Come seminare le rose: tutti segreti

Gli appassionati di rose non possono perdersi la lezione di Roberto Cavina noto selezionatore di rose da collezione che ci insegna passo dopo passo a selezionare, seminare le rose e metterle a dimora il tutto partendo dal seme. Una guida unica per veri appassionati!

I passaggi per seminare le rose e mettere a dimora le piantine non sono impossibili, basta un po’ di esperienza  tanta pazienza. Così Roberto Cavina del vivaio Le Rose di Nicola Cavina che di entrambe ne ha da regalare ci guida per mano dentro al suo mondo di selezionatore di rose, facendoci sognare un giorno di trovare anche noi la rosa più bella e profumata mai vista, il tutto partendo da un piccolo seme. Guarda tutto il video Come seminare le rose e scopri i segreti per la miglior selezione delle rose da collezione.

LA SCELTA DELLE CAPSULE

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La scelta dei cinorrodi migliori è fondamentale per aver una buona pianta

Per prima cosa bisogna sapere che questa operazione si fa tra novembre e gennaio, con il freddo. Bisogna scegliere il cinorrodo maturo e una volta presa va nominato, dunque per ogni cinorrodo sapremo i nome della pianta madre e non del padre ( ameno che non l’abbiate inseminato con le vostre mani).

L’APERTURA DEI CINORRODI

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Si aprono le capsule con delle forbici o con un coltello ben affilato3-300x225

Si aprono le capsule e si scelgono i semi più forti

Quindi con un coltello si tagliano i cinorrodi e si estraggono i semi prediligendo quelli più grossi e soprattutto pieni e duri e si mettono da parte. Scegliere i semi migliori assicura maggior opportunità di riuscita. Non tutti i semi attecchiranno, quindi è bene scegliere i più promettenti.

LA TERRA

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La terra deve essere leggera e ben drenata

Si prepara della terra leggera, mista terra e sassolini e torba assicurandosi che infondo al vaso ci siano molti sassi per assicurare un buon terreno drenato. Si bagna molto bene la terra in vaso e si aspetta che l’acqua esca fuori.

LA SEMINA DELLE ROSE TRA DICEMBRE E GENNAIO5-300x225

Sulla terra ben bagnata si poggiano i semi appena pressati e si lasciano stare così

Quindi in ogni vaso si metteranno i semi della stessa varietà ad una distanza di circa 5 centimetri uno dall’altro. Si poggeranno sul terreno facendo una leggera pressione e basta. Il vaso verrà poi chiuso dentro un sacchetto di cellophane trasparente e chiuso con un filo in modo che non entri e non esca nè aria ne l’umidità. Dunque il vaso si tiene in una serra luminosa da dicembre ad aprile senza mai aprire il sacchetto.

IN APRILE SI APRONO I SACCHETTI

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E’ giunto il momento di aprire i sacchetti e di scoprire se qualcosa è nato

Ad aprile si scoprono le nuove piante, si aprono i sacchetti, si fa attenzione a togliere le erbacce e si mettono i vasetti in un luogo luminoso bagnando le nuove nate con la regolarità con la quale bagnereste le rose adulte.

GIUGNO – LUGLIO: E’ TEMPO DI RINVASARE

Tra giugno e luglio le piantine si saranno ingrossate e avranno anche già dato i primi fiori. Quindi estrarre il pane di terra e le piante dal vaso, suddividerle delicatamente e rinvasatele una ad una in un vaso nuovo con terra universale leggera ben drenata da pomice o sassolini. Adesso non serve che aspettare che le nuove nate crescano e diano belle fioriture.

Tutte le info su Le rose di Nicola Cavina: lerosedinicolacavina.it

Fonte: stilenaturale.com

Dove nascono le rose

La coltivazione in serra genera più di dieci posti di lavoro per ettaro ed è una buona opportunità per le campagne, se viene rispettata la sicurezza dei lavoratori.

 Dopo l’allevamento delle trote, la coltivazione delle rose sfata un altro mito del Messico, che non è solo fatto di cactus e serpenti a sonagli. Nella zona di Toluca, nel sud ovest dello Stato del Messico (1), la coltivazione è effettuata in serra, perché le temperature sarebbero altrimenti troppo basse, mentre la quantità di acqua fornita è più che sufficiente. Le rose sono molto assetate: ogni fiore richiede in media 4500 litri d’acqua(2) I fiori sono venduti per metà in Messico e per metà negli USA, soprattutto nell’area di Los Angeles. Il trasporto refrigerato è effettuato via terra, in questo modo l’impatto ambientale è molto inferiore rispetto al trasporto via aerea da altre nazioni del Sud America. La produzione è ad alta intensità di lavoro, poiché impegna oltre 11 lavoratori per ettaro. L’azienda è di piccole dimensioni (pochi ettari) e occupa una posizione al fondo di una piccola valle poco adatta all’agricoltura. Il problema maggiore è la qualità del lavoro. Per almeno due decenni i lavoratori sono stati particolarmente esposti ai pesticidi, facendo trattamenti senza protezione adeguata. L’esposizione nelle serre è naturalmente maggiore che in campo aperto. Ore sembra che i lavoratori abbiano protezione adeguata, ma la competizione del mercato potrebbe sempre spingere qualcuno a tagliare i costi.

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(1) Lo Stato del Messico, la cui capitale è Toluca, è uno dei 31 della Repubblica Federale del Messico e circonda come un ferro di cavallo il distretto federale della capitale. (2) Dati forniti dal produttore. Per ogni giorno e per ogni ettaro, occorrono 20 mc di acqua di fonte nella stagione secca e 5 nella stagione delle piogge. Poiché le due stagioni durano metà anno ciascuno, il fabbisogno medio è di 12,5 mc/ha/giorno, cioè 4,5 milioni all’anno. La produzione annua è di 1 milione di fiori per ettaro.

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Fonte: ecoblog.it

Giardino, orto e piante d’appartamento, i lavori da fare nel mese di febbraio

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Febbraio ricordiamolo è un mese invernale; come tale freddo e soggetto a gelate, tutti elementi da tenere in considerazione prima di mettere le mani sulla terra con semine sbagliate. Quindi continuiamo a seguire le sane e vecchie tradizioni contadine: a febbraio, si lavora il suolo e si interra il letame; si potano gli alberi da frutta con accuratezza e, seguendo le fasi lunari, si procede alle semine degli ortaggi che mangeremo in primavera. Ecco qualche consiglio green su come organizzare a Febbraio il vostro lavoro su giardinoorto e piante d’appartamento:

 

Vasi
A fine mese iniziate a rinvasare le piante che necessitano di vasi più grandi, facendo attenzione ad usare contenitori ben lavati e poco più grandi di quelli usati precedentemente.

Piante rampicanti

Questo è il momento giusto per ripulire e preparare alla nuova stagione i rampicanti, eliminando tutti i rami secchi di passifloraclematidirose e gelsomini. Se si desidera un bel roseto occorre agire adesso e potare la pianta, così come per la stella di Natale. La potatura, è il caso di ricordarlo, non è un’operazione semplice fate quindi molta attenzione.

Irrigazione
Innaffiate 
con una certa regolarità le vostre piante d’appartamento senza esagerare. Inoltre, mantenete sempre umide le palline d’argilla espansa o i sassolini presenti nei sottovasi e vaporizzate periodicamente le foglie.

Concime
Per le piante di casa che hanno un vaso capiente aggiungete il terriccio di lombrico

Siepi e alberi da frutto

Per quanto riguarda il vostro giardino, alle prime avvisaglie di clima tiepido iniziate la potatura delle siepi e degli alberi da frutta, gli arbusti da fusto e si continua a preparare il terreno con concimi vari. Occhio alla vangatura, deve essere profonda in modo da portare in superficie i parassiti che verranno così distrutti dal freddo. Anche in questo caso è importante porre la massima attenzione, in caso di potatura sbagliata questa potrebbe impedire all’albero di fiorire e portare frutta. Le regole al riguardo sono semplici: non bisogna essere insicuri, meglio procedere con un taglio netto e deciso; farlo alla giusta distanza dalla gemma; il più possibile inclinato.

Per quanto riguarda invece l’orto ecco cosa fare:

Per avere un buon raccolto a febbraio è necessario iniziare a preparare il terreno vangandolo e concimandolo e quando le temperature saranno più miti iniziate la semina di carote, cavolfiori, cipolle, fave, lattughe, melanzane, meloni, peperoni, piselli, porri, prezzemolo, ravanelli, rucola, spinaci, valeriana, zucchini. L’operazione, come suggerito dagli antichi contadini, va fatto quando la luna è più favorevole: “Gobba a ponente luna crescentegobba a levante luna calante”: recita un famoso detto. Per cui occhi sul calendario e, soprattutto, sulla gobba della luna. Con la luna calante conviene seminare al riparo gli ortaggi di foglia e il sedano e a dimora le bietole, gli spinaci, la lattuga. Con la luna crescente, che ci guarda da lassù, si preferisce concimare all’aperto carote, ravanelli e piselli mentre al riparo le aromatiche.

Fonte. Tuttogreen.it

L’effetto serra: il fantasma del palcoscenico

Una presenza spesso impalpabile per i media, una quotidiana e catastrofica realtà per gli esseri viventi piccoli e grandi, per la vita intera.termometro_cambiamento_climatico

Pochi giorni fa, il 10 novembre, ho cucinato una padella di zucchine con relativi fiori. Le zucchine a novembre sono fuori stagione, noi non mangiamo verdure fuori stagione, ma quelle zucchine erano del nostro orto. Il nostro orto non è in Sicilia o in Marocco, è a cinquecento metri di altezza nella Toscana centro-settentrionale. Le zucchine alla fine di agosto avevano detto “basta” e cominciato a ingiallire e seccare. Poi, dopo un ottobre intero a venti gradi e oltre, hanno pensato di essersi sbagliate e hanno ricominciato a vegetare e dare frutti e fiori. Intanto, i boschi sono ancora verdi. Di un verde spento che vira al marrone spento. Le rose in giardino stanno fiorendo e così i tagete; in giardino sta anche crescendo una bella pianta di pomodoro, il cui seme sarà stato nel terriccio del composto con cui abbiamo concimato le piante. I cavoli invece sono attaccati inesorabilmente da lumache e chiocciole che, a novembre, non sono in letargo mentre dovrebbero, ma sono vispe e probabilmente si stanno riproducendo fuori stagione. L’altro giorno, mentre raccoglievamo le olive, ci siamo “beccati” una dose abbondante di punture di zanzare. A novembre. Non è un’annata eccezionale, è il normale, tragico andamento dell’effetto serra negli ultimi decenni. Nonostante ci siano “autorevoli” personaggi e famigerati scienziati che continuano a negarlo, con una faccia tosta degna di miglior causa. Lo negano anche di fronte ai risultati di ricerche rigorosissime, accuratissime, approfondite e decennali degli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

“Gli dei accecano coloro che vogliono perdere” (Pindaro).

Chi vive in campagna non ha bisogno di ricerche scientifiche a meno che non sia stato anche lui accecato, non dagli dèi, ma dal fragore cacofonico dei media ufficiali, impegnati a distogliere l’attenzione da qualsiasi riferimento ai disastri ambientali che vada al di là della macabra superficialità. L’evidenza quotidiana e stagionale glielo dimostra senza possibilità di dubbio. In trent’anni, nella zona del Chianti in cui vivo, sono scomparsi prima i peschi: gelate sempre più tardive, estati sempre più calde; poi gli albicocchi: a loro sono bastate le gelate sempre più tardive; infine i ciliegi: non sopportano calure e siccità estreme. I vecchi ricordano quando da bambini andavano a rubare le ciliegie primaticce in questo o quel podere particolarmente fornito di rigogliosi e generosi ciliegi primaticci. I pomodori degli orti, che un tempo qui da noi maturavano verso la fine di giugno, ora cominciamo a mangiarli in agosto, perché tutte le piantine messe a terra prima di maggio, sono destinate a soffrire e ammalarsi per temperature che, magari estive in marzo, si abbassano improvvisamente intorno ai dieci gradi in aprile, a maggio, e negli ultimi anni persino nella prima metà di giugno. Un clima in convulsioni che stermina gli impollinatori: la primavera scorsa tacevano tutti i loro ronzii, i fiori disertati sfiorivano tristemente senza allegare. Chi coltiva la terra e produce il cibo sa che ogni anno per lui e per le sue creature diventa più difficile. La vita delle piante, la vita degli insetti e degli animali selvatici è sempre più precaria, non della naturale precarietà di tutte le vite, ma della precarietà di una nave nella tempesta. La tempesta è un clima che sta diventando inadatto alla vita come si è sviluppata sul nostro pianeta in centinaia di migliaia di anni. L’11 novembre 2013 un vento di tramontana soffiava con raffiche a ottanta chilometri orari; un vento di tramontana “eccezionale”, dovuto alla “eccezionale” discesa della temperatura di circa dieci gradi in una notte. Squassava i cipressi come se volesse strapparli dalla terra, faceva cadere coppi dal nostro tetto e da quello dei vicini, strappava le foglie ancora verdi degli alberi nel frutteto e nel bosco. La strada che porta a casa nostra è ora coperta di un tappeto di foglie, come dovrebbe essere in autunno, peccato che le foglie (di quercia) siano verdi. Mentre un amico di Alzano Lombardo nello stesso giorno mi diceva al telefono che da loro, quattrocento chilometri più a nord, era una giornata primaverile da camicia e giacchetta. Quando ero bambina in Lombardia a novembre mettevamo il cappotto, dopo il soprabito in ottobre e la giacca sopra il golf in settembre. Eppure mi sembra di sentire come trapani nel cervello le voci dal tono sicuro e arrogante che dicono che questi eventi eccezionali ci sono sempre stati. Ma è vero! Il problema è che non sono più “eccezionali”! Sono ormai quotidiane eccezionali tempeste, eccezionali siccità, piogge eccezionali, freddi eccezionali, caldi eccezionali. Ma una società ormai in preda a un marasma non inferiore a quello climatico tenta ancora di negare l’innegabile. I Padroni del vapore pagano scienziati (una parte infima ormai) e organi di “informazione” (la gran parte ormai) per negare, mettere in dubbio, o semplicemente omettere, nascondere, confondere. Nelle Filippine un tifone apocalittico, come non se ne sono mai verificati prima, uccide decine di migliaia di persone, non si sa quante e probabilmente non lo sapremo mai, ma la notizia nel giro di due giorni viene spazzata sotto il tappeto: bisogna dimenticarla e, soprattutto, evitare di mettere in relazione questo “evento eccezionale” nella sua intensità (ossia ricorrente in quelle zone, ma a un altro livello di impeto però) con l’eccezionale riscaldamento del pianeta. Dobbiamo continuare a produrre, consumare, inquinare, distruggere, distruggerci.

Non dobbiamo allarmarci, riflettere, correre ai ripari: che ne sarebbe dell’economia, del PIL, dei profitti, del dominio?

Ma che ne sarà di loro, dei dominatori, dei loro figli e nipoti? I potenti e i loro servi hanno scoperto la formula magica per l’invulnerabilità e l’immortalità?

O sono semplicemente incapaci di comprendere?

Quelli che venivano chiamati “scemi di guerra”? Il risultato di una società aggressiva, feroce, competitiva, che seleziona ai suoi vertici i più psicologicamente disturbati?

Il guaio è però che al giorno d’oggi noi gente comune, noi che ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli e magari anche per il futuro del pianeta e di tutti i viventi, abbiamo contratto la malattia degli “scordoni”: non abbiamo più memoria, spirito d’osservazione, capacità critica. E questo grazie alla nostra (tossica) dipendenza dagli “organi d’informazione”. Se la televisione ci dice che piove, usciamo con l’ombrello anche se c’è il sole. Se televisione, radio, giornali ci bombardano con le manfrine sul debito pubblico e la necessità di “tagliare” (lo stato sociale, ovviamente, non le grandi opere), noi ci preoccupiamo del debito pubblico. I “media” sono ormai i nostri sacerdoti, la nostra religione, la nostra cultura, la nostra memoria; grazie a loro non siamo più in grado di vedere la vita, la realtà. E così tutti in coro ci dimentichiamo l’effetto serra e le sue devastazioni e, se a novembre a Milano ci sono venti gradi all’ombra, diciamo: “Che bella giornata!”. Mentre dovremmo correre a comprarci il manuale dell’autosufficienza, convincere quattro amici e creare di corsa una comune agricola biologica fondata sulla permacultura, con le pale eoliche per l’energia, e sbrigarci a imparare a tessere la lana e il lino e ad addestrare cavalli e asini per viaggiare e trasportare.

Ma come? Siamo matti? Qui si vuole tornare all’età della pietra? Al neolitico?

Niente paura. Le popolazioni più longeve del pianeta sono popolazioni di agricoltori e piccoli allevatori che vivono in luoghi rimasti fuori dal gran flusso del “Progresso”; che vivono in maniera poco diversa da come vivevano i loro antenati nel neolitico, in genere immuni alle cause legali, agli assassinii, al ridurre i propri simili in schiavitù. Sono popolazioni arretratamente felici.

«Un po’ di pazzia a primavera

è opportuna anche per un re,

ma Dio protegga il folle

che pondera su questo portentoso spettacolo

sull’intero esperimento verde

come se fosse roba sua».

Emily Dickinson

Fonte: il cambiamento