Come praticare al meglio la divisione di cespi, rizomi o rami per talee per avere nuove piante per l’orto e il giardino 
Ogni volta che qualcuno si avvicina alla coltivazione di un orto o di un giardino e mi scrive per sapere cosa è meglio seminare in un determinato periodo nel posto in cui vive, chiedo sempre: “Solo semine? Niente divisioni?”. La reazione, in genere, è di stupore. Divisioni?! La divisione, che sia di cespi, rizomi o rami per talee, è fondamentale per chi pratica l’orto e il giardino e chi si limita solo alla semina, sta perdendo molte occasioni. In questa primavera anticipata, che qui sull’Appennino sembra essere già cominciata in un gennaio soleggiato e in un febbraio tiepido, una delle mie divisioni abituali è quella del topinambur (Helianthus Tuberosus). I topinambur si trovano anche allo stato selvatico e sono facili da coltivare in un orto, basta contenerli per evitare che lo occupino completamente. Questo piccolo miracolo della natura, oltre a donarci deliziosi tuberi ricchissimi di inulina e a ridotto apporto calorico, svetta verso il cielo con i suoi alti fiori gialli, utili ad attirare insetti dai dintorni, specialmente coccinelle. I miei ultimi rizomi, lasciati appositamente nella terra perché formassero nuovi germogli, li estraggo in marzo e li divido in più parti: un germoglio per ogni parte. Li re-interro distanziandoli di una quindicina di centimetri uno dall’altro, così che un rizoma, una “patata” di topinambur darà vita a due, tre, quattro altre piante, altrettanto fruttuose. Ma in tema di divisioni c’è solo l’imbarazzo di scegliere con cosa arricchire il proprio orto in questi mesi: i carciofi (Cynara Cardunculus), separando i carducci giovani dalla pianta adulta e ottenendone altrettante nuove piante, piuttosto che nuove varietà di patate (Solanum Tuberosum) con lo stesso metodo utilizzato sopra per il topinambur.
Nuove piante per l’orto sul balcone
Per chi dispone di un orto sul balcone, la procedura è la stessa e non conterrà l’entusiasmo davanti ai primi carciofi autoprodotti o alla quantità di topinambur che si può coltivare in un vaso da fiori. Tornando alle mie divisioni, quest’anno mi tocca la divisione delle erbe perenni, cosa che faccio ad anni alterni per ottenere nuove piantine per sostituirne alcune o da regalare agli amici. Lavanda (non tutte le specie amano la talea, ma sicuramente le più diffuse Lavandula officinalis e Lavandula latifolia), salvia (Salvia officinalis, tutte le specie) e rosmarino (Rosmarinus officinalis, tutte le specie) amano essere moltiplicate per talea: si pratica ad inizio primavera o ad inizio autunno, quando i getti nuovi non sono ancora legnosi. Io di solito effettuo un taglio netto poco sotto un nodo fogliare e infilo questa talea di 10-15 cm massimo in un vasetto con terriccio ben bagnato. Non utilizzo ormoni radicanti, li trovo inutili per le aromatiche che sono già ben predisposte a replicarsi, basta solo un buon taglio e annaffiature parsimoniose con acqua piovana perché detestano i ristagni di acqua e il cloro. Ricovero il tutto davanti alla finestra della cantina, così da non soffrire eccessi di caldo o di freddo. Mettendo quattro talee per vasetto, mi assicuro di solito un’ottima riuscita di tutti i vasi e nuove piantine per l’anno successivo. … e per il giardino Ma le divisioni non mancano nemmeno in giardino: dalle talee di rosa, di cui ho già parlato in un numero precedente, alle divisioni ben più semplici degli arbusti. Questi crescendo producono più di un fusto e mentre sono ancora a riposo possiamo fare in tempo a sfoltire qualche cespo prelevandone una parte con la forca e riempiendo di terriccio nuovo e compost ben maturo il buco rimasto: l’arbusto ringrazierà per la maggiore aerazione e nutrimento, mentre il cespo prelevato, subito interrato, andrà a formare una nuova pianta. Tra questi, i più comuni nei nostri giardini e facili alla divisione dei cespi sono gli iperici, le peonie, le forsizie, le spiree, i lillà (vedi box) e i filadelfi.
La divisione è anche condivisione: un dono gentile a chi ammira le nostre piante, un gesto di amicizia verso un vicino di orto o all’amico che si appresta a cominciarne uno.
Lillà: non solo un arbusto ornamentale
Il lillà è una delle piante simbolo di aprile-maggio, quando con le sue pannocchie dense di fiori dal viola al rosa, profumatissimi, riempie i giardini e alcuni viottoli di campagna, in forme che vanno dal selvatico all’accuratamente selezionato. Ma il lillà non ha solo un uso ornamentale, è possibile ricavarne profumo, olio essenziale, tintura ed un ottimo oleolito, facile da realizzare anche per i meno esperti. L’oleolito di lillà si utilizza per massaggi, soprattutto in caso di gambe e piedi gonfi per il caldo estivo o sforzi sportivi. Un massaggio con oleolito di lillà allevia i dolori muscolari, reumatici e articolari. Utilizzato sul viso la sera, dopo la pulizia, è un ottimo astringente e antinfiammatorio in caso di eritemi (come tutti gli oleoliti non è adatto però a chi ha la pelle grassa o mista con zone acneiche). Svolge anche un’azione idratante e, se l’oleolito è ben eseguito, il profumo del lillà si manterrà intatto per mesi, svolgendo anche un’azione aromaterapica di rilassamento. Non a caso in molte regioni il lillà è conosciuto come “serenella”.

OLEOLITO DI LILLÀ O SERENELLA (SYRINGA VULGARIS)
La ricetta per 300 ml di oleolito di lillà
500 gr di fiori di lillà (pannocchie fiorite, la parte verde andrà rimossa) 350 ml di olio di semi di girasole spremuto a freddo, da agricoltura biologica 2 vasetti da 250 ml in vetro con tappo ermetico 1 casseruola che possa contenere i due vasetti coperti di acqua 1 pezzo di spugna o un canovaccio per la bollitura dei vasetti 1 colino a maglie molto fitte 1 ciotola da 500 ml 1 cucchiaio di legno.
Lavate bene con acqua fredda le pannocchie di fiori e lasciatele asciugare in penombra o al buio su un canovaccio pulito.
Una volta asciutti i fiori, sgranate dal basso all’alto con due dita chiuse: i fiori cadranno facilmente. Rimuovete il più possibile la parte verde. Riempite i vasetti con i fiori, premendo leggermente. Versate metà olio nel primo vasetto, deve arrivare a coprire gli ultimi fiori. Chiudete ben stretta la capsula e capovolgete per fare uscire l’aria. Procedete nello stesso modo per il secondo vasetto.
A questo punto comincia la fase detta della digestione, ovvero la cessione meccanica a freddo dei principi attivi dalla pianta all’olio. Una volta riempiti i vasetti, lasciateli al sole, capovolti, per una giornata. Trattandosi di fiori freschi, è più indicata questa digestione a caldo, che permette un’estrazione migliore da materia fresca organica e soprattutto evita la maggior parte dei problemi di irrancidimento dell’olio a cui si va incontro con una pianta fresca e il metodo tradizionale dei quindici giorni. Nel tardo pomeriggio, ancora tiepidi di sole, immergete i vasetti in una casseruola di acqua tiepida in cui avrete già posto un canovaccio in modo da evitare che i vasi sbattano tra loro durante il riscaldamento. Riscaldate, senza far mai bollire, sempre a fuoco lentissimo, per 3 ore. Se avete un cestino per la cottura al vapore abbastanza capiente, potete utilizzarlo per questo scopo facendo una digestione a vapore. In questo caso però, non coprite come per la normale cottura a vapore, altrimenti si raggiungono temperature troppo alte. Dopo la digestione a calore, fate riposare i vasetti, di nuovo capovolti, in un posto buio e asciutto, fino alla mattina successiva. Alla mattina filtrate il contenuto dei vasetti utilizzando un colino a maglie fitte posto sopra una ciotola. Fate colare tutto l’olio, premendo bene con un cucchiaio di legno. Il macerato di fiori va buttato, non è riutilizzabile. Lavate bene i vasetti e riempiteli di nuovo con l’olio estratto che sarà di un colore verde scuro, denso. Riponete i vasetti con l’oleolito in un luogo buio e asciutto per 48 ore, trascorse le quali controllate se ci siano depositi sul fondo. In questo caso, filtrate nuovamente l’olio utilizzando una garza a trama fitta o un filtro di carta. Ora è pronto per essere utilizzato!
Se desiderate una profumazione ancora più intensa, basta ripetere tutto il procedimento utilizzando, al posto dell’olio di girasole, l’oleolito ottenuto dalla prima digestione.
Grazia Cacciola
È specializzata in tecniche agronomiche ecosostenibili e in scienze naturopatiche, con un lungo percorso di studi e ricerca sugli stili di vita etici che ha cominciato insieme alla scelta, molti anni fa, di vivere in modo più sostenibile. Da più di un decennio attua un percorso di autosufficienza e bio-regionalismo, documentando la possibilità concreta di un diverso modo di vivere alla portata di chiunque. Teorica della decrescita, nei suoi saggi sostiene l’urgenza di un’azione individuale diffusa e l’abbandono della grande distribuzione alimentare, insieme alla necessità di passare all’alimentazione naturale. È autrice di saggi professionali e manuali divulgativi sull’alimentazione consapevole e gli stili di vita etici, tra cui L’orto sul balcone. Coltivare naturale in spazi ristretti (FAG), e Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita e autoproduzione (FAG). Ha collaborato a progetti dell’Unione Europea per l’incentivazione delle coltivazioni con metodo biologico e biodinamico ed è stata l’esperta di coltivazione naturale nella trasmissione Geo&Geo, Rai3. Collabora come consulente per la coltivazione e nutrizione sostenibile con diverse tv e radio. Pratica l’alimentazione vegetariana (vegan) da molti anni. Sta preparando per Macro Edizioni Il grande libro dei germogli. Per info e contatti: erbaviola.com.
Fonte: viviconsapevole.it
Mi piace:
Mi piace Caricamento...