Il libro sconvolgente di
Christophe Brusset “Siete pazzi a mangiarlo!”, scritto in qualità di manager
che per vent’anni ha lavorato dell’industria agroalimentare, è una discesa
horror in un sistema capace, come molti business dai grandi numeri, di azioni
aberranti dove la vittima è sempre il consumatore.
Il libro
sconvolgente di Christophe Brusset “Siete pazzi a mangiarlo!”, scritto in
qualità di manager che per vent’anni ha lavorato dell’industria agroalimentare,
è una discesa horror in un sistema capace, come molti business dai grandi
numeri, di azioni aberranti dove la vittima è sempre il consumatore. Una
galleria di esempi vomitevoli in cui c’è l’imbarazzo della scelta dello schifo
che costantemente e in maniera imperterrita le industrie alimentari propinano
alla gente senza alcuno scrupolo. Prodotti sofisticati, andati a male, con
escrementi, vermi, tossici, scaduti, che provengono da paesi con controlli
irrisori e fatti passare per nazionali, trucchi e falsificazioni di ogni
genere, truffe, corruzioni, collusioni con le autorità pubbliche, non manca
nulla. Importazione e occhi chiusi su alimenti fuori da ogni parametro a
seconda della potenza politica e commerciale dal paese da cui provengono. Poi
però si fanno autentiche campagne terroristiche per fare vaccinare tutti,
quando il cibo a livello industriale che mangiamo è spesso quanto di più dannoso
si possa immaginare. Ma attaccare e criminalizzare una famiglia che vuole solo
scegliere liberamente come curarsi è molto più facile che mettersi contro
grandi industrie o interi paesi dai quali importano cibo insano che avvelena la
nostra salute. Del resto non c’è nulla di cui stupirsi perché Brusset ci
chiarisce quali sono le regole del sistema : «Il Bene era tutto ciò che aumenta
il profitto, il Male era perdere soldi. La menzogna, la dissimulazione, la
malafede e persino la truffa, senza essere degli scopi in sé, erano positive,
se miglioravano i risultati attesi».
E ancora: «Imbrogliare
il consumatore è facilissimo, in più è legale! Mi spingerei persino a
sostenere che si è istigati a farlo».
«Il liberismo non è
l’assenza di regole, è l’applicazione della legge della giungla».
«Un’impresa non è
un servizio sociale dello Stato. La sua finalità non è il benessere dei suoi
dipendenti o la soddisfazione dei suoi clienti, ma il profitto, o il margine di
guadagno».
«Siamo sinceri e
diretti: l’unica cosa che interessa agli industriali e alle grandi catene di
supermercati è il vostro denaro, non certo la vostra felicità e la vostra
salute. Non fatevi ingannare dalle spacconate di quei parolai che vi
giurano, con la mano sul cuore e la lacrima pronta, che lottano per il vostro
benessere e difendono il vostro potere d’acquisto. E’ tutta una commedia, una
millanteria, nient’altro. Non fidatevi di nessuno, siate vigili e soprattutto
siate esigenti! Dovete rendervi conto una volta per tutte che in fin dei conti siete
voi consumatori ad avere il potere. Siete voi che decidete se comprare o meno
nei vari reparti quello che vi viene offerto. Usate questo potere per cambiare
finalmente le cose».
Leggendo il libro
si stenterà a credere di quanta autentica immondizia venga data in pasto alle
persone per raggiungere il profitto ad ogni costo. E anche lo schifo è
possibile venderlo, basta avere i prestigiatori della menzogna a disposizione e
il gioco è fatto. «Quando si ha un prodotto da vendere, soprattutto se è di
qualità mediocre o addirittura scadente e la concorrenza infuria, la cosa
migliore è curare la sua presentazione: la confezione. Questo è il lavoro del
marketing, gli specialisti delle apparenze, i campioni della cosmetica e del
re-looking del prodotto».
Brusset indica
anche delle soluzioni.
«L’ideale – e
l’unica soluzione radicale- sarebbe naturalmente quella di bandire
definitivamente qualsiasi prodotto industriale, e di limitarsi a prodotti
grezzi, freschi, non trasformati».
«Nei vostri
acquisti alimentari dovete sempre privilegiare la prossimità. Scegliete le
origini locali o nazionali. Da una parte fa bene all’occupazione; dall’altra, i
prodotti che non hanno attraversato molteplici frontiere, presentano
necessariamente meno rischi di adulterazione, di mescolanza o di inganno sulle
origini, la specie o la qualità. Abbiamo la fortuna di avere nei nostri paesi
prodotti variati e di qualità: sono questi che bisogna scegliere».
E, aggiungiamo noi,
autoprodursi il più possibile e il resto comprarlo in gruppi di acquisto
collettivo e da piccoli produttori locali biologici in cui è possibile
verificare tutta la lavorazione. Non solo si mangia più saporito e sano ma ci
si prepara per tempo alle prossime inevitabili crisi di approvvigionamento che
ci saranno, frutto di una società allo sbando che non sarà più in grado di
garantire nulla. Quindi pensiamoci direttamente noi prima di ritrovarci nei
guai.
Le foreste coprono il 40% del territorio europeo e forniscono una
moltitudine di servizi ecosistemici: contribuiscono sia alla salute
dell’ambiente sia al benessere umano.
L’UE contiene circa
il 5% delle foreste mondiali, il 60% delle quali è di proprietà privata. Negli
ultimi 60 anni le foreste europee si sono espanse continuamente e ora occupano
circa 160 milioni di ettari.
Siamo giunti alla terza ed ultima parte di questo
approfondimento dedicato ai vaccini. Dopo aver accennato al contesto farmaco-economico,
culturale, mediatico e scientifico italiano e internazionale in materia
vaccinale, cerchiamo di cogliere qualche aspetto più strettamente biologico e
medico per capire le ragioni di chi vuole contribuire ad una miglior pratica
vaccinale riducendo al massimo i rischi.
L’IMMUNITA’ DA
VACCINO
Per quanto riguarda
l’efficacia, la copertura vaccinale, cioè la percentuale di popolazione
che si vaccina, è solo uno dei fattori in campo. Infatti tra i vaccinati ci
sono i non responder cioè quelli che comunque non raggiungono l’immunizzazione
seppur vaccinati. Inoltre i virus possono mutare differenziandosi nel tempo da
quello vaccinale o comunque possono coesistere diverse varianti dell’agente
patogeno non coperte più dal nostro vaccino (44). Inoltre c’è il fenomeno dei
vaccinati portatori sani, alcuni per fallimento del vaccino (41,50) altri come
per la pertosse perché il vaccino incide sulle complicanze e non sul virus che
continua a circolare (45).
Inoltre, ad esempio
per il morbillo, l’immunità da vaccino dura solo alcuni anni al contrario di
quella naturale che dura, nella maggior parte dei casi, tutta la vita e che si
trasmette da madre a figlio durante la gravidanza e con l’allattamento. Oggi
sappiamo infatti che numerosi componenti bioattivi contenuti nel latte materno
conferiscono una determinata e importantissima protezione immunologica.
Quindi le future
mamme, perché vaccinate, non passeranno ai propri figli l’immunità e tutta
una parte di popolazione sarà sempre esposta al virus se non esegue i richiami.
Questo rende più difficile l’obiettivo di raggiungere le soglie dell’immunità
di gregge e la possibilità di eradicazione totale sperata (3, 4, 5, 35, 46,
47). Questo stesso ragionamento viene fatto dall’OMS anche per la difterite(55).
La valutazione dei rischi
da vaccinazione dipende dai fattori e dai dati scientifici che si
raccoglie. Gli individui reagiscono in diversi modi e l’indagine di un sistema
così complesso non risulta essere univoco ne è omogeneo. La suscettibilità
alle complicanze dovute alle infezioni naturali e alle complicanze da
vaccino dipende fondamentalmente dal grado di immuno-competenza cioè dallo
stato ottimale del sistema immunitario. Egli è il naturale sistema di
regolazione e difesa dalle intrusioni attraverso l’attivazione
dell’infiammazione, della febbre e delle diverse cellule immunitarie. Dapprima
si attiva una difesa innata, aspecifica, infiammatoria poi una difesa detta
immunità specifica con produzione di anticorpi. Alcuni individui sviluppano una
risposta infiammatoria e/o anticorpale debole e altri troppo forte. Il confine
tra risposta adattata e risposta patologica è sottile e dipende da molti
fattori (6,7).
Molta letteratura
scientifica si sta occupando della relazione tra vaccinazioni e malattie
autoimmuni trovando associazioni statisticamente significative benché rare
(8,9,56). Ma mancano gli studi controllati a lungo termine, cioè le patologie
che si sviluppano dopo una latenza di anni. Queste considerazioni valgono in
procedure di vaccinazioni ancor più che nelle malattie naturali perché i
vaccini utilizzano adiuvanti e altro materiale inorganico, come l’incriminato
Alluminio, nella forma nano e micro-particolata, proprio per rompere i
meccanismi di auto-tolleranza di protezione (10,11,12,13,29,30,32,37,51,52).
Gli adiuvanti possono aumentare la risposta aspecifica: le cellule
dell’infiammazione si diffondono nell’organismo e possono stimolare processi
reattivi preesistenti innescati poi dal vaccino. L’attivazione della risposta
immunitaria può amplificare processi infiammatori acuti o cronici già
esistenti nel soggetto.
L’IMPORTANZA DEL
MICROBIOTA
Il sistema
immunitario è strettamente legato all’attività del microbiota, quella
popolazione di batteri, virus e funghi che popolano le nostre mucose e che
fanno dell’intestino la più grande palestra per la tolleranza immunitaria
del nostro sistema difensivo. Il microbiota sta diventando sempre più
uno dei determinanti essenziali della salute. Ormai, infatti, le sue
alterazioni sono associate a moltissime patologie infiammatorie croniche,
autoimmuni, neurologiche, metaboliche, psichiatriche, allergiche, etc. (14,36).
Ecco perché per migliorare l’efficacia dei vaccini si sta studiando quali
microbi intestinali siano associati ad una migliore o peggiore risposta alla
profilassi vaccinale (27,28). Addirittura si pensa che il Citomegalovirus
(CMV), uno dei virus più studiati, possa essere visto come un regolatore del
sistema immunitario nel continuo confronto interno all’organismo (38). Così
sembra anche che il virus del morbillo possa essere usato per distruggere
alcune forme di cancro (53).
La salute quindi
dipende dall’equilibrio delle specie microbiche con cui siamo in
relazione fisiologica e questo incide sulla nostra capacità di reagire
correttamente agli insulti. Un’infezione può dare risposte diverse con diversi
quadri di malattia a seconda dello stato dell’ospite. Il livello di
pericolosità di un microbo o di un virus dipende da molti fattori: genetici,
epigenetici, ambientali, dall’esposizione all’inquinamento, lo stile di vita,
la nutrizione, lo stress, etc. Tutto questo trasforma sia il grado di
infiammazione sotterranea dell’organismo sia la tolleranza agli insulti. Essi
si sommano, si accumulano e sinergizzano rendendo l’individuo più predisposto
alle complicanze da infezioni o agli eventi avversi alle vaccinazioni.
VACCINI E SISTEMA
NERVOSO
Le risposte alle
infezioni e ai vaccini coinvolgono anche il sistema nervoso e quello
endocrino/ormonale (2,43). Il dott. Ernesto Burgio uno degli autori del testo
Pneireview “Oltre i vaccini. Prendersi cura del sistema immunitario infantile”
affronta le problematiche legate al neuro-sviluppo e ai disturbi dello spettro
autistico che generano i maggiori problemi di diffidenza relativi alle
vaccinazioni. Le patologie del neuro-sviluppo sono complesse e
multifattoriali, non ascrivibili ad unico agente ma a disregolazioni del
sistema immunitario e del microbiota, alle infiammazione e neuro-infiammazione,
alle molecole neurotossiche come metalli pesanti e pesticidi, alle infezioni,
etc. (15,16,17,18) . I dati indicano che un ruolo primario ce l’abbia la MIA (attivazione
immunitaria materna) cioè che un alterato assetto immunitario materno a ridosso
e durante la gravidanza sia una “condizione primer” su cui altri fattori hanno
effetti sinergici non valutabili con i tradizionali modelli causa-effetto. Lo
sviluppo embrio-fetale, dove esiste la massima neuro-plasticità, ha un ruolo
predittivo per lo sviluppo dei diversi percorsi patologici compresa l’induzione
del fenotipo autism-like (19). I vaccini sono tra i numerosi possibili
fattori trigger che contribuiscono a rendere manifesta una fragilità
preesistente ma sotto-soglia con conseguenze cliniche diverse. In
particolare sotto osservazione sono la tossicità delle contaminazioni in
tracce da metalli pesanti in forma di nanoparticelle (20), la frequenza degli
stimoli antigenici cioè le infezioni ricorrenti (asilo, fratelli maggiori,
antigeni alimentari, allergeni) oltre agli antigeni vaccinali (31).
Risulta quindi
indispensabile per ridurre le possibili complicanze nelle persone più
suscettibili la massima attenzione alla vulnerabilità che precede la nascita e
i cosiddetti 1000 giorni dopo di essa. Questo dovrebbe imporre misure urgenti
di prevenzione primaria visto il continuo aumento, anche in soggetti giovani e
molto giovani di patologie autoimmuni, neurologiche, psichiatriche,
degenerative e metaboliche tanto più che i nostri organismi sono sempre più
esposti ad una maggiore quantità di sostanze inquinanti.
UN APPROCCIO
SISTEMICO ALLA PREVENZIONE
La multifattorialità
e la complessità sono un evidente freno alla presa di responsabilità da parte
dei decisori politici e dei cittadini. La raccolta dei dati per studi
epidemiologici risulta difficile e questo limita ulteriormente le possibilità
di opporsi ai grandi interessi delle aziende produttrici. Esse, oltre allo
sviluppo di tecnologie e farmaci importanti per la salute, sconfinano troppo
spesso nell’imporre la sola soluzione farmacologica a problemi che solo un
approccio sistemico e di prevenzione può tentare di risolvere. Gli elementi
tossici si accumulano ogni volta che mangiamo, beviamo e respiriamo.
L’inquinamento ormai è devastante, eppure il Ministero della Salute continua ad
approvare deroghe al divieto di sostanze chimiche vietate (54).
Così le pratiche
vaccinali non sono il determinante più importante per la salute. Paesi come gli
USA, il Gambia, la Mongolia hanno il più alto grado di copertura vaccinale per
copertura e numero di vaccini, superiore alla nostra, ma confrontati con paesi
di pari sviluppo economico hanno i dati di mortalità infantile più alti (1).
Quindi le politiche sanitarie devono investire sull’insieme dei fattori
che determinano la salute superando la sola visione malattia-farmaco.
Abbiamo visto nella
prima parte, che troppo spesso sono gli investimenti economici
che determinano le traiettorie politiche in materia di prevenzione e cura, e i
forti investimenti per la ricerca su questa biotecnologia hanno chiaramente
indicato una strada preferenziale (34).
Un approccio
sistemico alla salute che valuti l’insieme delle dinamiche e dei processi
fisiologici e patologici nel continuo adattamento all’ambiente potrebbe
permettere di evitare errori come l’aver usato indiscriminatamente
l’antibiotico contro i microbi sottovalutando le conseguenze sull’intero
sistema e a lungo termine. Ora in Italia abbiamo più di 10.000 mila morti
l’anno per l’antibiotico resistenza e il dato è destinato a crescere
pericolosamente. Tanto che per risolvere alcune infezioni si sta iniziando ad
usare il trapianto fecale cioè il trasferimento da un individuo ad un altro del
microbiota intestinale: dagli antimicrobici al trapianto di microbi!
(21,23,24,) Inoltre il trapianto fecale si sta rivelando utile anche in tante
altre patologie, come l’autismo (22, 25, 26).
Le simbiosi, la
capacità di tolleranza, le condizioni sistemiche dell’organismo e le
specificità individuali sono concetti fondamentali per valutare i rischi/benefici
degli interventi sanitari. Infatti molte delle relazioni di medici, ricercatori
e professori universitari alle audizioni svolte in Commissione Igiene e Sanità
per l’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, hanno evidenziato la
necessità di valutare le profilassi vaccinali in funzione del reale contesto
epidemico e del rischio individuale con le visite prevaccinali oltre alla
ripetuta richiesta di studi di controllo sulle vaccinazioni multiple (33,49). I
normali e ciclici picchi epidemici, come ad esempio quello del virus del
morbillo, non sono di per sé fonte di preoccupazione ma è il rischio delle
complicanze che avvengono sui soggetti più vulnerabili che dovrebbe richiamare
l’attenzione delle politiche sanitarie. Molte di queste relazioni vertevano
anche sui pazienti immunodepressi e più volte è emerso come fosse
pericoloso sostenere di poter proteggere i bambini in tali condizioni qualora
tutti i compagni di classe fossero vaccinati. Questo sia per i numerosi casi di
non responder, sia per i portatori sani ma soprattutto per la trascurabile
protezione che le 4 (MPRV) infezioni trasmissibili e prevenibili dal vaccino
abbiano sulle realistiche possibili infezioni a cui essi vanno incontro. Nelle
famiglie, nei luoghi pubblici e nelle scuole, un qualsiasi influenzato mandato
a scuola con l’antipiretico è fonte di pericolo. La caccia agli untori dei non
vaccinati potrebbe esporre ad un pericolo maggiore gli immunodepressi e le loro
famiglie nel sottostimare i reali pericoli che sono costretti ad affrontare
quotidianamente (39,40,42).
Da un interessante
articolo dell’associazione Assis leggiamo che “…la scoperta degli antibiotici e
dei vaccini è il fiore all’occhiello della scienza occidentale ma anche funzionale
all’obiettivo di colpire un singolo microorganismo con una sostanza
farmacologica senza agire sulle cause e senza intervenire sull’ospite. La
storia dell’Uomo è intrinsecamente legata con quella degli altri organismi
viventi, esterni e interni a lui, grandi, piccoli, invisibili. La comparsa
dell’homo sapiens dotato di intelligenza e conoscenza ha sconvolto questo
equilibrio, perché l’Uomo non accetta che ci siano degli altri esseri, grandi o
microscopici, più potenti di lui che possano annientarlo, distruggerlo ed
eliminarlo fisicamente. È riuscito a dominare e spesso a eliminare ed
estinguere grandi animali, ma non ancora quelli microscopici, e ovviamente non
ci riuscirà perché sono i batteri che ci permettono di vivere: senza batteri
non saremmo comparsi e non potremmo vivere, moriremmo subito. La possibilità
che i germi possano provocare malattia negli organismi superiori,
dipende in parte dal tipo di germe e dalla sua numerosità, ma soprattutto dalle
condizioni metaboliche dell’organismo ospite e dalla sua capacità di adattarsi
all’ambiente in cui nasce: non è sufficiente la presenza di un germe (virus o
batterio o parassita) per provocare la malattia. Fin dagli anni ’70, l’OMS, in
un rapporto sosteneva che: Un organismo debilitato è molto meno
resistente agli attacchi dei microbi che incontra. Generalmente il morbillo o
la diarrea – malattie senza conseguenze e di breve durata tra i bambini ben
nutriti – sono malattie gravi e spesso fatali per quelli cronicamente mal
nutriti”.
La narrazione
mediatica di TV e giornali mainstream dei problemi legati alle vaccinazioni
evita il confronto su temi seri e sulle reali possibilità di fare scelte
ragionate. L’Italia eredita il ruolo di capofila del Programma di Vaccinazione
Globale. È urgente mettere in campo tutti gli sforzi per comprendere come
migliorare al massimo gli interventi e sostenere l’insieme dei fattori che
incidono sulla salute. Affrontare la complessità richiede nuovi
strumenti, nuove strategie e il coraggio di superare convinzioni basate sulla
consuetudine.
Chi controlla la composizione dei vaccini? In che
modo i mezzi di informazione comunicano la scienza? E qual è la posizione dei
medici all’interno dei dibattito vaccinale in corso? Continua il nostro
approfondimento sul complesso tema della vaccinazioni, nel tentativo di fare
chiarezza su alcune importanti questioni ancora aperte. Affrontare lequestioni aperte in tema vaccinalecoinvolge ambiti
diversi tra loro e molto più grandi di ognuno di noi. Un possibile approccio
alla complessità può essere la lettura delle relazioni e delle dinamiche che
delineano una situazione. Così la titubanza vaccinale deve poter essere
ascoltata, compresa e integrata nel processo democratico così come le diverse
opinioni, anche tra gli esperti, devono potersi confrontare. In democrazia i
dubbi e le preoccupazioni sono sempre leciti, anzi contribuiscono al continuo
miglioramento delle possibili azioni da intraprendere, se accolti in una
dialettica proficua.
Una delle questioni
aperte è sicuramente il controllo della purezza dei vaccini poiché non
c’è trasparenza sui certificati per l’immissione in commercio da parte delle
aziende produttrici. Alcuni stati, tra cui la Cina, hanno chiesto le
pubblicazioni dei certificati di validità dalle aziende produttrici dopo i
numerosi scandali di vaccini scaduti, contaminati o inefficaci (23).
Negli USA Robert
F. Kennedy, Jr. ha ufficialmente vinto la causa contro l’HHS (Health and
Human Services – Dipartimento della Salute e Servizi Umani) per la violazione
del mandato per la sicurezza dei vaccini pediatrici del NCVIA (National
Childhood Vaccine Injury Act) del 1986. Quando il Congresso diede l’immunità
economica all’industria farmaceutica che così non avrebbe dovuto risarcire per
danni o difetti dei vaccini, in cambio le aziende produttrici si impegnarono a
presentare ogni 2 anni i test di sicurezza e sorveglianza delle reazioni
avverse all’HHS che avrebbe dovuto controllarle. Non solo questi test non
vennero mai eseguiti ma l’HHS non li richiese mai (11).
Sembra che in
Italia le aziende produttrici di vaccini abbiano stipulato accordi per
cui non sono ritenuti responsabili in nessun caso: chi paga per eventuali
difetti o danni è lo Stato che li compra. Ma come li controlla?
Il presidente
dell’Ordine Nazionale dei Biologi, dott. Vincenzo D’Anna ha chiesto
ufficialmente la pubblicazione dei certificati per l’immissione in
commercio. Anche lo studio Signum della Commissione Parlamentare
sull’aumento di patologie e decessi dei militari in missione all’estero fece
emergere la necessità di un controllo dei componenti dei vaccini, oltre alla
necessità di attuare vaccinazioni personalizzate e non sommarie che si rilevò
potessero aumentare il rischio di patologie gravi. A questa indagine
parlamentare partecipò come consulente, insieme all’attuale ministra Grillo, la
dottoressa Bolgan, biologa poi incaricata dall’associazione Corvelva di continuare quelle indagini.
VACCINEGATE, LE
ANALISI SUI VACCINI
Così in Italia,
caso forse unico al mondo, il Corvelva, un’associazione di genitori, ha
raccolto fondi per far analizzare alcuni campioni dei vaccini in commercio
al posto delle autorità statali che avrebbero dovuto proseguire l’indagine.
La dottoressa
Bolgan ha illustrato i risultati preliminari in una conferenza stampa alla
Camera dei Deputati, al convegno sulla sicurezza vaccinale dell’Ordine dei
Biologi (22) e in una interessante intervista insieme a Ivan Catalano, vicepresidente della
Commissione Parlamentare Signum. Sono solo risultati preliminari a cui
devono seguire le validazioni o confutazioni da laboratori certificati per
questo tipo di analisi. Spiega la biologa di Harvard, “tali tecnologie di
indagine sono usate per analizzare contaminazioni chimiche, proteiche e
genetiche dall’FDA (principale istituzione americana su cibo e farmaci) e nei
controlli forensi”.
Le analisi
rivelerebbero un forte grado di contaminazione tossica e scarsa qualità di
produzione. Alcune colture cellulari provengono da linee cellulari
vecchissime degli anni ‘60, con contaminanti tossici in quantità non residuali
ma veri e propri componenti del prodotto, residui di lavorazione e sostanze con
attività prioniche quindi pericolose, poi parti di vermi, erbicidi, altri
antibiotici, antiepilettici, “viagra”, diuretici, antimalarico, altri
retrovirus, cellule cancerogene. In più alcuni dei principi attivi (antigeni)
sarebbero presenti in quantità residuali o proprio non presenti al contrario di
virus avventizi (che non dovrebbero esserci) che a volte risultano presenti in
quantità maggiori degli antigeni richiesti. Continua la Bolgan: “Le agenzie
regolatorie evolvono con le conoscenze tecnologiche di ultima generazione ma
queste non sono ancora acquisite e validate nei laboratori accreditati per il
rilascio dei lotti da mettere in commercio. Quindi l’indagine del Corvelva,
detta Vaccinegate, descrive un sistema di produzione e l’uso di materie
prime di bassa qualità con una forte contaminazione di sostanze tossiche”.
Queste analisi
hanno suscitato molte polemiche, proprio per le tecniche usate e perché
non eseguite da laboratori accreditati per questo tipo di analisi. Purtroppo,
per ora, nessuno ha confutato i risultati. I lotti analizzati nell’indagine,
tuttavia, sono ancora in circolazione. Mentre si attendono le conferme è
partito un esposto alla Procura della Repubblica (1).
Inoltre sono già in
corso altre indagini, alcune divenute penali nel corso del 2017, sulla presenza
non dichiarata di materiale in micro o nano misura che potrebbe scatenare
infiammazioni pericolose e altre alterazioni in diversi tessuti
dell’organismo (2). Le nano e micro-particelle, già dichiarate dall’OMS come
certamente cancerogene, iniziano ad essere studiate dalla nanotossicologia che
sembra evidenziarne la pericolosità per l’impossibilità di essere espulse
dall’organismo, se iniettate sotto cute, e l’alta mobilità nei diversi distretti
del corpo (27, 28, 24).
Viene da chiedersi:
perché le istituzioni e gli organi di informazione hanno ignorato o
contestato queste indagini invece di confutarle con prove di laboratorio
accreditate? È lecito chiedere di poter utilizzare questo strumento di
prevenzione primaria, di indubbio successo, ma nella continua ricerca della
riduzione dei rischi?
Anche i deputati
europei hanno affrontato la questione della titubanza vaccinale in un documento
pubblicato sul British Medical Journal dal titolo “Le dichiarazioni di
sicurezza non reggono al controllo”(5,7). Poter esprimere i propri dubbi è alla
base di qualsiasi organizzazione democratica.
IL RUOLO
DELL’INFORMAZIONE: COMUNICARE LA SCIENZA
Ma come avviene
l’informazione, fondamentale organo democratico, su tali argomenti che stanno
creando evidenti problemi alla popolazione? E perché giornali e TV parlano di
vaccini, epidemie e comportamenti irrazionali e anti-scientifici ma alcune
notizie sono così censurate o banalizzate? Questo introduce un altro tassello
nel complesso rapporto tra scienza, istituzioni e società. Comunicare la
scienza è difficile, farlo in un contesto violento e urlato lo è a maggior
ragione. Affronta la questione anche il dott. Peter Doshi, editorialista del
BMJ chiedendo più verità e rispetto per i pazienti (26).
La Scientific
American ha svolto un’indagine su come l’FDA manipola e vincola l’informazione
a proprio piacimento, allontanando di fatto la narrazione mediatica dalla
realtà dei fatti, al di là delle possibili personali interpretazioni (18). Il
campo di battaglia è la gestione della percezione del rischio da parte
di TV e giornali. Chi si occupa di comunicazione scientifica si chiede quale
sia la strategia migliore per comunicare la scienza. Molti accademici parlano
dei Bias cognitivi: pregiudizi e predisposizione ad errori, del nostro
sistema percettivo e cognitivo, che attiviamo per districarci nella complessità
del mondo. Questo ci porta a selezionare le notizie, e a credervi, sulla base
delle nostre convinzioni preesistenti e non su un esame più obiettivo dei dati.
Ne siamo tutti vittima ma ognuno sembra che parli di quelli degli altri non
fornendo strumenti per riuscire a superare i propri bias; quindi quale utilità?
(13, 14)
Spesso sembra che
l’intento sia solo quello di capire quale sia il modo migliore per convincere
chi è indeciso o ritarda nel vaccinare i propri figli: usare l’arma della paura
sulle potenziali malattie a cui va incontro chi non si vaccina oppure
instaurare rapporti dialoganti con i genitori per creare un contesto di
fiducia? Usare la censura di chi pone dubbi e chiede vaccinazioni ad
personam oppure usare uno stile più profilato per il target a cui ci si vuole
rivolgere?
UNO SCONTRO TRA
VISIONI
La comunicazione
della scienza si occupa prevalentemente di opportunità di convincimento. Dei
fatti – come i risultati dello studio Signum, dei danneggiati da vaccino
riconosciuti e risarciti dallo stato (12, 19, 20, 21), della richiesta da parte
dei ricercatori di ulteriori indagini sulle vaccinazioni multiple – non c’è
quasi traccia nella comunicazione della scienza accademica e mainstream. Anzi
c’è chi sente il bisogno sempre più forte di delineare chi promuove la verità
scientifica e chi invece no. Tutto si riduce ad una polarizzazione tra buoni
e cattivi mentre i dubbi sono da screditare. Questo atteggiamento viene da
lontano, il tema vaccini ha solo scoperchiato una situazione preesistente. In
ogni settore legato alla salute e alla medicina lo scontro di visioni, approcci
e gestione del potere corporativo caratterizza il panorama come uno dei più
frastagliati e disomogenei. Un interessante suggerimento dello storico Pietro Ratto prova a superare questo scontro tra fazioni arroccate
ognuna sulle proprie convinzioni. Egli pone l’accento sulle diverse
interpretazioni dei fatti su cui ognuno basa le proprie idee e a cui non deve
essere costretto a rinunciare. Solo l’essere disposti ad aprirsi al
confronto per poter ragionare sulle prove può far guadagnare un reale
dialogo. Egli analizza il bisogno di certezze di ognuno come base fondamentale
su cui costruire man mano le proprie idee ma non per dare risposte bensì per
fare domande. Altrimenti si diventa sempre più fragili e sempre meno disposti
ad esporsi al rischio di essere smentiti arrivando alla chiusura: chi sente di
avere certezze è più portato a disprezzare quelle degli altri. Ma la
valutazione del rischio/beneficio, basato anche sulle evidenze scientifiche,
deve essere un percorso aperto alle diverse istanze in quanto ognuno è
portatore di interessi, se no facilmente si ricorre alla delega. Le istituzioni
sanitarie diventano quindi un’entità genitoriale cui affidarsi e non un
organismo politico da costruire insieme. Affidarsi alla consuetudine di ciò che
già sappiamo rischia di farci perdere la possibilità di una crescita
individuale e collettiva oltre che condannarci ad una guerra perpetua (25, 26).
E I MEDICI?
Diversi sono state
le dichiarazioni e i documenti pubblicati. L’organo ufficiale, federazione di
tutti gli ordini provinciali dei medici, la FENOMCEO ha pubblicato una
review dal tono rassicuratorio per contribuire a frenare il calo delle
coperture vaccinali verificatesi negli ultimi anni. Purtroppo però leggiamo
anche delle imbarazzanti scorrettezze: “I vaccini sono sicuri perché prodotti
secondo la più rigorosa metodologia, attraverso studi clinici sperimentali
controllati e randomizzati, attuati spesso in doppio cieco versus placebo e
sottoposti al controllo incrociato di esperti”(8). Ciò non risulta corretto in
quanto per definizione essendo somministrati su popolazione sana non possono
essere stati testati contro controlli o placebo e in doppio cieco (i requisiti
della medicina basata sulle prove EBM). Neanche il documento suggella
l’affermazione con questo tipo di dati. Un interessante documento congiunto
di diverse società e federazioni di medici tra le più influenti e autorevoli
(SIF, SITL, SIP, FIMMG, FIMP) esamina l’importanza della prassi vaccinale
globale, e non locale, e promuove un approccio alla vaccinazione “per tutta la
vita” (life course) come elemento chiave per un invecchiamento in salute (16).
Nel documento si
dichiara la volontà di superare il paternalismo sanitario cioè l’uso di
interventi attraverso i quali l’Autorità interferisce con la libertà dei
singoli al fine di meglio perseguire il loro interesse. Viene proposto, invece,
il paternalismo libertario, cioè il nudge. Il nudging, che origina dal
neuromarketing e dalle scienze comportamentali, propone spinte e incentivi per
un condizionamento subdolo ma a fin di bene. Esso non prevede obblighi o penali
ma il rispetto delle libertà individuali: una spinta verso un comportamento
sano. Non risulta chiaro come questo strumento auspicato nel documento possa
coesistere con le rispettive dichiarazioni favorevoli all’obbligo, alle
imposizioni e alle pene. Altre associazioni di medici si sono impegnati
nella revisione di studi scientifici e hanno pubblicato documenti e review
analizzando i singoli vaccini; ecco quello della Rete Sostenibilità e Salute
(4) e quello della SIPNEI (3). Ma altri professionisti e docenti universitari
hanno prodotto raccolte di letteratura come quella del professor Bellavite
dell’Università di Verona (17).
E qui (9) la famosa
lettera di più di 150 medici che nel 2015 sollevarono dubbi sulla
vaccinazione indiscriminata di massa che mise in luce come le vaccinazioni,
pur essendo uno strumento in generale valido, determinassero una fragilità del
sistema immunitario rispetto a chi non le faceva o ne faceva un numero minore
con molte evidenze scientifiche segnalate. Questo per poter meglio discriminare
tra le diverse opportunità vaccinali e i diversi individui candidati a
riceverli. Molti di questi medici iniziarono a subire procedimenti di
radiazione dall’Ordine dei Medici due anni dopo, a ridosso dell’approvazione
della legge Lorenzin.
Tra i medici
esistono visioni e approcci anche opposti su quasi tutto, così come la
letteratura scientifica è soggetta a continue correzioni come abbiamo visto
nella prima parte dell’articolo. Le discussioni sui vaccini stanno facendo solo
venire fuori ciò che già da tempo caratterizzava la difficile ma necessaria
coesistenza di diverse interpretazioni, opinioni e pratiche mediche
professionali. Dopo le numerose radiazioni di dottori e dottoresse colpevoli
di aver posto dubbi sulle vaccinazioni a tappeto, senza alcuna denuncia o
errore a carico, e spesso con i figli vaccinati, il clima è cambiato. Ora si ha
paura a parlare, perché il rischio è quello di non poter più lavorare se
radiati dall’Ordine dei Medici. Questa è forse la cosa che più delinea lo
stato di incapacità al confronto, l’uso della censura e la diffusione
dell’autocensura. Chi si sente al sicuro essendo stata zittita una parte dei
medici?
L’autoritarismo,
anche in nome della scienza, ha molte forme e rivela la perdita di
autorevolezza di un intero sistema.
La preoccupazione
ed il dubbio sono sempre leciti in quanto attivano i processi democratici utili
ad una società moderna. Poterli esprimere serve a mantenere solida una delle
più grandi conquiste nel campo dei diritti umani: il consenso informato, non
cancellato dall’obbligo vaccinale. Esso gioca un ruolo strategico anche come
strumento per il progresso e l’efficacia della medicina. La pratica
vaccinale è considerata utile dalla stragrande maggioranza dei medici e dei
cittadini ma deve poter essere attuata nel miglior modo possibile quindi nella
continua ricerca di una maggiore efficacia e sicurezza. Serve più cautela e
temperanza nei toni, maggior impegno nell’acquisire nuovi strumenti di
dialogo e più trasparenza.
Ridotto ad uno scontro tra favorevoli e contrari,
anche il tema vaccini continua ad essere affrontato dalla maggior parte dei
media mainstream con un approccio che non tiene conto della sua complessità.
Pur riconoscendo l’efficacia delle vaccinazioni, la titubanza vaccinale, a
livello globale, è un dato di fatto che non può essere ignorato e che sembra
derivare da una serie di questioni tuttora aperte. In questo articolo, il primo
di un approfondimento in tre parti, proviamo a costruire un racconto diverso sulle
politiche vaccinali. In occasione
dell’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, detto dell’obbligo
flessibile, che andrà a sostituire la legge 119/2017 Lorenzin, si sono svolte
in Commissione Igiene e Sanità le audizioni informali. Iniziative di organi
istituzionali e della società civile stanno facendo emergere un quadro più
complesso di quello che i media mainstream raccontano quotidianamente.
Vediamo dunque il contesto nazionale e internazionale che ha portato
all’attuale sistema di profilassi vaccinale.
PIANI VACCINALI:
COME SI PRENDONO LE DECISIONI?
L’avv. Mirella
Manera, giurista dell’associazione Attuare la Costituzione nell’audizione al
Senato, spiega (1) come nasce e in che contesto si è formato il Piano
Globale Vaccini che ha visto l’Italia capofila mondiale: “Tutti i programmi
vaccinali dell’OMS sono finanziati per lo più con fondi privati, versati non
solo da società farmaceutiche, ma anche dalla Melinda e Bill Gates Foundation e
da Gavi Alliance (alleanza mondiale per la vaccinazione), sempre creata dalla
Melinda e Bill Gates Foundation. I fondi sono vincolati a specifici progetti
selezionati dai donatori, non stanziati sulla base della pianificazione né
sulle esigenze prioritarie dell’agenda internazionale della salute a cui va
solo il 7% dei finanziamenti. L’Italia si è impegnata a versare 499 milioni di
euro in 20 anni per finanziare programmi vaccinali nel mondo e in cambio riceve
bond vaccinali (2). Conclude la penalista milanese: “Bisognerebbe compiere una
valutazione sul valore scientifico delle raccomandazioni che provengono da
questo organismo e valutarle considerando le reali condizioni epidemiologiche
del paese”.
Quindi emerge un
piano vaccinale globale non sulla base di possibili epidemie ma come modello
di prevenzione dalle malattie in generale. Si è scelto, cioè, di promuovere
la salute attraverso questa tecnologia indipendentemente dai concreti rischi
epidemici e quindi dalle valutazioni rischio/beneficio. Si delinea anche come
le traiettorie dell’OMS in tema vaccinale globale siano guidate da fondi
privati e assorbiti dai vari Stati non omogeneamente.
LA SICUREZZA DEI
VACCINI E I DATI SUGLI EVENTI AVVERSI
Sentiamo ripetere
che i vaccini sono innocui perché usati da anni su milioni di persone, che gli
eventi avversi sono rarissimi e che la scienza o la consuetudine di più di 200
anni di utilizzo ne conferma efficacia e sicurezza definendo inutili ulteriori
indagini. Ma i dati dicono altro. La produzione scientifica e la comunità
scientifica mostrano infatti un quadro tutt’altro che omogeneo e
trasparente (33).
Proprio l’anno
scorso si è dimesso metà del gruppo direttivo del più importante organismo
mondiale indipendente di revisione sistematica e rigorosa degli studi
scientifici, Cochrane, dopo l’espulsione di Peter Gøtzsche direttore del Nordic
Cochrane Centre e co-fondatore della Cochrane Collaboration perché denunciava
troppe commistioni economiche nelle revisioni di studi sul vaccino
dell’HPV (Papilloma Virus) (3, 4, 30, 32).
A livello
internazionale il problema della trasparenza delle metodologie nella
produzione di letteratura scientifica è sempre più sentito. Una delle più
autorevoli riviste scientifiche indicizzate, il BMJ (British Medical Journal),
ha aperto una campagna per valutare la reale efficacia della ricerca
scientifica in ambito medico poiché i danni della “troppa medicina” sono
insostenibili. “Gli effetti nocivi di pratiche mediche e farmacologiche stanno
facendo perdere la credibilità della famosa Medicina Basata sulle Evidenze
(EBM): adozioni acritiche degli screening, credenze cliniche radicate,
eccessiva medicalizzazione”. (9) Ancora, sempre sul BMJ: “La EBM non preserva
la salute ma è utilizzata dalle industrie per legittimare o meno le scelte dei
medici influenzando negativamente la capacità di discrezione e giudizio” (10).
Nature pubblica un
dato allarmante: il 70% dei ricercatori non è riuscito a riprodurre gli
esperimenti pubblicati con metodo peer review (11), cioè il 70% della
letteratura scientifica indicizzata non supera la prova di validazione. Sempre
su Nature si parla di “frode sistematica” nella letteratura scientifica.
(22) Ma come? Tutto il metodo scientifico è basato sulla riproducibilità o
confutazione dei dati! Ecco come la scienza cerca di correggere se stessa, di
migliorare, di superare se stessa, aprendo dubbi e facendo verifiche.
Il Dr. Jacob
Puliyel, pediatra indiano esperto di campagne vaccinali con molte pubblicazioni
sull’argomento, spiega le conseguenze delle ultime modifiche delle linee guida
OMS sulla valutazione per la classificazione delle reazione avverse, al
convegno organizzato dall’Ordine Nazionale dei Biologi sulla sicurezza
vaccinale (8). Nella scala di valutazione per l’attribuzione della correlazione
tra eventi avversi e somministrazione del vaccino sono stati eliminati gli step
di “possibile” e “probabile correlazione” mantenendo solo quelli di
correlabile, non correlabile o indeterminato. Di fatto è più difficile
raccogliere e poter studiare gli eventi avversi dove c’è una forte correlazione
statistica, ma servirebbero altri dati per valutare con maggiore certezza la
causa-effetto. Negli USA dove c’è il più alto tasso di vaccinazione (già nel
2017 si usano 53 vaccini compresi i multipli, in 72 dosi), il CDC e l’FDA, i
principali organi istituzionali sanitari, monitorano gli eventi avversi
correlati ai vaccini attraverso i dati VAERS. In una grande raccolta dati in 20
anni su più di 38.000 segnalazioni di neonati ospedalizzati o morti, i
risultati mostrano una evidente correlazione positiva tra il numero di dosi di
vaccino somministrati e la percentuale di ospedalizzazioni e decessi. Inoltre,
i bambini più piccoli, inferiori a 5 mesi di età, sono risultati
significativamente più danneggiati rispetto ai bambini più grandi dopo aver
ricevuto i vaccini. Nelle conclusioni: “Si ritiene urgente attivare programmi
per migliorare la sicurezza” (6).
Lo stesso CDC americano dichiara che i sistemi di sorveglianza passiva sono
sottostimati ed è impossibile, per come vengono raccolti i dati, determinare
associazioni causali tra vaccini ed eventi avversi. (16, 17) Quindi il
Dipartimento di Salute e Servizi Umani (HHS) ha commissionato alla Harvard
Pilgrim Healthcare Inc. un programma digitalizzato di vaccino-vigilanza attivo
che ha stimato i report di eventi avversi dei VAERS americani inferiori all’1%
dei dati reali, cioè i dati segnalati spontaneamente sarebbero l’1% di quelli
reali (31).
Ma in Italia quali
sono le evidenze di sicurezza dei vaccini e il controllo post-marketing degli eventi
avversi?
I DATI SUI DANNI DA
VACCINO IN ITALIA
L’argomento è
spinoso, i danni da vaccino sono l’argomento tabù del mainstream.
Mensilmente vengono riconosciuti e risarciti dal ministero famiglie per esiti
gravi o decessi in seguito alla vaccinazione, ma quasi nessuno li considera,
anzi i danneggiati da vaccino, solo per la loro esistenza, sono colpevolmente e
vergognosamente ignorati se non negati dai media.(28) Anche quando il danno si
verifica nelle ore successive alla vaccinazione, le famiglie non solo devono
far fronte ad un evento che tocca la cosa più preziosa che hanno, ma devono
anche, di tasca loro, fare causa allo Stato e dimostrare il nesso causale con
la vaccinazione: danneggiati dalla medicina, dalla società e dalla legge. È
questo lo stato dei diritti che vogliamo?
La raccolta dati
della vaccino-vigilanza, solo per gli eventi avversi a breve termine,
avviene su base spontanea quindi le segnalazioni sono molto sottostimate
rispetto ai dati reali, peraltro assai disomogenei nel territorio
nazionale.(29) Questo è dovuto sia alla disabitudine dei cittadini e delle
strutture sanitarie alle segnalazioni e sia alla difficoltà di leggere i dati
in chiave di correlazione statistica e di causa-effetto. Si è svolto un
progetto pilota sperimentale condotto su una piccola popolazione della Puglia,
di farmacovigilanza attiva, cioè per chiamata diretta post vaccino, sul solo
MPVR (morbillo, parotite, varicella, rosolia), nella somministrazione singola e
associato ad altri vaccini. Gli eventi avversi gravi definiti sicuramente
correlabili alla vaccinazione, tutti risolti positivamente nel tempo, hanno
manifestato una differenza enorme tra la somministrazione singola (10.2%) e
quella associata alle altre (89,8%) (5). In altre parole, i vaccini singoli
sono risultati nettamente più sicuri rispetto a quelli multipli. In molti studi
scientifici sulla sicurezza vaccinale prevale la richiesta da parte dei
ricercatori di un maggior approfondimento per l’urgenza che spesso
emerge dai dati epidemiologici. Ad esempio l’Istituto Superiore di Sanità nel
2013 ha pubblicato uno studio (7, 18, 24), ma solo ora alla ribalta, sulla ADEM
(encefalite, mielite ed encefalomielite acuta disseminata) associata alla
somministrazione dei vaccini detta comunemente encefalite post-vaccinica (25).
L’autore dello
studio è il dott. Paolo Pellegrino dell’Unità di Farmacologia clinica
dell’Azienda Ospedaliera Luigi Sacco (Università di Milano): “A differenza
degli studi precedenti riguardanti i casi di ADEM post infettiva, abbiamo
osservato che questa patologia può riguardare ogni età. Abbiamo osservato che
il vaccino anti-influenzale e quello anti-HPV (Papilloma virus) sono
quelli più comunemente associati a questa reazione avversa e i dati sono
sottostimati (“under-reporting”) a causa di una riduzione dell’interesse per
questo evento avverso”. Quindi non interessa? Che programma d’indagine si è
attivato? Sembra nessuno.
Nel 2018 è stato
pubblicato lo studio Signum, condotto per indagare sull’alta percentuale di
morti e insorgenza di patologie gravi su circa 4000 militari, in
missione nelle zone di guerra. Quanto emerso è che non solo l’uranio impoverito
ma la pratica vaccinale aveva concorso alla manifestazione di gravi patologie
autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite
reumatoide, diabete e, secondo alcuni studi, leucemie e linfomi. La Commissione
Parlamentare, incaricata dello studio, specifica che l’accumulo di sostanze
tossiche nei vaccini combinati, come adiuvanti e conservanti e contaminanti
biologici, e l’assenza di visite pre-vaccinali rendevano la pratica vaccinale
corrente pericolosa vista anche la mancanza di studi scientifici sulla salute a
lungo termine e in generale sulle vaccinazioni multiple (26 -27).
Molti degli studi
clinici ed epidemiologici internazionali sostengono per lo più l’urgenza di
ulteriori indagini poiché dove non c’è certezza di correlazione ci può essere
forte evidenza statistica e troppo poche prove di sicurezza. (12-13-14-15
-19-20-21-34 ) Si ritiene che siano necessarie visite pre-vacciniche per
conoscere i polimorfismi, test sierologici e lo stato del sistema immunitario
che potrebbero ridurre il rischio degli eventi avversi. Stiamo facendo il
massimo per ridurre i rischi?
La cosa certa è che
il dibattito è aperto in tutto il mondo, gli studi indicano difficoltà di
letture epidemiologiche per troppe variabili. Studi pre-clinici e
post-marketing sulle vaccinazioni multiple non ci sono; ogni stato
agisce come crede.
Ma il tema vaccinale è da inserirsi in un contesto più ampio di quello
italiano e in un quadro sanitario e culturale più complesso. Coesistono in
ambito scientifico e medico diverse visioni e una pluralità sfaccettata di
approcci alla salute. Quindi anche la titubanza vaccinale, osservata in tutto
il mondo, è da leggere come conseguenza di un preciso contesto
farmaco-economico, di una perdita di autorevolezza delle istituzioni sanitarie
nazionali e internazionali, di una farmacovigilanza per lo più incontrollata
(29) e di una visione della salute basata su una medicina di massa e non
personalizzata che le istituzioni sanitarie stesse, in altri settori della
sanità pubblica, sta cercando di superare. Nella seconda e terza parte di
questo articolo accenneremo al contesto culturale, mediatico e poi a quello più
strettamente medico per restituire la complessità che l’argomento richiede. È
ormai evidente, infatti, che banalizzare l’argomento porta ad una guerra civile
e impedisce di porre l’accento sulle questioni importanti, come la possibilità
di intraprendere tutte le azioni possibili a rendere la pratica vaccinale
maggiormente sicura.
Non sono solo gli oceani e gli animali marini a
soffrire: la plastica comporta evidenti rischi per la salute umana e per questo
è necessario ed urgente adottare il principio di precauzione e a iniziare ad
eliminare definitivamente questo materiale, a partire dall’usa e getta. Un rapporto diffuso nelle ultime ore dal Center for
International Environmental Law (CIEL) evidenzia l’urgenza
di adottare il principio di precauzione per proteggere l’umanità
dall’inquinamento della plastica. Valutate tutte le fasi del ciclo
produttivo e di vita di questo materiale, il report infatti rileva evidenti
rischi per la salute umana.
Nel dettaglio, il
rapporto del CIEL evidenzia come:
– le materie
plastiche presentano differenti rischi per la salute umana in ogni fase
del loro ciclo di vita: dalle sostanze chimiche pericolose rilasciate durante
l’estrazione del petrolio e la produzione delle materie prime, all’esposizione
agli additivi chimici rilasciati durante l’utilizzo delle materie plastiche,
per terminare con l’inquinamento dell’ambiente e del cibo che può derivare dal
rilascio di plastica nell’ambiente;
– le
microplastiche, come frammenti e fibre, a causa delle loro piccole dimensioni
possono entrare nel corpo umano attraverso il contatto, l’ingestione o
l’inalazione, penetrare nei tessuti e nelle cellule generando impatti
sull’uomo, anche a causa del rilascio di sostanze chimiche pericolose;
– incertezze e
lacune conoscitive non consentono di avere un quadro dettagliato circa gli
impatti sulla salute umana e impediscono a consumatori, comunità e istituzioni
di prendere decisioni consapevoli su questo materiale.
Commentando quanto
emerge dal report di CIEL, Giuseppe Ungherese, responsabile campagna
Inquinamento di Greenpeace Italia, dichiara: “I rischi per la salute derivanti
dall’inquinamento da plastica sono stati ignorati per troppo tempo, un
atteggiamento che va contro le regole basilari della prevenzione che
dovrebbero guidare le scelte istituzionali e delle multinazionali e venire
prima dei profitti. Imprese e istituzioni hanno scelto invece di mantenere lo
status quo. Non sono solo gli oceani e gli animali marini a soffrire le conseguenze
della dipendenza dalla plastica della nostra società, siamo tutti noi a
subirne gli effetti. Nonostante ci sia ancora molto da chiarire su tutti i
possibili impatti generati dalla plastica sulla salute umana, i rischi sono
evidenti. Le conoscenze attuali impongono di applicare concretamente il
principio di precauzione e iniziare a eliminare definitivamente la plastica, a
partire dall’usa e getta”.
“Il ricorso a
questo materiale, oltre a devastare il Pianeta, continua a mantenerci
dipendenti dai combustibili fossili, contribuendo ai cambiamenti
climatici”, continua Ungherese. “Non ci sono motivi per continuare a mettere a
rischio la salute umana in nome della presunta convenienza della plastica. Da
mesi chiediamo alle grandi multinazionali, responsabili della
commercializzazione dei più grandi volumi di plastica usa e getta, di assumersi
le proprie responsabilità riducendo drasticamente la produzione di plastica
monouso”, conclude.
Tremila morti all’anno solo in Italia, più di
30milioni di tonnellate ancora da bonificare, 370mila edifici contaminati, fra
cui moltissime scuole. L’emergenza amianto non è affatto un problema del
passato. Abbiamo intervistato Maura Crudeli, presidente AIEA (Associazione
Italiana Esposti Amianto), che denuncia come colossi industriali quali Cina,
India e Russia non abbiano proibito l’uso di questo agente tossico e che
l’amministrazione Trump lo abbia reintrodotto nell’edilizia degli USA.
“Fra i 3 e i 4mila morti ogni anno solo in Italia, quasi 15mila in Europa e
più di 100mila nel mondo. Se qualcuno pensa che l’emergenza amianto sia
un problema del passato è smentito dai numeri del RENAM-Registro Nazionale dei
Mesoteliomi, dell’ISS-Istituto Superiore della Sanità e dai dossier di
Legambiente”. Ce lo ha detto Maura Crudeli, presidente dell’AIEA-Associazione Italiana
Esposti Amianto – una delle associazioni che compongono il neonato
Coordinamento Nazionale Amianto e facente parte della rete internazionale Ban Asbestos – tutte impegnate nella sensibilizzazione verso
il problema, nella pressione alle istituzioni e nel supporto alle vittime e ai
loro parenti.
Maura è una
friulana trapiantata a Roma, dove è diventata una conosciuta organizzatrice di
eventi e una filmaker. Fra i suoi lavori, vanno citati il documentario “Attenti al treno”, sul reparto di
coibentazione della FIAT Ferroviaria di Savignano, un posto di lavoro
ambitissimo fino a qualche decennio fa, che gli operai svolgevano immersi in
una fitta nebbia polverosa… d’amianto; “I Vajont”, altro documentario, stavolta a episodi, su alcune
fra le più eclatanti tragedie provocate dall’avidità, dalla sete di potere e
dall’indifferenza dell’uomo, inclusa quella di Broni, sede di uno stabilimento
della Fibronit, una tra le più grandi aziende produttrici di cemento amianto in
Italia; infine, l’ultimo spot di AIEA
ONLUS volto a mantenere alta l’attenzione sul tema, dal titolo estremamente
efficace: l’amianto ti toglie il respiro. Come sottolinea lei stessa
nella nostra intervista video, la lotta all’amianto (detto anche
asbesto) e il sostegno alle sue vittime è diventata una delle missioni nella
sua vita dal 2010, ossia da quando suo padre Mauro, coibentatore
all’interno dei cantieri navali di Fincantieri, è morto a causa di un
mesotelioma, un tumore raro associato all’esposizione all’amianto.
A 30 anni esatti
dalla sua fondazione, AIEA – una Onlus senza fini di lucro – continua a
battersi a livello globale per l’abolizione dell’amianto in ogni forma diversa
dallo stato di minerale in cui si trova in natura (l’unico stato nel quale non
è nocivo per la salute). In accordo con quanto afferma l’OMS-Organizzazione
Mondiale della Sanità, l’AIEA sostiene che, “secondo gli attuali
livelli di conoscenza scientifica sui danni causati alla salute dall’inalazione
di fibre di amianto, non esiste alcun livello minimo di soglia al di sotto
del quale vi sia sicurezza, per cui la massima concentrazione accettabile di
fibre non può che essere zero”.
Nata dal movimento
di lotta per la salute Medicina Democratica, l’AIEA è stata fondata nel 1989 a Casale Monferrato, sede della celebre
fabbrica di fibrocemento Eternit. Tre anni dopo la sua costituzione fu
approvata, dopo una lunga e difficile gestazione, la legge 257/1992, ovvero
“Norme per la cessazione dell’impiego dell’amianto”. Una vera e propria
legge-svolta, alla quale ha contribuito in misura determinante proprio la
grande mobilitazione sociale dovuta all’attività delle associazioni degli
esposti, delle associazioni ambientaliste e di quelle sindacali. Nella legge si
stabilisce che, in Italia, “sono vietate l’estrazione, l’importazione,
l’esposizione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti
di amianto o di prodotti contenenti amianto”.
Tuttavia,
nonostante l’approvazione della legge e la capillarità della successiva azione
di bonifica nelle cave e nei siti industriali nei quali in passato sono
state realizzate le lavorazioni, resta ancora molto da fare. In Italia, per
esempio, dove non tutte le regioni hanno applicato i piani regionali per
l’amianto e provveduto alla mappatura prevista dalla legge 257/92, si stima vi
siano ancora fra le 33 e le 39 milioni di tonnellate della fibra killer ancora
da bonificare, fra cui quasi 58 milioni di metri quadri di coperture in cemento
amianto. Sconcertante il dato riguardante il censimento degli edifici nel
nostro paese, che rivela come, dei circa 370mila edifici contenenti amianto
presenti oggi sul nostro territorio, più di 50mila siano pubblici e di questi
molte siano scuole. Secondo Censis e Legambiente, infatti, il 10% delle scuole
italiane presenta ancora strutture in amianto.
Come se non
bastasse, il dato internazionale è ancora più preoccupante. Se nel corso degli
ultimi due decenni in tutta Europa l’amianto è stato proibito – sia in fase di
estrazione che in fase di produzione e commercializzazione – la stessa cosa non
si può dire del resto del mondo. Al momento sono difatti solo 53 (su un totale
di 196) i paesi del mondo che ne hanno proibito l’estrazione e l’utilizzo. In
tutti gli altri, inclusi colossi industriali come Cina, India e Russia, questo
materiale è ancora utilizzabile, a volte in tutte delle sue molteplici forme, a
volte solo in alcune. Come nel caso degli USA, nei quali l’amministrazione
Trump, nell’estate 2018, è tornata sui passi tracciati dai governi
precedenti reintroducendo l’uso dell’amianto nell’edilizia (da cui era stato bandito nel 1989). Insomma, la
parola d’ordine è, ora come prima, vietato abbassare la guardia!
La storia di un cuoco rinomato che sceglie di
proteggere antichi sapori, biodiversità e salute. Promuovendo il consumo
critico, avvicina i clienti e i bambini alle conoscenze antiche e alle
potenzialità che la cultura gastronomica italiana non ha ancora espresso. Una
storia di autonomia, sapore e creatività.
Cesare Grandi è un rinomato chef di Torino che propone una cultura
gastronomica ricca di conoscenze diverse.
Cresciuto in una famiglia di medici illuminati, oncologi, immunologi esperti di
fitoterapia e nutrizione, pensò di voler proseguire la sua attitudine familiare
alla salute iscrivendosi alla facoltà di medicina. Scoprì soltanto in seguito
di voler impiegare queste conoscenze, ricevute per “induzione” familiare,
unendo la forte attenzione al tema della prevenzione delle malattie con
la ricerca del gusto e dei sapori. Quindi diventa Chef e approfondisce i
molteplici aspetti legati alla produzione e preparazione del cibo, insieme a
quelli connessi alla cultura dei territori e all’impatto sull’ambiente. Ora
Cesare è un cuoco rinomato ed il suo ristorante, La Limonaia Food as Culture, è considerato anche un punto di riferimento in cui vengono offerti cibo
locale, genuino e legato ai saperi tradizionali, rielaborato con
creatività e voglia di promuovere salute e ambiente.
“Ho scelto
di essere “piccolo“, autonomo, per poter garantire cibo
artigianale distanziandomi dalla ristorazione dei grandi numeri, dei grandi
spazi, dei marchi famosi e degli alimenti più industriali. Scelgo i miei
fornitori, produttori, allevatori per poter differenziare l’offerta culinaria e
promuovere chi protegge il territorio, chi usa metodi naturali”.
Le tradizioni
culinarie delle diverse zone d’Italia, dal mare agli Appennini, dalle campagne
alle Alpi, sono il nostro vero patrimonio, la nostra ricchezza e ce la
riconoscono in tutto il mondo. Diffondere una cultura gastronomica varia e che
racconti la biodiversità dei luoghi aiuta a creare identità e ricchezza
del territorio, aiuta a custodire gli antichi saperi.”
Cesare investe
molte energie nel diffondere conoscenze che integra tra quelle provenienti dai
suoi studi gastronomici, dei saperi tradizionali locali e dall’imprinting
familiare.
“Il rapporto con
i piccoli produttori mi spinge a far conoscere ai clienti la stagionalità
dei prodotti, le scelte etiche della filiera, le storie della natura e di come
anche oggi si possa scegliere la qualità alla quantità. Ad esempio, nei
miei piatti, utilizzo piante e fiori spontanei potendo spiegare sia i loro
effetti sull’organismo, sia l’apporto del metodo di preparazione che ho scelto:
il sapore è il risultato che mi piace condividere.”
Da 4-5 anni Cesare
ha attivato un progetto per i più piccoli, delle scuole elementari e medie: Assaggi.
“L’intento è accorciare la distanza dei bambini dalle materie prime che
consumano. Anche se sui mass-media si parla moltissimo di cucina, le persone, e
quindi anche i bambini hanno una conoscenza superficiale e spesso falsata degli
alimenti ed un rapporto con l’alimentazione meno “nutriente” di quello che
dovrebbe essere. Insegno il consumo critico giocando, una parte teorica
e una sensoriale, attraverso fiabe ed esperienze dirette. Ad esempio in una
classe c’era un bambino non vedente allora ho fatto bendare tutti i
partecipanti e abbiamo lavorato sugli altri sensi, odorando, toccando e
assaggiando. Mangiare è anche scoprire. Per raccogliere l’esperienza del
progetto “Assaggi” è in lavorazione un libro sull’educazione alimentare nei
bambini. Uno dei miei obiettivi è quello di collaborare con le mense
scolastiche ma è veramente difficile, un po’ per i cavilli burocratici e un
po’ perché cambiare abitudini in termini di qualità della conservazione, della
gestione degli sprechi, delle trasformazione utili e pregiate delle rimanenze è
faticoso. Ma la ristorazione nelle scuole potrebbe essere una vera
opportunità di crescita sociale ed economica. L’Italia ha enormi
potenzialità”.
Tra le altre cose
Cesare produce grissini artigianali prodotti con il lievito madre della
Limonaia che saranno messi in commercio con il packaging realizzato da Luciana
Delle Donne di Made in Carcere. Inoltre, in occasione dell’evento
“La Joie de vivre” di Micol Ferrara, Cesare presenterà un nuovo
menu dedicato alla Sicilia e annuncerà una serie di eventi che vedranno la
collaborazione tra Cesare e Made in Carcere.
Lontano dalle
massificazioni del gusto e dei circuiti economici della ristorazione dei grandi
investimenti, Cesare unisce le sue passioni alle scelte etiche personali:
attenzione, cura, pazienza e rispetto per poter vivere della propria
creatività, offrendo sapori unici e cultura.
Foto copertina
Didascalia: Cesare Grandi
Autore: La Limonaia – Food as Culture
Licenza: La Limonaia – Food as Culture
La CibOfficina Microbiotica è la sede
dell’attività di Carlo Nesler, uno dei maggiori esperti in Italia sui cibi
fermentati. Lo abbiamo incontrato a Viterbo e ci ha parlato della sua storia,
dell’attività della CibOfficina e della filiera legata alle materie prime
selezionate, oltre che alla sua attività di formatore che lo porta a lavorare a
stretto contatto con molti importanti chef. Con un occhio di riguardo anche
alla salute. Capita anche a voi di sorridere di
fronte ai nostri sogni infantili riguardo il lavoro? In tanti abbiamo
desiderato ad occhi aperti di fare l’astronauta, immersi nello spazio a capo di
una missione eroica, alla scoperta di nuovi pianeti. Tornando sul pianeta
Terra, con i piedi ben piantati, ci ritroviamo a fare i conti con la realtà e a
svolgere lavori ben diversi da quelli immaginati. Non è però il caso di Carlo
Nesler e della sua Cibofficina Microbiotica: lo incontriamo nella cucina del suo casale in
campagna, a Castel d’Asso alle porte di Viterbo, impegnatissimo nella
trasformazione di alcuni legumi in cibi fermentati. Non poteva esserci legame
migliore tra essere umano e fermento: mentre lo intervistiamo è sempre in
movimento e, prima di premere il tasto “rec.” sulla videocamera, ci racconta
delle sue numerose esperienze nel teatro, nell’edilizia, nella ristorazione,
nella traduzione, nella falegnameria, nell’insegnamento e nella formazione.
“Io sono un
autodidatta e ho iniziato a fermentare fin dall’adolescenza, quando ho scoperto
il mondo delle bevande alcoliche. Con il passare degli anni la mia curiosità è
cresciuta – ci racconta Carlo – e dopo aver imparato a fare la birra, il vino e
dei distillati sono passato a sperimentare la fermentazione con i primi
cibi, come yogurt e crauti.”
L’incontro con
la Permacultura e Saviana Parodi toglie poi a Carlo ogni dubbio sul fatto
che la fermentazione sarà il fulcro della sua vita: “Nel corso degli anni ho
sperimentato questa attività a livello privato, finché ad un certo punto ho
fatto un corso di Permacultura con Saviana dove, tra le tante cose, si parlava
di cibi fermentati: questo è stato uno stimolo ad approfondire ancora di più,
fino ad arrivare a fare formazione costante anche ad alti livelli. Ed alla
CibOfficina, dove sono andato oltre ai cibi tradizionali fermentati”.
La CibOfficina
Microbiotica
La CibOfficina
Microbiotica è l’azienda agricola di Carlo Nesler e produce cibi trasformati
attraverso la fermentazione. I cibi fermentati prodotti sono, tra gli
altri, miso, shoyu, kimchi, crauti di rapa e di cavolo cappuccio e vari tipi di
verdure, ma c’è anche la kombucha, una specie di tè dolce (che assaggiamo e gradiamo).
I prodotti fermentati non sono pastorizzati, mantengono intatte le proprietà
organolettiche ed allo stesso tempo non hanno bisogno di un consumo veloce
perché stabilizzati. Oltre ad essere un luogo di sperimentazione culinaria,
la CibOfficina è un luogo di incontro, scambi e soprattutto di formazione per
chi vuole cimentarsi nel mondo della fermentazione.
Carlo, bolzanino di
origine, non ha scelto a caso Viterbo nel 2016 per aprire la sua attività,
perché la provenienza e la qualità delle materie prime che utilizza sono
di fondamentale importanza nel suo lavoro: “Ho deciso di venire in Tuscia
perché cercavo un ambiente socio-agricolo funzionante. Le prime volte che sono
venuto qua, ho notato che molti giovani e meno giovani stavano cercando di fare
agricoltura in un modo nuovo, più rispettosa dei principi
organico-rigenerativi. Per me una cosa fondamentale è che ciascuno di noi
riacquisti il contatto diretto con chi produce il cibo, rispettando parametri
ben precisi”. In base a ciò Nesler ha creato una rete di una decina di
produttori che coltivano con metodi naturali le materie prime, come vari
tipi di legumi, farro, orzo e alcune varietà di grani antichi, creando una
filiera corta che cerca di coinvolgere anche i suoi acquirenti. “È in questo
modo che riusciamo a dare un servizio vero al cittadino, perché con i
produttori ci controlliamo a vicenda e contribuisco, con la mia attività, a far
conoscere l’agricoltura di qualità tra gli abitanti di questo territorio e
anche oltre”. I prodotti della CibOfficina Microbiotica si possono
trovare e ordinare direttamente sul sito internet, ma ci sono anche alcuni
punti vendita che li commercializzano, soprattutto in Nord e Centro Italia.
Oltre a questi canali, i prodotti vengono venduti direttamente ad alcuni chef
importanti, che partecipano anche all’attività di formazione svolta da Nesler.
L’attività di
formazione
Prima di aprire la
CibOfficina, Carlo è stato molto attivo nell‘attività di formazione e
divulgazione del mondo dei cibi fermentati e delle pratiche necessarie per
produrli. Attività che prosegue ancora oggi: “Ci sono vari ambiti in cui faccio
formazione: da una parte lavoro con persone che vengono da me perché vogliono
imparare ad autoprodursi dei cibi fermentati, vivi, probiotici. Poi c’è tutto
il mondo della cucina e degli chef, che hanno capito l’importanza di questi
cibi sia dal punto di vista organolettico che gustativo, e si rivolgono a me
sia per la formazione che per l’acquisto dei miei prodotti. Poi ci sono persone
che sono interessate dal punto di vista della salute, medici e nutrizionisti
che vogliono arricchire la loro dieta con questi cibi e quindi mi chiedono di
insegnarglielo”.
I risultati dal
punto di vista formativo sono notevoli: oltre che a tenere i corsi nella
CibOfficina, Nesler organizza diverse attività formative in giro per l’Italia e
per l’Europa. Per quanto riguarda la divulgazione, ricordiamo che Carlo è
anche il traduttore per l’Italia di uno dei più importanti volumi sulla fermentazione:
“Il mondo della fermentazione. Il
sapore, le qualità nutrizionali e la produzione di cibi vivi fermentati” di Sandor Katz, per Slow Food Editore.
L’importanza dei
cibi fermentati
I cibi fermentati
sono cibi che hanno subito una trasformazione microbica, cioè sono alimenti che
dopo alcuni specifici procedimenti vengono resi più digeribili e
assimilabili, denaturati inoltre di alcune tossine, grazie all’attività
microbica.
Questi cibi, oltre
ad essere più nutrienti e più facili da digerire, sono anche ricchi essi stessi
di microbi chiamati probiotici: sono probiotici quei cibi che contengono
dei microbi in grado di oltrepassare la barriera dello stomaco, per andare a
sopravvivere all’interno del nostro intestino, arricchendo quella che una volta
si chiamava microflorabatterica e che oggi invece chiamiamo microbiota. I cibi
fermentati hanno raggiunto negli ultimi anni una notorietà importante. A
primo impatto sembra che ciò dipenda dall’aumentato interesse di molti chef
stellati come Ivan Milani, Antonio Ziantoni e Anthony Genovese per questo tipo
di prodotti, ma in realtà anche il mondo della medicina da tempo guarda con
interesse al mondo dei cibi fermentati: “L’interesse per i cibi fermentati è
cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni – conclude Carlo – qualche
anno fa nessuno sapeva di cosa parlassi e mi sentivo molto solo. Da alcuni anni
a questa parte, esiste un maggiore interesse da parte del mondo scientifico,
attraverso alcune ricerche basate sull’esame del microbioma umano, che tende a
mettere in relazione alcuni problemi di salute con delle disfunzioni di questo
microbioma. Tanti medici hanno riconosciuto che l’utilizzo nella nostra dieta
di questi cibi vivi, non pastorizzati, permette di migliorare la salute del
nostro microbiota, evitando l’utilizzo di farmaci. Ciò ha fatto aumentare la
consapevolezza nei confronti dei microbi cosiddetti ‘buoni’, rispetto alla
fobia dei microbi in generale che c’è stata fino a poco tempo fa”.
Quando i valori dell’imprenditoria etica
incontrano i principi della medicina sostenibile prende vita un altro modo di
occuparsi di salute, in senso globale. Siamo andati in Veneto per conoscere i
fondatori di Pegaso, che fin dall’inizio hanno deciso di investire in qualità e
consapevolezza. La Pegaso è un’azienda
veneta che produce composti naturali per la prevenzione e la cura delle comuni
patologie. È caratterizzata da una forte prevalenza di donne nell’organico, ad
iniziare dalle proprietarie, Cristina e Paola Tosi, fino allo staff manageriale
e scientifico. Un modo etico e sostenibile di fare impresa e di occuparsi di
salute
Da azienda
familiare si è sviluppata per integrare e supportare il lavoro delle donne,
spesso anche madri. Così, se si lavora in Pegaso, si ha la possibilità di
lavorare da casa, di avere orari più elastici ma anche di partecipare ad una
evoluzione continua per la qualità del lavoro e delle relazioni: corsi di yoga,
PNL (Programmazione Neuro Linguistica) per comunicare con più consapevolezza e
per crescere nella propria professionalità. Creare un gruppo coeso restituisce
produttività; ognuno si sente parte integrante del team, impara le proprie
responsabilità, il proprio ruolo e costruisce relazioni di fiducia.
La scelta di
investire nella qualità viene applicata anche in altri campi. La famiglia
Tosi ad esempio ha scelto di investire in ricerca scientifica per ottenere la
massima efficacia dei prodotti offerti a medici e pazienti. Infatti oltre
all’attività di produzione ha scelto di investire nell’ideazione di rimedi
naturali, integratori alimentari e nutraceutici (elementi funzionali
provenienti dal cibo). Prendendo spunto dalle tradizioni millenarie e dalla
scienza dell’alimentazione si è voluto investire nella trasformazione degli
estratti naturali, attraverso tecnologie moderne, amplificandone l’efficacia e
la sicurezza.
Bruno, Paola e
Cristina. La famiglia Tosi in occasione dei 25 anni di Pegaso
In questo campo
investire in ricerca vuol dire fare sperimentazione clinica, verifiche di
purezza, di stabilità e biodisponibilità (i componenti che realmente entrano e
agiscono nel metabolismo). Arrivando a formulazioni in cui il fitocomplesso
(l’insieme di tutte le componenti della pianta e non le molecole isolate) abbia
una precisa e verificata attività fisiologica. In questo mercato l’affidabilità
dei prodotti naturali è spesso lasciata alla volontà delle aziende
produttrici perché sono ancore poche le normative e gli standard di
riferimento. Molte regole di accuratezza non sono obbligatorie creando un
panorama dei “rimedi naturali” disomogeneo e imprevedibile. Incontriamo Pegaso
in occasione della terza edizione di Pegaso Academy, l’evento
scientifico che ogni anno l’azienda sponsorizza. Quest’anno con GineConLogica
medici e nutrizionisti si sono confrontati con colleghi e professionisti
ponendo attenzione alla salute e al benessere delle donne. A 360 gradi:
alimentazione, microbiota, movimento, psiche e gestione dell’umore in rapporto
al sistema immunitario, agli ormoni e ai passaggi fisiologici del femminile
(pubertà, fertilità, menopausa). “La gente ha voglia di essere più consapevole
e chiede ai propri medici di essere più partecipe della propria salute.
Vogliono fare scelte informate anche perché negli ultimi 50 anni, le
aspettativa di vita sono cambiate molto, soprattutto in termini di qualità di
vita. Le donne trainano questa spinta verso il benessere perché si assumono
ancora il ruolo essenziale di gestire la salute della propria famiglia ma in più
vogliono stare bene, anche con se stesse, sapersi proteggere e godere delle
opportunità a disposizione”, ci spiega la responsabile dell’area ricerca
dott.ssa Heide De Togni.
L’esigenza di
salute sta cambiando, si conoscono i benefici di una medicina più
consapevole che possa integrare diversi approcci. Così utilizzare un
probiotico (microrganismi con attività specifica sul microbiota intestinale e
quindi sull’intero organismo) diventa l’occasione per capire come migliorare la
propria alimentazione, i propri ritmi, le proprie esigenze. Solo facendo
cultura e investendo anche in una medicina più attenta alla fisiologia si può
parlare realmente di prevenzione e di sostenibilità. La medicina sostenibile ha
molte sfaccettature poiché si occupa della salute a lungo raggio nel tempo,
della qualità di vita, della spesa economica sanitaria e
dell’ambiente. Uno degli obiettivi è quello di ridurre il carico
farmacologico delle persone, dove possibile, per limitare la tossicità dei
farmaci di sintesi, l’inquinamento, la spesa farmaceutica e promuovere un
benessere reale e duraturo. Ad esempio diverse opportunità di cura, provenienti
proprio dalla natura, possono ridurre l’utilizzo degli antibiotici e limitare
il problema sempre più diffuso dell’antibiotico resistenza, migliorando
comunque le condizioni di risposta dell’organismo. Gli effetti positivi quindi
sono anche sociali poiché intervengono in problematiche che la sanità ha
difficoltà a gestire.
L’imprenditoria
etica esiste e sembra sentire un po’ meno la crisi economica, tanto da
investire in divulgazione scientifica, ricerca e buone relazioni. Forse la
voglia di dare il meglio di sé ha spinto le sorelle Tosi a voler trasformare le
proprie passioni e il proprio rigore in un’occasione di crescita anche del proprio
territorio e del settore di riferimento grazie alla consapevolezza che solo
insieme ci può essere un miglioramento della società.