La direttrice dell’Istituto Ramazzini Fiorella
Belpoggi fa il punto sulla situazione 5G. Un’occasione per parlare di ricerca
indipendente, delle linee guida sugli studi e della necessità di valutare
l’inquinamento diffuso e continuativo nella ricerca sul cancro. In occasione dell’intervista alla ricercatrice e direttrice dell’Istituto Ramazzini, Fiorella Belpoggi, abbiamo chiesto un aggiornamento sulla
situazione 5G. “È un momento di grande fermento – sottolinea la direttrice – e
vengo invitata continuamente ad eventi sull’impatto delle radiofrequenze
organizzati da cittadini e amministratori: c’è molta attenzione anche tra
ricercatori, fondazioni e amministrazioni. Anche dall’estero ricevo
continuamente richieste di intervista, ci sono pochissime informazioni ma
soprattutto è un tema ancora poco studiato. L’Istituto Ramazzini è l’unico
soggetto di ricerca indipendente dai finanziamenti delle industrie che abbia
studiato l’impatto almeno sul 3G, sulla frequenza di 1.8 GHz, attualmente in
uso. Invece il 5G utilizzerà una fascia di radiazioni elettro magnetica delle
onde millimetriche su cui non esistono studi per la salute delle persone.
Oltretutto l’utilizzo dei telefonini è sempre più massiccio e continuato anche
nelle giovanissime generazioni quindi bisognerebbe impostare nuove metodologie
di ricerca oltre che indipendenti.
Abbiamo studiato le
basse frequenze cioè quelle indotte dal flusso della corrente elettrica, le
radiofrequenze 1.8 GHz e abbiamo visto che tutte le onde possono indurre il
cancro soprattutto alcuni tipi di cancro al cervello. Infatti abbiamo
rilevato l’impatto negativo sulle cellule di Schwann che formano la mielina
attorno ai filamenti dei neuroni. I tumori che abbiamo osservato noi e i
colleghi negli Stati Uniti sono gli stessi che avevano indotto la IARC (Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro) nel 2011 ad affermare che le
radiofrequenze erano “possibilmente cancerogene” negli utilizzatori assidui del
cellulare. Poiché questi device sono tenuti vicini o addosso al corpo tutto il
giorno, l’energia che viene assorbita dall’organismo è maggiore rispetto alle
stesse frequenze emesse dalle antenne: c’è una maggiore interferenza con il
materiale biologico. Di fronte al fatto che esistono le due evidenze
scientifiche di pericolosità, dei due diversi laboratori, abbiamo chiesto
di inserire nelle prossime nuove valutazioni delle radiofrequenze una revisione
più completa e aggiornata degli studi. Importante infatti è tenere conto
delle eventuali amplificazioni del sistema della trasmissione di onde ancora
maggiori cioè con maggiore capacità di trasmettere anche se meno
penetranti. Non c’è una evidenza scientifica di emergenza come ci accadde
quando studiammo gli effetti del benzene e della formaldeide. Ma prima di
espandere queste tecnologie bisognerebbe studiarle perché coinvolgono miliardi
di persone. Possiamo chiedere alle compagnie di costruire apparecchi meno
pericolosi, con misure che espongano meno cioè maggiormente schermati o con
incorporate applicazioni per renderlo funzionante solo quando è ad una certa
distanza dal corpo oppure dotati di auricolari integrati; già a 5 cm di
distanza dal corpo l’esposizione è 25 volte minore, ma sempre alta. Il wifi
ha una frequenza intermedia ma sono sempre onde elettro magnetiche ed è meglio
non tenerlo acceso di notte. Sarebbe importante ad esempio cambiare il modo
di far vedere ai figli un film: bisognerebbe prima scaricarlo. La
condizione più preoccupante consiste nel numero di apparecchi cellulari
contemporaneamente accesi, ad esempio in un vagone di un treno possiamo avere
100 cellulari accesi, con 50 persone che parlano al telefono; l’esposizione
aumenta moltissimo.
In particolare le
onde millimetriche del 5G, quelle dei forni a microonde, sollecitano gli atomi
di acqua, quindi i bambini, che hanno una percentuale maggiore di acqua, sono i
più esposti. Queste onde hanno scarso potere di penetrazione, ma quanto è
sottile la calotta cranica di un bambino? E per le gestanti quanto penetrano
nel liquido amniotico? Anche se penetrassero solo l’epidermide bisognerebbe
considerare che è un tessuto molto innervato e gli impulsi nervosi sono
trasportati da cariche elettriche fino al Sistema Nervoso Centrale. Non c’è più
alcun dubbio che irrorando di campi magnetici ci sia interazione, abbiamo visto
svilupparsi cancri ai nervi facciali, mandibolari, acustici.
Gli allarmi
precoci andrebbero ascoltati e con metodologie nuove. Considerando che
siamo tutti immersi in questo surplus di onde risulta quasi impossibile
selezionare una parte di popolazione “pulita” per evidenziare le differenze con
il caso controllo.
Gli studi sul
cancro
Gli studi di
cancerogenesi durano 3/4 anni, c’è bisogno di tempo, ma bisogna studiare anche
le modificazioni biomolecolari sulle cellule e se ci sono biomarkers tumorali
come quelli che abbiamo trovato nel 3G. Nella ricerca sono necessari i modelli
uomo equivalenti, eseguiti fin dall’ esposizione prenatale, invece le linee
guida fanno iniziare gli studi ad una età equivalente di 15 anni, di fatto
togliendo la parte più sensibile alle esposizioni. Ma questo vale per qualsiasi
studio di cancerogenesi. Il cancro ha una latenza di circa 10 anni e veniamo in
contatto con sostanze, ormai da decenni riconosciute cancerogene, in età sempre
più precoce. Quindi se vediamo sempre più casi di cancro mammario a 30 anni o
linfomi e leucemie nell’infanzia vuol dire che le esposizioni sono diventate
molto precoci. Gli enti autorevoli di controllo come l’EFSA controllano gli
studi commissionati dalle aziende, ma l’oggetto di ogni studio e le metodologie
scelte sono l’anello più importante e dovrebbero essere affidate a laboratori
indipendenti. Non basta segnalare la presenza o meno dei conflitti d’interesse.
Risparmieremmo anche molti soldi se gli studi valutassero più parametri
biologici e non il singolo danno neurologico o immunitario o la cancerogenesi.
Bisogna prevedere studi che analizzino tutti questi effetti contemporaneamente.
In Italia ci sono
grossi centri di ricerca ma sono sponsorizzati, sono laboratori che lavorano a
contratto soprattutto per l’industria farmaceutica e devono produrre profitto.
Le Università che fanno ricerca indipendente hanno piccoli laboratori non in grado
di fare grandi studi, non hanno il know how, durano massimo un anno.
Rischi cancerogeni
diffusi
Bisogna cambiare il
sistema di valutazione, le regole che sono state fatte negli anni 70 quando la
maggiore tossicità era nei luoghi di lavoro, ora l’inquinamento è molto più
diffuso, costante e continuo dalla vita prenatale in poi e su tutta la
popolazione umana. Il tema delle regole sono in pochissimi a conoscerle e chi
le conosce lavora a contratto e/o segue l’applicazione delle linee guida senza
la visione delle ricadute; è attento solo alla parte tecnica. Sono studi di
nicchia e pochi ricercatori ne capiscono le reali conseguenze, io stessa l’ho
capito solo dopo anni. Dobbiamo abbassare il potenziale cancerogeno ambientale
totale ma se continuiamo a sintetizzare centinaia di nuovi composti chimici
come cosmetici, farmaci, pesticidi e non ritiriamo dal commercio quelli
obsoleti e più pericolosi, andiamo in accumulo.
La ricerca
indipendente
Noi abbiamo
iniziato nel 2005 con un unico finanziamento ma gli altri fondi sono arrivati
dai volontari dell’Istituto che oggi ha 50.000 soci perché siamo una
cooperativa sociale e siamo finanziati da donazioni. Ci abbiamo messo più tempo
ma siamo indipendenti e no-profit. Il nostro scopo è il pareggio di bilancio e
il nostro guadagno da Statuto è diffondere informazioni per una cultura della
prevenzione. Facciamo una ricerca che cerca di riprodurre le situazioni
espositive umane con modello uomo equivalente. Con approccio simile al nostro
c’è in America il National Toxicology Program, finanziato dall’FDA e per fare
il nostro studio sul 3G hanno speso 30.000 euro iniziando a studiare dalla vita
prenatale come noi, per rendere il modello più sensibile, ma non rilasciano
interviste. Siamo gli unici che riescono a divulgare i risultati sulle
radiofrequenze, un servizio a miliardi di persone. Nei diversi incontri a cui
sono invitata, sempre più cittadini sentono che stiamo esagerando nell’uso
incontrollato della tecnologia ma anche ricercatori universitari, fondazioni,
amministratori sono d’accordo e spingono per comportamenti più cautelativi. Poi
bisognerebbe investire molto di più nell’informazione sull’uso corretto degli
apparecchi, non bastano le istruzioni per l’uso nelle confezioni che nessuno le
legge. I device devono migliorare man mano che aumentano le conoscenze; per i
produttori sono spese minime, è solo una questione di volontà. E’ una grossa
sfida tecnologica: l’innovazione deve avere un miglioramento non solo sul
comfort ma anche sulla salute. Bisogna imparare a gestire ciò che via via
scopriamo di poter fare.”
Siamo giunti alla terza ed ultima parte di questo
approfondimento dedicato ai vaccini. Dopo aver accennato al contesto farmaco-economico,
culturale, mediatico e scientifico italiano e internazionale in materia
vaccinale, cerchiamo di cogliere qualche aspetto più strettamente biologico e
medico per capire le ragioni di chi vuole contribuire ad una miglior pratica
vaccinale riducendo al massimo i rischi.
L’IMMUNITA’ DA
VACCINO
Per quanto riguarda
l’efficacia, la copertura vaccinale, cioè la percentuale di popolazione
che si vaccina, è solo uno dei fattori in campo. Infatti tra i vaccinati ci
sono i non responder cioè quelli che comunque non raggiungono l’immunizzazione
seppur vaccinati. Inoltre i virus possono mutare differenziandosi nel tempo da
quello vaccinale o comunque possono coesistere diverse varianti dell’agente
patogeno non coperte più dal nostro vaccino (44). Inoltre c’è il fenomeno dei
vaccinati portatori sani, alcuni per fallimento del vaccino (41,50) altri come
per la pertosse perché il vaccino incide sulle complicanze e non sul virus che
continua a circolare (45).
Inoltre, ad esempio
per il morbillo, l’immunità da vaccino dura solo alcuni anni al contrario di
quella naturale che dura, nella maggior parte dei casi, tutta la vita e che si
trasmette da madre a figlio durante la gravidanza e con l’allattamento. Oggi
sappiamo infatti che numerosi componenti bioattivi contenuti nel latte materno
conferiscono una determinata e importantissima protezione immunologica.
Quindi le future
mamme, perché vaccinate, non passeranno ai propri figli l’immunità e tutta
una parte di popolazione sarà sempre esposta al virus se non esegue i richiami.
Questo rende più difficile l’obiettivo di raggiungere le soglie dell’immunità
di gregge e la possibilità di eradicazione totale sperata (3, 4, 5, 35, 46,
47). Questo stesso ragionamento viene fatto dall’OMS anche per la difterite(55).
La valutazione dei rischi
da vaccinazione dipende dai fattori e dai dati scientifici che si
raccoglie. Gli individui reagiscono in diversi modi e l’indagine di un sistema
così complesso non risulta essere univoco ne è omogeneo. La suscettibilità
alle complicanze dovute alle infezioni naturali e alle complicanze da
vaccino dipende fondamentalmente dal grado di immuno-competenza cioè dallo
stato ottimale del sistema immunitario. Egli è il naturale sistema di
regolazione e difesa dalle intrusioni attraverso l’attivazione
dell’infiammazione, della febbre e delle diverse cellule immunitarie. Dapprima
si attiva una difesa innata, aspecifica, infiammatoria poi una difesa detta
immunità specifica con produzione di anticorpi. Alcuni individui sviluppano una
risposta infiammatoria e/o anticorpale debole e altri troppo forte. Il confine
tra risposta adattata e risposta patologica è sottile e dipende da molti
fattori (6,7).
Molta letteratura
scientifica si sta occupando della relazione tra vaccinazioni e malattie
autoimmuni trovando associazioni statisticamente significative benché rare
(8,9,56). Ma mancano gli studi controllati a lungo termine, cioè le patologie
che si sviluppano dopo una latenza di anni. Queste considerazioni valgono in
procedure di vaccinazioni ancor più che nelle malattie naturali perché i
vaccini utilizzano adiuvanti e altro materiale inorganico, come l’incriminato
Alluminio, nella forma nano e micro-particolata, proprio per rompere i
meccanismi di auto-tolleranza di protezione (10,11,12,13,29,30,32,37,51,52).
Gli adiuvanti possono aumentare la risposta aspecifica: le cellule
dell’infiammazione si diffondono nell’organismo e possono stimolare processi
reattivi preesistenti innescati poi dal vaccino. L’attivazione della risposta
immunitaria può amplificare processi infiammatori acuti o cronici già
esistenti nel soggetto.
L’IMPORTANZA DEL
MICROBIOTA
Il sistema
immunitario è strettamente legato all’attività del microbiota, quella
popolazione di batteri, virus e funghi che popolano le nostre mucose e che
fanno dell’intestino la più grande palestra per la tolleranza immunitaria
del nostro sistema difensivo. Il microbiota sta diventando sempre più
uno dei determinanti essenziali della salute. Ormai, infatti, le sue
alterazioni sono associate a moltissime patologie infiammatorie croniche,
autoimmuni, neurologiche, metaboliche, psichiatriche, allergiche, etc. (14,36).
Ecco perché per migliorare l’efficacia dei vaccini si sta studiando quali
microbi intestinali siano associati ad una migliore o peggiore risposta alla
profilassi vaccinale (27,28). Addirittura si pensa che il Citomegalovirus
(CMV), uno dei virus più studiati, possa essere visto come un regolatore del
sistema immunitario nel continuo confronto interno all’organismo (38). Così
sembra anche che il virus del morbillo possa essere usato per distruggere
alcune forme di cancro (53).
La salute quindi
dipende dall’equilibrio delle specie microbiche con cui siamo in
relazione fisiologica e questo incide sulla nostra capacità di reagire
correttamente agli insulti. Un’infezione può dare risposte diverse con diversi
quadri di malattia a seconda dello stato dell’ospite. Il livello di
pericolosità di un microbo o di un virus dipende da molti fattori: genetici,
epigenetici, ambientali, dall’esposizione all’inquinamento, lo stile di vita,
la nutrizione, lo stress, etc. Tutto questo trasforma sia il grado di
infiammazione sotterranea dell’organismo sia la tolleranza agli insulti. Essi
si sommano, si accumulano e sinergizzano rendendo l’individuo più predisposto
alle complicanze da infezioni o agli eventi avversi alle vaccinazioni.
VACCINI E SISTEMA
NERVOSO
Le risposte alle
infezioni e ai vaccini coinvolgono anche il sistema nervoso e quello
endocrino/ormonale (2,43). Il dott. Ernesto Burgio uno degli autori del testo
Pneireview “Oltre i vaccini. Prendersi cura del sistema immunitario infantile”
affronta le problematiche legate al neuro-sviluppo e ai disturbi dello spettro
autistico che generano i maggiori problemi di diffidenza relativi alle
vaccinazioni. Le patologie del neuro-sviluppo sono complesse e
multifattoriali, non ascrivibili ad unico agente ma a disregolazioni del
sistema immunitario e del microbiota, alle infiammazione e neuro-infiammazione,
alle molecole neurotossiche come metalli pesanti e pesticidi, alle infezioni,
etc. (15,16,17,18) . I dati indicano che un ruolo primario ce l’abbia la MIA (attivazione
immunitaria materna) cioè che un alterato assetto immunitario materno a ridosso
e durante la gravidanza sia una “condizione primer” su cui altri fattori hanno
effetti sinergici non valutabili con i tradizionali modelli causa-effetto. Lo
sviluppo embrio-fetale, dove esiste la massima neuro-plasticità, ha un ruolo
predittivo per lo sviluppo dei diversi percorsi patologici compresa l’induzione
del fenotipo autism-like (19). I vaccini sono tra i numerosi possibili
fattori trigger che contribuiscono a rendere manifesta una fragilità
preesistente ma sotto-soglia con conseguenze cliniche diverse. In
particolare sotto osservazione sono la tossicità delle contaminazioni in
tracce da metalli pesanti in forma di nanoparticelle (20), la frequenza degli
stimoli antigenici cioè le infezioni ricorrenti (asilo, fratelli maggiori,
antigeni alimentari, allergeni) oltre agli antigeni vaccinali (31).
Risulta quindi
indispensabile per ridurre le possibili complicanze nelle persone più
suscettibili la massima attenzione alla vulnerabilità che precede la nascita e
i cosiddetti 1000 giorni dopo di essa. Questo dovrebbe imporre misure urgenti
di prevenzione primaria visto il continuo aumento, anche in soggetti giovani e
molto giovani di patologie autoimmuni, neurologiche, psichiatriche,
degenerative e metaboliche tanto più che i nostri organismi sono sempre più
esposti ad una maggiore quantità di sostanze inquinanti.
UN APPROCCIO
SISTEMICO ALLA PREVENZIONE
La multifattorialità
e la complessità sono un evidente freno alla presa di responsabilità da parte
dei decisori politici e dei cittadini. La raccolta dei dati per studi
epidemiologici risulta difficile e questo limita ulteriormente le possibilità
di opporsi ai grandi interessi delle aziende produttrici. Esse, oltre allo
sviluppo di tecnologie e farmaci importanti per la salute, sconfinano troppo
spesso nell’imporre la sola soluzione farmacologica a problemi che solo un
approccio sistemico e di prevenzione può tentare di risolvere. Gli elementi
tossici si accumulano ogni volta che mangiamo, beviamo e respiriamo.
L’inquinamento ormai è devastante, eppure il Ministero della Salute continua ad
approvare deroghe al divieto di sostanze chimiche vietate (54).
Così le pratiche
vaccinali non sono il determinante più importante per la salute. Paesi come gli
USA, il Gambia, la Mongolia hanno il più alto grado di copertura vaccinale per
copertura e numero di vaccini, superiore alla nostra, ma confrontati con paesi
di pari sviluppo economico hanno i dati di mortalità infantile più alti (1).
Quindi le politiche sanitarie devono investire sull’insieme dei fattori
che determinano la salute superando la sola visione malattia-farmaco.
Abbiamo visto nella
prima parte, che troppo spesso sono gli investimenti economici
che determinano le traiettorie politiche in materia di prevenzione e cura, e i
forti investimenti per la ricerca su questa biotecnologia hanno chiaramente
indicato una strada preferenziale (34).
Un approccio
sistemico alla salute che valuti l’insieme delle dinamiche e dei processi
fisiologici e patologici nel continuo adattamento all’ambiente potrebbe
permettere di evitare errori come l’aver usato indiscriminatamente
l’antibiotico contro i microbi sottovalutando le conseguenze sull’intero
sistema e a lungo termine. Ora in Italia abbiamo più di 10.000 mila morti
l’anno per l’antibiotico resistenza e il dato è destinato a crescere
pericolosamente. Tanto che per risolvere alcune infezioni si sta iniziando ad
usare il trapianto fecale cioè il trasferimento da un individuo ad un altro del
microbiota intestinale: dagli antimicrobici al trapianto di microbi!
(21,23,24,) Inoltre il trapianto fecale si sta rivelando utile anche in tante
altre patologie, come l’autismo (22, 25, 26).
Le simbiosi, la
capacità di tolleranza, le condizioni sistemiche dell’organismo e le
specificità individuali sono concetti fondamentali per valutare i rischi/benefici
degli interventi sanitari. Infatti molte delle relazioni di medici, ricercatori
e professori universitari alle audizioni svolte in Commissione Igiene e Sanità
per l’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, hanno evidenziato la
necessità di valutare le profilassi vaccinali in funzione del reale contesto
epidemico e del rischio individuale con le visite prevaccinali oltre alla
ripetuta richiesta di studi di controllo sulle vaccinazioni multiple (33,49). I
normali e ciclici picchi epidemici, come ad esempio quello del virus del
morbillo, non sono di per sé fonte di preoccupazione ma è il rischio delle
complicanze che avvengono sui soggetti più vulnerabili che dovrebbe richiamare
l’attenzione delle politiche sanitarie. Molte di queste relazioni vertevano
anche sui pazienti immunodepressi e più volte è emerso come fosse
pericoloso sostenere di poter proteggere i bambini in tali condizioni qualora
tutti i compagni di classe fossero vaccinati. Questo sia per i numerosi casi di
non responder, sia per i portatori sani ma soprattutto per la trascurabile
protezione che le 4 (MPRV) infezioni trasmissibili e prevenibili dal vaccino
abbiano sulle realistiche possibili infezioni a cui essi vanno incontro. Nelle
famiglie, nei luoghi pubblici e nelle scuole, un qualsiasi influenzato mandato
a scuola con l’antipiretico è fonte di pericolo. La caccia agli untori dei non
vaccinati potrebbe esporre ad un pericolo maggiore gli immunodepressi e le loro
famiglie nel sottostimare i reali pericoli che sono costretti ad affrontare
quotidianamente (39,40,42).
Da un interessante
articolo dell’associazione Assis leggiamo che “…la scoperta degli antibiotici e
dei vaccini è il fiore all’occhiello della scienza occidentale ma anche funzionale
all’obiettivo di colpire un singolo microorganismo con una sostanza
farmacologica senza agire sulle cause e senza intervenire sull’ospite. La
storia dell’Uomo è intrinsecamente legata con quella degli altri organismi
viventi, esterni e interni a lui, grandi, piccoli, invisibili. La comparsa
dell’homo sapiens dotato di intelligenza e conoscenza ha sconvolto questo
equilibrio, perché l’Uomo non accetta che ci siano degli altri esseri, grandi o
microscopici, più potenti di lui che possano annientarlo, distruggerlo ed
eliminarlo fisicamente. È riuscito a dominare e spesso a eliminare ed
estinguere grandi animali, ma non ancora quelli microscopici, e ovviamente non
ci riuscirà perché sono i batteri che ci permettono di vivere: senza batteri
non saremmo comparsi e non potremmo vivere, moriremmo subito. La possibilità
che i germi possano provocare malattia negli organismi superiori,
dipende in parte dal tipo di germe e dalla sua numerosità, ma soprattutto dalle
condizioni metaboliche dell’organismo ospite e dalla sua capacità di adattarsi
all’ambiente in cui nasce: non è sufficiente la presenza di un germe (virus o
batterio o parassita) per provocare la malattia. Fin dagli anni ’70, l’OMS, in
un rapporto sosteneva che: Un organismo debilitato è molto meno
resistente agli attacchi dei microbi che incontra. Generalmente il morbillo o
la diarrea – malattie senza conseguenze e di breve durata tra i bambini ben
nutriti – sono malattie gravi e spesso fatali per quelli cronicamente mal
nutriti”.
La narrazione
mediatica di TV e giornali mainstream dei problemi legati alle vaccinazioni
evita il confronto su temi seri e sulle reali possibilità di fare scelte
ragionate. L’Italia eredita il ruolo di capofila del Programma di Vaccinazione
Globale. È urgente mettere in campo tutti gli sforzi per comprendere come
migliorare al massimo gli interventi e sostenere l’insieme dei fattori che
incidono sulla salute. Affrontare la complessità richiede nuovi
strumenti, nuove strategie e il coraggio di superare convinzioni basate sulla
consuetudine.
Chi controlla la composizione dei vaccini? In che
modo i mezzi di informazione comunicano la scienza? E qual è la posizione dei
medici all’interno dei dibattito vaccinale in corso? Continua il nostro
approfondimento sul complesso tema della vaccinazioni, nel tentativo di fare
chiarezza su alcune importanti questioni ancora aperte. Affrontare lequestioni aperte in tema vaccinalecoinvolge ambiti
diversi tra loro e molto più grandi di ognuno di noi. Un possibile approccio
alla complessità può essere la lettura delle relazioni e delle dinamiche che
delineano una situazione. Così la titubanza vaccinale deve poter essere
ascoltata, compresa e integrata nel processo democratico così come le diverse
opinioni, anche tra gli esperti, devono potersi confrontare. In democrazia i
dubbi e le preoccupazioni sono sempre leciti, anzi contribuiscono al continuo
miglioramento delle possibili azioni da intraprendere, se accolti in una
dialettica proficua.
Una delle questioni
aperte è sicuramente il controllo della purezza dei vaccini poiché non
c’è trasparenza sui certificati per l’immissione in commercio da parte delle
aziende produttrici. Alcuni stati, tra cui la Cina, hanno chiesto le
pubblicazioni dei certificati di validità dalle aziende produttrici dopo i
numerosi scandali di vaccini scaduti, contaminati o inefficaci (23).
Negli USA Robert
F. Kennedy, Jr. ha ufficialmente vinto la causa contro l’HHS (Health and
Human Services – Dipartimento della Salute e Servizi Umani) per la violazione
del mandato per la sicurezza dei vaccini pediatrici del NCVIA (National
Childhood Vaccine Injury Act) del 1986. Quando il Congresso diede l’immunità
economica all’industria farmaceutica che così non avrebbe dovuto risarcire per
danni o difetti dei vaccini, in cambio le aziende produttrici si impegnarono a
presentare ogni 2 anni i test di sicurezza e sorveglianza delle reazioni
avverse all’HHS che avrebbe dovuto controllarle. Non solo questi test non
vennero mai eseguiti ma l’HHS non li richiese mai (11).
Sembra che in
Italia le aziende produttrici di vaccini abbiano stipulato accordi per
cui non sono ritenuti responsabili in nessun caso: chi paga per eventuali
difetti o danni è lo Stato che li compra. Ma come li controlla?
Il presidente
dell’Ordine Nazionale dei Biologi, dott. Vincenzo D’Anna ha chiesto
ufficialmente la pubblicazione dei certificati per l’immissione in
commercio. Anche lo studio Signum della Commissione Parlamentare
sull’aumento di patologie e decessi dei militari in missione all’estero fece
emergere la necessità di un controllo dei componenti dei vaccini, oltre alla
necessità di attuare vaccinazioni personalizzate e non sommarie che si rilevò
potessero aumentare il rischio di patologie gravi. A questa indagine
parlamentare partecipò come consulente, insieme all’attuale ministra Grillo, la
dottoressa Bolgan, biologa poi incaricata dall’associazione Corvelva di continuare quelle indagini.
VACCINEGATE, LE
ANALISI SUI VACCINI
Così in Italia,
caso forse unico al mondo, il Corvelva, un’associazione di genitori, ha
raccolto fondi per far analizzare alcuni campioni dei vaccini in commercio
al posto delle autorità statali che avrebbero dovuto proseguire l’indagine.
La dottoressa
Bolgan ha illustrato i risultati preliminari in una conferenza stampa alla
Camera dei Deputati, al convegno sulla sicurezza vaccinale dell’Ordine dei
Biologi (22) e in una interessante intervista insieme a Ivan Catalano, vicepresidente della
Commissione Parlamentare Signum. Sono solo risultati preliminari a cui
devono seguire le validazioni o confutazioni da laboratori certificati per
questo tipo di analisi. Spiega la biologa di Harvard, “tali tecnologie di
indagine sono usate per analizzare contaminazioni chimiche, proteiche e
genetiche dall’FDA (principale istituzione americana su cibo e farmaci) e nei
controlli forensi”.
Le analisi
rivelerebbero un forte grado di contaminazione tossica e scarsa qualità di
produzione. Alcune colture cellulari provengono da linee cellulari
vecchissime degli anni ‘60, con contaminanti tossici in quantità non residuali
ma veri e propri componenti del prodotto, residui di lavorazione e sostanze con
attività prioniche quindi pericolose, poi parti di vermi, erbicidi, altri
antibiotici, antiepilettici, “viagra”, diuretici, antimalarico, altri
retrovirus, cellule cancerogene. In più alcuni dei principi attivi (antigeni)
sarebbero presenti in quantità residuali o proprio non presenti al contrario di
virus avventizi (che non dovrebbero esserci) che a volte risultano presenti in
quantità maggiori degli antigeni richiesti. Continua la Bolgan: “Le agenzie
regolatorie evolvono con le conoscenze tecnologiche di ultima generazione ma
queste non sono ancora acquisite e validate nei laboratori accreditati per il
rilascio dei lotti da mettere in commercio. Quindi l’indagine del Corvelva,
detta Vaccinegate, descrive un sistema di produzione e l’uso di materie
prime di bassa qualità con una forte contaminazione di sostanze tossiche”.
Queste analisi
hanno suscitato molte polemiche, proprio per le tecniche usate e perché
non eseguite da laboratori accreditati per questo tipo di analisi. Purtroppo,
per ora, nessuno ha confutato i risultati. I lotti analizzati nell’indagine,
tuttavia, sono ancora in circolazione. Mentre si attendono le conferme è
partito un esposto alla Procura della Repubblica (1).
Inoltre sono già in
corso altre indagini, alcune divenute penali nel corso del 2017, sulla presenza
non dichiarata di materiale in micro o nano misura che potrebbe scatenare
infiammazioni pericolose e altre alterazioni in diversi tessuti
dell’organismo (2). Le nano e micro-particelle, già dichiarate dall’OMS come
certamente cancerogene, iniziano ad essere studiate dalla nanotossicologia che
sembra evidenziarne la pericolosità per l’impossibilità di essere espulse
dall’organismo, se iniettate sotto cute, e l’alta mobilità nei diversi distretti
del corpo (27, 28, 24).
Viene da chiedersi:
perché le istituzioni e gli organi di informazione hanno ignorato o
contestato queste indagini invece di confutarle con prove di laboratorio
accreditate? È lecito chiedere di poter utilizzare questo strumento di
prevenzione primaria, di indubbio successo, ma nella continua ricerca della
riduzione dei rischi?
Anche i deputati
europei hanno affrontato la questione della titubanza vaccinale in un documento
pubblicato sul British Medical Journal dal titolo “Le dichiarazioni di
sicurezza non reggono al controllo”(5,7). Poter esprimere i propri dubbi è alla
base di qualsiasi organizzazione democratica.
IL RUOLO
DELL’INFORMAZIONE: COMUNICARE LA SCIENZA
Ma come avviene
l’informazione, fondamentale organo democratico, su tali argomenti che stanno
creando evidenti problemi alla popolazione? E perché giornali e TV parlano di
vaccini, epidemie e comportamenti irrazionali e anti-scientifici ma alcune
notizie sono così censurate o banalizzate? Questo introduce un altro tassello
nel complesso rapporto tra scienza, istituzioni e società. Comunicare la
scienza è difficile, farlo in un contesto violento e urlato lo è a maggior
ragione. Affronta la questione anche il dott. Peter Doshi, editorialista del
BMJ chiedendo più verità e rispetto per i pazienti (26).
La Scientific
American ha svolto un’indagine su come l’FDA manipola e vincola l’informazione
a proprio piacimento, allontanando di fatto la narrazione mediatica dalla
realtà dei fatti, al di là delle possibili personali interpretazioni (18). Il
campo di battaglia è la gestione della percezione del rischio da parte
di TV e giornali. Chi si occupa di comunicazione scientifica si chiede quale
sia la strategia migliore per comunicare la scienza. Molti accademici parlano
dei Bias cognitivi: pregiudizi e predisposizione ad errori, del nostro
sistema percettivo e cognitivo, che attiviamo per districarci nella complessità
del mondo. Questo ci porta a selezionare le notizie, e a credervi, sulla base
delle nostre convinzioni preesistenti e non su un esame più obiettivo dei dati.
Ne siamo tutti vittima ma ognuno sembra che parli di quelli degli altri non
fornendo strumenti per riuscire a superare i propri bias; quindi quale utilità?
(13, 14)
Spesso sembra che
l’intento sia solo quello di capire quale sia il modo migliore per convincere
chi è indeciso o ritarda nel vaccinare i propri figli: usare l’arma della paura
sulle potenziali malattie a cui va incontro chi non si vaccina oppure
instaurare rapporti dialoganti con i genitori per creare un contesto di
fiducia? Usare la censura di chi pone dubbi e chiede vaccinazioni ad
personam oppure usare uno stile più profilato per il target a cui ci si vuole
rivolgere?
UNO SCONTRO TRA
VISIONI
La comunicazione
della scienza si occupa prevalentemente di opportunità di convincimento. Dei
fatti – come i risultati dello studio Signum, dei danneggiati da vaccino
riconosciuti e risarciti dallo stato (12, 19, 20, 21), della richiesta da parte
dei ricercatori di ulteriori indagini sulle vaccinazioni multiple – non c’è
quasi traccia nella comunicazione della scienza accademica e mainstream. Anzi
c’è chi sente il bisogno sempre più forte di delineare chi promuove la verità
scientifica e chi invece no. Tutto si riduce ad una polarizzazione tra buoni
e cattivi mentre i dubbi sono da screditare. Questo atteggiamento viene da
lontano, il tema vaccini ha solo scoperchiato una situazione preesistente. In
ogni settore legato alla salute e alla medicina lo scontro di visioni, approcci
e gestione del potere corporativo caratterizza il panorama come uno dei più
frastagliati e disomogenei. Un interessante suggerimento dello storico Pietro Ratto prova a superare questo scontro tra fazioni arroccate
ognuna sulle proprie convinzioni. Egli pone l’accento sulle diverse
interpretazioni dei fatti su cui ognuno basa le proprie idee e a cui non deve
essere costretto a rinunciare. Solo l’essere disposti ad aprirsi al
confronto per poter ragionare sulle prove può far guadagnare un reale
dialogo. Egli analizza il bisogno di certezze di ognuno come base fondamentale
su cui costruire man mano le proprie idee ma non per dare risposte bensì per
fare domande. Altrimenti si diventa sempre più fragili e sempre meno disposti
ad esporsi al rischio di essere smentiti arrivando alla chiusura: chi sente di
avere certezze è più portato a disprezzare quelle degli altri. Ma la
valutazione del rischio/beneficio, basato anche sulle evidenze scientifiche,
deve essere un percorso aperto alle diverse istanze in quanto ognuno è
portatore di interessi, se no facilmente si ricorre alla delega. Le istituzioni
sanitarie diventano quindi un’entità genitoriale cui affidarsi e non un
organismo politico da costruire insieme. Affidarsi alla consuetudine di ciò che
già sappiamo rischia di farci perdere la possibilità di una crescita
individuale e collettiva oltre che condannarci ad una guerra perpetua (25, 26).
E I MEDICI?
Diversi sono state
le dichiarazioni e i documenti pubblicati. L’organo ufficiale, federazione di
tutti gli ordini provinciali dei medici, la FENOMCEO ha pubblicato una
review dal tono rassicuratorio per contribuire a frenare il calo delle
coperture vaccinali verificatesi negli ultimi anni. Purtroppo però leggiamo
anche delle imbarazzanti scorrettezze: “I vaccini sono sicuri perché prodotti
secondo la più rigorosa metodologia, attraverso studi clinici sperimentali
controllati e randomizzati, attuati spesso in doppio cieco versus placebo e
sottoposti al controllo incrociato di esperti”(8). Ciò non risulta corretto in
quanto per definizione essendo somministrati su popolazione sana non possono
essere stati testati contro controlli o placebo e in doppio cieco (i requisiti
della medicina basata sulle prove EBM). Neanche il documento suggella
l’affermazione con questo tipo di dati. Un interessante documento congiunto
di diverse società e federazioni di medici tra le più influenti e autorevoli
(SIF, SITL, SIP, FIMMG, FIMP) esamina l’importanza della prassi vaccinale
globale, e non locale, e promuove un approccio alla vaccinazione “per tutta la
vita” (life course) come elemento chiave per un invecchiamento in salute (16).
Nel documento si
dichiara la volontà di superare il paternalismo sanitario cioè l’uso di
interventi attraverso i quali l’Autorità interferisce con la libertà dei
singoli al fine di meglio perseguire il loro interesse. Viene proposto, invece,
il paternalismo libertario, cioè il nudge. Il nudging, che origina dal
neuromarketing e dalle scienze comportamentali, propone spinte e incentivi per
un condizionamento subdolo ma a fin di bene. Esso non prevede obblighi o penali
ma il rispetto delle libertà individuali: una spinta verso un comportamento
sano. Non risulta chiaro come questo strumento auspicato nel documento possa
coesistere con le rispettive dichiarazioni favorevoli all’obbligo, alle
imposizioni e alle pene. Altre associazioni di medici si sono impegnati
nella revisione di studi scientifici e hanno pubblicato documenti e review
analizzando i singoli vaccini; ecco quello della Rete Sostenibilità e Salute
(4) e quello della SIPNEI (3). Ma altri professionisti e docenti universitari
hanno prodotto raccolte di letteratura come quella del professor Bellavite
dell’Università di Verona (17).
E qui (9) la famosa
lettera di più di 150 medici che nel 2015 sollevarono dubbi sulla
vaccinazione indiscriminata di massa che mise in luce come le vaccinazioni,
pur essendo uno strumento in generale valido, determinassero una fragilità del
sistema immunitario rispetto a chi non le faceva o ne faceva un numero minore
con molte evidenze scientifiche segnalate. Questo per poter meglio discriminare
tra le diverse opportunità vaccinali e i diversi individui candidati a
riceverli. Molti di questi medici iniziarono a subire procedimenti di
radiazione dall’Ordine dei Medici due anni dopo, a ridosso dell’approvazione
della legge Lorenzin.
Tra i medici
esistono visioni e approcci anche opposti su quasi tutto, così come la
letteratura scientifica è soggetta a continue correzioni come abbiamo visto
nella prima parte dell’articolo. Le discussioni sui vaccini stanno facendo solo
venire fuori ciò che già da tempo caratterizzava la difficile ma necessaria
coesistenza di diverse interpretazioni, opinioni e pratiche mediche
professionali. Dopo le numerose radiazioni di dottori e dottoresse colpevoli
di aver posto dubbi sulle vaccinazioni a tappeto, senza alcuna denuncia o
errore a carico, e spesso con i figli vaccinati, il clima è cambiato. Ora si ha
paura a parlare, perché il rischio è quello di non poter più lavorare se
radiati dall’Ordine dei Medici. Questa è forse la cosa che più delinea lo
stato di incapacità al confronto, l’uso della censura e la diffusione
dell’autocensura. Chi si sente al sicuro essendo stata zittita una parte dei
medici?
L’autoritarismo,
anche in nome della scienza, ha molte forme e rivela la perdita di
autorevolezza di un intero sistema.
La preoccupazione
ed il dubbio sono sempre leciti in quanto attivano i processi democratici utili
ad una società moderna. Poterli esprimere serve a mantenere solida una delle
più grandi conquiste nel campo dei diritti umani: il consenso informato, non
cancellato dall’obbligo vaccinale. Esso gioca un ruolo strategico anche come
strumento per il progresso e l’efficacia della medicina. La pratica
vaccinale è considerata utile dalla stragrande maggioranza dei medici e dei
cittadini ma deve poter essere attuata nel miglior modo possibile quindi nella
continua ricerca di una maggiore efficacia e sicurezza. Serve più cautela e
temperanza nei toni, maggior impegno nell’acquisire nuovi strumenti di
dialogo e più trasparenza.
Ridotto ad uno scontro tra favorevoli e contrari,
anche il tema vaccini continua ad essere affrontato dalla maggior parte dei
media mainstream con un approccio che non tiene conto della sua complessità.
Pur riconoscendo l’efficacia delle vaccinazioni, la titubanza vaccinale, a
livello globale, è un dato di fatto che non può essere ignorato e che sembra
derivare da una serie di questioni tuttora aperte. In questo articolo, il primo
di un approfondimento in tre parti, proviamo a costruire un racconto diverso sulle
politiche vaccinali. In occasione
dell’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, detto dell’obbligo
flessibile, che andrà a sostituire la legge 119/2017 Lorenzin, si sono svolte
in Commissione Igiene e Sanità le audizioni informali. Iniziative di organi
istituzionali e della società civile stanno facendo emergere un quadro più
complesso di quello che i media mainstream raccontano quotidianamente.
Vediamo dunque il contesto nazionale e internazionale che ha portato
all’attuale sistema di profilassi vaccinale.
PIANI VACCINALI:
COME SI PRENDONO LE DECISIONI?
L’avv. Mirella
Manera, giurista dell’associazione Attuare la Costituzione nell’audizione al
Senato, spiega (1) come nasce e in che contesto si è formato il Piano
Globale Vaccini che ha visto l’Italia capofila mondiale: “Tutti i programmi
vaccinali dell’OMS sono finanziati per lo più con fondi privati, versati non
solo da società farmaceutiche, ma anche dalla Melinda e Bill Gates Foundation e
da Gavi Alliance (alleanza mondiale per la vaccinazione), sempre creata dalla
Melinda e Bill Gates Foundation. I fondi sono vincolati a specifici progetti
selezionati dai donatori, non stanziati sulla base della pianificazione né
sulle esigenze prioritarie dell’agenda internazionale della salute a cui va
solo il 7% dei finanziamenti. L’Italia si è impegnata a versare 499 milioni di
euro in 20 anni per finanziare programmi vaccinali nel mondo e in cambio riceve
bond vaccinali (2). Conclude la penalista milanese: “Bisognerebbe compiere una
valutazione sul valore scientifico delle raccomandazioni che provengono da
questo organismo e valutarle considerando le reali condizioni epidemiologiche
del paese”.
Quindi emerge un
piano vaccinale globale non sulla base di possibili epidemie ma come modello
di prevenzione dalle malattie in generale. Si è scelto, cioè, di promuovere
la salute attraverso questa tecnologia indipendentemente dai concreti rischi
epidemici e quindi dalle valutazioni rischio/beneficio. Si delinea anche come
le traiettorie dell’OMS in tema vaccinale globale siano guidate da fondi
privati e assorbiti dai vari Stati non omogeneamente.
LA SICUREZZA DEI
VACCINI E I DATI SUGLI EVENTI AVVERSI
Sentiamo ripetere
che i vaccini sono innocui perché usati da anni su milioni di persone, che gli
eventi avversi sono rarissimi e che la scienza o la consuetudine di più di 200
anni di utilizzo ne conferma efficacia e sicurezza definendo inutili ulteriori
indagini. Ma i dati dicono altro. La produzione scientifica e la comunità
scientifica mostrano infatti un quadro tutt’altro che omogeneo e
trasparente (33).
Proprio l’anno
scorso si è dimesso metà del gruppo direttivo del più importante organismo
mondiale indipendente di revisione sistematica e rigorosa degli studi
scientifici, Cochrane, dopo l’espulsione di Peter Gøtzsche direttore del Nordic
Cochrane Centre e co-fondatore della Cochrane Collaboration perché denunciava
troppe commistioni economiche nelle revisioni di studi sul vaccino
dell’HPV (Papilloma Virus) (3, 4, 30, 32).
A livello
internazionale il problema della trasparenza delle metodologie nella
produzione di letteratura scientifica è sempre più sentito. Una delle più
autorevoli riviste scientifiche indicizzate, il BMJ (British Medical Journal),
ha aperto una campagna per valutare la reale efficacia della ricerca
scientifica in ambito medico poiché i danni della “troppa medicina” sono
insostenibili. “Gli effetti nocivi di pratiche mediche e farmacologiche stanno
facendo perdere la credibilità della famosa Medicina Basata sulle Evidenze
(EBM): adozioni acritiche degli screening, credenze cliniche radicate,
eccessiva medicalizzazione”. (9) Ancora, sempre sul BMJ: “La EBM non preserva
la salute ma è utilizzata dalle industrie per legittimare o meno le scelte dei
medici influenzando negativamente la capacità di discrezione e giudizio” (10).
Nature pubblica un
dato allarmante: il 70% dei ricercatori non è riuscito a riprodurre gli
esperimenti pubblicati con metodo peer review (11), cioè il 70% della
letteratura scientifica indicizzata non supera la prova di validazione. Sempre
su Nature si parla di “frode sistematica” nella letteratura scientifica.
(22) Ma come? Tutto il metodo scientifico è basato sulla riproducibilità o
confutazione dei dati! Ecco come la scienza cerca di correggere se stessa, di
migliorare, di superare se stessa, aprendo dubbi e facendo verifiche.
Il Dr. Jacob
Puliyel, pediatra indiano esperto di campagne vaccinali con molte pubblicazioni
sull’argomento, spiega le conseguenze delle ultime modifiche delle linee guida
OMS sulla valutazione per la classificazione delle reazione avverse, al
convegno organizzato dall’Ordine Nazionale dei Biologi sulla sicurezza
vaccinale (8). Nella scala di valutazione per l’attribuzione della correlazione
tra eventi avversi e somministrazione del vaccino sono stati eliminati gli step
di “possibile” e “probabile correlazione” mantenendo solo quelli di
correlabile, non correlabile o indeterminato. Di fatto è più difficile
raccogliere e poter studiare gli eventi avversi dove c’è una forte correlazione
statistica, ma servirebbero altri dati per valutare con maggiore certezza la
causa-effetto. Negli USA dove c’è il più alto tasso di vaccinazione (già nel
2017 si usano 53 vaccini compresi i multipli, in 72 dosi), il CDC e l’FDA, i
principali organi istituzionali sanitari, monitorano gli eventi avversi
correlati ai vaccini attraverso i dati VAERS. In una grande raccolta dati in 20
anni su più di 38.000 segnalazioni di neonati ospedalizzati o morti, i
risultati mostrano una evidente correlazione positiva tra il numero di dosi di
vaccino somministrati e la percentuale di ospedalizzazioni e decessi. Inoltre,
i bambini più piccoli, inferiori a 5 mesi di età, sono risultati
significativamente più danneggiati rispetto ai bambini più grandi dopo aver
ricevuto i vaccini. Nelle conclusioni: “Si ritiene urgente attivare programmi
per migliorare la sicurezza” (6).
Lo stesso CDC americano dichiara che i sistemi di sorveglianza passiva sono
sottostimati ed è impossibile, per come vengono raccolti i dati, determinare
associazioni causali tra vaccini ed eventi avversi. (16, 17) Quindi il
Dipartimento di Salute e Servizi Umani (HHS) ha commissionato alla Harvard
Pilgrim Healthcare Inc. un programma digitalizzato di vaccino-vigilanza attivo
che ha stimato i report di eventi avversi dei VAERS americani inferiori all’1%
dei dati reali, cioè i dati segnalati spontaneamente sarebbero l’1% di quelli
reali (31).
Ma in Italia quali
sono le evidenze di sicurezza dei vaccini e il controllo post-marketing degli eventi
avversi?
I DATI SUI DANNI DA
VACCINO IN ITALIA
L’argomento è
spinoso, i danni da vaccino sono l’argomento tabù del mainstream.
Mensilmente vengono riconosciuti e risarciti dal ministero famiglie per esiti
gravi o decessi in seguito alla vaccinazione, ma quasi nessuno li considera,
anzi i danneggiati da vaccino, solo per la loro esistenza, sono colpevolmente e
vergognosamente ignorati se non negati dai media.(28) Anche quando il danno si
verifica nelle ore successive alla vaccinazione, le famiglie non solo devono
far fronte ad un evento che tocca la cosa più preziosa che hanno, ma devono
anche, di tasca loro, fare causa allo Stato e dimostrare il nesso causale con
la vaccinazione: danneggiati dalla medicina, dalla società e dalla legge. È
questo lo stato dei diritti che vogliamo?
La raccolta dati
della vaccino-vigilanza, solo per gli eventi avversi a breve termine,
avviene su base spontanea quindi le segnalazioni sono molto sottostimate
rispetto ai dati reali, peraltro assai disomogenei nel territorio
nazionale.(29) Questo è dovuto sia alla disabitudine dei cittadini e delle
strutture sanitarie alle segnalazioni e sia alla difficoltà di leggere i dati
in chiave di correlazione statistica e di causa-effetto. Si è svolto un
progetto pilota sperimentale condotto su una piccola popolazione della Puglia,
di farmacovigilanza attiva, cioè per chiamata diretta post vaccino, sul solo
MPVR (morbillo, parotite, varicella, rosolia), nella somministrazione singola e
associato ad altri vaccini. Gli eventi avversi gravi definiti sicuramente
correlabili alla vaccinazione, tutti risolti positivamente nel tempo, hanno
manifestato una differenza enorme tra la somministrazione singola (10.2%) e
quella associata alle altre (89,8%) (5). In altre parole, i vaccini singoli
sono risultati nettamente più sicuri rispetto a quelli multipli. In molti studi
scientifici sulla sicurezza vaccinale prevale la richiesta da parte dei
ricercatori di un maggior approfondimento per l’urgenza che spesso
emerge dai dati epidemiologici. Ad esempio l’Istituto Superiore di Sanità nel
2013 ha pubblicato uno studio (7, 18, 24), ma solo ora alla ribalta, sulla ADEM
(encefalite, mielite ed encefalomielite acuta disseminata) associata alla
somministrazione dei vaccini detta comunemente encefalite post-vaccinica (25).
L’autore dello
studio è il dott. Paolo Pellegrino dell’Unità di Farmacologia clinica
dell’Azienda Ospedaliera Luigi Sacco (Università di Milano): “A differenza
degli studi precedenti riguardanti i casi di ADEM post infettiva, abbiamo
osservato che questa patologia può riguardare ogni età. Abbiamo osservato che
il vaccino anti-influenzale e quello anti-HPV (Papilloma virus) sono
quelli più comunemente associati a questa reazione avversa e i dati sono
sottostimati (“under-reporting”) a causa di una riduzione dell’interesse per
questo evento avverso”. Quindi non interessa? Che programma d’indagine si è
attivato? Sembra nessuno.
Nel 2018 è stato
pubblicato lo studio Signum, condotto per indagare sull’alta percentuale di
morti e insorgenza di patologie gravi su circa 4000 militari, in
missione nelle zone di guerra. Quanto emerso è che non solo l’uranio impoverito
ma la pratica vaccinale aveva concorso alla manifestazione di gravi patologie
autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite
reumatoide, diabete e, secondo alcuni studi, leucemie e linfomi. La Commissione
Parlamentare, incaricata dello studio, specifica che l’accumulo di sostanze
tossiche nei vaccini combinati, come adiuvanti e conservanti e contaminanti
biologici, e l’assenza di visite pre-vaccinali rendevano la pratica vaccinale
corrente pericolosa vista anche la mancanza di studi scientifici sulla salute a
lungo termine e in generale sulle vaccinazioni multiple (26 -27).
Molti degli studi
clinici ed epidemiologici internazionali sostengono per lo più l’urgenza di
ulteriori indagini poiché dove non c’è certezza di correlazione ci può essere
forte evidenza statistica e troppo poche prove di sicurezza. (12-13-14-15
-19-20-21-34 ) Si ritiene che siano necessarie visite pre-vacciniche per
conoscere i polimorfismi, test sierologici e lo stato del sistema immunitario
che potrebbero ridurre il rischio degli eventi avversi. Stiamo facendo il
massimo per ridurre i rischi?
La cosa certa è che
il dibattito è aperto in tutto il mondo, gli studi indicano difficoltà di
letture epidemiologiche per troppe variabili. Studi pre-clinici e
post-marketing sulle vaccinazioni multiple non ci sono; ogni stato
agisce come crede.
Ma il tema vaccinale è da inserirsi in un contesto più ampio di quello
italiano e in un quadro sanitario e culturale più complesso. Coesistono in
ambito scientifico e medico diverse visioni e una pluralità sfaccettata di
approcci alla salute. Quindi anche la titubanza vaccinale, osservata in tutto
il mondo, è da leggere come conseguenza di un preciso contesto
farmaco-economico, di una perdita di autorevolezza delle istituzioni sanitarie
nazionali e internazionali, di una farmacovigilanza per lo più incontrollata
(29) e di una visione della salute basata su una medicina di massa e non
personalizzata che le istituzioni sanitarie stesse, in altri settori della
sanità pubblica, sta cercando di superare. Nella seconda e terza parte di
questo articolo accenneremo al contesto culturale, mediatico e poi a quello più
strettamente medico per restituire la complessità che l’argomento richiede. È
ormai evidente, infatti, che banalizzare l’argomento porta ad una guerra civile
e impedisce di porre l’accento sulle questioni importanti, come la possibilità
di intraprendere tutte le azioni possibili a rendere la pratica vaccinale
maggiormente sicura.
Quando i valori dell’imprenditoria etica
incontrano i principi della medicina sostenibile prende vita un altro modo di
occuparsi di salute, in senso globale. Siamo andati in Veneto per conoscere i
fondatori di Pegaso, che fin dall’inizio hanno deciso di investire in qualità e
consapevolezza. La Pegaso è un’azienda
veneta che produce composti naturali per la prevenzione e la cura delle comuni
patologie. È caratterizzata da una forte prevalenza di donne nell’organico, ad
iniziare dalle proprietarie, Cristina e Paola Tosi, fino allo staff manageriale
e scientifico. Un modo etico e sostenibile di fare impresa e di occuparsi di
salute
Da azienda
familiare si è sviluppata per integrare e supportare il lavoro delle donne,
spesso anche madri. Così, se si lavora in Pegaso, si ha la possibilità di
lavorare da casa, di avere orari più elastici ma anche di partecipare ad una
evoluzione continua per la qualità del lavoro e delle relazioni: corsi di yoga,
PNL (Programmazione Neuro Linguistica) per comunicare con più consapevolezza e
per crescere nella propria professionalità. Creare un gruppo coeso restituisce
produttività; ognuno si sente parte integrante del team, impara le proprie
responsabilità, il proprio ruolo e costruisce relazioni di fiducia.
La scelta di
investire nella qualità viene applicata anche in altri campi. La famiglia
Tosi ad esempio ha scelto di investire in ricerca scientifica per ottenere la
massima efficacia dei prodotti offerti a medici e pazienti. Infatti oltre
all’attività di produzione ha scelto di investire nell’ideazione di rimedi
naturali, integratori alimentari e nutraceutici (elementi funzionali
provenienti dal cibo). Prendendo spunto dalle tradizioni millenarie e dalla
scienza dell’alimentazione si è voluto investire nella trasformazione degli
estratti naturali, attraverso tecnologie moderne, amplificandone l’efficacia e
la sicurezza.
Bruno, Paola e
Cristina. La famiglia Tosi in occasione dei 25 anni di Pegaso
In questo campo
investire in ricerca vuol dire fare sperimentazione clinica, verifiche di
purezza, di stabilità e biodisponibilità (i componenti che realmente entrano e
agiscono nel metabolismo). Arrivando a formulazioni in cui il fitocomplesso
(l’insieme di tutte le componenti della pianta e non le molecole isolate) abbia
una precisa e verificata attività fisiologica. In questo mercato l’affidabilità
dei prodotti naturali è spesso lasciata alla volontà delle aziende
produttrici perché sono ancore poche le normative e gli standard di
riferimento. Molte regole di accuratezza non sono obbligatorie creando un
panorama dei “rimedi naturali” disomogeneo e imprevedibile. Incontriamo Pegaso
in occasione della terza edizione di Pegaso Academy, l’evento
scientifico che ogni anno l’azienda sponsorizza. Quest’anno con GineConLogica
medici e nutrizionisti si sono confrontati con colleghi e professionisti
ponendo attenzione alla salute e al benessere delle donne. A 360 gradi:
alimentazione, microbiota, movimento, psiche e gestione dell’umore in rapporto
al sistema immunitario, agli ormoni e ai passaggi fisiologici del femminile
(pubertà, fertilità, menopausa). “La gente ha voglia di essere più consapevole
e chiede ai propri medici di essere più partecipe della propria salute.
Vogliono fare scelte informate anche perché negli ultimi 50 anni, le
aspettativa di vita sono cambiate molto, soprattutto in termini di qualità di
vita. Le donne trainano questa spinta verso il benessere perché si assumono
ancora il ruolo essenziale di gestire la salute della propria famiglia ma in più
vogliono stare bene, anche con se stesse, sapersi proteggere e godere delle
opportunità a disposizione”, ci spiega la responsabile dell’area ricerca
dott.ssa Heide De Togni.
L’esigenza di
salute sta cambiando, si conoscono i benefici di una medicina più
consapevole che possa integrare diversi approcci. Così utilizzare un
probiotico (microrganismi con attività specifica sul microbiota intestinale e
quindi sull’intero organismo) diventa l’occasione per capire come migliorare la
propria alimentazione, i propri ritmi, le proprie esigenze. Solo facendo
cultura e investendo anche in una medicina più attenta alla fisiologia si può
parlare realmente di prevenzione e di sostenibilità. La medicina sostenibile ha
molte sfaccettature poiché si occupa della salute a lungo raggio nel tempo,
della qualità di vita, della spesa economica sanitaria e
dell’ambiente. Uno degli obiettivi è quello di ridurre il carico
farmacologico delle persone, dove possibile, per limitare la tossicità dei
farmaci di sintesi, l’inquinamento, la spesa farmaceutica e promuovere un
benessere reale e duraturo. Ad esempio diverse opportunità di cura, provenienti
proprio dalla natura, possono ridurre l’utilizzo degli antibiotici e limitare
il problema sempre più diffuso dell’antibiotico resistenza, migliorando
comunque le condizioni di risposta dell’organismo. Gli effetti positivi quindi
sono anche sociali poiché intervengono in problematiche che la sanità ha
difficoltà a gestire.
L’imprenditoria
etica esiste e sembra sentire un po’ meno la crisi economica, tanto da
investire in divulgazione scientifica, ricerca e buone relazioni. Forse la
voglia di dare il meglio di sé ha spinto le sorelle Tosi a voler trasformare le
proprie passioni e il proprio rigore in un’occasione di crescita anche del proprio
territorio e del settore di riferimento grazie alla consapevolezza che solo
insieme ci può essere un miglioramento della società.
La visione ecologica e sistemica è parte
integrante della medicina più innovativa. Lo studio delle relazioni e dei
rapporti nei sistemi viventi e di quelli con il proprio ambiente permette di
acquisire nuove conoscenze e molti dati scientifici. Molte malattie non sono
“un incidente di percorso”: tante di queste potrebbero essere evitate o risolte
se si riconoscessero le dinamiche biologiche dei sistemi viventi, anche nella
medicina delle istituzioni. Aumenta la
mobilitazione di scienziati, medici e associazioni per l’incremento di
patologie dovute ad inquinanti. Sempre più studi clinici e rilevazioni tecniche
confermano il nesso di causa-effetto con malattie gravissime ormai epidemiche.
Eppure, non riconoscendo appieno tale relazione, lo stato normativo e la
scienza istituzionale non riescono a promuovere la salute. Di inquinamento e
salute si è parlato in modo approfondito al congresso italiano Saluscienza, di Medicina Integrata, Scienza e Fisica Quantistica
organizzato per la prima volta da tre realtà italiane protagoniste nel panorama
della divulgazione scientifica e culturale: Med CAM, Spazio Tesla e Scienza e Conoscenza.
Il dottor Antonio
Pasciuto al congresso italiano Saluscienza
Come emerso anche
in questa occasione, l’aumento vertiginoso di tumori infantili, disturbi
cognitivi neurologici dello sviluppo e di malattie croniche risulta in crescita
tanto da parlarne come di epidemie. Il cancro, tuttavia, viene ancora
considerato un incidente genetico, un accumulo di mutazioni casuali del
DNA. Per la scienza istituzionale, dunque, siamo in presenza di un’epidemia di
sfiga incontrollabile. Il problema è grave perché non si può fare una reale
prevenzione senza diagnosi, ovvero se non si capiscono le cause delle
patologie. In ambito medico sono poche le patologie che arrivano ad avere una
diagnosi. Ipertensione, gastralgia, cefalea, non sono diagnosi ma descrizioni
in linguaggio medico dei sintomi e degli effetti. Eppure studi sulle correlazioni
tra malattie e fattori causanti sono sempre più numerosi. La scienza
statistica epidemiologica produce dati incontrovertibili. Ma la statistica e
l’epidemiologia possono solo leggere la punta di un iceberg perché gli esseri
viventi sono sistemi complessi e sottostanno a rapporti non lineari di
causa-effetto. Ad esempio ormai sappiamo, grazie alle nuove scoperte, che la
maggior parte delle patologie gravi infantili sono malattie della gestazione
cioè di quel periodo delicatissimo in cui la plasticità dello sviluppo è
massima. L’esposizione della madre ad agenti patogeni attiva reazioni difensive
agli insulti ambientali. La maggior parte del DNA (quella non codificante)
agisce come dei sensori del genoma che si muovono (traslocazioni) per tentativi
ingegneristici adattativi, non aberrazioni cromosomiche attivate a caso.
Durante
l’adattamento programmatico del feto si forma la capacità di compensazione che
l’individuo porta con sé durante il resto della propria vita e che trasmette ai
propri figli e nipoti. Questo rende difficile l’analisi dei rapporti
causa-effetto ma lo studio dell’epigenetica chiarisce sempre più i meccanismi che stanno all’origine delle
manifestazioni patologiche, anche se si sviluppano in età avanzata o in
generazioni successive. La placenta è un organo di nutrizione e informazione ed
è il centro nevralgico anche delle patologie croniche dell’adulto.
I fattori
inquinanti: cosa ci fa ammalare?
I maggiori fattori
inquinanti sono le sostanze chimiche dell’agrochimica (non più definibile
agricoltura), i campi elettro-magnetici (tralicci alta tensione, wi-fi, cellulari), metalli
pesanti e particolato da incenerimento (dei rifiuti e dall’industria).
I pesticidi
inducono una risposta genomica che porta le cellule ad attivare una sorta di
memoria per poter continuare a riconoscere l’agente tossico ma questo le porta
a trasformarsi in cellule immortali e quindi facilmente in cancerose. Si stima
che il 98% delle donne in gravidanza sia contaminata dal glifosato. Il 75%
delle coltivazioni OGM sono create perché possano sopportare i pesticidi, ma le
aziende che li producono sono le stesse che producono i fitofarmaci appunto e
spesso i farmaci ad uso umano. La recente fusione Bayer-Monsanto è stata
una tappa significativa di questo processo tutto a sfavore della salute.
Quindi chi produce sostanze chimiche è lo stesso soggetto che produce dati
scientifici determinanti per le normative; un uso elitario della sfiga altrui.
Anche se poco
presente a livello mediatico, la ricerca medica indipendente si dota di
strumenti sistemici, di dati scientifici più vicini alle dinamiche biologiche
offrendo capacità di diagnosi e cura innovative; essa integra la visione ecologica dei sistemi ponendo l’attenzione sullo studio delle relazioni tra
le parti. L’inquinamento ambientale è un fattore determinante per la salute e
condiziona tutti gli aspetti della vita, da quella psico-fisica a quella
sociale ed economica.
L’altro ieri alla
Camera dei Deputati è stata consegnata la petizione di 25.000 firme ai
parlamentari durante la conferenza stampa organizzata dal gruppo NO PESTICIDI. In gioco c’è il nuovo PAN (Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile
dei prodotti fitosanitari).
La conferenza
stampa organizzata dal gruppo NO PESTICIDI
Nella conferenza
stampa è emersa la poca trasparenza sulle modalità di revisione. Mancano 3 mesi
alla scadenza della revisione ma il comitato scientifico mantiene, per ora,
bloccato il documento del ministero dell’ambiente e non si avvale della
partecipazione di esperti del settore come formalmente dichiara di fare. Manca
la rilevanza dell’effetto multiplo dei pesticidi che invece vengono studiati
singolarmente, mancano gli studi su gestanti e bambini cioè dove la
suscettibilità è maggiore. È in atto un vero e proprio scontro sui livelli
di pesticidi permessi e sulla reale contaminazione dell’ambiente.
Risulta che le
persone maggiormente esposte sono quelle che vivono nelle zone rurali. Pianure
e campagne sono più inquinate delle città perché la chimica per
l’agricoltura ha un’azione più profonda e sistemica degli inquinanti urbani.
Chi lavora nei campi si protegge con attrezzature e maschere a gas, chi vive
nelle zone limitrofe ne viene colpito a sua insaputa. Tra le richieste della
petizione c’è l’obbligo di avvisare i residenti prima dei trattamenti e della
distanza di sicurezza perché i prodotti irrorati si depositino. Per ora le
distanze di sicurezza sono solo a carico degli agricoltori biologici che per
non essere contaminati creano zone cuscinetto. Nello studio GBH, dell’Istituto Ramazzini è emerso come i limiti giornalieri ritenuti sicuri
degli Stati Uniti (ADI) si siano rivelati, in realtà, dannosi per il DNA,
per lo sviluppo sessuale e per il microbioma intestinale che sappiamo essere
strettamente collegato al neuro-sviluppo del cervello. Quindi è importante
fissare dei limiti alle sostanze tossiche che non siano decisi a tavolino ma
provenienti dalla ricerca indipendente. Il coordinamento STOP Glifosato, a cui hanno partecipato 57 organizzazioni tra
ecologisti, medici e agricoltori biologici, tra cui ISDE e Slow Food, ha
raccolto in Europa più di un milione e 200.000 firme per far approvare nuove
norme grazie a studi scientifici indipendenti che vietassero la sostanza o
almeno togliessero i contributi a chi la utilizzava.
“Il cervello dei
nostri bambini è nelle nostre mani, la scienza, se non è indipendente, non è
dalla parte della salute e della verità”. È quanto afferma la dott.ssa
Gentilini dell’ISDE, oncologa ed ematologa, che ha denunciato le continue
deroghe ai divieti. Negli ultimi 30 anni sono state autorizzate 176 deroghe
cioè sostanze prima vietate poi permesse, ad esempio negli ortaggi in serra
come le fragole. Anche il decreto sull’uso dei fanghiè una deroga poiché
invece di incentivare i depuratori permette l’accumulo di tossicità conclamate
e già vietate come alcuni Idrocarburi, il Cromo esavalente, il Toluene. A
livello normativo la dott.ssa Altera, esperta di valutazione del rischio,
denuncia i continui rimandi legislativi al recepimento delle direttive.
Manca un organo europeo che sanzioni chi non rispetta le leggi. Ci si sente non
tutelati e senza diritti. Presenti alla consegna delle firme la deputata del
Gruppo Misto: Silvia Benedetti, Sara Cunial e Saverio De Bonis entrambi M5S. In
generale emerge l’esigenza di attivarsi dal basso, nei tribunali, nella
ricerca, di studiare i contaminanti prodotto per prodotto, di sensibilizzare e
contrastare le industrie inquinanti. Emerge anche la volontà e la necessità di
incentivare il biologico, l’agricoltura integrata. Nei prodotti bio, infatti, i
residui sono più bassi e l’incidenza di patologie neurologiche,
metaboliche e autoimmuni sono inferiori per chi li consuma abitualmente; i dati
ci sono. Bisogna fornire alternative alle produzioni convenzionali. Sono già
molte le esperienze positive ed economicamente sostenibili, bisogna
promuoverle. Così come la medicina integrata studia e si avvale di nuovi
sistemi di interpretazione, di diagnosi e di cura basati sul paradigma scientifico
sistemico e non riduzionista-lineare, anche il modello ecologico per la
gestione del sistema economico, sociale e produttivo sembra parlare la stessa
lingua. Ci si richiama agli stessi valori per costruire insieme relazioni
sinergiche efficaci e un sapere diffuso. Ogni componente della società dovrebbe
attivarsi perché la sfiga spesso è figlia di comportamenti quotidiani poco
consapevoli.
FONTI:
Dott. Ernesto
Burgio ECERI (European Cancer and Environment Research Institute), ISDE,
Associazione internazionale medici per l’ambiente a Saluscienza
Dott. Antonio
Pasciuto (EUROPAEM: Accademia europea di medicina ambientale) a
Saluscienza
Disclaimer
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e sono di natura generale. Tutte le eventuali terapie, trattamenti o interventi
di qualsiasi natura, che qui dovessero essere citati, non devono in alcun modo
sostituire il rapporto medico- paziente. Niente di ciò che viene descritto in
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diagnostico o terapeutico, per qualsiasi malattia o condizione fisica senza il
parere diretto del proprio medico. L’Autore e l’Editore non si assumono la
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uso delle informazioni qui contenute. Il sito contiene collegamenti ad altri
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L’alimentazione può essere uno strumento di
prevenzione e cura, di detossificazione dell’organismo e di diffusione di una
cultura di sostenibilità. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Sabina
Bietolini, biologa nutrizionista e membro del Comitato Ordinatore del Master di
secondo livello di Nutrizione Vegetale nato dalla collaborazione
dell’Università della Tuscia con la Società Scientifica di Nutrizione Vegetale
(SONVE). Medici, farmacisti e biologi stanno
integrando nella propria pratica professionale competenze nutrizionali come complemento
o come vero strumento terapeutico. Cresce la produzione scientifica legata allo
studio dell’alimentazione nella prevenzione e nella gestione di numerose
patologie.
Le medicine
tradizionali da quella ippocratica, da cui proviene la nostra, a quella cinese
o ayurvedica considerano la prescrizione alimentare un fondamento di cura
per il ripristino della salute. Esse hanno saputo costruire negli anni una
raffinata sapienza approfondendo gli effetti che ogni alimento provoca
nell’organismo nelle varie circostanze.
Il prof. Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale Tumori di
Milano, definisce il ritorno in cucina il vero atto rivoluzionario dei nostri
tempi. Questo perché al giorno d’oggi molte condizioni stanno cambiando
velocemente e sapersi alimentare adeguatamente risulta sempre più difficile. Vaste
parti del nostro territorio sono così inquinate che bisogna prestare attenzione
al Km 0. Falde acquifere contaminate dalla chimica degli insediamenti
industriali e degli allevamenti intensivi, ceneri e particelle da incenerimento
delle plastiche, residui tossici dell’agrochimica (non più definibile agricoltura)
e, non ultimo per importanza, l’alto grado di sofisticazione degli alimenti
in vendita a basso costo, impongono scelte nutrizionali più strategiche e
informate. Risulta importante considerare non solo l’adeguato apporto di
nutrienti, valutando la qualità degli alimenti, ma anche sostenere una
alimentazione capace di detossificare l’organismo dall’accumulo di
tossine in aggiunta a quelle che fisiologicamente vengono prodotte. Il
significato di praticare, in alcuni periodi dell’anno, il digiuno o
semi-digiuno di tante tradizioni, come la Quaresima o il Ramadan, hanno la
funzione di permettere all’organismo di alleggerirsi di scorie accumulate,
quindi non solo di una purificazione spirituale. Oggi vediamo patologie
croniche dovute a sovraccarico degli organi deputati allo smaltimento di
queste scorie come il fegato, i reni, la pelle, etc. Il sistema immunitario
è sempre più impegnato a contrastare e rendere innocue le tossine ambientali
risultando inadeguato al riconoscimento di ciò che può essere metabolizzato.
Questo crea fenomeni compensatori a carico di diversi tessuti e organi portando
alla manifestazione di patologie.
Uno dei motivi che
porta sempre più persone, pazienti e professionisti a scegliere, nelle diverse
accezioni e per specifici disturbi, una alimentazione 100% vegetale è proprio
la capacità che essa ha di detossificare l’organismo per poter ripristinare il corretto
funzionamento degli apparati. Chiediamo alla dott.ssa Bietolini, membro del
Comitato Ordinatore del Master di secondo livello di
Nutrizione Vegetale, nato dalla
collaborazione dell’Università della Tuscia con la Società Scientifica di
Nutrizione Vegetale (SONVE), qualche
chiarimento.
“È importante
conoscere le evidenze scientifiche, imparare come si valuta la qualità degli
alimenti, la biodisponibilità dei nutrienti, approfondire gli approcci
molecolari, metabolici, nutrigenomici delle diete 100% vegetale. Il
professionista può dotarsi di strategie nutrizionali per gestire patologie
croniche, neuro-degenerative e metaboliche; ormai gli studi sono moltissimi. È
utile anche saper consigliare alcune tipologie di pazienti come alcuni vegani
‘fai-da-te’ che sono in squilibrio nutrizionale. Tra gli errori più diffusi c’è
l’eccessivo consumo di cereali, peggio ancora se raffinati, o l’eccesso di
soia, soprattutto quella da reidratare o derivati come il seitan che ha
un’altissima percentuale di glutine. In generale si consiglia di ruotare continuamente
le diverse varietà, preferire cibo non industriale e introdurre del cibo crudo
ad ogni pasto. Capitano anche casi di carenze di vit D e vit B12, spesso
sottovalutate anche dai professionisti che non le includono nei controlli
ematici, così è consigliabile l’uso di cibi fermentati.”
L’argomento è
complesso e delicato ma la scienza ci aiuta a capire in quali casi questa possa
essere una opportunità efficace, in che misura e con quali accorgimenti.
SONVE è membro della ong SAFE che si occupa dei diritti dei consumatori e della
sicurezza alimentare, anche attraverso azione di lobbying al parlamento
europeo. Insieme a SAFE, SONVE partecipa al progetto europeo TAO, dedicato alla
lotta all’obesità negli adolescenti, al fine di segnalare i comportamenti a
rischio, coinvolgendo la scuola come veicolo di informazione per proporre
cambiamenti virtuosi tra i giovani. Grazie a questa collaborazione SONVE
realizzerà a breve anche un altro progetto europeo, a Novembre, il primo evento
in Italia sull’agricoltura che non utilizza prodotti animali nè chimici: “Stock Free organic farming”.
Considerando i
ripetuti appelli dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) a ridurre il
consumo di carne e il sollecito dell’Onu, già dal 2010, al passaggio globale
verso una dieta priva di prodotti e derivati animali per salvare il mondo
dalla fame, dalla povertà di carburante e dai peggiori impatti dei cambiamenti
climatici dovuti ai danni che l’alimentazione ricca di
prodotti animali determina, potrebbe essere utile iniziare a documentarsi e ad attivarsi anche per
aumentare la propria resilienza al futuro.
BIBLIOGRAFIA
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Connessioni ultraveloci, oggetti più interconnessi, internet ovunque. La tecnologia 5G è arrivata in fase sperimentale anche in Italia. Eppure appelli da scienziati di tutto il mondo chiedono di verificare i rischi sulla salute prima di installare la nuova tecnologia. Già 2G, 3G e 4G hanno dimostrato gravi effetti sulla salute per l’uomo. Prossimamente ci saranno milioni di nuove stazioni base 5G sulla Terra, 20.000 satelliti in più nello spazio, 200 miliardi di oggetti trasmittenti: è arrivata l’Internet of Things (l’internet delle cose). Ci saranno le città intelligenti, case automatizzate, industrie robotizzate, sistemi di sicurezza e controllo più efficienti, servizi e oggetti come automobili, TV, elettrodomestici fino ai piccoli oggetti di uso quotidiano come pannolini per bambini, cartoni del latte, spazzole per capelli, vestiti e scarpe: tutto conterrà antenne o microchip. Tutto a connessione Wi Fi. Una connessione globale, sempre e ovunque. La costellazione satellitare globale è affidata ad una decina di società, 3 le più grandi (SpaceX, OneWeb, Telesat) per coprire anche le zone remote della Terra: gli oceani, le foreste pluviali e l’Antartico.
Video dell’azienda OneWeb
La fase sperimentale, iniziata in Italia nel 2017 nelle aree metropolitane di Milano, Prato-l’Aquila e Bari-Matera, terminerà nel 2022 con il 5G a pieno regime su scala nazionale. Ma quali valutazioni sono state fatte sulla sostenibilità energetica, ambientale e sulla salute globale?
Il wireless consuma 10 volte l’energia che richiede la tecnologia con il cablaggio (cioè con i fili) quindi per ora il 5G, a regime, sembra essere meno conveniente dal punto di vista della sostenibilità energetica. I satelliti saranno localizzati nella magnetosfera terrestre che incide sulle proprietà elettriche dell’atmosfera. Organi di ricerca internazionali avvertono di una possibile ulteriore riduzione dello strato di ozono per il lancio dei razzi (previsti 300 l’anno) e del cambiamento climatico.
Quali sono gli effetti previsti sugli esseri viventi?
Il wireless funziona utilizzando impulsi estremamente rapidi di radiazione a microonde, la stessa dei forni a microonde. Studi clinici sugli effetti nocivi gravi da esposizione alle frequenze radio in uso (fino al 4G) sono ormai migliaia anche sugli animali e sulle piante e sempre più sentenze di tribunale sanciscono il nesso causale tra cancro ed elettrosensibilità. Oltre all’aumentato rischio di cancro anche stress cellulare, danni genetici, cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, disturbi neurologici, deficit di apprendimento e memoria, cambiamenti ormonali. Inoltre, una parte crescente della popolazione europea manifesta sintomi di elettrosensibilità specifica. Per questo un appello sottoscritto da 170 scienziati, medici e organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo chiede all’ONU, all’OMS, alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G, anche nello spazio, in attesa che si accertino i rischi per la salute dei cittadini. Nell’appello si legge che le strutture elettricamente conduttive dell’organismo umano possono trasportare correnti indotte dalle radiazioni all’interno del corpo. Ma le stesse cariche in movimento possono diventare delle piccole antenne che rilanciano il campo elettro-magnetico verso gli strati più profondi dell’organismo.
Anche l’ISDE (International Society of Doctors for the Environment) Italia, nel rispetto del Principio di Precauzione e del Principio OMS “Health in All Policies”, chiede una moratoria sulla sperimentazione del 5G fino a quando non vengano fatte le opportune valutazione dei rischi ambientali e sanitari con piani di monitoraggio e obbligo di informare i cittadini esposti dei rischi potenziali. Anche cittadini e amministratori chiedono cautele nell’impianto di torri vicino a zone residenziali, scuole e posti di lavoro. Ma la 5G richiede torri ogni 100 metri circa. Negli USA oltre 300 sindaci hanno annunciato una maxi-denuncia contro la Commissione Federale delle Comunicazioni se proseguirà ad installare forzatamente il 5G nelle città che hanno scelto di non averla. In Italia, comitati di cittadini, come quelli di Monteporzio Catone raccolgono documentazione scientifica per operare un controllo attivo sul territorio e chiedono di abbassare le soglie dei segnali elettromagnetici permesse dalla legge. Chiedono di fermare la sperimentazione 5G nelle città italiane finché non ci saranno prove scientifiche sull’innocuità di tale tecnologia. Quest’anno è stato pubblicato da un gruppo di ricerca Italiano dell’Istituto Ramazzini Bologna anche lo studio più importante al mondo sugli effetti delle irradiazioni delle antenne per le radiofrequenze della telefonia mobile in uso fino ad oggi, condotto insieme al National Toxicology Program americano. L’Istituto Ramazzini è un fiore all’occhiello della ricerca indipendente (rifiuta i finanziamenti dell’industria) ed è una cooperativa Sociale (ONLUS): Istituto Nazionale per lo Studio e il Controllo dei Tumori e delle Malattie Ambientali. Gli studiosi hanno riscontrato gravi tumori maligni su cervello e cuore, nonché infarti sugli animali. La dottoressa Belpoggio, direttrice della ricerca dell’Istituto Ramazzini, ha affermato: “I nostri studi sono stati ben eseguiti e senza pregiudizi sui risultati. Contribuiranno certamente all’onere delle prove che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e le altre agenzie di sanità pubblica dovranno considerare per la rivalutazione della cancerogenicità elettromagnetica”.
Ma come viene misurato l’elettrosmog o inquinamento elettromagnatico? Con i valori SAR, Specific Absorption Rate, cioè attraverso l’indice di assorbimento elettromagnetico di un tessuto stimato in 2W/Kg in Europa, stabiliti dall’Unione Europea e condivisi in quasi 150 paesi al mondo (generalmente indicato nelle istruzioni allegate a un telefono cellulare al momento dell’acquisto). I SAR furono calcolati in obsoleti e antiquati test fatti in laboratorio non in vivo ma su fantocci di gel e solo sugli effetti termici (cioè su quanto riscaldavano il tessuto) e non sugli effetti biologici. E non è stato mai aggiornato su organismi vivi e su parametri biologici.
Il Principio di Precauzione avallato da gran parte degli organi istituzionali sanitari è spesso stato difficile da applicare. Ad esempio per i danni dovuti all’uso del tabacco e per la tossicità da amianto ci sono voluti anni di ricerche pubblicate, per decretarne la pericolosità. L’industria arriva prima, e per il 5G è ancora più evidente: la variabile velocità dello sviluppo tecnologico rende il percorso di tutela della salute più difficile. Tanto più che non ne parla quasi nessuno e cittadini e professionisti sono poco informati.
Le lunghezze d’onda 5G ad alta frequenza sono nuove e quindi molto meno studiate per gli effetti umani o ambientali. I ricercatori denunciano la difficoltà di poter valutare i rischi con strumenti epidemiologici, poiché non rimarrà un gruppo di controllo cioè non esposto alle radiazioni con cui fare il confronto. Ciò è particolarmente importante considerando che questi effetti sono probabilmente amplificati dalle esposizioni tossiche sinergiche e da altri comportamenti a rischio per la salute. Gli effetti possono anche essere non lineari. Ci vorranno anni o decenni prima che le vere conseguenze sulla salute siano note, considerato che questa è la prima generazione che ha una durata di vita, dalla culla alla tomba, a questo livello di radiofrequenze a microonde (RF EMR) artificiali. Difficile prevedere l’effetto multiplo e cumulativo, cioè il risultato biologico a medio e lungo termine prodotto da una vastità di invisibili microonde dentro cui saremo immersi. Gli appelli degli scienziati sono volti a far conoscere i rischi e le incertezze per contrastare il ritardo sistemico delle agenzie regolatorie nel prendere posizione.
Il progresso della nostra società è basato sullo sviluppo della scienza e della tecnologia quando e se esse migliorano le condizioni di vita della popolazione e dell’ecosistema di appartenenza. Già ora le nuove generazioni hanno possibilità ambientali (l’accesso all’insieme della ricchezza ambientale cioè acqua potabile, fertilità della terra, biodiversità, etc.) minori di quelle dei genitori e sono in forte aumento soprattutto fra i bambini patologie oncologiche, neurologiche, metaboliche e immunitarie. Quando e chi si assumerà la responsabilità di una valutazione rischio/beneficio? Fino a quando parteciperemo allo sviluppo insostenibile?
Ognuno può adottare nella propria quotidianità misure di cautela al fine di limitare l’esposizione: per l’uso dei cellulari usare il vivavoce o le cuffie con i fili, non usare wifi in macchina e per internet di casa spegnerlo quando non lo si usa e soprattutto di notte. Per il 5G riservare spazi liberi da RF soprattutto se destinati ai bambini (parchi pubblici, asili, scuole, zone residenziali), invitare i dirigenti scolastici e amministrativi ad utilizzare reti cablate per il collegamento a internet. Promuovere campagne d’informazione e chiedere ai propri amministratori l’impegno a non implementare la tecnologia prima che se ne attesti l’innocuità.