrescita serena?

Nelle ricche società insostenibili, il PIL non è più una misura della qualità della vita. Ridurre i consumi non significa stare peggio se si salvaguardano i diritti

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[Vignetta pubblicata per gentile concessione di Andy Singer]

Quelli dell’Huffington Post pensavano di avere gioco facile a sbeffeggiare la decrescita facendo dell’ironia sul fatto che ora siamo più poveri e dovremmo quindi essere più felici. Il contenuto del loro post è quantomeno semplicistico, anche perchè paragonare Beppe Grillo con Serge Latouche è più o meno come confondere Zichichi con Einstein. La teoria della decrescita (1) mette in discussione il dogma della crescita economica fine a se stessa e la stolta idea degli economisti di condensare tutto in un unico indicatore, il PIL, che viene adorato e glorificato. Credo che ormai lo sappiano anche i sassi che il PIL cresce quando cresce il traffico, gli incidenti, l’inquinamento, la delinquenza, i divorzi, i disastri “naturali” da incuria ecc, mentre non sale di una briciola se ci sono milioni di volontari, di mamme e papà che svolgono compiti fondamentali gratuitamente e senza fatturare. (2)

Ecco la giaculatoria dell’Huffington:

Consumiamo quanto consumavamo in media a metà degli anni novanta. Le auto praticamente non le compriamo più (se ne vendono quante se ne vendevano negli anni settanta), il petrolio (consumi per 63 milioni di tonnellate nel 2012) ha fatto addirittura un balzo indietro agli anni sessanta, prima del boom economico. L’Istat ha certificato che una famiglia su dieci ormai non compra più pesce e carne. Consumiamo meno petrolio e compriamo meno auto? Vivaddio, dobbiamo ridurre la nostra tossicodipendenza fossile, oltre alle emissioni di CO2. (3) Mangiamo meno carne e pesce? Vivaddio al quadrato. In Italia abbiamo a disposizione ogni giorno più o meno il doppio delle proteine necessarie; mangiare più proteine vegetali non può che fare bene alla nostra salute e all’ambiente. Negli anni ‘90 stavamo forse male? La questione non è quanto si consuma, ma quanto sono garantiti i diritti. Avere una vita più sobria non è un problema se possiamo garantirci i bisogni primari, l’istruzione, la sanità e la partecipazione. Se.

Certo, avremmo preferito una decrescita scelta ad una decrescita subita (Come ben diceva Marco Revelli  5 anni fa), ma nel mondo pre-crisi guidato dai semidei di Davos non avevamo molto margine di manovra. Il vero problema è che la minore disponibilità di energia fossile a basso costo ha bloccato un modello economico-sociale fondato su di essa. Occorre reinventarci una società e un lavoro sostenibili se vogliamo andare avanti. Con o senza gli economisti.

(1) Trovate qui in ordine un po’ sparso una serie di analisi, notizie, riflessioni e testimonianze sulla decrescita

(2) Vi segnalo i miei vecchi post  della serie l’inferno della crescita, dove ho analizzato la crescita di psicofarmaci, avvocati, armi, sportelli bancari, rate e pubblicità, tutte cose che fanno aumentare il PIL, ma peggiorano la qualità della vita. Sono post scritti prima della crisi del 2008; ci ha quindi pensato la crisi energetica a fermare l’ulteriore crescita di questi indicatori prima che raggiungessero il loro picco naturale.

(3) Se i padroni del vapore se ne fossero accorti in tempo, avrebbero potuto iniziare a costruire piccole auto elettriche con kit solare per la mobilità urbana, ma essendo prigionieri del paradigma della crescita non si sono mai occupati di una cosa così “da sfigati”.

Fonte: ecoblog

 

Le Nazioni Unite approvano la Carta contro la violenza sulle donne

Il 15 marzo scorso è stata firmata all’ONU la Carta per l’eliminazione e la prevenzione di ogni forma di violenza sulle donne e sulle bambine e per la salvaguardia dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali.

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È stata una giornata storica quella dello scorso venerdì a New York durante la cinquantasettesima sessione della Commissione della condizione della donna che si è conclusa con un emozionate e lunghissimo applauso. La Carta contro la violenza viene infine approvata con il voto di 131 paesi su 198. Non può che commuovere fortemente il raggiungimento di questo primissimo traguardo storico e simbolico. Occorre avere la consapevolezza che l’emozione e la contentezza sono istantanee e momentanee perché, resta inteso, la Dichiarazione che condanna ogni forma di violenza alle donne, è solo un punto di partenza sul quale, si spera, potere costruire un nuovo mondo e una nuova maniera di intendere la vita e il vivere. Del resto, lo dimostra anche l’iter che ha portato a questo risultato; contrariamente a quanto si possa pensare non si è trattata di un’approvazione immediata né tanto meno semplice e scontata. Lo dimostra il numero di paesi favorevoli, di quelli sfavorevoli e di quelli che hanno opposto obiezioni o espresso contrarietà su vari punti della Carta, lo confermano le tensioni durante lo svolgimento dei lavori della Commissione e infine, più in generale, ne sono una prova sconfortante i decenni di disaccordi su una materia che è assolutamente legittima e indiscutibile. In altre occasioni, per esempio nel 2003 e poi nel 2012, gli Stati membri dell’ONU si erano riuniti per affrontare la problematica della violenza sulle donne senza mai arrivare ad un accordo. La violenza contro le donne è un tema universale e secolare che tocca e riguarda ogni paese del pianeta, nessuno escluso.

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L’accordo approvato qualche giorno fa ha un carattere esortativo e non è vincolante per gli Stati membri, ma è lo start di un processo che paradossalmente sarà lungo e difficoltoso che mira a scardinare quelle mentalità e quelle culture ancora molto radicate che discriminano le donne. La Carta esorta ogni paese ad agire per eliminare gli usi, i costumi, le tradizioni o le considerazioni religiose che portano alla violenza nei confronti delle donne e che divergono dagli intenti stabiliti dalla Dichiarazione dell’ONU e dalla Carta universale dei diritti umani. Il testo adottato si focalizza sulla prevenzione, attraverso l’istruzione e la sensibilizzazione, sulla lotta alle ineguaglianze sociali, politiche e economiche e pone l’accento su un maggiore impegno nell’assicurare l’accessibilità delle vittime alle vie della giustizia. Sottolinea inoltre l’importanza di creare dei servizi multi settoriali per le vittime di violenza in grado di offrire supporto medico, psicologico e sostegno sociale e incentiva a muoversi per sanzioni più dure per gli aggressori ma, ancor prima, a combattere la frequente impunità degli autori dei crimini. Nel documento, i paesi membri, che ribadiscono l’anacronismo della discriminazione e della violenza sulle donne e le bambine, assumono l’impegno e la responsabilità di dare vita ad azioni concrete per eliminarle. Occorrono azioni concrete ed esempi che possano sancire definitivamente la valenza e la validità della Carta delle Nazioni Unite e degli accordi presi dalla maggior parte dei paesi del mondo. Atti reali, cambi di atteggiamento e di comportamenti sia a livello istituzionale che individuale che possano tracciare adesso il cammino legislativo e sociale internazionale di condanna alla violenza contro le donne per non rischiare di assistere a dei pericolosi retromarcia per l’intera umanità.

Fonte: il cambiamento

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SLOW FOOD: 14 punti per una nuova politica alimentare in Italia


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L’associazione Slow Food entra pienamente nella campagna elettorale con quattordici proposte per una nuova politica alimentare in Italia.

Per troppo tempo l’agricoltura è stata considerata solo come un settore produttivo marginale, ma ora finalmente sta diventando uno degli snodi centrali in tema di ecologia, salute pubblica, occupazione, tutela dei diritti e, più in generale, qualità della vita.

Slow Food parla in modo innovativo di politiche alimentari anziché di politiche agricole: ovvero di un insieme di interventi organici e interconnessi: ambiente, agricoltura, educazione, salute, economia, giustizia, sviluppo, industria, beni culturali. Non esiste confine: se si fa politica per il cibo e per l’agricoltura, si fa politica su tutto e per tutti.

Questi 14 punti sono il primo abbozzo per la definizione della sovranità alimentare nel nostro paese. Le proposte sono tanto semplici, quanto radicali.

  1. Difendere il suolo, il paesaggio e il territorio: salvaguardare i suoli fertili e recuperare i suoli agricoli abbandonati. Il suolo fertile è una risorsa fondamentale per il futuro del pianeta (prova ne sia il land grabbing). Il nuovo parlamento deve approvare il disegno di legge “salvasuoli“.
  2. Difendere la legalità nei sistemi di produzione del cibo, dalle mafie al lavoro nero, anche con rapporti più stretti tra produttori e consumatori.
  3. Contrastare il cambiamento climatico, con limiti ai biofuel e norme per l’autonomia energetica delle aziende agricole.
  4. Tutelare la biodiversità, dalle sementi di varietà tradizionali e le razze autoctone, ai prodotti frutto di trasformazioni e di saperi tradizionali.
  5. Liberare il sistema alimentare nazionale dagli OGM. Gli Ogm non servono alla nostra agricoltura, non ne risolvono i problemi, anzi sostengono un modello economico, produttivo, sociale e gastronomico che è antitetico alla nostra cultura e alle grandi opportunità di un sistema alimentare fondato sulla diversità e sulle risorse locali
  6. Fornire incentivi per le giovani generazioni. Contrastare l’invecchiamento degli agricoltori con misure che rendano la vita agricola non solo redditizia ma anche socialmente attrattiva.
  7. Tutelare le risorse idriche. Ottimizzare e ridurre gli sprechi, con una gestione pubblica e partecipativa dell’acqua.
  8. Tutelare le sapienze locali e di genere e incentivare l’imprenditoria ad esse connesse. Promuovere il sapere e il saper fare a livello locale.
  9. Promuovere programmi di riduzione degli sprechi, che rappresentano lo scandalo principale del sistema alimentare dominante.  Occorre promuovere politiche per favorire il recupero e il riutilizzo, per ridurre gli imballaggi, per penalizzare sistemi produttivi inefficienti
  10. Adottare politiche fiscali adeguate e attuare la semplificazione burocratica: politiche territoriali in grado di premiare imprese agricole diversificate, appoggio alla creazione dei gruppi d’acquisto solidale e di forme di partecipazione alla produzione sul modello della community supported agriculture;
  11. Tutelare e sostenere l’agricoltura di piccola e media scala e a basso impatto ambientale, e le economie locali, con maggiore attenzione all’agricoltura biologica, eccellenza italiana a basso impatto ambientale
  12. Sostenere una PAC (politica agricola comunitaria) verde, equa e giovane, con maggiore attenzione ai piccoli agricoltori.
  13. Utilizzare la cooperazione anche come strumento di sviluppo agricolo e alimentare. Promuovere e rilanciare la cooperazione internazionale allo sviluppo coinvolgendo direttamente agricoltori, pescatori, artigiani, educatori, cuochi e ricercatori.
  14. Tornare a investire sulla scuola. Il cibo e l’educazione alimentare e del gusto sono un’opportunità per sperimentare didattiche interdisciplinari, per rieducare le nuove generazioni a scegliere il proprio cibo, imparando il piacere della tavola e di
    un’alimentazione sana.

Fonte: ecoblog