Anziché tornare alle centrali a carbone si punti su rinnovabili ed efficienza energetica

Il fantasma della crisi energetica risvegliato dalla guerra in Ucraina non fa che sottolineare una volta di più l’inadeguatezza della politica italiana in materia di energia. L’ultima goccia è stata l’ipotesi di rispolverare il carbone ventilata da Draghi: le associazioni ambientaliste spiegano perché la strada giusta è tutt’altra. Di fronte all’aumento esponenziale dei prezzi del gas, alla guerra e ai possibili problemi di approvvigionamento, occorre reagire in modo strutturale e non con soluzioni a volte false, a volte inammissibili, a volte facili (forse), ma che sicuramente rischiano di perpetuare i problemi e non risolverli. È questo l’appello che lanciano Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia rispondendo al Presidente del Consiglio Mario Draghi che oggi ha parlato della possibilità di riaprire in Italia le centrali a carbone per compensare l’eventuale calo delle importazioni di gas dalla Russia. Al contrario, le soluzioni vere e strutturali sono evidenti e già alla nostra portata: energie rinnovabili, accumuli, pompaggi, reti, risparmio e l’efficienza energetica, un mix formidabile. È di tutta evidenza che in tempi di carenza di energia il primo passo è usare l’energia al meglio e risparmiarla: questo però deve diventare non un atteggiamento momentaneo, ma una priorità permanente. Dal lato delle fonti alternative, se gli operatori energetici – non un’associazione ambientalista – si dichiarano in grado di installare 60 GW di rinnovabili in 3 anni, a patto che si velocizzino al massimo le pratiche autorizzative, sarebbe davvero assurdo che dal Governo non si cogliesse la palla al balzo e non si mettesse su una task force per individuare le modalità e aiutare la pubblica amministrazione a dare risposte alle richieste pendenti.

Questa dovrebbe essere la priorità assoluta, con l’obiettivo di approvvigionarci interamente da fonti rinnovabili entro il 2035: si può fare, è un obiettivo che altri Paesi si sono già posti. È la vera e unica garanzia di indipendenza energetica perché non dipendente da combustibili importati, ancorché fossili. La soluzione falsa è quella del cosiddetto gas nazionale, la retorica inutile e dannosa che vuole dare il via allo sfruttamento intensivo e massiccio delle estrazioni di gas sul nostro territorio e nei nostri mari. Come dimostrato in una nota tecnica del WWF sul Gas Nazionale, anche volendo sommare tutte le riserve nazionali, incluse quelle difficilmente estraibili a causa di costi economici ed energetici poco sostenibili, l’Italia avrebbe al massimo riserve di gas per 111,588 miliardi di m3. Dal momento che il nostro paese consuma (C) circa 75-76 miliardi di m3/anno, anche sfruttando tutte le riserve (poco realistico) queste sarebbero in grado di coprire appena un anno e mezzo della domanda di gas nazionale. Un tema, quello della insensata corsa al gas, sviluppato anche in questo report di Legambiente. Inoltre, il gas nazionale non sarebbe per forza destinato al mercato nazionale e non farebbe alcuna differenza dal lato dei prezzi, a meno che non si voglia nazionalizzarlo. Una accelerazione spinta sulle rinnovabili avrebbe anche effetti occupazionali netti positivi come dimostrato dallo scenario commissionato da Greenpeace Italia.

È di tutta evidenza che in tempi di carenza di energia il primo passo è usare l’energia al meglio e risparmiarla: questo però deve diventare non un atteggiamento momentaneo, ma una priorità permanente

La soluzione inammissibile è la riapertura delle centrali a carbone: l’Italia gioca non solo la sua credibilità, ma anche molte delle sue riduzioni di gas serra che deve attuare sul rispetto dell’impegno di chiudere tutte le centrali a gas entro il 2025. Le centrali a carbone vanno chiuse senza se e senza ma, i tentativi dei soliti noti che cercano di riportare in auge persino il peggior combustibili fossile, un vero e proprio killer non solo del clima, ma anche della salute umana e delle attività economiche, si scontra con la sofferenza decennale degli abitanti dei territori su cui le centrali insistono. Tutti gli amministratori, indipendentemente dal colore politico, vogliono che centrali si chiudano e vanno chiuse.

La soluzione facile (forse) ma sicuramente nel senso sbagliato è quella dell’aumento delle infrastrutture per il gas: sarebbe uno spreco di risorse, immobilizzate in un combustibile fossile quando la decarbonizzazione va invece accelerata. Ma non è solo una questione ambientale: noi attualmente abbiamo infrastrutture sovradimensionate, oggi i rigassificatori che abbiamo li paghiamo in bolletta perché sono sottoutilizzati. Il MITE dovrebbe informarsi e usare al meglio le strutture esistenti prima di parlare di nuovi rigassificatori che saranno disponibili, a essere super-ottimisti, tra 5 anni. Noi oggi dobbiamo minimizzare le infrastrutture che rischiano di immobilizzare i soldi da destinare invece alla transizione energetica. Per Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia, di fronte alla grave crisi internazionale attuale e alla gravissima crisi climatica che ci colpisce già, ma che rischia di diventare ingestibile con l’aumento della temperatura siamo a un bivio: non dobbiamo assolutamente scegliere la strada di spendere tanto per perpetuare i problemi attuali, bensì imboccare decisamente la strada del futuro.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/centrali-a-carbone-rinnovabili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

“L’Eni continua a rilanciare le fonti fossili”: le associazioni scrivono a Di Maio

“Sempre più impegnata nel rilancio di fonti fossili in tutto il mondo a fronte di investimenti minimi nelle rinnovabili, in conflitto con gli impegni presi dall’Italia sul clima”. Legambiente, Greenpeace e Wwf contestano le scelte di Eni e scrivono al vicepremier Di Maio affinché si definiscano all’interno del Piano Nazionale energia e clima gli indirizzi strategici per l’azienda controllata dallo Stato. 

“Serve una profonda riconversione del sistema energetico e industriale italiano, se vogliamo raggiungere gli obiettivi firmati con l’Accordo di Parigi sul Clima, a partire dalle imprese direttamente controllate dal Governo. Per questo chiediamo al Ministro Di Maio di chiarire al più presto le scelte e gli investimenti da parte di Eni. L’azienda controllata dallo Stato è, infatti, sempre più impegnata nel rilancio di estrazioni petrolifere e ampliamento dei giacimenti di idrocarburi in tutto il Mondo, a fronte di investimenti minimi nelle fonti rinnovabili. Scelte in evidente conflitto con gli impegni presi dall’Italia per combattere i cambiamenti climatici. Dal Governo ci aspettiamo un impegno concreto per aiutare il nostro Paese e il suo sistema di imprese ad accelerare nella direzione dell’innovazione e del cambiamento”.

È l’appello che Legambiente, Greenpeace e Wwf lanciano al Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio affinché si definisca all’interno del Piano Nazionale energia e clima – che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea entro la fine di dicembre – gli indirizzi strategici per l’azienda, perché possa passare dall’essere un ostacolo sulla strada degli impegni sul Clima a diventare una leva e uno strumento virtuoso nella complessa sfida climatica. Nella lettera inviata oggi al vicepresidente del Consiglio – a firma di Stefano Ciafani (presidente di Legambiente), Giuseppe Onufrio(Direttore Esecutivo Greenpeace Italia) e Donatella Bianchi (presidente Wwf Italia) – si sottolinea che gli investimenti dell’azienda “riguardano direttamente le scelte politico-istituzionali sul piano interno e internazionale del nostro Paese, perché possono contribuire ad accelerare la transizione attraverso investimenti in innovazione e ricerca oppure ritardarla ulteriormente”.  

Un impegno da parte del Governo anche alla luce della discussione in corso a Katowice (in Polonia) dove si sta svolgendo la Conferenza sul Clima, un appuntamento di grande importanza per il futuro dell’Accordo di Parigi. Il recente rapporto IPCC ha infatti fornito solide prove sulla necessità e l’urgenza di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1.5°C per poter vincere la sfida climatica e contenere in maniera significativa i danni climatici non solo per i paesi più poveri e vulnerabili, ma anche per l’Europa.

“Il successo della COP24 dipenderà dall’Europa, ma anche dagli impegni degli dagli Stati – scrivono le tre associazioni – In questo scenario diventa determinante che le scelte portate avanti dai Governi e dalle imprese controllate siano coerenti con questa direzione strategica”. A oggi, invece, le attività di Eni sono arrivate ad interessare 71 Paesi, movimentando nel 2017 migliaia di barili/giorno di idrocarburi (gas e petrolio) con esplorazioni che stanno andando a interessare sempre più aree del mondo, tra l’altro assai delicate da un punto di vista ambientale: dal circolo polare artico ai tanti pozzi già produttivi  o di cui è prevista l’entrata in produzione in varie aree nel Mediterraneo, passando per il Golfo del Messico e l’Oceano Indiano, il Mar Caspio e quello di Barents, la foresta amazzonica e le coste africane. È preoccupante inoltre che pure i minimi investimenti nelle fonti rinnovabili portati avanti da Eni, sottolineano ancora Greenpeace, Legambiente e Wwf, “coinvolgono anche l’uso di materie prime come l’olio di palma, che deriva da attività spesso connesse alla deforestazione e che contribuiscono in maniera rilevante alle emissioni di gas serra”. Così come “non è più possibile accettare acriticamente le ripetute dichiarazioni sulla ‘sostenibilità climatica’ del gas naturale, sui cui tanto Eni afferma di puntare. Numerosi rapporti confermano infatti che il computo complessivo delle emissioni di gas clima-alteranti connesse alle produzioni di gas naturale sono, e sono state, ampiamente sottostimate. Se l’utilizzo del gas è un elemento degli scenari di transizione energetica, la scala del proposto sviluppo di una ulteriore dipendenza dal gas naturale della nostra economia è contraria a ogni ipotesi ragionevole di tutela del clima e di indipendenza energetica”.
  Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2018/12/eni-continua-rilanciare-fonti-fossili-associazioni-di-maio/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Rinnovabili, nei primi due mesi del 2018 installazioni in aumento

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Secondo i dati di Anie Rinnovabile le nuove installazioni di fotovoltaico, eolico e idroelettrico sono cresciute del 3% rispetto al 2017. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di potenza sono Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Umbria. Nei primi due mesi del 2018 secondo i dati di Anie Rinnovabile le nuove installazioni di fotovoltaico, eolico e idroelettrico raggiungono complessivamente circa 107 MW (+3% rispetto al 2017). Si conferma il trend mensile del fotovoltaico che con i 27,9 MW connessi a febbraio 2018 raggiunge quota 60,1 MW complessivi (+17% rispetto allo stesso periodo del 2017). In calo invece il numero di unità di produzione connesse (-12%). Gli impianti di tipo residenziale (fino a 20 kW) costituiscono il 60% della nuova potenza installata nel 2018. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di potenza sono Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Umbria, mentre quelle con il maggior decremento sono Basilicata, Campania e Valle d’Aosta. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di unità di produzione sono Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto, mentre quelle con il maggior decremento sono Basilicata e Valle d’Aosta. Da segnalare l’attivazione a gennaio di un impianto fotovoltaico da 2,5 MW in Emilia Romagna in provincia di Modena. Risulta complessivamente in calo l’eolico che nei primi due mesi del 2018 raggiunge quota 23,1 MW (-45% rispetto allo stesso periodo del 2017). Per quanto riguarda la diffusione territoriale, la maggior parte della potenza connessa (99%) e’ localizzata nelle regioni del Sud Italia. Da segnalare l’attivazione a febbraio di un impianto eolico da 22 MW in Basilicata in provincia di Potenza. Positivo l’inizio dell’anno per l’idroelettrico che con i 21,7 MW di gennaio e soli 1,8 MW di febbraio si raggiunge quota 23,4 MW complessivi (+133% rispetto ai valori registrati nei primi due mesi del 2017). Si registra invece un decremento per le unita’ di produzione (-74%). Le regioni che hanno registrato il maggior  incremento di potenza nei primi mesi del 2018 rispetto all’anno precedente sono Lombardia e Trentino Alto Adige. Da segnalare  l’attivazione a gennaio di un impianto idroelettrico da 21,4 MW in Lombardia in provincia di Milano.

Fonte: ecodallecitta.it

Stati Generali delle Green Economy su SEN: ‘Troppo ottimismo su efficienza e rinnovabili’

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Un sostanziale disallineamento con gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi e un quadro troppo ottimistico sull’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Alcune osservazioni sulla Strategia Energetica Nazionale. Mancanza di un raccordo tra la SEN, la Strategia Energetica Nazionale, e il processo di elaborazione del Piano nazionale energia e clima e un sostanziale disallineamento con gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi; un quadro troppo ottimistico sull’ efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Queste alcune osservazioni sulla nuova SEN presentate, quale contributo alla consultazione, dal Gruppo di lavoro Politiche climatiche ed energetiche, composto da oltre 50 tra esperti e rappresentanti di associazioni di diversi settori, nell’ambito del processo partecipativo degli Stati generali della green economy. Il documento inoltrato al Ministero dello sviluppo economico rappresenta una piattaforma condivisa per una serie di proposte sulla SEN e anche alcune indicazioni per il futuro Piano nazionale energia e clima. In particolare il disallineamento della SEN con l’accordo di Parigi sul clima, appare evidente nella scelta di un orizzonte temporale di poco più di un decennio, che non consente di valutare in modo adeguato la compatibilità di investimenti ritenuti strategici nella transizione energetica, a cominciare da quelli sulle infrastrutture. Inoltre, sottolinea il Documento del gruppo di lavoro, l’adozione dei target del Pacchetto europeo clima ed energia, che è già oggi insufficienti a conseguire gli obiettivi di Parigi, porta a sovrastimare il carbon budget realmente disponibile per l’Italia. Secondo il Documento, per limitare l’aumento della temperatura media globale tra 1,5 e 2°C rispetto al periodo pre-industriale le emissioni italiane di gas serra dovrebbero dimezzarsi tra il 1990 e il 2030, mentre lo scenario di riferimento utilizzato nella SEN prevede un taglio del 30% (oggi il taglio conseguito è già di circa il 20%).

Secondo l’unico scenario emissivo adottato nella SEN, da qui al 2030 dovremmo rallentare il processo di decarbonizzazione già in corso, ma per poter rispettare gli impegni di Parigi a partire dal 2030 dovremmo nuovamente accelerare, arrivando a neutralizzare le nostre emissioni di carbonio entro il 2050” – afferma Andrea Barbabella, Coordinatore insieme a Natale Massimo Caminiti del Gruppo di lavoro e Responsabile ricerche e progetti della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – per evitare nuovi stop and go, che sarebbero dannosi all’ambiente quanto alla competitività del nostro sistema industriale, è necessario introdurre nella SEN almeno un secondo scenario compatibile con gli obiettivi di decarbonizzazione a medio e lungo alla base dell’Accordo globale sul clima”.

Il documento critica anche le valutazioni ottimistiche fatte in materia di efficienza energetica e fonti rinnovabili. Sul lato dell’efficienza si fanno continui riferimenti al fatto che l’Italia, che ha valori di intensità energetica (ossia quantitativi di energia consumata per unità di PIL) inferiori agli altri partner europei, sia già a buon punto. Ma, considerando anche le differenze in termini di clima o di struttura produttiva, e guardando non solo al valore assoluto ma agli avanzamenti compiuti negli ultimi anni, l’Italia in realtà farebbe peggio della media e delle altre principali economie europee. Per quanto riguarda le rinnovabili, i buoni risultati raggiunti, più volte richiamati dalla SEN, sono in realtà messi in crisi da quanto accaduto negli ultimissimi anni, con un forte rallentamento nella crescita di queste tecnologie che addirittura, nel settore della produzione elettrica, ha portato per la prima volta nella storia recente a un calo della produzione rinnovabile e a una ripresa di quella da fonti fossili, con le emissioni che sono passate da 309 gCO2eq nel 2014 a 331 nel 2016). Il Documento chiede, pertanto, di puntare a obiettivi più ambiziosi, in linea con gli impegni di Parigi, e pari a un taglio dei consumi finali di energia del 40% rispetto allo scenario tendenziale e ad almeno il 35% di rinnovabili. Per conseguire tali obiettivi dagli Stati generali arriva la proposta di attivare un fondo nazionale per la transizione energetica, alimentato da un processo di riallocazione degli incentivi ambientalmente dannosi e da un meccanismo efficace di carbon pricing. Per quanto riguarda gli strumenti di promozione dell’efficienza energetica, quelli attuali andranno resi più efficaci e armonizzati per riuscire a promuovere la riqualificazione profonda degli edifici, sfruttare il potenziale significativo ma ancora inespresso del terziario e dell’industria e sviluppare la mobilità sostenibile e sistemi di trasporti più efficienti. Altri due temi vengono richiamati nel documento predisposto dal Gruppo di lavoro degli Stati generali. Il primo riguarda il ruolo del comparto forestale e agro-zootecnico che nella SEN risulta marginale ma che, invece, presenta potenziali importanti, legati ad esempio alla filiera del biogas/biometano o alla capacità di assorbimento della CO2. L’altro tema fa riferimento alla necessità di verificare l’effettivo fabbisogno di nuovi impianti e infrastrutture, anche alla luce di un nuovo scenario al 2050 allineato con Parigi, e di valutare più accuratamente le ricadute in termini di politica industriale per evitare di ripetere gli errori del passato, come quelli che hanno portato al crollo degli investimenti e degli occupati nel settore strategico delle fonti rinnovabili.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Finanza verde: BlackRock raccoglie 1,6 miliardi di dollari per le rinnovabili

La più grande società di investimento al mondo prevedeva di ricavare 1 miliardo, ma ha sottovalutato l’interesse degli investitori nelle energie rinnovabili. Il fondo GPR II chiude a 1,6 miliardi.http _media.ecoblog.it_1_10c_finanza-verde-blackrock-raccoglie-1-6-miliardi-di-dollari-per-le-rinnovabili

La notizia, riportata da Bloomberg, dimostra che l’interesse degli investitori nei confronti delle energie rinnovabili è ancora molto alto: BlackRock Inc. ha chiuso le vendite del suo ultimo fondo verde, chiamato Green Power Fund II (GPR II), con risultati ben superiori alle attese. Prevedeva di ricavare 1 miliardo di dollari, ne ha attratti 1,6 miliardi. Il fondo è riservato a investitori istituzionali, compagnie di assicurazione e fondi pensione. Tutti soggetti ben abituati a investimenti nelle energie rinnovabili di lunga durata. Soggetti, inoltre, ben avvezzi ad avere a che fare con l’alta finanza e che non si sono affatto fatti spaventare dalla recente politica anti-rinnovabili di Donald Trump che vorrebbe bloccare eolico e fotovoltaico in favore del carbone. Questa enorme mole di denaro verrà investita in progetti di produzione di energia rinnovabile in mezzo mondo: Stati Uniti, America Latina, Europa, Australia, Giappone. L’obbiettivo è quello di minimizzare i rischi per gli acquirenti del fondo, diversificando i mercati.

Nonostante i molti scossoni geopolitici, tra Brexit ed elezioni qui negli Stati Uniti – ha affermato il capo del settore Energie Rinnovabili di BlackRock in Nord America, Asia-Pacifico e America Latina David Giordano – abbiamo visto un enorme interesse nelle energie rinnovabili, considerate un buon investimento infrastrutturale per gli investitori istituzionali“.

Secondo Giordano, inoltre, la politica anti-rinnovabili e pro carbone di Trump non è un pericolo per il fondo GPR II perché la gran parte degli investimenti verdi richiede autorizzazioni a livello dei singoli Stati Federali e molti Governatori non hanno accettato di buon grado i dietro front energetico di Trump: “Dagli Stati Uniti continuerà a provenire una delle maggiori domande di capitale per nuovi progetti di energia rinnovabile, nonostante le dichiarazioni da parte del Governo Federale“.

BlackRock è, al momento, la più grande società di investimento al mondo: dopo aver assorbito, negli anni scorsi, PNC Financial Services, Merrill Lynch Investment Managers e Barclays Global Investors, oggi gestisce un patrimonio superiore a 5.100 miliardi di dollari. Secondo la stessa società circa il 20% del fondo GPR II è stato già impegnato in progetti di sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabile, soprattutto eolico e fotovoltaico, in varie zone del mondo.

Credit foto: BlackRock

Fonte: ecoblog.it

Mobilità sostenibile, rinnovabili, chimica verde nel bando ricerca industriale del governo da 479 milioni

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Il Bando è una ‘chiamata’ all’intero sistema della ricerca: possono partecipare tutti gli attori qualificati Atenei, Enti pubblici di Ricerca, Piccole e Medie Imprese e Grandi Imprese, Amministrazioni pubbliche, Organismi di Ricerca pubblici e privati

Mobilità sostenibile, chimica verde, rinnovabili, tecnologie per le città intelligenti. Ci sono anche questi voci all’interno del bando del governo da 497 milioni per finanziare progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, per incentivare la cooperazione fra pubblico e privato e rilanciare il sistema nazionale.

“L’Avviso è da oggi (martedì 18 luglio) sul sito del Ministero dell’istruzione e della Ricerca e rappresenta uno dei principali interventi nell’ambito del Programma Nazionale per la Ricerca, che stiamo rapidamente attuando”, sottolinea la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli. “L’obiettivo principale di questo investimento è infatti quello di incentivare le collaborazioni fra pubblico e privato promuovendo la creazione di reti per la ricerca, di filiere nazionali che siano coerenti con le dodici aree di specializzazione intelligente scelte a livello nazionale: Aerospazio; Agrifood; Blue Growth; Chimica verde; Cultural Heritage; Design, creatività e Made in Italy; Energia; Fabbrica Intelligente; Mobilità sostenibile; Salute; Smart, Secure and Inclusive Communities; Tecnologie per gli Ambienti di Vita”.

Il Bando è una ‘chiamata’ all’intero sistema della Ricerca: possono partecipare tutti gli attori qualificati (Atenei, Enti pubblici di Ricerca, Piccole e Medie Imprese e Grandi Imprese, Amministrazioni pubbliche, Organismi di Ricerca pubblici e privati). Si tratta di un finanziamento che segue la politica avviata con la costituzione dei Cluster Tecnologici Nazionali (reti formate dai principali soggetti pubblici e privati che operano sul territorio nazionale nella ricerca industriale) nel 2012 per i primi 8 e nel 2016 per i restanti 4, allineati con le 12 aree prioritarie di intervento per la ricerca a livello nazionale previste anche dal bando pubblicato oggi. Il lavoro di animazione delle comunità di ricerca dei rispettivi settori e di analisi dei fabbisogni di innovazione del paese sviluppato dai Cluster in questi anni rappresenta un importante contributo per l’avvio di questa nuova programmazione di politica di ricerca industriale. Capacità di realizzazione delle iniziative, ampiezza del partenariato pubblico-privato, originalità e utilità del progetto, impatto in termini di risultati e ricadute sul territorio del Mezzogiorno (anche generati dalle attività svolte nelle Regioni del Centro-Nord) saranno i parametri in base ai quali saranno valutati i progetti che potranno avere costi complessivi da un minimo di 3 fino a 10 milioni di euro ciascuno. Valori che in un contesto di rilancio dell’economia del Paese possono fare la differenza, contribuendo a creare eccellenze, sviluppo e occupazione in territori in cui le idee migliori e le competenze chiedono sollecitazioni e sostegno. Il budget complessivo è di 497 milioni di euro, comprese le spese per le attività di valutazione e monitoraggio che concorrono ad ottenere la massima qualità degli interventi. Il Bando utilizza risorse del PON “Ricerca e Innovazione” 2014-2020 (per 327 milioni di euro) e del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (per 170 milioni di euro).
Le risorse sono destinate per 393 milioni di euro alle Regioni del Mezzogiorno (quelle meno sviluppate e in transizione) e per 104 milioni di euro alle Regioni del Centro-Nord, sempre per attività che abbiano ricadute  in termini occupazionali, di capacità di attrazione di investimenti e competenze, di rafforzamento della competitività delle imprese e  valorizzazione dei risultati della ricerca e della diffusione dell’innovazione a vantaggio delle medesime Regioni del Mezzogiorno, anche attraverso la definizione di percorsi di trasferimento tecnologico e/o di conoscenze.

Guardando alle 12 aree di specializzazione su cui si investe, i finanziamenti per area sono così suddivisi:

Aree di specializzazione

Aerospazio

59.051.938,00

Agrifood

59.051.938,00

Blue Growth

29.525.969,00

Chimica verde

29.525.969,00

Cultural Heritage

29.525.969,00

Design, creatività e Made in Italy

29.525.969,00

Energia

29.525.969,00

Fabbrica Intelligente

59.051.938,00

Mobilità sostenibile

29.525.969,00

Salute

59.051.938,00

Smart, Secure and Inclusive Communities

29.525.969,00

Tecnologie per gli Ambienti di Vita

29.525.969,00

Totale

472.415.504,00

A questa somma si aggiungono i fondi per valutazione e monitoraggio.

Le domande  potranno essere presentate tramite i servizi dello sportello telematico SIRIO (http://roma.cilea.it/Sirio), a partire dalle ore 12.00 del 27 luglio 2017 e fino alle ore 12.00 del 9 novembre 2017.

Il bando: http://www.miur.gov.it/web/guest/-/avviso-per-la-presentazione-di-progetti-di-ricerca-industriale-e-sviluppo-sperimentale-nelle-12-aree-di-specializzazione-individuate-dal-pnr-2015-2020

Fonte: ecodallecitta.it

Torino: realtà del terzo settore unite per acquistare energia da fonti rinnovabili

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Presentato a Torino “EneRgia”, gruppo di acquisto solidale del terzo settore per l’acquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili certificate con garanzia d’origine. Un gruppo di acquisto solidale del terzo settore per l’acquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili certificate con garanzia d’origine. Tutto questo è “EneRgia”, progetto innovativo che coinvolte una ventina di realtà del territorio torinese, tra cui Case del quartiere, centri di protagonismo giovanile, circoli ARCI e associazioni varie.

Come nasce Energia. Rinnovabile, Innovabile? Un anno fa due associazioni (TYC – Officine Corsare e Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus) hanno cominciato a lavorare per la costituzione di un grande gruppo italiano del terzo settore per l’acquisto solidale di energia elettrica da fonti rinnovabili, con l’obiettivo di attivare forniture 100% energia elettrica rinnovabile da fonti certificate con Garanzia d’Origine (GO), ridurre i costi economici delle utenze elettrich, indurre progressivamente una riduzione dei consumi elettrici e produrre risorse a supporto di progetti sociali.

Il percorso di progettazione è stato lungo e articolato. Sono state prima coinvolte le venti realtà del territorio della città metropolitana di Torino. Su ciascuna di queste strutture è stato condotto uno studio sui contratti e consumi elettrici. Sono poi state contattate numerose compagnie fornitrici di energia elettrica rinnovabile, con alcune delle quali è stata aperto una confronto e valutazione. Dopo l’analisi, i promotori del progetto, sono arrivati alla scelta di Dolomiti Energia come soggetto con cui stipulare la convenzione collettiva e i contratti di energia elettrica.

Alla fine di questo percorso i venti protagonisti, hanno deciso di investire sulle fonti rinnovabili attraverso la creazione di un gruppo d’acquisto solidale di energia. Le associazioni coinvolte sono le prime a Torino ad organizzarsi in questa direzione. Tutti i soggetti coinvolti hanno firmato un contratto collettivo con la compagnia elettrica Dolomiti Energia che fornirà loro esclusivamente energia prodotta da fonti rinnovabili e certificate.

“Le economie prodotte – sottolineano infine i promotori – saranno reinveste con azioni sociali promosse dalle associazioni. Con una mano si risparmia e con l’altra si reinveste su progetti di sviluppo e inclusione locale. Il progetto ha coinvolto finora una ventina di strutture di promozione sociale e culturale, ma è permanentemente aperto all’adesione anche di altre realtà del no-profit dell’area metropolitana torinese: centri sociali e aggregativi, strutture socio-assistenziali, teatri, circoli”.

Fonte: ecodallecitta.it

Rinnovabili: nel primo quadrimestre 2017 -7% in Italia

Dai dati ANIE Rinnovabili emerge un calo delle installazioni rispetto allo stesso periodo 2016. Crollo del fotovoltaico, balzo in avanti dell’eolico.http _media.ecoblog.it_7_75e_rinnovabili-italia-primo-quadrimestre-2017

Gli investimenti nelle energie rinnovabili in Italia non mostrano più dati entusiasmanti. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio di ANIE-Rinnovabili, che si basa su dati forniti da Terna, nel primo quadrimestre 2017 la nuova potenza elettrica verde installata sul territorio nazionale è stata inferiore del 7% rispetto allo stesso quadrimestre 2016. Se consideriamo solo il dato di aprile il calo è stato del 20%. Ma non ci sono solo ombre. A fronte di un netto calo del fotovoltaico (-10%), si registra infatti una forte crescita delle nuove installazioni di eolico (+78%). Nel complesso, guardando invece ai MW prodotti dalle varie fonti disponibili nel nostro paese, l’energia rinnovabile si attesta sul 33% del totale nei mesi di bassa produzione fotovoltaica e oltre il 40% quando splende il sole.

Nuove installazioni di fotovoltaico nel primo quadrimestre 2017

Le nuove installazioni di impianti solari elettrici, nei primi quattro mesi di quest’anno, sono state nettamente inferiori a quelle dello stesso periodo 2016. In gran parte si tratta di impianti sotto i 3 kW di potenza: 5198 impianti, per un totale installato pari a 13,2 MW. Seguono per numero gli impianti tra i 4,5 e i 6 kW: 3456 installazioni per 19,1 MW totali. Soltanto 6 impianti tra 500 kW e 1 MW e solo un impianto oltre 1 MW di potenza.http _media.ecoblog.it_8_8db_fotovoltaico-italia-dati-q1-2017

Nuove installazioni di eolico nel primo quadrimestre 2017

Le nuove installazioni di impianti eolici, nel primo quadrimestre 2017, sono cresciute del 78% rispetto a quelle dello stesso periodo 2016. Oltre a tre nuovi impianti di grandi dimensioni, oltre i 5 MW di potenza (per un totale di 56 MW aggiunti alla rete elettrica nazionale), si registrano ben 291 nuovi impianti tra i 20 e i 60 kW di potenza (per un totale di 17 MW allacciati). Il grosso della nuova potenza eolica è stata installata in Basilicata (40 MW) e in Calabria (23 MW).http _media.ecoblog.it_8_84f_eolico-dati-q1-2017

Quanta energia rinnovabile consumiamo

Altro dato interessante fornito dall’Osservatorio ANIE-Rinnovabile, basato sempre su dati Terna, è quello sul contributo fornito dalle fonti verdi al bilancio energetico complessivo del nostro paese. In pratica, quante energia rinnovabile consumiamo in Italia?

Nel primo quadrimestre del 2017 il 33% dell’energia consumata dagli italiani proveniva da fonti rinnovabili.

http _media.ecoblog.it_4_4ab_energia-rinnovabile-italia-q1-2016-2017

Nel solo mese di aprile, quando cioè l’insolazione media primaverile ha cominciato a farsi sentire, il 42% dell’energia consumata è stata rinnovabile. Tra aprile 2016 e aprile 2017 il fotovoltaico ha prodotto il 13% in più, pareggiando il -12% dell’eolico.

Credit foto: Flickr

Fonte: ecoblog.it

Carbone in declino: “Merito delle rinnovabili e svolta per il clima”

Dismissione delle centrali obsolete e nessun progetto di realizzazione di nuovi impianti. Il 2016 ha registrato un forte declino dell’economia del carbone, grazie anche alla crescita delle rinnovabili. È quanto riferisce Greenpeace che afferma: “Siamo ad un punto di svolta per il clima”. Il numero di centrali a carbone in via di realizzazione nel mondo ha registrato un forte decremento nel 2016, principalmente per l’instabilità della politica industriale di alcuni Paesi asiatici. È quanto emerge dal nuovo rapporto “Boom and Bust 2017: Tracking The Global Coal Plant Pipeline”, realizzato da Greenpeace, Sierra Club e CoalSwarm, e giunto alla sua terza edizione annuale. Secondo il rapporto, l’effetto congiunto del rallentamento nella costruzione di nuovi impianti e della dismissione di parte della flotta di quelli operativi apre alla possibilità di contenere l’aumento delle temperature medie globali nei 2 gradi centigradi, a patto che i Paesi coinvolti nell’”economia del carbone” proseguano in questa direzione.10_15_2015_Bobby_Magill_CC_Carbon_XPrize1_1050_718_s_c1_c_c

Il declino dell’economia del carbone si articola in una riduzione del 48 per cento nelle attività che precedono l’inizio della costruzione delle centrali (realizzazione dei progetti, richiesta di permessi, attività finanziarie dedicate), in una riduzione del 62 per cento nell’avvio di nuovi cantieri e in un decremento dell’85 per cento nel rilascio di nuovi permessi in Cina. Questo andamento è dovuto principalmente a due fattori: ai provvedimenti restrittivi adottati dalle autorità centrali cinesi nella concessione di autorizzazioni alla realizzazione di nuovi impianti; ai tagli di budget degli investitori che operano in India. In questi due Paesi, al momento, sono stati congelati più di 100 progetti di nuove centrali. Oltre al declino dei trend di costruzione di nuovi impianti, lo studio rivela anche la cifra record di 64 GW di potenza installata a carbone dismessi nel 2015 e nel 2016, principalmente nell’Unione europea e negli Stati Uniti: l’equivalente di circa 120 grandi centrali.

“Il 2016 rappresenta un autentico punto di svolta per il clima”, commenta Lauri Myllyvirta, responsabile della campagna globale Carbone e Inquinamento atmosferico per Greenpeace e co-autore del rapporto. “La Cina, ad esempio, ha fermato la realizzazione di molte nuove centrali a carbone dopo che la fortissima crescita delle energie rinnovabili in quel Paese le ha rese superflue per il sistema energetico. Dal 2013, le energie pulite hanno in pratica colmato il deficit energetico cinese”.newseventsimages

Sempre nel 2016, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno registrato un forte decremento delle emissioni, grazie al ritiro dalla produzione di molte centrali a carbone. Anche il Belgio e l’Ontario hanno chiuso la loro ultima centrale, mentre tre Stati del G8 hanno annunciato una data ultima per il *phase out* della fonte più nociva per il clima.

“Il trend che emerge da questo rapporto ricalca la situazione del nostro Paese”, dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace in Italia. “L’età del carbone non si è conclusa, ma si vanno dismettendo le centrali più obsolete. E soprattutto non vi sono progetti per la realizzazione di nuovi impianti. L’ultimo che si minacciava di voler realizzare, a Saline Joniche, è stato definitivamente cancellato. Ma il nostro governo, al contrario di altri, non trova il coraggio di indicare una data ultima per l’uscita dal carbone: è il sintomo più evidente, questo, della mancanza di una strategia energetica veramente orientata al futuro e alla salvaguardia del clima”, conclude Boraschi.

In un quadro complessivamente molto positivo, nel rapporto emergono alcuni Paesi che non stanno investendo nelle energie rinnovabili e che sono invece fortemente impegnati a realizzare nuovi impianti a carbone: Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Vietnam e Turchia.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/03/carbone-declino-rinnovabili-svolta-clima/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Energia: l’Italia può fare meglio della Danimarca?

Nei settori dell’Energia e dell’Ambiente (semmai li volessimo ancora ottusamente considerare separati) non si poteva che auspicare una vittoria del NO al fine non solo di mantenere ma anche rafforzare il ruolo delle Regioni, e quindi dei territori, su temi che riguardano la salvaguardia ambientale, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e tutto ciò che possiamo ascrivere al concetto di sviluppo sostenibile.

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Prendo spunto dal messaggio lanciato da Paolo Ermani dal portale “Il Cambiamento” a seguito dell’esito referendario, per una breve riflessione. Paolo scrive che “… in futuro, con l’esaurimento delle risorse determinato dalla crescita infinita in un mondo dalle risorse finite, tutti i poteri centrali perderanno forza … e la partita si giocherà a livello locale, dove rifioriranno le comunità e il controllo dei cittadini sarà diretto”.
Nei settori dell’Energia e dell’Ambiente (semmai li volessimo ancora ottusamente considerare separati) non si poteva che auspicare una vittoria del NO al fine non solo di mantenere ma anche rafforzare il ruolo delle Regioni, e quindi dei territori, su temi che riguardano la salvaguardia ambientale, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e tutto ciò che possiamo ascrivere al concetto di sviluppo sostenibile. Rafforzamento territoriale che deve seguire di pari passo le linee programmatiche che si detteranno a livello nazionale; in altri termini quel Piano Energetico-Ambientale Nazionale che il nostro paese non ha (ancora). Volendo intervenire non si parte da zero: l’affermazione del NO referendario impone, sul tema dell’energia, di prendere fin da subito in considerazione il Programma Energetico che il M5S presentò lo scorso 20 Aprile alla Camera dei Deputati e che poco spazio ha avuto sui media nazionali. Per la prima volta si era visto un programma energetico con una “visione” chiara e, soprattutto, sostenibile che punta al bene del Paese e non agli interessi delle lobby fossili. Ecco, chi governerà l’Italia nei prossimi anni ha un ottimo punto di partenza per non continuare a perpetrare i soliti errori.
Con un tale Piano, finalmente, potremmo metterci alla testa dei paesi europei che guidano la transizione energetica. Anche davanti a paesi come la Danimarca (paese nel quale vivo attualmente), che per alcuni aspetti viene considerato il paladino della sostenibilità ambientale ed energetica. Mi piace pensare che la piccola comunità di italiani in Danimarca che si è espressa a favore del NO (50,21%) rispetto al SI (49,79%), tra l’altro uno dei pochi Paesi esteri ove il NO ha prevalso, avesse chiaro in mente che il loro voto era anche per un diverso modo di affrontare le questioni ambientali, oltre che al tema generale delle riforme costituzionali.
Il governo danese si è posto, tra gli altri, l’obiettivo di coprire il 50% dei consumi energetici nazionali con le fonti rinnovabili entro il 2030 e di diventare il primo paese al mondo ove l’eolico offshore possa reggere il mercato. Anche l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti è ambizioso: – 40% entro il 2020 rispetto al 1990. Di recente un’ampia maggioranza dei partiti politici danesi ha deciso di smantellare la PSO (tassa sugli oneri di servizio pubblico) e finanziarla attraverso il bilancio nazionale. Questa ristrutturazione consentirà da una parte di ridurre il prezzo dell’energia elettrica e dall’altra di aumentare il consumo della stessa. Nel breve periodo si potrà verificare un aumento delle emissioni di gas climalteranti a livello nazionale, almeno fino a quando il phase-out del carbone non sarà completamente attuato, ma allo stesso tempo si gettano le basi per quella transizione verso una società basata sull’elettricità verde. Nel medio-lungo periodo, la riduzione delle emissioni climalteranti sarà rilevante. Nel 2015 le fonti rinnovabili hanno coperto il 56% del consumo elettrico nazionale, in particolare con l’eolico (41,8%) e le biomasse (11%).
L’obiettivo europeo al 2030 é quello di avere il 27% dei consumi energetici coperti dalle fonti rinnovabili. La Danimarca ha già raggiunto questo obiettivo e, come già detto, intende arrivare fino al 50%. L’obiettivo di lungo periodo al 2050 è quello di avere una società a basse emissioni e indipendente dalle fonti fossili, raggiungendo l’obiettivo della riduzione delle emissioni climalteranti dell’80-95% entro il 2050, indicato dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite quale obiettivo fondamentale da raggiungere per non compromettere i delicati equilibri climatici del pianeta.
Questo percorso sui temi energetici della Danimarca prescinde dai partiti che la governano in quanto continua adesso con un governo conservatore in carica ma che vigeva anche con il precedente governo socialista. Per entrambi gli schieramenti politici è chiaro che la transizione energetica verso le rinnovabili é un passo obbligato da farsi. In Italia è accaduto finora il contrario: se la sinistra in qualche modo rivendicava una supremazia sui temi ambientali ed energetici, di fatto, una volta al governo non ha brillato ma anzi, per alcuni aspetti (si vedano le trivellazioni petrolifere) ha marcatamente segnato la differenza, in negativo.
Mi auguro che il prossimo governo in Italia faccia tesoro di queste esperienze e lavori veramente per un futuro migliore e la risposta alla domanda posta nel titolo è ovviamente SI (adesso si può dire), possiamo fare meglio della Danimarca.
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/articoli/energia-l-italia-pu-fare-meglio-della-danimarca