La rivoluzione inizia dalle piante

“Plant revolution” è il libro con cui Stefano Mancuso ci manda un messaggio chiaro: se si cerca un sistema in grado di dare risposte ai molti problemi che affliggono l’umanità, le piante possono dare risposte eccezionali ad iniziare dal fatto che senza di loro, noi non esisteremmo.piante

Se si cerca un sistema in grado di dare risposte ai molti problemi che affliggono l’umanità, le piante possono dare risposte eccezionali ad iniziare dal fatto che senza di loro, noi non esisteremmo. Nel suo recente libro Plant revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Stefano Mancuso  ci dà una serie di indicazioni preziose sulle piante che sono assai poco conosciute. Vengono analizzate nelle loro varie componenti scoprendo le loro straordinarie capacità di resilienza con esempi eccezionali come la Boquilla in grado di imitare ogni volta le foglie della specie a cui sia vicina e ne consegue che quindi le piante abbiano una sorta di capacità di “vedere”. “Poter regolare con una simile flessibilità i caratteri delle foglie significa modulare l’espressione dei propri geni in un modo finora mai visto” scrive Mancuso. Mancuso cita il cosiddetto progresso che accentrando qualsiasi cosa per gestirne meglio il potere ha fatto sì che «oggi tre specie vegetali – grano, mais e riso- forniscano da sole circa il 60% delle calorie consumate dall’umanità»; «prima dell’invenzione dell’agricoltura l’uomo consumava centinaia di specie vegetali diverse». Si può ben immaginare il rischio di questa scelta dato che ci rende, così come per i combustibili fossili, dipendenti da poche fonti alimentari in mano ad enormi multinazionali. Tra i tanti esempi che Mancuso illustra, la cosa più straordinaria di tutte è la capacità delle piante di prendere decisioni e di agire. Le piante si dimostrano quindi di gran lunga la più intelligente forma vivente del pianeta, noi compresi.

«Il modello vegetale non prevede un cervello che svolge il ruolo di comando centrale, né organi singoli o doppi alle sue dipendenze. In un certo senso l’organizzazione delle piante è il segno stesso della loro modernità: hanno una architettura modulare cooperativa, distribuita e senza centri di comando, in grado di sopportare alla perfezione predazioni catastrofiche e ripetute».

Poi Mancuso si sofferma sul fattore velocità aspetto fondamentale per le nostre società moderne: «La velocità è un fattore del tutto marginale nella vita delle piante. Ciò che davvero interessa loro non è tanto rispondere in fretta, ma bene, così da risolvere i problemi». Mentre invece l’umanità prima agisce poi si chiede (o il più delle volte non se lo chiede affatto) se quello che ha fatto risolve effettivamente il problema. Basti pensare ad alcune delle migliaia di decisioni scellerate, dall’energia atomica all’utilizzo dei combustibili fossili, dalla chimica in agricoltura allo sfruttamento indiscriminato di tutte le risorse disponibili. Oggi è sempre più chiaro che queste decisioni niente affatto ponderate, figlie anche del mito della velocità, ci stanno portando ad un punto drammatico di non ritorno.

E ancora sulla velocità

«Per i vegetali la questione della velocità è del tutto irrilevante. Se anche l’ambiente in cui la pianta vive diventa freddo, caldo o pieno di predatori, la celerità della risposta animale non ha comunque per essa alcun significato. Molto più importante è trovare una soluzione efficace al problema; qualcosa che permetta di sopravvivere nonostante il caldo, il freddo o la comparsa di predatori. Per riuscire in questo difficile compito, è di gran lunga preferibile un’organizzazione decentrata. Come vedremo, questa consente risposte più innovative e, essendo letteralmente radicata, permette una conoscenza assai più raffinata dell’ambiente».

Passando quindi alla capacità delle piante di affrontare i problemi Mancuso afferma: «Le piante sono organismi in grado di utilizzare le proprietà emergenti delle interazioni fra gruppi per rispondere ai problemi ed adottare soluzioni anche molto complesse. D’altronde tale capacità dovuta all’organizzazione distribuita e alla mancanza di livelli gerarchici ha un efficacia così alta da essere presente quasi dappertutto in natura, comprese numerose manifestazioni del comportamento umano».

In merito a sistemi di oligarchie e democrazie intese nel senso ateniese del termine, Mancuso ribadisce che: «Non solo le oligarchie (in natura n.d.a.) sono rare, le gerarchie immaginarie e la cosiddetta legge della foresta una banale stupidaggine; quel che è più rilevante è che simili strutture non funzionano bene. Le organizzazioni ampie, distribuite e senza centri di controllo in natura sono sempre le più efficienti. I recenti progressi della biologia nello studio del comportamento dei gruppi indicano, senza ombra di dubbio, che le decisioni prese da un numero elevato di individui sono quasi sempre migliori di quelle adottate da pochi. In alcuni casi la capacità dei gruppi di risolvere problemi complessi è strabiliante. L’idea che la democrazia sia una istituzione contro natura, dunque, resta solo una delle più seducenti menzogne inventate dall’uomo per giustificare la sua, contronaturale, sete di potere individuale».

E per sfatare ulteriormente il mito della legge della giungla e del più forte, Mancuso segnala lo studio di Larissa Condrat e T.J. Roper, in cui i due studiosi ribadiscono che «le decisioni di gruppo sono la norma per il mondo animale, e individuano nel  meccanismo  “democratico” della partecipazione il metodo di gran lunga più frequente per prenderle. A differenza della via “dispotica”, infatti, esso assicura minori costi per i membri dell’intera comunità; anche quando il “despota” è l’individuo più esperto, se il gruppo è di dimensioni abbastanza grandi la prassi democratica assicura migliori risultati. In breve, la partecipazione alla produzione delle decisioni è il sistema che l’evoluzione premia di più; le scelte di gruppo rispondono meglio ai bisogni della maggior parte dei membri della comunità anche rispetto a quelle di un “capo illuminato”».

E analizzando i fenomeni in natura in merito all’intelligenza collettiva Mancuso ribadisce: «Esistono principi generali che reggono l’organizzazione dei gruppi così da rendere possibile l’emersione di un’intelligenza collettiva superiore a quella dei singoli individui che la compongono. Se doveste sentire ancora il banale luogo comune secondo cui in natura vige la legge del più forte, sappiate che si tratta di sciocchezze; in natura, prendere decisioni condivise è la miglior garanzia di risolvere correttamente problemi complessi».

«Il fatto che laddove ci siano dei gruppi, si sviluppino sistemi simili (democratici n.d.a.), attesta l’esistenza di principi generali di organizzazione che rendono i gruppi più intelligenti del più intelligente dei singoli che li compongono».

«Ogni organizzazione in cui la gerarchia affida a pochi il compito di decidere per molti è inesorabilmente destinato a fallire, specie in un mondo che richiede soluzioni differenti e innovative. Il futuro non potrà che far propria la metafora vegetale. Le società che nel passato si sono sviluppate grazie ad una rigida divisione funzionale del lavoro e ad una ferrea struttura gerarchica dovranno in avvenire essere allo stesso tempo ancorata al territorio e decentrate, dislocando potere decisionale e funzioni di comando alle varie cellulae del proprio corpo, e trasformarsi da piramidi in reti distribuite orizzontalmente».

Non rimane quindi che imparare dalle piante e della natura e la loro capacità di darci soluzioni efficaci nel rispetto di tutti.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Il Filo d’Oro di Daniel Lumera: la vera rivoluzione parte da noi stessi

La felicità non dipende da ciò che possediamo o facciamo, ma dalla consapevolezza di ciò che siamo. Che cosa ci ha spinti a dimenticare la nostra natura più intima e autentica, quella che ci dà l’impulso a vivere consapevolmente, felici e senza limiti? Se appena riusciamo a percepire il nostro vivere come su una sorta di rotta incomprensibile e segnata sulla quale non abbiamo che uno sguardo disincantato, distratto o rassegnato, forse… forse ci siamo persi.9591-10357

Viviamo spesso da malati di infelicità, seguendo obiettivi che non sono i nostri, sognando perfino i sogni degli altri, in uno stato permanente e progressivo di separazione dalla Natura, dal nostro pianeta, dagli altri, da noi stessi. Eppure quell’impulso all’unità e alla felicità può ancora trasformarsi in quel senso di necessità profonda e urgente che ci mette su una strada nuova e antica al tempo stesso, quella della piena realizzazione della propria natura coscienziale. E quella in cui siamo noi stessi il percorso e la meta. Il Filo d’Oro è la metafora della vita. E’ il filo invisibile, leggero e prezioso che ci collega col nostro Essere e con tutto ciò che ci circonda.

Ne parliamo con Daniel Lumera, docente, formatore, presidente della Fondazione MyLifeDesign e della International School of Forgiveness (I.S.F.).

Come e quando è nato il Filo d’Oro?

Ho iniziato a 19 anni attraverso una scelta di vita molto intensa: ho praticato per 11 anni il monachesimo laico con una pratica intensissima e disciplina meditativa con tutte le restrizioni che venivano anticamente normalmente associate a questo tipo di conoscenza: sull’alimentazione, le relazioni, le ore quotidiane in meditazione. Quella scelta di vita mi ha portato a sottopormi a una ricerca esperienziale intensa che mi ha cambiato vita, abitudini, modo di relazionarmi, di lavorare e pormi al mondo. Questo mio percorso mi ha portato tra il 2005 e il 2006 ad iniziare a trasmettere, dopo tanti anni di silenzio e pratica, e a strutturare le mie conoscenze per renderlo approcciabile alla mentalità occidentale oltre che fruibile in modo tale che potesse sollevare la qualità della vita quotidiana. Quando ho iniziato l’esperienza del Filo d’Oro sapevo che si trattava di una rivoluzione della coscienza.

Che cosa significa “rivoluzione della coscienza”?

Se guardiamo a cosa è avvenuto nella storia e a quante rivoluzioni ci sono state, vediamo che c’è stata la Rivoluzione Francese in nome della libertà, dell’uguaglianza e della libertà. Poi il comunismo, la Rivoluzione Cubana, sono state rivoluzioni fatte in nome di grandi ideali che abbiamo pagato con fiumi di sangue. Sono stati perseguiti ideali rivoluzionari che, secondo me, sono esterni a noi stessi. L’unica rivoluzione possibile è quella delle coscienze. Una rivoluzione che parta dalla coscienza dell’individuo, una rivoluzione interiore che parta dalle nostre identità, dal senso più profondo di ciò che siamo e di ciò che siamo su questo pianeta. Il problema è che non abbiamo un senso di identità e ci sentiamo totalmente separati dagli altri e dalla natura, come isole. Basta un’ora e mezza in natura per capire che siamo profondamente ammalati e viviamo alienati. Ci vuole un elemento rivoluzionario e il Filo d’Oro vuole essere quell’elemento. Finché continueremo a cambiare governi e leggi, cercare rivoluzioni esterne che partono da un livello di consapevolezza bassissimo. Il cambiamento ci sarà quando partirà da dentro in ciascuno di noi e lo faremo perché saremo felici di esistere e non arrabbiati e indignati. Un cambiamento che dipende dalla consapevolezza dell’essere e non dal fare o dall’avere. Questo è il punto cardine da cui parte l’esperienza del Filo d’Oro. Non si tratta di cambiare il mondo ma di trasformare la radice di chi sentiamo di essere.

Perché si chiama Il filo d’Oro?

E’ una metafora che ho utilizzato come immagine perché noi cerchiamo noi stessi attraverso la nostra esperienza: la famiglia, i figli, il lavoro, il successo, le relazioni, l’amore, la natura. Tuttavia, c’è una parte di noi che attraversa tutte queste cose e sopravvive a questo passaggio: è il Filo d’Oro che abbiamo perduto e che stiamo cercando ma in realtà noi siamo quel Filo d’Oro che collega tutte quelle cose. Arriviamo quindi alla piena consapevolezza che noi siamo il percorso e la meta. Il Filo d’Oro è una metafora della vita.

Quali sono state le persone che ha incontrato in questo percorso e che l’hanno segnata?

Ho incontrato molte persone e la figura che più mi ha segnato è stata quella di Padre Anthony Elenjimittam, uno degli ultimi discepoli diretti di Gandhi. Aveva la sua missione ad Assisi e con lui ho avuto la possibilità di approfondire i testi indovedici e il parallelismo tra quei testi e quelli cristiani e della filosofia e sociologia occidentale.

Il suo è un approccio religioso?

No. E’ un approccio assolutamente laico alla spiritualità, di tipo interreligioso, basato sulla pratica diretta.

A proposito di meditazione. Se ne parla molto e sembrano essercene molte interpretazioni. La meditazione è un modo per stare meglio?

Mi dispiace molto vederla mercificata innanzitutto perché appartiene all’essere e non al fare. Poi viene venduta la felicità, la pratica meditativa come se si meditasse per ottenere un beneficio psico-fisico. La pratica meditativa non è cercare di ricevere qualcosa. Significa darsi. Personalmente l’ho conosciuta nel suo contesto originale attraverso valori elevati e trascendentali.

La meditazione è un percorso di riunificazione con ciò da cui ci siamo separati?

C’è una grande confusione su cosa sia la meditazione. Ci sono moltissimi corsi e seminari in proposito. Meditare non è visualizzare. Non è chiudere gli occhi e vedere luci o parlare con gli angeli. Non è neppure restare in uno stato di  presenza. E neppure avere consapevolezza di sé.  E’ sentire gioia e sentire unione. E’ uno stato di coscienza che inizia quando tutti questi fenomeni svaniscono e l’unica cosa che rimane chiara e radiante è la pura coscienza di essere, un oceano infinito di consapevolezza, senza  forma, senza limiti, senza definizioni. Quello è lo stato meditativo. Uno stato dal quale dovremmo compiere tutte le nostre scelte e le nostre decisioni.

Normalmente, però, in base a cosa decidiamo?

Noi decidiamo e scegliamo di solito perché ci manca qualcosa. Cerchiamo la felicità, la completezza, l’integrità. Dovrebbe invece essere il contrario e il Filo d’Oro educa al principio che le nostre scelte e le nostre decisioni dovrebbero partire da una condizione di felicità e pienezza perché in questo modo non sono espressione di una mancanza o di un vuoto. Scegliamo spesso di andare in palestra solo perché abbiamo paura di non piacere o decidiamo di stare in coppia solo perché abbiamo paura di stare da soli. Quante persone possono dire di scegliere liberamente?

Meditare significa fare spazio, liberarsi ed eliminare il superfluo?

La meditazione non è un processo di analisi ma un processo di sintesi, di ascolto profondo di ciò che esiste. Esistono poi delle tecniche superiori di meditazione molto potenti e il Filo d’Oro le trasmette. Queste tecniche erano prima una conoscenza riservata solo a pochi, a chi faceva scelte di vita molto profonde e integrali: rinuncianti o monaci. Ho fatto una scelta: quella di condividerle con le persone che hanno un’attitudine sincera, corretta e di rispetto riguardo a questi valori. Non si tratta solo di fare spazio, fare silenzio, fare vuoto o ascoltare il respiro ma si tratta di movimenti interni, apparenti azioni interne in cui viene utilizzata in modo specifico e corretto l’attenzione.

Quali sono gli effetti di questo percorso sulla nostra vita?

Tutto questo produce effetti molto potenti a livello di stati di coscienza. Si entra in uno stato di coscienza superiore. Si percepisce una straordinaria chiarezza di noi stessi, una capacità intuitiva fuoridal comune e si bucano aree di esperienza molto raffinate. Rivoluzionando il nostro modo di sentire cambiamo il nostro approccio col mondo e sentiamo negli altri e nella natura un aspetto della vita. Si tratta di espandere la percezione di se stessi e di inglobare tutte le forme di vita. Di percepire l’essenza comune a tutte le cose, anche quelle brutte come il dolore o la morte, come parte dell’essere. Spontaneamente ci si sente uniti a ogni cosa. Si inizia a riconoscere essenzialmente ogni cosa.

In che modo il percorso influisce sulle emozioni?

In modo straordinario. La persona diventa perfettamente consapevole di ciò che vive. Non sei più tu che hai paura ma tu che scegli di avere paura. Le emozioni diventano una manifestazione proattiva e non più reattiva. Inoltre non si giudicano più le emozioni come giuste o sbagliate. Le emozioni sono degli indicatori. La rabbia, ad esempio, indica che devi esprimere la tua determinazione e che ti senti impotente. In realtà la rabbia è un indicatore e può essere anche terapeutica mentre siamo abituati a considerarla solo come negativa e sbagliata. Ci indica un aspetto di noi su cui dobbiamo lavorare. La meditazione profonda pulisce il campo emotivo. Ci libera dalle emozioni inconsapevoli e che creano sofferenza e ci dà pieno potere di viverle con gioia. Anche il dolore. Si tratta di un processo che ci porta verso aree emozionali più elevate. Le emozioni sono un nutrimento importante per la nostra salute. Ogni giorno dovremmo occuparci di provare emozioni profonde: una gioia profonda, una gratitudine profonda, una fiducia o una simpatia profonda. Tutta questa gamma dialimenti, tuttavia, manca ed è come se noi togliessimo la frutta dalla nostra alimentazione. Il percorso del Filo d’Oro ti fa entrare in contatto con emozioni superiori, con superalimenti emozionali.

Può fare un esempio di emozioni superiori?

Per esempio la beatitudine, la gioia pura per il semplice fatto di esistere. Dovrebbero essere alla base del nostro essere umani e il Filo d’Oro porta un’educazione a questa consapevolezza.

Non è un’illusione quella di voler controllare il dolore? La forza di alcune emozioni non è proprio la loro energia distruttiva? Non è forse proprio quell’energia che ci avvia verso una trasformazione e una profonda riorganizzazione di noi stessi?

Controllare significa allinearsi con la nostra natura più profonda e la nostra è una natura gioiosa. Facciamo un esempio: se tu in questo momento aprissi tutti i tuoi canali e fossi capace di sentire tutto il dolore del mondo, moriresti perché non saresti capace di sostenerlo. Non si devono reprimere certe emozioni ma, al contrario, discernere qual è il modo corretto di viverle. Non si tratta di rinnegare certe emozioni ma di discernere, appunto. Si tratta di fare delle nostre emozioni qualcosa che possiamo trasformare e di cui prenderci la responsabilità.

Quando sento un dolore lancinante… che cos’è che sto provando davvero? E’ la mia natura che mi fa “sentire” in quel modo?

Quello è amore trattenuto che non riconosci. L’amore fa male perché potente e profondo. E’ indefinibile, infinito e illimitato. Ci proietta oltre noi stessi e ci fa diventare così altruisti da annullarci. Abbiamo paura. Il dolore non esiste ma è amore trattenuto, per me.

Non riesco bene a inquadrare qual è, nel suo discorso, il ruolo della cultura nelle nostre emozioni. E’ come se in questo processo lei non considerasse questo aspetto. Non potrebbe essere, invece, determinante capire gli aspetti sociali che le determinano, e poi agire per cambiarli?

Sono contrario a questo approccio. Se pensiamo che sia una causa esterna a tirarci via la rabbia, non ci assumeremo mai la piena responsabilità della nostra esistenza e sarà sempre un fattore esterno che guiderà la nostra vita. Posso vivere in una condizione di felicità indipendentemente da ciò che succede all’esterno: un grande amore, una grande delusione, un grande dolore. Mi sono occupato di accompagnamento al morente per molti anni. Si può scegliere di morire pieni di rabbia o pieni di amore e gratitudine. La nostra felicità e la nostra consapevolezza non dipende da fattori esterni. Non  esiste un’educazione basata sulla consapevolezza. Questo è il punto focale. Finché ci sarà una società e una cultura che educa alla deresponsabilizzazione, non si va da nessuna parte. Bisogna cambiare il paradigma percettivo, cognitivo e identitario. Se avviene questo, le cose cambiano. Il fatto che il mondo cambi è un effetto del nostro cambiamento.

In che modo il percorso influisce sull’ambiente in cui viviamo?

Se percepiamo l’essenza comune a tutte le cose non abbiamo sicuramente voglia di distruggere il pianeta perché non hai voglia di distruggere te stesso. Le malattie del secolo sono la depressione e il cancro e riflettono la follia, il nostro modo di vivere in questo pianeta.

Che ruolo ha il silenzio nella pratica meditativa?

Attraverso il silenzio mentale si arriva a quello stato di cui parlavo. Attraverso il silenzio mentale possiamo ascoltare noi stessi. E’ una sorta di digiuno che è necessario per assimilare le informazioni. Si crea, nel processo meditativo, quel silenzio interiore necessario affinché la mente possa ristrutturarsi, rivitalizzarsi e funzionare con più chiarezza.

Tutti possono intraprendere il percorso del Filo d’Oro? Immaginiamo una persona avvolta nello smog e nel caos di una grande città, in corsa tra lavoro e impegni, famiglia e problemi da risolvere.

Il Filo d’Oro esiste proprio per ricontestualizzare tutti gli strumenti di cui parlavo, all’inerno dello stile di vita occidentale che è frenetico, ansiogeno e stressato. Sono convinto che chi vive con quello stile di vita possa vivere una piena condizione meditativa. Proprio in questo momento storico e in quel contesto sociale è importante esprimere un nuovo concetto di rivoluzione: la rivoluzione interiore e un nuovo modo di fare scienza, politica ed economia. La religione è sempre stata separata dalla scienza, la materia dalla spiritualità. Il filo d’Oro non prevede questa dualità e, al contrario, dice che il corpo è spirito, che la materia è coscienza e di fatto cambia il paradigma. Ho dimostrato che è possibile praticamente inserire un tipo di conoscenze e di esperienze di questo tipo all’interno di tutti i livelli del tessuto sociale: carceri e scuole, per esempio. Noi siamo condannati alla felicità, il problema è che resistiamo.

La nostra essenza è felice, positiva e buona, dunque. E’ sempre così? Per tutti?

Parlare come si fosse separati dalla nostra essenza è già una distorsione percettiva ed è la più grande malattia dell’essere umano. Se parliamo di quali siano le caratteristiche intrinseche dell’esistere, io credo che l’universo sia buono e che la nostra natura essenziale sia pura gioia. Abbiamo perso la fede nella vita e la fiducia nella vita perché non ritorniamo in noi quotidianamente. C’è una tribù africana che, quando uno dei suoi membri commette un crimine, lo catturano e lo legano al centro della tribù e per tre giorni senza sosta gli altri membri gli raccontano ciò che lui ha fatto di buono dal momento della sua nascita in poi. Pensano che l’essere umano sia buono e lo riportano su quella strada di amore. Che cos’è buono e che cos’è cattivo? Una crisi profonda nel bel mezzo della tua vita è buona o cattiva? Magari è proprio quello che ti serviva per imparare qualcosa di essenziale per la tua vita. La maggior parte delle persone crede che sia giusto ciò che fa stare bene e sbagliato ciò che fa stare male. Poi, però, ci rendiamo conto che a volte fare la cosa giusta ci crea dolore. Poi, a un altro livello ci rendiamo conto che è giusto essere consapevoli e sbagliato non esserlo. Ci sono molti livelli di comprensione e le persone vanno accompagnate.

Quali regole bisogna seguire lungo il percorso del Filo d’Oro?

Ci sono pochissime regole. La prima è quella di non prendersi troppo sul serio e la seconda è parlare dei propri compagni di percorso solo se sono presenti. Sono regole semplici che cambiano la vita. Non c’è una pratica imposta ma consigliata. Le persone devono autodisciplinarsi. La parola “disciplina” è bellissima ed ha la stessa radice di “discepolo” e di “discernere”. Assumersi la responsabilità è alla base del percorso del Filo d’Oro.

Fino a che profondità si può arrivare in questo percorso di conoscenza della propria essenza?

Tutti possono “essere” più che “arrivare”. E non c’è un limite. Conta solo la propria disponibilità all’infinito. Smettere di avere paura e controllo. Molte persone hanno paura di fare un’esperienza profonda e hanno difficoltà a sentire chi sono. Se glielo domando mi rispondono con cosa fanno, si definiscono attraverso il proprio lavoro. Noi non siamo quello, però. Il percorso del Filo d’Oro arriva fin dove noi stessi permettiamo. Ciascuno di noi può arrivare alla piena realizzazione di se stesso e può smettere di avere paura e di sentire la necessità di definirsi e di definire gli altri. Vivere liberi significa smettere di incasellarci.

La nostra vera essenza è statica o in movimento?

Se parliamo della nostra identità egoica, separata e del suo personaggio, cambia o rimane uguale. Dipende. Alcune persone hanno paura di cambiare e resistono al cambiamento cristallizzandosi pur vivendo in una realtà che per sua natura è impermanente e transitoria. Noi sentiamo dolore perché ci aggrappiamo a qualcosa che di fatto trova il suo equilibrio nella transitorietà. Se invece non parliamo del nostro ego storico ma andiamo in profondità, allora la mia risposta è la seguente: noi cambiamo costantemente ma siamo immutabili come essenza. Una volta mi hai fatto una domanda sul perdono: “Qual è il contrario di perdono”?

Sì, ma non mi ha risposto. Mi ha detto che il contrario di perdono è… perdono. Non lo capisco. Che significa?

Esattamente quello che ho detto. Avresti dovuto chiederti quale parte di me ti stava rispondendo. Perché non era importante la risposta ma l’identità di chi ti risponde. Tu stavi cercando quella e non una risposta. In quale modo stai cercando di capire? Come mente? Quale parte di te sta cercando di capire quella risposta? Se cerchi di capire attraverso la mente, non sempre si può capire.

Cosa c’è di male nella mente? Perché se ne parla sempre come se fosse uno strumento di cui non fidarsi troppo o un limite alla nostra conoscenza?

Non c’è niente di male. E’ uno strumento straordinario di conoscenza. Il problema è come la usiamo. E’ uno strumento così come il corpo o le emozioni ma se tu cerchi di capire qualcosa del corpo attraverso qualcosa che non appartiene al corpo, non riuscirai a capirla. Approcciare i temi che riguardano la consapevolezza attraverso la mente può andare bene fino a un certo punto come strumento di indagine. Inoltre, il problema è identificarsi con la propria mente. La nostra società ci porta ad identificarci con gli strumenti.

Che cosa sono i 4 Talenti?

C’è il talento meditativo, quello devozionale, trascendentale e gnostico. Queste grandi strade presenti parzialmente in tutte le tradizioni vengono per la prima volta riunite in un’esperienza sapienziale unica  che è moderna perché viviamo nell’era dell’interconnessione. Prima, queste strade venivano proposte singolarmente a chi decideva di fare un percorso simile. Col Filo d’Oro invece tutti e 4 i talenti sono insieme.

Sono sequenziali o contemporanei?

Sono insieme econtemporaneamente in tutto il percorso anche se sono quattro chiavi. Il Filo d’Oro comprende un ciclo di nove mesi focalizzato nel Talento meditativo. Il secondo ciclo nel talento trascendentale, il terzo nel talento devozionale e il quarto nel talento gnostico. Tuttavia non sono sequenziali, ogni anno si fa esperienza di tutti i talenti insieme ma se ne comprende meglio uno in particolare. I talenti si compenetrano uno nell’altro.

Ci fa un esempio?

Sì. Prendiamo il talento devozionale. E’ portato all’estremo quando c’è un flusso profondo di amore tra amato e amante si trascende e non c’è più l’amato né l’amante ma solo amore. Le due entità sono fuse e, in quel momento non si può più parlare di devozione ma di trascendenza. La devozione, cioè viene trascesa per lasciare posto solo all’amore. Così, allo stesso modo il processo meditativo diventa trascendentale perché si va oltre.

Tutti hanno i 4 talenti?

Sì. Nasciamo con questi 4 sigilli. Il talento è un’inclinazione dell’anima. Nella parabola dei talenti ci viene insegnanto che tutti li abbiamo e che li abbiamo per svilupparli. Tuttavia, possiamo avere attitudini diverse nei confronti dell’uno o dell’altro. Ciascuno di noi può avere uno o più talenti più sviluppati rispetto agli altri. Si tratta di svilupparli tutti.

Quali sono le rinunce da fare per chi si avvia su questo percorso del Filo d’Oro? E ci possono essere rischi?

L’unica rinuncia è alla propria sofferenza e alla propria ignoranza. No, non ci sono rischi. Di sicuro sono allergico agli esaltati e le forme di esaltazione in tutte le loro forme mi preoccupano. Tendo, quindi, a selezionare le persone che lavorano con me. Devono avere i piedi per terra.

Quando ci si spinge molto in profondità si può venire a contatto con il dolore e con aree di noi stessi che non conoscevamo o che ci provocano disagio. Una volta toccati così a fondo, poi, non sempre sappiamo quali saranno le nostre risposte o reazioni. Come riesce ad accoglierle o gestirle in questi casi?

Quando si sceglie l’amore, sai che ti rivoluzionerà la vita. A un certo punto dovrai scegliere se di te stesso amare tutto e darti quell’amore incondizionato che cerchi negli altri. Quando ci si guarda dentro, c’è tutto: l’oscurità, le paure, l’odio più intenso, la disperazione. Solo quando ci si riconcilia e si accettano anche quelle parte di noi si comprende il valore dell’amore. Si tratta di compiere un atto di coraggio e di amore, di fare le valigie e mettersi in viaggio dentro se stessi. Ciò che ci attende non è solo oscurità ma anche amore, luce, pace e beatitudine. E’ importante una guida equilibrata in un contesto sano e che rispetti i propri ritmi e tempi. I valori del Filo d’Oro sono: umiltà, perseveranza, costanza, pazienza. Quando questi valori vengono applicati e sedimentati creano il contesto adatto per potersi spingere in profondità. Ho un rispetto totale per ciascuno e ciascuno deve trovare la sua dimensione e il suo tempo secondo le proprie esigenze. Quando si matura la vera necessità di conoscersi, tutte le paure scompaiono e si ha la certezza che non ci si può fare del male. L’indicatore che si sta lavorando bene è che si migliora come persona relazionale e come individuo sociale. Si è più felici e più centrati.Ci possono essere, sicuramente, momenti di crisi perché ci si denuda di fronte all’infinito.

Ci saranno molte persone, però, in cerca dell’anestesia…

Sì, la fuga. Tuttavia, questo succede di più nella Scuola del Perdono e nei seminari. Si può iniziare anche per motivazioni egoiche, certo. Cerchiamo noi stessi sapendo che dovremotrascendere noi stessi come ego. Un percorso di questo tipo non si fa per il benessere, non si fa per ricevere ma per donare. Si spiega all’inizio la natura del percorso a chi si avvicina. Se ci si vuole avvicinare o fuggire da se stessi e dalle proprie responsabilità, consiglio sempre di fermarsi per un po’ e riprendere in seguito.

Perché sembra tutto così complicato?

Non preocupparti della meta ma del viaggio e concediti il fatto di non capire e di sbagliare.

Ci spiega la sua collaborazione col Dott. Franco Berrino? Che relazione c’è tra alimentazione e pratica meditativa?

Nella Grande Via ci sono questi due aspetti, quello della meditazione e quello dell’alimentazione. Il Dott. Berrino sposa perfettamente il mio approccio alla meditazione che non è di tipo mercificativo ma, al contrario, basato su valori e attitudini autentiche e reali. Perciò gli effetti collaterali che sono quelli legati al benessere e alla qualità della vita, alla sfera emozionale e relazionale sono stabili e non ci sono estremismi o rigidità e settarismi. Si tratta di un approccio autentico e dal mio punto di vista necessario in questo momento evolutivo, con tutta la sofferenza e la confusione che le persone sentono da ogni punto di vista.

Si può finire per innamorarsi di se stessi invece che imparare ad amare se stessi? Con la conseguenza poi, come in molti innamoramenti, di restare profondamente delusi?

Molte persone credono che il percorso di realizzazione profonda del sé sia un percorso egoistico. Cioè di una persona asociale, che si chiude in se stessa e che si innamora di sé con il rischio, come dici, di rimanere delusa. E’ una delle possibilità, una delle trappole del percorso di consapevolezza ma non appartiene alla ricerca autentica. Non si tratta di innamoramento. L’innamoramento è uno stato alterato di coscienza. Noi ci innamoriamo delle nostre necessità e proiettiamo verso un’altra persona le nostre esigenze e i nostri desideri più occulti e profondi: la necessità di essere accuditi e amati, quella di essere genitori, di avere un rapporto esclusivo o di essere addirittura adorati. O proiettiamo sugli altri le nostre mancanze e le nostre paure. Per quello ci innamoriamo degli altri. Ci innamoriamo delle nostre necessità. Lo stato di innamoramento è illusorio e transitorio ed è uno stato di alterazione destinato a terminare e a riservare delle amarezze. Quando ci rendiamo conto che quella persona non è quella che credevamo che fosse, l’innamoramento passa. Ci rendiamo conto che su quella persona abbiamo proiettato aspettative che rimangono deluse ma quel processo illusorio l’abbiamo creato noi stessi.  Ci arrabbiamo con l’altra persona e non ci assumiamo quella responsabilità scaricando sull’esterno quel potere che invece dovremmo avere noi sulla nostra vita. Nel percorso del Filo d’Oro si parla di amore e non di innamoramento. E’ un percorso graduale che ci insegna a riconoscere quella parte di noi capace di farci tirare fuori il meglio di noi stessi da ogni situazione. Non si tratta di un flirt o di una relazione destinata a finire. La relazione più importante che abbiamo è con noi stessi ed è la relazione che dobbiamo celebrare con più attenzione. Il rischio di rimanere delusi esiste se noi rimaniamo in superficie. Non ho mai conosciuto nessuno che, dopo essere entrato davvero in profondità, che essendo riuscito a rendere quieta la mente e avendo  bucato gli stati ordinari di coscienza per immergersi nella consapevolezza dell’essere, sia mai rimasta deluso dalla sua natura profonda ed essenziale. Le caratteristiche intrinseche di questa natura sono sono state descritte allo stesso modo dai più grandi saggi e da tutte le tradizioni sapienziali: consapevolezza, felicità, gioia esistenziale, beatitudine. Il Filo d’Oro non è un dogma, non è una verità rivelata che bisogna accettare. Il ricercatore viene spinto a cercare su se stessi queste verità. Bisogna trovare il giusto contesto, la giusta indicazione, la giusta guida e la giusta attitudine interiore. Con questi ingredienti trasformiamo una mappa nel territorio stesso.

In che modo il percorso influisce sulla società? Inoltre, se non saremo tutti a intraprendere un percorso come questo, potrà esserci qualcuno, al di fuori, pronto ad utilizzare quella rivoluzione pacifica, silente e interiore a suo vantaggio e per scopi del tutto personali oltre che contrari a quello stesso principio. C’è questo rischio?

L’unico modo di trasformare la società è trasformare noi stessi. Tutti i grandi della Terra hanno detto questo. Gandhi ha detto: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Quando non vediamo amore è perché non stiamo dando amore e siamo confusi quando non apportiamo chiarezza. Dobbiamo partire dal senso di responsabilità individuale e dalla consapevolezza che più trasformiamo il nostro mondo interno, più avvengono cambiamenti  all’esterno perché la qualità delle nostre azioni e del nostro sentire avrà un impatto su di esso. Abbiamo la pretesa di cambiare leggi e governi sperando che le cose cambino. Ma sostanzialmente questo non avviene e sostanzialmente le cose si ripetono secondo schemi ciclici. Le guerre continuano ad esserci, sconvolgendo il pianeta, ad esempio. Il problema è comprendere bene e con chiarezza che prima di cambiare le leggi bisogna cambiare il livello di consapevolezza, di coscienza, di realizzazione di ogni essere umano. In questo modo si avranno leggi che saranno il prodotto di un altro livello di consapevolezza e che incideranno in modo diverso sui problemi che affliggono il pianeta. Deve essere una rivoluzione delle coscienze. Il Filo d’Oro parla di questo.  E’ da lì che deve partire un cambiamento epocale dalla radice del nostro sentire, da ciò che intimamente sentiamo di essere.  E’ lì che bisogna far avvenire il cambiamento e poi manifestarlo all’esterno come un semplice riflesso di una presa di coscienza profonda. Migliorando il livello di coscienza e consapevolezza degli individui, migliora anche la qualità delle loro relazioni e si abbassa il loro livello di conflittualità, aumenta il livello e la capacità di gestire lo stress e il conflitto nonché di creare relazioni felici in modo più incisivo. E la società è fondata proprio sulle relazioni individuali e collettive. E’ su questi tre livelli: relazionale, personale e collettivo che il Filo d’Oro agisce. Attraverso la relazione che abbiamo con noi stessi e con gli altri noi guariamo noi stessi. Tuttavia, questo avviene anche attraverso la relazione con la coscienza collettiva e cioè con la società intesa come prodotto del nostro livello di consapevolezza. Lo stesso discorso si può fare con la Morale e con l’Etica. L’Etica è il livello di coscienza da cui deriva la Morale e per Morale intendo l’insieme di regole prodotte a partire da una certa Etica. L’insieme di regole di una società derivano dal livello di consapevolezza che caratterizza quella stessa società. Il Filo d’Oro vuole rendere armonico il processo di trasformazione sociale e lavora a partire dagli individui che man mano che diventano consapevoli di se stessi passano al secondo livello relazionale. Le relazioni sono intese in modo molto più ampio: con se stessi e con gli altri ma anche con la morte, con la malattia, con la sessualità, con gli animali, con la natura, con l’infinito, con la vacuità e col silenzio. Quello che è importante è la consapevolezza della coscienza che gestisce la relazione. L’individuo consapevole è più portato a creare relazioni prospere, consapevoli e felici. Dopo il livello relazionale si passa a quello collettivo e alle dinamiche della coscienza collettiva, al senso di identità della collettività che viene costruito sull’identità consapevole dell’individuo. Quindi c’è un cambiamento sostanziale e viene fatto un lavoro interno e profondo completamente differente rispetto a quello dell’educazione attuale. Questo cambiamento può dare un nuovo senso all’essere umano. Esiste un livello di responsabilità  molto grande alla radice delle nostre idee perché dalle nostre idee nasce il nostro pensiero e da lì il carattere. Dal nostro carattere viene forgiato il nostro comportamento in base al quale noi creiamo il nostro destino. Siamo autori di ciò che ci succede. E’ più importante come gestiamo ciò che ci succede più che ciò che ci accade. Se il destino parte dalla radice del nostro pensiero e da ciò che crediamo di essere è importante una rivoluzione interiore nel processo di trasformazione sociale. Nelson Mandela e Gandhi hanno cambiato milioni di coscienze attraverso la scelta del perdono, dell’amore, della non violenza, della consapevolezza. Responsabilizzare gli individui significa renderli padroni della qualità del loro sentire, del lor pensare e dei loro processi emozionali. Pensiamo a un organismo fatto di cellule. Che importanza ha la salute di una singola cellula per l’intero organismo? Se fosse una cellula cancerogena che importanza avrebbe se non fosse sanata? Quella cellula potrebbe riprodursi e infettare l’intero organismo portandolo alla morte. E’ proprio come si sta comportando l’essere umano. L’uomo è diventato un tumore perché ha smesso di sentirsi parte della natura. Si sente separato. Ha smesso di dialogare con l’esterno. La cura è la consapevolezza e riprendere il dialogo soprattutto con se stessi. E’ dentro noi stessi che inizia il processo di trasformazione della società. Il Filo d’Oro educa alla consapevolezza, alla responsabilità, alla felicità, ma sono concetti diversi da quelli comunemente intesi perché trovano radici nell’esperienza di se stessi e non da concetti filosofici astratti o principi non applicabili nella vita di tutti i giorni. Il rischio di una strumentalizzazione, tuttavia, c’è. Guarda cosa è successo alla meditazione che è un processo che appartiene all’Essere ed è stato mercificato come qualcosa che appartiene al Fare. Viene utilizzata per ottenere benessere, guarigione, poteri, illuminazione. Non è stata compresa. E’ nella natura dell’essere umano travisare, sbagliare, utilizzare, mercificare. Uno degli aspetti più autentici e potenti del Filo d’Oro è quello di essere molto distante da quei percorsi che vendono la felicità. Oggi vengono vendute le pillole contro il male di vivere. Il Filo d’Oro è un insegnamento autentico e ti dice che evidenzierà tutto ciò che è presente nell’animo umano, dalla paura all’amore. Ciò che fa la differenza è come tu vivi queste cose, se le accetti, se le ami, se le ringrazi, se accogli la vita nella sua totalità. Ciò che fa la differenza è come tu reagisci rispetto a ciò che senti e a ciò che sei. Il filo d’Oro non appartiene alle logiche del Fare, del possedere e dell’ottenere ma a quelle dell’Essere. Le persone vengono spinte a discernere a partire dalla consapevolezza dell’essere e non per ottenere un risultato o conquistare qualcosa. Esse vengono spinte a sapersi dare, a condividere o ringraziare per il fatto di esistere. Per sua natura questo percorso deve la sua preziosità all’esperienza diretta della consapevolezza. Dalla quale arriva il discernimento. Quando la persona sperimenta la gratitudine, l’amore e la condivisione reale, tutto il resto passa in secondo piano. Le logiche egoiche, di convenienza, di arrivismo ci possono essere ma ci sono per essere pulite. E’ così preziosa la natura del nostro essere che di per sé crea pulizia e guarigione da queste dinamiche. Se poi qualcuno all’esterno non fa questa scelta e vuole mercificare questa cosa, è libero di farlo ma questo non toglie la mia responsabilità di celebrare la vita per quello che sento essere la sua autenticità più profonda. Anche le grandi religioni o i messaggi di grandi maestri spirituali sono stati, nella storia, travisati causando fiumi di sangue. Questo ci sospinge ancora più profondamente a celebrare con autenticità questi valori. A ciascuno il suo destino. Ciascuno ha il destino che sceglie e se sceglierà di travisare, lo farà con le conseguenze che questo comporta. Bloccare questo processo non ha senso. E’ come non vivere per paura di morire. Bisogna vivere una vita piena con coraggio, passione, amore, determinazione senza paura del fallimento. Bisogna rischiare, fallire e permettersi di sbagliare perché è attraverso l’errore che impariamo. Bisogna cercare di essere autentici e coerenti con ciò che si sente di essere e se si sbaglia non è un problema. La cosa importante è l’intenzionalità profonda che deve essere pura e pulita.

Per contattare la segreteria de Il Filo d’Oro: segreteriafdo@mylifedesignfoundation.org

Qui il prossimo seminario de Il Filo d’Oro

Qui la presentazione del percorso Il Filo d’Oro

Fonte: ilcambiamento.it/

 

 

 

Leggere in libertà, la rivoluzione si fa anche a suon di libri e (belle) parole

C’era tantissima gente lunedì sera alla Casetta Rossa, nel quartiere Garbatella di Roma, ad assistere all’incontro “Letture Partigiane” con Paco Ignacio Taibo II, Paloma Saiz, Jek Tessaro, Pino Cacucci, Erri De Luca, Gianni Minà e Federico Mastrogiovanni. Un’occasione per presentare il progetto della “Brigada para leer en libertad”, associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura in Messico. C’era tantissima gente ma, comunque, ne mancavano quarantatré…

Viviamo in una società dominata da analfabeti funzionali…”, sono le prime parole di Paco, scrittore, giornalista, attivista politico, “ma grazie ai libri e alla lettura un giorno torneremo liberi”. “E quel giorno tutti questi liberali, imperialisti, neocolonialisti, li vedremo scappare a gambe levate, in aereo, verso Miami”. Ci crede davvero Paco, perché lui è un ottimista, “a differenza di voi italiani, che siete sempre pessimisti! Ma sapete qual è la vera differenza tra un pessimista e un ottimista? Il dopo. Un ottimista si dispiace dopo. Un pessimista si dispiace prima, durante e dopo”.
Del resto, deve essere ottimista per forza chi decide di mettere in piedi un progetto come quello della Brigada para leer en libertad. Un’associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura nei luoghi più periferici, abbandonati e degradati di città del Messico.IlCambiamento_IMG_7701

Pensavamo di non durare più di quindici giorni – racconta Paloma Saiz – e invece, attraverso i nostri programmi di fomento alla lettura, abbiamo stampato e regalato più di 500mila libri, abbiamo messo in circolazione più di 4milioni e mezzo di testi, abbiamo creato 39 biblioteche, con 18mila volumi a disposizione“. Tutto questo in cinque anni.
Cinque anni dedicati a sviluppare programmi di fomento alla lettura: presentazioni e festival letterari indipendenti; laboratori per la condivisione dei saperi; “tianguis”, ovvero bancarelle di libri nei luoghi pubblici di tutta Città del Messico; conferenze gratuite nei quartieri popolari e periferici; un progetto chiamato “Para Leer de boleto del metro” che ha messo in circolazione sulla metro di città del Messico 250mila testi che i viaggiatori possono prendere, leggere durante il tragitto e poi riporre alla fine della corsa.IlCambiamento_IMG_7700

E ancora, ci sono gli stendini di poesia: “Abbiamo degli stendini in cui appendiamo fogli di poesie, la regola è di prendere solo quella che si preferisce. Ovviamente, per scegliere prima si devono leggere tutte”, ci spiega Paloma. “Un giorno una signora quasi analfabeta impiegò un pomeriggio intero per leggere tutte le poesie appese – prosegue Paco – alla fine ne scelse una: M’illumino d’immenso. Sorrisi pensando che la scelta era stata fatta perché era la più corta. No, mi disse lei, è quella che mi è piaciuta di più”. Il riscontro che ha ottenuto questa associazione è incredibile: “Si formano code lunghissime alla fine di ogni presentazione, per avere libri gratis. Spesso ci tocca dire che non ci sono libri per tutti. Ma le persone si mettono in fila comunque – spiega Paco –una volta  mi sono accorto che una signora aveva in mano due testi. Avevamo detto massimo uno a famiglia! Non potevo permetterlo. Cercai di farmene ridare uno. Mi morse un dito!“.
Il potere della scrittura!IlCambiamento_IMG_7705

PS: Quei quarantatré sono gli studenti della Escuela Normal Rural “Raul Isidro Burgos” del municipio di Ayotzinapa, a Iguala nello stato del Guerrero, in Messico, che dal 26 settembre scorso sono desaparecidos. Sono i protagonisti dell’ultimo libro di Federico MastrogiovanniNi vivos ni muertos, presentato proprio ieri sera. Ma sono anche tutte quelle persone sparite all’ombra di una strategia del terrore funzionale a troppi interessi. 30.000 negli ultimi nove anni.

Fonte: ilcambiamento.it

Naomi Klein in Italia, fa autocritica e indica la nuova battaglia: i cambiamenti climatici

Naomi Klein torna in Italia dopo il tour del 2008 e ne approfitta per fare autocritica e spiegare che a volte dire qualche si aiuta a ottenere i no. Naomi Klein è in Italia con Rizzoli per presentare Una Rivoluzione ci salverà: il capitalismo non è più sostenibile. Durante queste prime presentazioni c’è stata l’occasione di confronto con i lettori che in affollatissimi meeting le hanno posto le più svariate domande. Il suo primo saggio No Logo ha rappresentato per tutti i movimenti mondiali di rottura del blocco economico imposto dalle multinazionali, una sorta di bibbia da seguire, che in virtù del No imponeva la propria volontà nell’affermare l’autodeterminazione dei cittadini e dei consumatori. Oggi abbiamo i movimenti No TavNo Muos, No Expo che rappresentano quella volontà che parte dal basso, come dicono gli americani grassroots, che chiede che non si prendano decisioni senza un adeguato coinvolgimento delle persone che rientrano per territorio e responsabilità nelle dirette conseguenze che quelle scelte imposte dall’alto andranno a comportare.Canadian author Naomi Klein annouces the

Dice Naomi Klein:

Partiamo dal titolo del libro: Questo cambia tutto (in originale in inglese: This change everything Ndr). Quando parliamo di cambiamenti climatici bisogna proprio partire da questa premessa. Siamo andati oltre il punto dove non esistono opzioni. Se vogliamo andare avanti facendo finta di niente, se vogliamo mantenere l’atteggiamento del business as usual, stiamo percorrendo una strada che ci porterà verso un aumento delle temperature globali dell’ordine di 4 gradi Celsius e questo cambierà tutto, perché cambierà il mondo fisico al quale siamo abituati e questo mondo diventerà irriconoscibile e incompatibile con l’andare avanti di una società organizzata. Anche in Shock doctrine avevo parlato di cambiamenti climatici, in quanto mi sono occupata in quel libro di disastri naturali.

E poi fa autocritica:

Non è più sufficiente dire no, non basta rimanere sempre in una posizione di opposizione, bisogna saper dire anche dei sì. Insomma il movimento che si batte contro il riscaldamento globale deve saper proporre delle alternative. In pratica deve saper dire dei sì a quei modelli che sappiano dare opportunità di lavoro. L’obbiettivo della strategia dev’essere quello di diventare coalizione più forte. Bisogna che la nostra battaglia si trasformi da economica a morale. Il problema che dobbiamo superare equivale, come impegno e dimensioni, a quella per l’abolizione della schiavitù.

Parole queste che certamente peseranno sui movimenti negli anni a venire.

Fonte:  Gazzetta di Mantova

© Foto Getty Images

Londra, la più grande pista ciclabile d’Europa: l’annuncio di Boris Johnson

Boris Johnson, sindaco di Londra annuncia che la più grande pista ciclabile d’Europa sarà costruita proprio nella sua città. Boris Johnson, sindaco di Londra ha annunciato il via libera alla pista ciclabile più lunga e protetta d’Europa ovvero il progetto Crossrail for the bike. D’altronde la promessa è stata fatta in campagna elettorale e andava mantenuta perché come ha ammesso lo stesso Johnson si sarebbe poi verificato un “suicidio elettorale”. Il progetto prevede due autostrade per biciclette che si incrociano al centro di Londra (da nord a sud da King Cross a Elephant and Castle e da est a ovest da Barking a Acton) il cui progetto ha ricevuto l’84 per cento su 21.500 risposte, nella consultazione pubblica e la costruzione inizierà il prossimo mese di marzo con un budget di 900 milioni di sterline. Le piste ciclabili a due vie saranno separate dal traffico motorizzato, che corre lungo il Victoria Embankment e attraverso Parliament Square.londra-pista-ciclabile-2

Questa settimana i parlamentari hanno anche approvato la cycling and walking investment strategy come un emendamento al Infrastructure Bill, che giuridicamente obbliga il governo a creare un piano a lungo termine per stimolare il ciclismo in tutta la Gran Bretagna e per creare un budget dedicato alla sua attuazione. Alla domanda se i partiti politici dovrebbero impegnarsi in finanziamenti significativi per il ciclismo per il resto del paese nei loro programmi, il sindaco di Londra ha risposto

Sì, assolutamente. Sono sicuro che sarà anche nei programmi dei conservatori. Altre partiti possono suicidarsi, se vogliono, omettendo la promozione della bicicletta.

Un sondaggio YouGov scorsa settimana ha mostrato che due terzi degli elettori urbani sostiene gli investimenti nel ciclismo tanto che il sindaco Johnson ha aggiunto:

Abbiamo bisogno di una rivoluzione in bicicletta in tutto il Paese nel suo complesso e credo che dovremmo guardare in maniera molto più approfondita a un di collegamenti per tutta la Gran Bretagna. I londinesi lo hanno sempre sognato per anni, la gente vuole andare in bicicletta in maniera sicura e in un ambiente protetto e abbiamo avuto modo di farlolondra-pista-ciclabile-1

Ogni percorso avrà una capacità di 3.000 ciclisti all’ora, pari a 41 autobus a due piani o a cinque treni della metropolitana completi all’ora. I piani andranno al consiglio TfL per l’approvazione definitiva la prossima settimana, mentre il Bill Infrastructure andrà alla Camera dei Lord nel prossimo mese prima di ricevere l’assenso reale.

Fonte:  The Times
Foto | Vivi Londra@facebook

Auto a idrogeno, con 37 mln di euro la rivoluzione dell’idrogeno finanziata da Londra a Bolzano

110 nuove auto a idrogeno da Londra a Bolzano per la rivoluzione dell’idrogeno finanziata con 37 milioni di euro

La FCEV per ora concept car di Honda alimentata a idrogeno debutterà nel 2016 a Londra assieme ai modelli di BMW, Daimler, Hyundai e Toyota grazie a un accordo sottoscritto con le case automobilistiche e voluto dal sindaco Boris Johnson. L’accordo rientra nell’ambito del progetto HyFive – Hydrogen For Innovative Vehicles con cui le cinque case automobilistiche e la Greater London Authority mettono in campo 37 milioni di euro per l’espansione delle auto a idrogeno. L’obiettivo è incentivare la produzione di vetture a idrogeno e stazioni di ricarica e coinvolge Londra, Copenhagen, Svezia meridionale, sud della Germania, Austria e Nord Italia con in testa la provincia di Bolzano. Le 5 diverse case automobilistiche produrranno un totale di 110 veicoli a celle a combustibile che saranno distribuite tra Bolzano, Copenaghen, Innsbruck, Londra, Monaco e Stoccarda entro il 2015, anno in cui alcuni dei produttori del partenariato avranno iniziato presentare sul mercato europeo alcuni modelli di auto a idrogeno. Un vantaggio per la nuova tecnologia è dato dal fatto che le stazioni si divideranno il carburante concordato a livello internazionale così come gli standard di rifornimento. Tutti i partner del progetto usano questa occasione per acquisire le conoscenze che puntano a dimostrare la fattibilità di veicoli a idrogeno. Partecipano in totale 15 aziende tra cui Air Products, Copenhagen Hydrogen Network, ITM Power, Linde, OMV, Element Energy, PE INTERNATIONAL, Institute for Innovative Technology e European Fuel Cell and Hydrogen Joint Undertaking (FCH JU).progetto-idrogeno-620x350

In totale a Londra dal 2016 ci saranno 50 nuove vetture a idrogeno costruite oltre che da Honda anche da Hyundai e forse Toyota. Ha detto Boris Johnons primo cittadino londinese:

Per vendere questa tecnologia abbiamo bisogno di dimostrare ai londinesi e al resto del mondo che non è fantascienza. Lo faremo con la costruzione dei veicoli e delle stazioni di rifornimento per dimostrare che l’idrogeno è una valida opzione e che Londra è in prima linea negli sforzi per renderlo popolare.

Fonte:  ConsoGlobe, in auto news Pocket Lint London City

Foto | Hydrogen London

Il maiale non fa la rivoluzione. Manifesto per un antispecismo debole

Con “Il maiale non fa la rivoluzione – Manifesto per un antispecismo debole” (Sonda 2013), il filosofo Leonardo Caffo ci rende partecipi del dibattito antispecista grazie ad una esposizione brillante e scorrevole dei temi antispecisti e invita il lettore ad essere, in qualche modo, egli stesso protagonista di questa rivoluzione.copertina_maiale_rivoluzione

Prendendo le sembianze di un giovane maialino, e trasformando dunque la sua mano in una zampa con tanto di zoccolo, in questo accattivante testo il filosofo Leonardo Caffo invita il lettore ad una serie di esperimenti mentali e concettuali – usando i paradigmi della filosofia e dell’etica analitica – mirati innanzitutto a presentare un altro mondo, una realtà diversa vista attraverso gli occhi del totalmente altro, ovvero dal punto di vista degli animali non-umani. Ciascun individuo, a prescindere dalla sua morfologia, è “rappresentante di una specie” e, a meno che egli non porti malformazioni o problemi di sorta, è “portatore di tutta una serie di abilità aggiuntive grazie a cui la sua sfera personale, in quanto unica e irripetibile, risulta essere ancora più ricca e complessa”. Ma l’essere umano, ponendosi ad un certo punto della storia come entità superiore rispetto alle altre specie animali, ha creato una scala di valori che colloca la sua intelligenza come parametro e punto di riferimento per determinare il valore della vita degli individui delle altre specie: in questo consiste, fondamentalmente, lo specismo. Eppure “ogni specie […] è un enorme contenitore di vite in grado di stupire per l’immensa gamma di qualità uniche che caratterizza ogni singola specie rispetto alle altre”. Di fronte a siffatta diversità, l’autore si chiede perché la capacità di “pensare il mio pensiero” dovrebbe essere “[…] moralmente più rilevante del lungo pene dell’armadillo o del volo sonnecchiante dell’albatro?”. La risposta che viene data, e dimostrata attraverso il ragionamento filosofico, è che non vi è alcun motivo logico, ma ci troviamo soltanto dinanzi ad una mentalità possibile – che si risolve in una prassi violenta e istituzionalizzata come nelle realtà dei macelli ad esempio – e per di più modificabile. Sta a noi essere fautori di questo cambiamento per la liberazione di questi soggetti, attraverso una riformulazione dell’etica animale e del nostro relazionarci con la realtà in senso lato. Proprio a tale scopo, con Il maiale non fa la rivoluzione – Manifesto per un antispecismo debole (Sonda 2013), l’autore ci rende partecipi del dibattito antispecista grazie ad una esposizione brillante e scorrevole dei temi antispecisti e invita il lettore ad essere, in qualche modo, egli stesso protagonista di questa rivoluzione mettendolo nelle condizioni di ripensarsi, e ripensare la realtà, con nuovi paradigmi, calarsi nei panni del totalmente altro, come il maiale che scrive le pagine di questo libro. Passando dunque in rassegna le definizioni che dello specismo hanno dato le varie “teorie classiche” dai padri fondatori del movimento antispecista come Richard Ryder, Peter Singer, Tom Regan, fino ad oggi, Caffo rivisita tutti gli approcci che in qualche modo hanno analizzato, anche con punti di vista opposti, questo oggetto di studio. In tal modo arriva a tracciare la struttura epistemica del suo pensiero, portando alla discussione in corso tra gli specialisti un contributo importante. L’antispecismo debole, infatti, non solo confuta lo specismo sul piano etico, dimostrando come ogni forma di reificazione dell’alter risulta fallace sul piano logico-analitico, ma inoltre, a differenza di quegli approcci antispecisti che ancora conservano un “cripto-antropocentrismo”, conferisce all’animale un ruolo centrale nella battaglia antispecista, animale in quanto soggetto e protagonista assoluto dell’etica di questo “giovane” movimento, pensiero riassumibile nella frase gli animali innanzitutto!Usando le parole del filosofo “[…] se oggi mi chiedessero a cosa serve la filosofia, almeno quella morale, io, forse sbagliando, forse peccando di presunzione, non potrei non rispondere che serve a liberare ogni singolo animale sfruttato per motivi non necessari e, spesso, irrazionali. Il maiale non fa la rivoluzione, tocca a noi farla per lui”.

Fonte: il cambiamento