Ecuador: scoperto accordo segreto con banche cinesi per trivellare l’Amazzonia

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Secondo un documento segreto scoperto dal Guardian, il governo dell’Ecuador sarebbe pronto a negoziare un accordo del valore di un miliardo di dollari con una banca cinese, per estrarre petrolio in un parco nazionale situato all’interno della foresta amazzonica. L’accordo manderebbe a monte anni di raccolte fondi e di lotte portate avanti dagli ambientalisti per la tutela della zona e i diritti degli indigeni. L’area interessata, il parco Yasuni, è infatti uno dei posti a maggiore biodiversità del mondo.

Trivellare la foresta amazzonica in cambio di un miliardo di dollari. È questo il presunto accordo che ha lasciato sgomenti tutti i gruppi che in questi anni si sono battuti per i diritti umani e della natura. Una proposta, fatta in totale segreto dalla Cina al governo ecuadoriano, che sarebbe stata smascherata dal Guardian. L’accordo riguarda una particolare area, chiamata Yasuni, che nell’ultimo periodo è stata oggetto di una pionieristica iniziativa, la Yasuni-ITT, pensata proprio per proteggere la foresta. La zona, infatti, è uno dei luoghi più ricchi di biodiversità che ci sono al mondo e sede di popolazioni indigene, alcune delle quali, i Tagaeri e i Taromeane, vivono ancora in quello che viene chiamato “isolamento volontario”.

L’area si trova di preciso all’estremità orientare dell’Ecuador, a 250 km dalla capitale e si estende per poco meno di 10mila kmq nella foresta pluviale in Amazzonia. Nel 1989 è stata nominata dall’Unesco riserva della biosfera.foresta-amazzonica

Purtroppo, in quella stessa area, nel 2007, furono individuati dei giacimenti petroliferi stimati in 800 milioni di barili. In quell’occasione, il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, lanciò l’iniziativa Yasuni-ITT, incentrata nel tentativo di salvare quel pezzo di foresta fluviale. Correa pretendeva in pratica che i paesi ricchi pagassero almeno la metà di quello che avrebbe generato la vendita del petrolio in dieci anni, cioè 3,6 miliardi di dollari, al fine di preservare quella parte del “polmone verde della terra”.

Ma, ad agosto dell’anno scorso, i fondi raccolti ammontavano solo a 13 milioni di dollari. Così, Correa decise di abbandonare il progetto, promettendo però di trivellare solo l’un per cento del parco. Il documento che il Guardian ha reso pubblico è arrivato quindi come un fulmine a ciel sereno per gli ambientalisti, perché sarebbe la dimostrazione che il governo ecuadoriano, invece, stava già contrattando in segreto con la China Development Bank. Secondo quanto si apprende anche da Il Fatto Quotidiano, che ha riportato la notizia, “l’accordo prevede un primo investimento di quest’ultima (della banca cinese ndr) di “almeno un miliardo di dollari” che andranno direttamente al “ministero delle finanze o a altra entità decisa dal governo ecuadoriano”.

Le ong coinvolte nell’iniziativa Yasuni sembra siano furibonde per la questione, visto che l’accordo sarebbe iniziato mentre ancora il governo cercava di recuperare fondi per salvare la foresta. Il presunto documento (attualmente non disponibile sul Guardian perché “temporaneamente rimosso dal sito in attesa di un’inchiesta”) porterebbe infatti il nome del ministro ecuadoriano in ogni pagina, nominando un accordo preliminare datato 2009. Purtroppo, ad oggi non si hanno altre notizie certe, anche perché il documento non è più visionabile. Ma se ciò si rivelasse corrispondere a verità, sarebbe una notizia terribile. Innanzitutto per la tutela della biodiversità e delle popolazioni locali e in secondo luogo perché, secondo un sondaggio, una grossa fetta (78-90%) degli ecuadoriani è contraria al trivellamento della regione. Sembra comunque che gli attivisti stiano provvedendo alla raccolta di 600mila firme entro il 12 aprile, per promuovere un referendum che blocchi tutto.

Fonte: ambientebio.it

Piemonte, Legambiente lancia l’allarme: “Manutenzione urgente nel 38,7% delle scuole”

Legambiente presenta Ecosistema Scuola, il rapporto annuale sulla qualità dell’edilizia e dei servizi scolastici. Crescono le pratiche sostenibili e l’uso delle fonti rinnovabili, ma ci sono ancora troppi edifici vecchi e privi di sicurezza377709

Peggiora la situazione dell’edilizia scolastica in Piemonte, in uno stato di permanente emergenza sul fronte degli interventi e della messa in sicurezza. Crescono rispetto ad un anno fa gli edifici che necessitano di manutenzione urgente: il 38,7%,oltre 14 punti sopra il dato dello scorso anno e un punto percentuale sopra la media nazionale del 37,6%. E’ quanto emerge dalla XIV edizione di Ecosistema Scuola, il rapporto annuale di Legambiente sulla qualità delle strutture e dei servizi della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado di 94 capoluoghi di provincia. Una fotografia che mostra quanto sia urgente intervenire in questo settore. “Ancora oggi non esiste un monitoraggio complessivo e sistematico dello stato di sicurezza delle scuole italiane ed Ecosistema Scuola è l’unico strumento di sensibilizzazione e informazione sulla qualità dell’edilizia e dei servizi scolastici -dichiara Francesca Gramegna, direttrice di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Per questo chiediamo che venga al più presto realizzata l’anagrafe dell’edilizia scolastica che attendiamo dal 1996, anno dell’entrata in vigore della legge 23 che la istituiva, e che venga data la possibilità agli enti locali di operare in deroga al patto di stabilità per investire sulla messa in sicurezza delle scuole stesse. L’anagrafe scolastica permetterebbe anche alle istituzioni di avere un quadro puntuale dei bisogni di intervento nelle scuole e quindi di orientamento della programmazione e degli investimenti. Dal rapporto abbiamo visto invece quanto gli interventi a pioggia e non programmati siano serviti ben poco. Per questo, Ecosistema Scuola si propone come stimolo politico, affinché l’edilizia scolastica diventi ambito prioritario d’investimento su cui puntare”. Anche quest’anno i dati confermano lo stallo in cui si trova la qualità del patrimonio dell’edilizia scolastica italiana, che fatica a migliorare nonostante gli investimenti siano ripartiti e sembrano essere per la prima volta più consistenti. In Piemonte è in aumento il dato sulla manutenzione ordinaria che presenta una media di investimenti di 11.863 euro per scuola a fronte dei 5.544 dell’anno precedente. In caduta libera, invece, gli investimenti per la manutenzione straordinaria: si passa dai 63.533 euro medi per istituto scolastico del 2011 ai 16.164 euro del 2012 (contro una media nazionale di 30.345 euro). Dalla fotografia di Ecosistema Scuola anche quest’anno si riconfermano in testa alla graduatoria nazionale le città capoluogo del centro nord. Svetta al primo posto in classifica Trento, seguito da Prato (2°) e Piacenza (3°). La prima piemontese in classifica è Verbania (7°) che, pur perdendo quattro posizioni rispetto all’anno scorso, si conferma nella top ten della graduatoria. Torino (13º) apre invece la graduatoria delle grandi città, in flessione rispetto allo scorso anno di due posizioni. Nelle prime 20 posizioni si collocano anche Biella (12º), Vercelli (18º) e Asti (20º), mentre Cuneo,Alessandria e Novara sono rispettivamente 34°, 35° e 63° in graduatoria. Con 5 comuni entro i primi 20, il Piemonte insieme al Trentino Alto Adige e all’Emilia Romagna è dunque tra le regioni capofila sulla qualità delle strutture e dei servizi. Un trend tuttavia in discesa rispetto allo scorso anno, con 2 comuni tra i primi 10 e 6 tra i primi 20 (Verbania 3°, Biella 18°, Torino 11°, Vercelli: 20°, Asti: 8°, Cuneo: 40°, Alessandria 13°, Novara 55°). Aosta invece, anche quest’anno, non risponde all’indagine di Legambiente in modo completo e non viene quindi inserita in graduatoria. Verbania è la città dove tutti gli edifici scolastici sono in possesso dei certificati di collaudo statico, di agibilità, di agibilità igienico-sanitaria, con impianti elettrici a norma e requisiti di accessibilità. Asti quella che investe mediamente di più in manutenzione straordinaria, Cuneo in ordinaria. Le scuole di Novara e Vercelli quelle meglio servite da scuolabus, mentre il pedibus è attivo ad Asti, Cuneo, Novara, Torino e Verbania. Sul fronte della raccolta differenziata sono Asti, Biella, Torino e Verbania le città dove negli edifici scolastici si pratica la raccolta di tutti i materiali. Rispetto alle energie rinnovabili, sono gli edifici scolastici di Asti e Vercelli quelli che ospitano maggiormente impianti solari fotovoltaici, mentre Torino è l’unica città con edifici dotati di impianti a biomassa.

Buone pratiche

Le scuole dei Comuni piemontesi risultano un’eccellenza sul fronte delle buone pratiche e dei servizi a disposizione. Il 66,3% degli edifici usufruisce del servizio di scuolabus, in tutte le mense vengono serviti pasti biologici anche se la media dei prodotti biologici nei pasti (50,6%) risulta sotto la media nazionale. Buono il dato sulle cucine interne alle mense, presenti nel 35,4% degli edifici, e quello sulla somministrazione di acqua del rubinetto (82,2%). Dati di eccellenza sul fronte raccolta differenziata che viene realizzata in tutte le scuole per plastica, vetro, carta, nel 93,7% per l’alluminio, nel 99,2% per l’organico, nell’ 80,% per le pile e nell’ 83,2% per toner e cartucce per stampanti. Sotto la media il dato sull’utilizzo delle fonti di energie rinnovabili pari al 7,2% contro il 13,5% della media nazionale. Tra gli edifici che utilizzano rinnovabili nel 3,1% sono presenti impianti solari termici, nel 90,6% solari fotovoltaici, nel 6,3% a biomassa (il Piemonte è la regione con il valore percentuale maggiore). La percentuale media di copertura dei consumi da rinnovabili è del 13,7 contro la media nazionale del 35,6.

Sicurezza e salute

Sul fronte della sicurezza quella che emerge è invece una fotografia in chiaroscuro. Da un lato il Piemonte si colloca sopra la media per i dati relativi alle certificazioni di collaudo statico (in possesso del 56,6% degli istituti), agibilità (79,8%), certificazione igienico-sanitaria (84,5%), impianti elettrici a norma (98,4%), requisiti di accessibilità (93,9%). Dall’altro, invece, sono negativi i dati sul fronte della prevenzione incendi: il 76% degli edifici scolastici è sprovvisto dei certificati di sicurezza. Dato, questo, di quasi 12 punti percentuali sotto la media nazionale. Rispetto all’esposizione degli edifici scolastici a inquinamento ambientale interno è da rilevare come il monitoraggio dell’amianto sia stato realizzato in tutti gli edifici scolastici della regione. La presenza di amianto è stata rilevata nel 14,2% degli edifici e nel 6,7% sono state realizzate bonifiche negli ultimi 2 anni. Ecosistema Scuola rileva inoltre che il 62,5% gli edifici sono stati monitorati per rilevare la presenza di radon e il gas è censito nel 0,4% delle strutture. Per quanto riguarda l’esposizione degli edifici a situazioni di rischio ambientale esterno, sono l’1% gli edifici in prossimità di elettrodotti, il 2,4% quelli vicino a emittenti radio-televisive, il 16% in prossimità di antenne cellulari. La maggior situazione di rischio è costituita dalla presenza dell’8,5% degli edifici scolastici tra 1 e 5 km da industrie, e il 2% da discariche. “Senza la pubblicazione dell’anagrafe scolastica -conclude la direttrice di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta Francesca Gramegna– non si ha accesso a quelle informazioni che consentono a studenti, genitori e lavoratori della scuola di conoscere lo stato dei singoli edifici. Solo in questo caso i docenti responsabili della sicurezza, potrebbero avere chiaro l’impegno che il loro ruolo comporta, senza dimenticare l’importanza di una formazione adeguata che li metta in condizione di segnalare le problematiche più evidenti agli esperti tecnici. Questione che diventa ancora più spinosa nel caso in cui, come afferma il ministro Delrio, le competenze in ambito dell’edilizia scolastica passino dalle Province ai Comuni: ogni eventuale cambiamento di competenza istituzionale deve avvenire perciò in maniera chiara, così come devono essere garantiti strumenti adeguati a quei docenti che si assumono la responsabilità di controllare che le scuole siano sicure”.

Fonte: ecodallecittà

Gassificazione sotterranea del carbone, rischi di contaminazione delle acque

Gassificando il carbone in situ, si riducono i rischi per i lavoratori, ma aumenta la possibilità di contaminazione delle falde, senza garanzie sulla riduzione delle emissioni di CO2Underground-coal-gasification-586x417

UCG sta per underground coal gasification, cioè gassificazione sotterranea del carbone. La tecnologia non è nuova vista che è stata proposta da Siemens nel 19° secolo e sperimentata in Unione Sovietica nella prima metà del 20°, prima dell’ampio  sfruttamento dei giacimenti di gas naturale. L’idea è effettuare una parziale combustione del carbone direttamente sottoterra, con iniezione di ossidanti (aria, ossigeno o vapore) da un pozzo e raccolta del syngas da un pozzo adiacente. Il syngas è formato da 27% di idrogeno, 6-7% metano, 27% CO2, 6% Co e il resto è vapore.  e Grazie alle alte pressioni presenti sotterra, la reazione si innesca spontaneamente e procede a temperature tra i 700 e i 1500 °C. In questo modo non è necessario estrarre il carbone fino alla superficie, riducendo tutti i rischi del lavoro di miniera (negli USA nel 20° secolo ci sono stati oltre 100000 morti per incidenti legati alle miniere di carbone), ma introducendo nuovi rischi di carattere ambientale. Il primo è la subsidenza del terreno che potrebbe generare attività sismica nella zona. Il secondo è la contaminazione delle falde acquifere. Un esperimento condotto di UCG dai laboratori Livermore a Hoe Creek nel Wyoming produsse una significativa contaminazione da benzene, potente carcinogeno e altri tentativi hanno prodotto problemi analoghi. Proprio in Wyoming la compagnia australiana Linc, vorrebbe avviare progetti di UCG, ma si sta scontrando con l’opposizione dei residenti e degli agricoltori. Le preoccupazioni non sono solo di tipo NIMBY, visto che questa tecnologia genera una notevole quantità di emissioni di CO2 e la cattura di queste emissioni non è possibile con le attuali tecnologie.

Fonte: ecoblog

Treno con scorie radioattive passa stanotte da Torino direzione Francia.

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Proprio nel giorno del secondo anniversario dell’incidente nucleare di Fukushima un treno con scorie nucleari attraverserà il Piemonte per dirigersi verso La Hague, in Francia, nel centro di stoccaggio delle scorie nucleari Cogema.

Legambiente non ha fatto attendere la replica:

Nella totale assenza di comunicazioni ufficiali da parte dei sindaci e delle prefetture, questa notte sarebbe prevista la partenza di nuovo treno carico di scorie nucleari. Un convoglio che da Vercelli raggiungerebbe La Hague in Francia, percorrendo tutto il territorio piemontese e coinvolgendo, tra le altre, le cittadine di Novara, Alessandria, Asti, Torino per poi raggiungere la Valsusa e il Frejus.

Per il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani

i cittadini ancora una volta, contrariamente a quanto previsto per legge, rimarranno ignari del pericolo e non informati sui piani d’emergenza per la loro messa in sicurezza. Davvero un modo paradossale di commemorare il secondo anniversario della tragedia nucleare di Fukushima.

All’Italia manca un deposito nazionale definitivo e, attualmente, l’unica soluzione è trasportare le scorie nucleari da un deposito all’altro (come, nello specifico, quello di Saluggia) per proseguire con riprocessamenti che rappresentano un rischio ambientale e dei costi notevoli.

Fonte: Comunicato stampa