Juri Chiotti, lo chef stellato che ha cambiato vita per la montagna

Juri Chiotti è uno chef stellato che ha deciso di cambiare vita e tornare alle sue origini: le Alpi piemontesi. Tra questi monti, dopo anni di esperienze in Italia e nel mondo, ha ora dato vita al ristorante agriturismo “REIS Cibo Libero di Montagna”. Oggi Juri non vive solamente in cucina: si occupa anche dell’orto e degli animali perché, come ha scoperto, agricoltura, allevamento e cucina sono profondamente legati. Il suo nuovo sogno? il recupero del borgo di famiglia.

Uno chef stellato Michelin decide di cambiare vita e molla il suo lavoro per trasferirsi a duemila metri di altitudine, per gestire un rifugio tra le montagne in cui è nato. Dopodiché apre un agriturismo e un ristorante, REIS Cibo Libero di Montagna, con l’obiettivo di recuperare e rivalorizzare un borgo semi-abbandonato. Non è la trama di un romanzo d’avventura e nemmeno le gesta di un supereroe, ma parte della storia di Juri Chiotti, che incontriamo a Frassino in piena Valle Varaita in provincia di Cuneo, nel suo “REIS Cibo libero di Montagna”, un agriturismo e ristorante dove Juri sta cercando di portare avanti il suo percorso: avvicinare sempre di più la cucina all’agricoltura e all’allevamento per valorizzare le proprie origini e la montagna.

Al nostro arrivo a REIS ci colpisce una bandiera: “Ti posso chiedere un favore? Riprendila con la videocamera. Ne vado fiero”. Si tratta della bandiera dell’Occitania, un’area storico-geografica che comprende diverse vallate alpine piemontesi, liguri e francesi: una di queste è la Valle Varaita, dove ci troviamo. Juri ha quasi trentatré anni ed un percorso di vita già caratterizzato da traguardi importanti. Di professione nasce cuoco ed esercita in diversi ristoranti in giro per l’Italia e nel mondo, ed a venticinque anni raggiunge l’importante traguardo della Stella Michelin, per due anni di fila, mentre lavora in un ristorante di Cuneo. Ma non era quello il mondo dove Juri voleva vivere e lavorare: “Non posso essere ipocrita, per me è stato un traguardo importante e l’esperienza nei vari ristoranti mi ha formato tantissimo. Ma volevo qualcos’altro: già allora, nel ristorante, cominciavo a sperimentare e a proporre piatti tipici provenienti dalle mie montagne e il richiamo si faceva sempre più forte”. 

Da qui la decisionedi lasciare il lavoro come cuoco e accettare una sfida importante:gestire il rifugio Meira Garneri, nel comune di Sampeyre in provincia di Cuneo,a pochi passi da casa sua, accessibile nei mesi invernali solamente inmotoslitta. “Il rifugio si trova a milleottocentocinquanta metri e sono rimastolì quattro anni. Un’esperienza che mi ha donato tantissimo e che considero l’iniziodel mio percorso che mi ha condotto fino a qua. Innanzitutto tramite questaesperienza sono tornato a casa, e poi ho capito ciò che amavo veramente:mettere al servizio del territorio il mio lavoro e la mia esperienza,realizzare qui in montagna qualcosa di significativo. Non poteva esistere Reissenza questo passaggio”.

REIS: cibo libero di montagna

Nel novembre 2016 Juri ha lasciato il rifugio. Uno dei motivi è la nascita delle sue due figlie (“logisticamente si faceva davvero difficile…”), ma l’altro motivo era la voglia di ricominciare con un nuovo progetto personale legato alla sua professione di cuoco. Viene così a conoscenza di una baita di mezza montagna nel comune di Frassino e se ne innamora: “In più di un mese mi sono concentrato nella pulizia e nelle migliorie del luogo e nell’aprile del 2017 siamo partiti”. 

REIS Cibo Libero di Montagna è oggi un agriturismo con un ristorante di trenta posti, l’orto, un pollaio e un gregge di circa trenta ovini (capre e pecore), che si pone l’obiettivo di far avvicinare i mondi della cucina, dell’allevamento e dell’agricoltura, che secondo Juri si sono allontanati negli ultimi decenni: “Ho fatto in modo che si realizzasse l’ambizione di fare ciò che mi riusciva meglio, cioè cucinare, in un luogo che conoscevo come le mie tasche. Qui so dove andare a cogliere le erbe spontanee nei campi, i boschi dove raccogliere i funghi, i fornitori e i produttori affidabili. In questa maniera riesco a vivere direttamente tutto il processo legato al cibo, non a vivere la cucina come un ambiente distaccato dalle materie prime che utilizza”.

La paura di aprire un’attività in un posto più isolato rispetto alla città non gli ha impedito di tentare il rischio: “Sono soddisfatto: è logico che aprire un ristorante in una valle a novecento metri di altezza non è la stessa cosa che aprirlo nel centro di una città, per quanto riguarda il bacino d’utenza. Però sono sempre stato convinto della bontà delle mie idee, la mia cucina piace, le persone arrivano e soprattutto non vivo solamente in cucina ma sto riscoprendo l’esterno, il mondo che ruota attorno ad essa e che ne è parte integrante allo stesso tempo. La cucina non è solo il piatto che ti porto, esiste tutto il discorso della filiera che è fondamentale ed è necessario ed importante che le persone siano consapevoli: ogni giorno miliardi di persone fanno scelte sul cibo che sono fondamentali per il nostro presente e il nostro futuro. È per questo che REIS,in futuro, avrà un occhio di riguardo sempre maggiore per la cucina vegetale: serviremo anche prodotti di origine animale, come facciamo ora, ma saranno sempre più da contorno e ulteriormente selezionati in base all’etica con la quale vengono prodotti. Sto capendo poi che bisogna collaborare, bisogna essere più soggetti per poter creare un’azienda sana in montagna”.

Il borgo Chiot Martin

Il Borgo Chiot Martin

Chiot Martin è un borgo di montagna che si trova a circa quindici chilometri da Frassino, nel vallone di Valmala, ed è il luogo di nascita del papà di Juri. Il futuro di Reis si intreccia al progetto dello chef di recuperare questo luogo e rivalorizzare le abitazioni presenti. Con un nuovo spazio anche per Reis.. ed un nuovo socio: “Stiamo lavorando ad uno spazio nuovo per Reis, che si lega al recupero del borgo di Chiot Martin. Un mio amico allevatore, Gian Vittorio Porasso, si sta unendo al progetto per fare di Reis uno spazio sempre più connesso all’ecosistema che ha intorno”. Gian Vittorio è un allevatore, con un centinaio di capre tenute a pascolo, ed un produttore di formaggi realizzati solo con latte crudo. Trasferirà il suo pascolo e la produzione a Chiot Martin, che diventerà parte integrante di Reis e del progetto di ristorazione. 

“Per reperire il terreno necessario ad allevare le capre stiamo cercando di creare un’associazione fondiaria, con l’aiuto del Professor Cavallero. Ci siamo inoltre rivolti, per il recupero degli abitati e la creazione del nuovo ristorante, ad uno sportello a Torino che si chiama ‘Vado a vivere in montagna’ e che si occupa di rendere sostenibili delle idee di ritorno in montagna, con la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati. Abbiamo presentato il progetto e cercheremo di reperire i fondi per fare tutto quello che è necessario per rendere reale il progetto, che ha come pilastro principale non solo il recupero di una borgata ma quello di un intero ecosistema, rivalorizzato grazie all’allevamento sostenibile e alla valorizzazione dei boschi. Un ritorno alla simbiosi tra natura e uomo, che un tempo qui in montagna si respirava a pieni polmoni”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/io-faccio-cosi-231-juri-chiotti-chef-stellato-ha-cambiato-vita-montagna/

Napoli, combattere la povertà alimentare con il cibo sprecato dai ristoranti. La ricerca dell’Università Federico II

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L’ateneo ha analizzato un modello innovativo di contrasto alla povertà alimentare favorendo l’incontro tra la domanda di cibo, proveniente dalle persone in difficoltà, e l’offerta di cibo, costituita dalle rimanenze alimentari della ristorazione

745 tonnellate di rifiuti l’anno. Questa la cifra dello spreco alimentare nel centro storico di Napoli, ovvero l’equivalente del peso di 75 camion. È quanto emerge dalla ricerca “Il contrasto dello spreco alimentare tra economia sociale ed economia circolare”, condotta dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli in collaborazione con QUI Foundation, la Onlus sostenuta da QUI! Group impegnata dal 2008 nella lotta allo spreco alimentare, e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI).  L’indagine è stata realizzata nell’ambito del progetto “Campania Differenzia” promosso dal Ministero dell’Ambiente e da ANCI ed è stata pubblicata dalla casa editrice Giappichelli. La ricerca è il frutto di un intenso lavoro di analisi avviato a maggio 2016, con l’obiettivo di sperimentare un modello innovativo di contrasto alla povertà alimentare e allo spreco in un’ottica di economia circolare, favorendo l’incontro tra la domanda di cibo, proveniente dalle persone in difficoltà, e l’offerta di cibo, costituita dalle rimanenze alimentari della ristorazione. Una delle attività svolte nell’ambito del progetto ha riguardato la stima quantitativa e qualitativa degli avanzi alimentari prodotti dalla ristorazione nel centro storico di Napoli, dove la presenza di esercizi commerciali è più elevata.
L’indagine è stata effettuata su un campione di 984 attività di ristorazione, tra cui ristoranti, mense, bar, pasticcerie e gelaterie. I dati raccolti mostrano che il 70% del cibo sprecato è rappresentato da prodotti invenduti che potenzialmente possono essere ancora consumati. Sulla base dei dati analizzati, sono state individuate le Onlus presenti sul territorio più adatte per effettuare la raccolta e distribuzione del cibo, facendo incontrare la domanda e l’offerta in modo efficiente. Per facilitare il trasporto degli alimenti, per esempio, si è cercato di mettere in contatto gli esercenti donatori con le Onlus geograficamente più vicine.  “Il progetto realizzato nel centro storico di Napoli vuole essere un reale aiuto per tutte le persone e le famiglie del territorio che vivono in condizioni di povertà alimentare”, commenta il presidente di QUI Foundation Gregorio Fogliani. “La ricerca mostra che il cibo invenduto, ma ancora utilizzabile per l’alimentazione umana, nel solo centro storico di Napoli ammonta a 2,5 milioni di pasti, una cifra che consentirebbe di sfamare 3.000 individui l’anno. Oggi più che mai, quindi, è necessario fare squadra per creare un modello vincente di contrasto allo spreco. Il network che abbiamo creato con le Onlus e gli esercenti del centro storico di Napoli rappresenta un ulteriore passo verso il rafforzamento dell’economia circolare, da noi sempre sostenuta”. “L’Università Federico II di Napoli è lieta di aver condotto questa progettualità sperimentale dal carattere innovativo – ha dichiarato il Prof. Marco Musella, Ordinario di Economia Politica presso la facoltà di Scienze Politiche – ed è disponibile a continuare sulla strada iniziata con questa “ricerca-azione” mettendo in campo gli strumenti dell’indagine e le risorse, in particolare quelle umane, anche al fine di sensibilizzare la comunità accademica tutta sulla necessità di continuare ad agire”.  Lo spreco alimentare danneggia anche l’ambiente. La ricerca mostra che nel solo centro storico di Napoli lo spreco di cibo ammonta a 1,5 milioni di metri cubi di acqua, l’equivalente necessario a riempire 650 piscine olimpioniche, e a poco più di 1000 tonnellate di CO2. Il network realizzato rappresenta quindi un importante mezzo di intervento per ridurre l’impatto ambientale, oltre che la povertà alimentare sempre più diffusa oggi in Italia.

Fonte: ecodallecitta.it

Cibo buttato nei ristoranti: parte a Milano il progetto Ristorante Solidale

“Ristorante Solidale” nasce per destinare ai bisognosi le eccedenze alimentari provenienti dai ristoranti. Un’iniziativa del Comune di Milano, con Caritas Ambrosiana, i ristoranti affiliati a Just Eat e Pony Zero

E’ partita da Milano mercoledì la prima consegna di “Ristorante Solidale”, l’iniziativa patrocinata dal Comune di Milano, nata grazie alla collaborazione tra Just Eat, Caritas Ambrosiana e Pony Zero, per la consegna a domicilio di pasti caldi alle persone in difficoltà. Hanno presentato l’iniziativa a Palazzo Marino l’assessora alle Politiche per il Lavoro, Attività produttive e Commercio Cristina Tajani, con Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana, Daniele Contini, Country Manager di Just eat in Italia e Marco Actis fondatore di Pony Zero.

“Grazie a iniziative come questa, che vedono coinvolti i principali soggetti impegnati nel settore della somministrazione, Milano conferma la sua volontà di proseguire, dopo la positiva esperienza di Expo, nel percorso di incentivazione e promozione della lotta allo spreco alimentare con un occhio sempre attento alle persone in difficoltà”. Così l’assessora alle Politiche per il Lavoro, Attività produttive e Commercio Cristina Tajani.

Il progetto “Ristorante Solidale” nasce dalla volontà di fare qualcosa di concreto nell’ambito delle necessità alimentari e di nutrizione per chi è in difficoltà e di mettere in connessione chi cucina con chi ne ha più bisogno, valorizzando il cibo e le eccedenze provenienti dai ristoranti. Sono stati 38 i pasti preparati mercoledì dai primi 10 ristoranti aderenti all’iniziativa e destinati a ciascun ospite delle 3 comunità di accoglienza scelte a Milano: “Pani e Peschi”, una casa per gli adolescenti milanesi che soffrono di disagi psichici – “Casa alloggio Centro Teresa Gabrieli”, casa accoglienza per pazienti affetti da HIV – “La Locomotiva”, comunità a dimensione familiare per minori. Immagine

Siamo ben lieti di accogliere questa iniziativa che ci consente di implementare ulteriormente la filiera per il recupero del cibo a fini di solidarietà, che abbiamo cominciato a realizzare in occasione di Expo Milano 2015, sollecitati dalla riflessione sull’ecologia integrale contenuta nella Laudato si’ di Papa Francesco. Da quell’esperienza era nato, da un’idea di Massimo Bottura e Davide Rampello, il Refettorio Ambrosiano e collegato ad esso una rete di mense, luoghi di accoglienza, empori che ridistribuiscono direttamente a chi ne ha bisogno le eccedenze alimentari prodotte nel territorio della diocesi milanese”, ha dichiarato Luciano Gualzetti, Direttore di Caritas ambrosiana. La tappa di Milano è la prima di un percorso che dovrebbe coinvolgere altre città, come Torino e Roma. Partner del progetto è la catena di consegna pasti a domicilio Just Eat, rappresentata mercoledì da Daniele Contini, Country Manager in Italia, che raggruppa numerosi ristoranti. Da una loro indagine, condotta su un campione di 500 ristoranti affilati a Just eat, è emerso che l’83% dei ristoranti ritiene lo spreco alimentare un tema importante e che il 77% dichiara di poter contribuire attivamente. Dai dati emerge inoltre che il 24% dei ristoranti butta via cibo ogni giorno, il 26% più di una volta alla settimana e il 50% una volta alla settimana; un trend negativo che evidenzia la necessità di sviluppare progetti e azioni concrete a supporto di una nuova cultura a contrasto dello spreco alimentare. Ancora scarsa, secondo il sondaggio di Just Eat, l’introduzione di misure per ridurre il fenomeno; la family bag è stata adottata solo dal 10% dei ristoranti oggetti dell’indagine, nonostante il 53% dei clienti la richieda; l’ottimizzazione della spesa dal 68% e la promozione di donazioni di pasti ai bisognosi dal 20%. In questo scenario l’iniziativa Ristorante Solidale è stata già positivamente accolta dai ristoranti, il 55% avrebbe infatti piacere ad aderire per contribuire a limitare gli sprechi e beneficiare delle agevolazioni previste dalla nuova normativa antispreco. L’87% dichiara di non sapere dell’esistenza di agevolazioni fiscali per chi è attivo nel limitare gli sprechi alimentari, infine il 35% degli intervistati si dichiara disponibile a ricevere maggiori informazioni sull’argomento; segno di una nuova sensibilità alla lotta agli sprechi. Tutte le informazioni sull’iniziativa, le modalità di adesione e le città attive, sono disponibili sul sito www.ristorantesolidale.it.

Fonte: ecodallecitta.it

MyFoody, la start up che coinvolge grossisti e ristoranti per contrastare lo spreco di cibo

MyFoody è una start up italiana ideata nel novembre 2012 che ha l’obiettivo di coinvolgere grossisti, imprese di ristorazione e piccole e grandi distribuzioni per far sì che il cibo “a richio”, (quello che non verrebbe immesso sul mercato o in eccedenza perché prossimo alla scadenza), venga venduto ad un prezzo più basso e accessibile a tutti381217

Contro lo spreco di cibo l’Italia continua ad essere un territorio ricco di idee innovative. Sorti negli ultimi anni, sono ormai numerosi i progetti che ambiscono a trovare soluzioni ad uno dei problemi più evidenti della società del consumismo: lo spreco, quello di cibo in particolare. Con lo scopo di contrastare il fenomeno è sorta poco meno di un anno fa una start up con base a Milano, dopo un periodo di incubazione a Firenze, dal nome MyFoody. Si tratta di una piattaforma e-commerce che dà la possibilità di comprare prodotti alimentari che altrimenti sarebbero sprecati ad un prezzo scontato. Il progetto è molto semplice e, a “popolare” concretamente la piattaforma, ci sono i prodotti in eccedenza, in scadenza o con difetti estetici di confezionamento che, come ormai è noto, sono una discriminante fondamentale per la vendita. Tutti questi prodotti alimentari, proprio grazie alla piattaforma, vengono “salvati” evitando che diventino rifiuto.

“MyFoody è un progetto che rientra nella Blue Economy o Economia Circolare – si legge sul sito www.myfoody.it-. Il principio fondamentale è quello secondo cui gli sprechi di un’attività diventano risorse di un’altra attività. Con MyFoody, infatti, gli attuali sprechi alimentari diventano risorse per l’intera comunità”. Già, perché grossisti, imprese di ristorazione o grande e piccola distribuzione, veri protagonisti del sistema, hanno la possibilità di cedere, grazie alla piattaforma, il cibo in eccedenza, dando la possibilità ad altri, privati ma anche organizzazioni non profit, di acquistare il cibo ad un prezzo scontato. “Perché pagare il prezzo pieno per un prodotto in scadenza? Perché buttare prodotti perfettamente commestibili ma vicini alla scadenza? E i prodotti con difetti di packaging, perché sprecarli?” Sono queste le domande che hanno ispirato nel novembre 2012 l’ideazione di questo progetto contro lo spreco alimentare.
Nel concreto la piattaforma funziona mediante un servizio di geolocalizzazione: gli utenti, in base al luogo in cui vogliono ricevere la spesa, vengono geolocalizzati e possono acquistare i prodotti della propria zona di riferimento.
La geolocalizzazione è un elemento fondamentale del progetto, perché l’obiettivo degli ideatori è quello di offrire un servizio di consegna a domicilio che sia anche ad impatto zero, usando per il trasporto, dunque, mezzi non inquinanti.
Il progetto, che vanta di essere stato selezionato tra le migliori star up europee vincitrice del Chest Project, ha ricevuto anche il patrocinio di Expo2015 e vinto il concorso per idee di impresa Alimenta2talent, che premia le migliori idee per innovare il modo di fare agricoltura riducendo gli sprechi.

Fonte: ecodallecitta.it

La pubblicità vegan che spacca gli Stati Uniti

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Lo spot “The Scarecrow” della catena di ristoranti messicani Chipotle scatena un dibattito per l’utilizzo del vegetarianismo per veicolare un brand che annovera nei propri menu anche la carne

In poco più di un mese la pubblicità in computer animation The Scarecrow della catena messicana di ristoranti Chipotle ha spaccato in due l’opinione pubblica. La storia è quella di uno spaventapasseri che lavora per la Crowd Food Incorporated, in una città distopica governata da grandi corvi meccanici. Lo spaventapasseri rappresenta il proletariato rurale che arriva nella città per lavorare. Il video di 3’22” è un viaggio nella coscienza dello spaventapasseri che prende atto della crudeltà degli allevamenti intensivi di mucche e di polli. Nella seconda parte lo spaventapasseri torna a casa affranto e inizia a cogliere i frutti della terra, a partire dal peperoncino che è il simbolo della nota catena messicana. E così decide di aprire un piccolo banco di cibi vegetariani campeggiato dalla scritta “Cultivate a better world”. In poco più di un mese la pubblicità è diventata un vero e proprio caso mediatico, totalizzando oltre 7 milioni di visualizzazioni, una cifra davvero altissima per una pubblicità. Sulla stampa americana si è aperto il dibattito. Se la morale vegana ha fatto breccia nel cuore degli spettatori più superficiali, non sono mancate le critiche di chi ha sottolineato come nei ristoranti Chipotle vengano serviti anche piatti di carne. Negli Stati Uniti i consumatori di carne rappresentano il 93% della popolazione. A differenza della dieta mediterranea, in cui la carne rappresenta una parte minoritaria della bilancia alimentare rispetto a cereali lavorati, frutta e verdura, negli Stati Uniti la carne è la base dell’alimentazione. I vegetariani e i vegani – fra cui va annoverata la cantante Fiona Apple che presta la voce a “Pure Immagination”, colonna sonora dello spot – sono appena il 7% della popolazione statunitense. E allora ecco alzarsi una levata di scudi contro lo spaventapasseri. Su Salon David Sirota ha criticato Chipotle che utilizza un’immagine vegetariana per vendere (anche) i suoi famosiburritos. Il sito Funny or Die ha ironizzato sulla logica mercantile perfettamente confezionata dalla catena di ristoranti messicani con una video-parodia. Ancor più ironico è l’attacco di Alexandra Petri su Washington Post: “Questa (pubblicità, ndr) non mi fa venire voglia di magiare da Chipotle. Mi fa venire voglia di rannicchiarmi in un coma vegano e non mangiare mai più”.

La critica a colossi come Mc Donald’s e Burger King è feroce, il prodotto – come dicevamo – è confezionato molto bene, con un’animazione strappalacrime e un fulcro del racconto più che nobile, peccato che per smascherare il trucco e una certa goffaggine del marketing, basti consultare il menu di un qualsiasi punto vendita Chipotle. Anche se dalla casa madre fanno sapere che la carne utilizzata nella catena è allevata secondo criteri di eticità e sostenibilità. Ma il messaggio che passa nel cartoon è che dallo spaventapasseri la carne non si mangia e ci sono solo colorate verdure. È il marketing, bellezza!

Fonte: Youtube

 

A Londra i rifiuti delle cucine alimenteranno una centrale elettrica da 130 GWh

Dai grassi e olii esausti di ristoranti e aziende alimentari della capitale inglese energia per 40mila edifici

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I rifiuti dei cibi cucinati in migliaia di ristoranti e aziende alimentari londinesi alimenteranno la più grande centrale elettrica a grasso del mondo. Ad annunciarlo sono state le due utility Thames Water e 2OC che incanaleranno grassi e olii esausti che attualmente finiscono nelle fogne per fornire energia alla rete nazionale. Trenta tonnellate al giorno di grassi e rifiuti oleosi verranno raccolte scongiurando i 40mila blocchi della rete fognaria che ogni mese costano 1 milione di sterline in operazioni di pronto intervento. Ciò garantirà più della metà dell’energia necessaria ad alimentare la centrale: il resto del combustibile verrà da olio vegetale, rifiuti e grasso animale. Costo dell’operazione? Oltre 200 milioni di sterline in 20 anni, con una spesa di 70 milioni di euro per la costruzione della centrale di Beckton, a est di Londra, che dovrebbe essere  operativa dai primi mesi del 2015. L’impianto produrrà 130 Gigawattora all’anno di energia elettrica rinnovabile, un quantitativo sufficiente per rifornire 40mila edifici di medie dimensioni.

Questo è un progetto win-win (una situazione in cui ci sono soltanto vincitori, che non scontenta nessuno, ndr): l’energia è rinnovabile, siamo coperti dalle oscillazioni dei prezzi dei mercati tradizionali delle energie non rinnovabili e affrontiamo in modo proficuo il problema degli accumuli di grasso nelle fogne,

spiega Piers Clark, direttore commerciale di Thames Water.

L’energia e il riscaldamento da noi prodotti da oli e grassi di scarto sono pienamente sostenibili: si tratta di un bene per noi, per l’ambiente e per i clienti,

ha aggiunto Andrew Mercer, chief executive di 2OC. Insomma, un progetto win-win in cui ambiente e portafoglio, una volta tanto, non sono in contrasto.

Fonte: The Guardian