Autismo e pesticidi, più rischi se a contatto con l’agricoltura

Nel 2014 i casi di autismo hanno riguardato 1 bambino su 68 negli Stati Uniti scavalvando la statistica del 2000 che ne aveva conteggiati 1 su 2000 bambini: perché questa crescita continua?

I casi di autismo tra i bambini sono decisamente aumentate dal 2000 a oggi e uno studio propone che questo incremento sia correlato allo sviluppo dei pesticidi. Ricercatori californiani hanno pubblicato lo scorso 23 giugno che evidenzia come una donna incinta che viva nei pressi di una azienda agricola in cui si utilizzano prodotti chimici subisca un un rischio del 66% di avere un bambino che sviluppi l’autismo. Ricordiamo che le vaccinazioni non sono ritenute dalla comunità scientifica, responsabili dei casi di autismo e che questa malattia si sviluppa già nel feto per cui si presume un difetto nello sviluppo della corteccia cerebrale. Ma cosa altera questo sviluppo? Un altro studio ha evidenziato il fatto che l’inquinamento da smog possa avere correlazione con lo sviluppo dell’autismo. In ogni caso gli scienziati dell’Università di Davis hanno affinato le loro ricerche concentrandosi sull’uso dei pesticidi in California prendendo sotto esame 1000 persone. La legge in California sui pesticidi è stringente e richiede di precisare il tipo di pesticida usato, quando e dove e in quale quantità.

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Ha detto Irva Hertz-Picciotto vice presidente del dipartimento di scienze e salute pubblica dell’Università:

Abbiamo constatato che diversi tipi di pesticidi sono stati utilizzati nei presi delle abitazioni dove i bambini hanno sviluppato autismo o ritardi.468867687-620x350

Circa un terzo dei partecipanti coinvolti nello studio vivevano all’interno di 1,25-1,75 km, dove sono stati utilizzati pesticidi e lo studio pubblicato sul Journal Environmental Health sebbene non stabilisca una diretta correlazione evidenzia il rischio elevato di manifestare autismo nei bambini se le mamme avevano subito un esposizione ai pesticidi nel secondo e terzo trimestre della gravidanza. La causa sarebbe da relazionare alla particolare sensibilità ai pesticidi del cervello del feto.

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Precisa Janie Shelton autrice principale della ricerca:

Questo studio convalida i risultati delle ricerche precedenti che hanno trovato legami tra autismo e l’esposizione durante la gravidanza a sostanze chimiche provenienti dall’agricoltura. Abbiamo notato che alcuni sottogruppi sono più suscettibili all’ esposizione ai pesticidi rispetto ad altri e il messaggio è molto chiaro: le donne incinte dovrebbero stare attente e evitare il contatto con sostanze chimiche usate in agricoltura.

Fonte:  Le Monde

Corea del Nord: riattivato il reattore di Yongbyon. Cosa si rischia

Secondo fonti diplomatiche russe, la riattivazione del vecchio reattore potrebbe provocare una grave catastrofe ecologica in tutta la penisola coreana175467745-586x390

In Corea del Nord è ripresa la produzione di plutonio. Un’immagine satellitare dello scorso 31 agosto ha dimostrato che il sito di Yongbyon in cui si produce il plutonio per gli armamenti ha ripreso l’attività. A dimostrarlo sarebbe il vapore bianco che – nell’immagine – fuoriesce dall’entrata dell’edificio che ospita le turbine a vapore e i generatori elettrici del reattore. A dare la notizia è stato l’istituto Usa-Corea della John Hopkins School of Advanced International Studies che ha notato l’anomala fuoriuscita di vapore dalla centrale che si conosceva come inattiva. Secondo il rapporto prodotto dall’ente di ricerca, il reattore è in grado di produrre 6 chili di plutonio all’anno. Glyn Davies, inviato speciale Usa per i diritti umani nella Corea del Nord ha dichiarato che, qualora la notizia venisse confermata, si tratterebbe di una violazione di una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Secondo un funzionario del Governo statunitense che ha chiesto l’anonimato, la quantità di vapore sprigionata suggerirebbe l’effettuazione di un test. Un’azione dimostrativa per chiarire che Pyongyang non abbandonerà il suo programma nucleare. L’Agenzia internazionale per l’energia nucleare non ha fornito alcun commento sulla vicenda. Alcune fonti diplomatiche russe non hanno nascosto la loro preoccupazione per l’attività del reattore di Yongbyon. Secondo quanto dichiarato dai diplomatici all’agenzia di stampa russa Interfax, i test potrebbero essere il preludio a un rilancio del piano di armamenti di Kim Jong-Un. Sempre secondo le fonti russe il rilancio della centrale sarebbe un reale pericolo per l’ambiente visti i suoi anacronistici sistemi di sicurezza e un eventuale incidente provocherebbe una catastrofe per la penisola coreana.

Fonte:  Asca

Uranio impoverito in Siria: ecco cosa si rischia

Secondo il presidente dell’Anavafaf, Falco Accame, in un eventuale attacco americano potrebbero venire scaricate sulla Siria 84 tonnellate di uranio impoverito671356-543x350

L’Asia è sempre stato il “laboratorio” nel quale gli Stati Uniti hanno collaudato i nuovi armamenti. Le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki nell’atto conclusivo della Seconda Guerra Mondiale, l’agente arancio, il napalm e altri agenti chimici in Vietnam poi, le armi con uranio impoverito in Kuwait e, successivamente, in Afghanistan e in Iraq. L’uranio ha lasciato un’eredità pesantissima, ma nonostante da oltre vent’anni i suoi effetti deleteri siano di dominio pubblico, il suo utilizzo continua a essere circondato da una cortina di fumo anche in virtù dei forti interessi economici che dalla sua commercializzazione vengono mossi. Ora che all’orizzonte si profila un nuovo conflitto nell’area mediorientale si torna a parlare del possibile impiego di armi con uranio impoverito. Secondo Falco Accame, presidente dell’Anavafaf (Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti) ed ex presidente della Commissione Difesa della Camera, in caso di attacco da parte delle forze armate statunitensi potrebbero piovere sulla Siria fino a 84 tonnellate di uranio impoverito:

Ognuno dei 280 missili Tomahawk, che dovrebbero essere utilizzati, contiene infatti 300 Kg di uranio impoverito negli impennaggi. Inestimabili i danni alla popolazione per i prossimi decenni. Cosa si aspetta a mettere al bando questo tipo di armi?

Già cosa si aspetta a mettere al bando queste armi. Una risoluzione dell’Onu datata 1978 aveva proposta di bandirle. E chi fu a proporla? Proprio gli Stati Uniti d’America che successivamente non firmarono i protocolli e usarono questo materiale altamente contaminante nei conflitti degli anni Novanta e del primo decennio del nuovo millennio.

Fonte:  Ansa

 

OGM: “subito decreto o contaminazione inevitabile”

Troppi ritardi nella pubblicazione del decreto contro il mais OGM in Italia firmato il 12 luglio scorso. È quanto denuncia Greenpeace che ha pubblicato ieri un briefing che riassume i principali rischi legati alla coltivazione del mais geneticamente modificato della Monsanto.mais__ogm8_

Il decreto interministeriale che vieta la coltivazione di mais OGM in Italia – firmato dopo tanti proclami dai Ministri De Girolamo, Lorenzin e Orlando il 12 luglio scorso – non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale quindi, in pratica, non esiste. Per ricordare al Governo l’urgenza di varare tale provvedimento Greenpeace ha pubblicato ieri il briefing “MON810. Una storia di mais, farfalle e rischi inutili”, che riassume i principali rischi legati alla coltivazione del mais OGM della Monsanto. “La firma del decreto doveva segnare la fine di un periodo di incertezza normativa e una riaffermata garanzia di tutela per consumatori e agricoltori. Purtroppo, si sta trasformando in una beffa nei confronti degli italiani – afferma Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace – anche perché nel frattempo i due campi seminati con mais MON810 in Friuli stanno giungendo a fioritura. A quel punto sarà difficile arginare la contaminazione dell’ambiente e delle coltivazioni adiacenti”. Il mais Bt, compreso il MON810, è un rischio evidente per l’ambiente e per i sistemi agricoli, non solo in Italia, ma in tutta Europa. L’adozione di misure d’emergenza per bloccarne la coltivazione nel nostro Paese è solo un primo passo. L’esperienza del mais Bt, e del MON810 in particolare, mostra che troppi “effetti indesiderati” sono stati scoperti dopo che le autorizzazioni sono state concesse. Gli OGM sono un rischio inutile e inaccettabile, non offrono vantaggi significativi a nessuno se non alle aziende che li brevettano. “È incredibile e inaccettabile che, dopo aver traballato a lungo sotto l’evidente incombenza di una potentissima multinazionale straniera, il Governo italiano sia adesso bloccato e non si riesca a far pubblicare il Decreto. Chi vuole tutelare? Gli italiani, rappresentati all’unanimità dai parlamentari di Camera e Senato che hanno chiesto di bloccare la follia degli OGM, o gli interessi della Monsanto? Siamo stanchi di ripeterlo: il decreto interministeriale deve essere pubblicato subito e i due campi in Friuli decontaminati, senza perdere altro tempo”, conclude Ferrario. Il decreto interministeriale concede alle Regioni diciotto mesi di tempo per definire le necessarie misure per assicurare la “coesistenza” tra mais tradizionale e mais OGM. Il briefing diffuso oggi da Greenpeace ricorda i rischi del MON810 e conferma che la “coesistenza” (una chimera che la stessa Commissione Europea sa perfettamente essere irrealizzabile) non può voler dire altro che gli OGM non hanno cittadinanza in un sistema agricolo come quello italiano che punta sulla qualità.

Fonte: il cambiamento

Alle Hawaii i pesci mangiano plastica: i rischi per l’uomo

Nelle isole Hawaii il 19% dei pesci catturati presenta residui plastici nell’organismo. Risalendo la catena alimentare potrebbe danneggiare anche l’uomo 88613690-586x374

Uno se le immagina come isole ricolme di frutti e fiori, oasi di natura incontaminata, sfiorate appena dal progresso. Nulla di tutto ciò: alle Hawaii i pesci mangiano plastica e tali quantitativi plastici ingeriti dai predatori, sarebbero in grado di mettere a rischio la salute dell’uomo. Un’equipe di ricerca ha analizzato il contenuto dello stomaco di 600 pesci catturati nel corso degli ultimi sei anni, scoprendo come in sette specie di predatori su dieci siano presenti residui plastici. Non tutti, però, sono colpiti dal ”fenomeno” allo stesso modo: i ricercatori hanno infatti trovato plastica nel 19% dei pesci catturati. La specie con la maggiore quantità presente nello stomaco è l’Opah, conosciuto anche come Pesce Luna, mentre altre specie quantitativamente più numerose, sono risultate meno esposte, su tutte i tonni. Gli effetti dell’ingestione di plastica sulla salute di questi pesci predatori e sugli esseri umani che se ne nutrono restano ancora incerti, ma i risultati dello studio non lasciano dubbi sulla gravità del fenomeno:

I pesci lungo tutta la catena alimentare ingeriscono nel corso della loro vita una qualche forma di inquinamento da plastica,

rilevano i ricercatori americani. Il problema non è limitato all’oceano Pacifico. In un recente rapporto dell’agenzia federale dell’Ambiente tedesca e della Commissione Ue, è stato reso noto come tre quarti della spazzatura che si trova in mare sia plastica, tra cui soprattutto teli, buste e cassette per il pesce di polistirolo. Ovviamente dal fenomeno non si salva neanche il Mediterraneo in cui, come riporta lo stesso studio, la quota di rifiuti di plastica presenti supererebbe l’80%. Qualche anno fa Legambiente aveva addirittura lanciato l’allarme per l’insorgenza, al largo dell’Isola d’Elba, di una vera e propria isola di rifiuti di plastica simile – anche se di superficie inferiore – al più noto Pacific TrashVortex oceanico. Una volta entrata nella catena alimentare, la plastica arriva anche sulle nostre tavole. Una ricerca dell’Università di Siena ha fatto notare che micro particelle di plastica – con uno spessore di meno 5 millimetri, derivate dalla degradazione di rifiuti plastici – interferiscono con le capacità riproduttive delle balenottere. Che sono mammiferi, proprio come l’uomo. Il problema  – al quale è dedicato un lungo capitolo del documentario Trashed – non può più essere relegato a livello locale: è, a tutti gli effetti, un’emergenza globale.

Fonte:  Ansa