Torino, sequestrate 240 tonnellate di rifiuti pericolosi

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La Guardia di Finanza di Torino ha individuato a Borgaro Torinese, un comune della prima cintura, un capannone industriale dismesso utilizzato come discarica non autorizzata, nel quale, nel corso del tempo, sono state accumulate 240 tonnellate di rifiuti pericolosi. I rifiuti che sono stati scoperti dai finanzieri, in collaborazione con alcuni tecnici dell’Arpa Piemonte, derivano dall’attività di officina meccanica dedicata alla produzione e alla rilegatoria di volumi e pubblicazioni. Nelle 240 tonnellate trovate nell’area sottoposta a sequestro, sono stati trovati numerosi materiali provenienti da lavori di demolizione: lastre in fibra d’amianto, tubi al neon fluorescenti, materiale isolante e plastico altamente infiammabile nonché circa 6.000 kg di prodotti chimici da decontaminare e/o olii esausti. Gli amministratori della società proprietaria del capannone sono stati deferiti all’autorità giudiziaria.

Fonte:  Askanews

Rifiuti, Fise: “Rischio blocco della gestione generale con Decreto Competitività”

La denuncia di Fise, Federambiente e Atia-Iswa:”La nuova norma contenuta nel decreto Competitività comporta, con un’applicazione estrema e ingiustificata del principio di precauzione, la classificazione come pericolosi di circa 2/3 dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti in Italia. Sono 85 milioni di tonnellate all’anno” (il velino.it)381980

“Il rischio è concreto. Con l’entrata in vigore oggi della norma che – in contrasto con i criteri europei che si dovranno applicare anche in Italia fra poco più di tre mesi – trasforma di fatto in ‘pericolosi’ la gran parte dei rifiuti speciali che pericolosi in realtà non sono, il sistema nazionale di gestione dei rifiuti viene messo in grave difficoltà. Se non s’interviene tempestivamente – denunciano le associazioni degli operatori del settore (Fise Assoambiente, Fise Unire, Federambiente e Atia-Iswa) –, nel giro di alcune settimane i pochi impianti autorizzati a trattare i rifiuti pericolosi saranno saturi e aumenterà esponenzialmente il ricorso all’esportazione dei rifiuti riclassificati, con conseguente ulteriore ingiustificata penalizzazione dei cittadini e delle imprese produttrici”.  È quanto afferma una nota. “La norma, inserita nella conversione in legge (agosto 2014) del decreto Competitività, rivoluziona la classificazione dei rifiuti speciali con ‘codici a specchio’, cioè quelli che potevano essere considerati pericolosi o non pericolosi a seconda delle loro caratteristiche. La nuova disposizione comporta praticamente, con un’applicazione estrema e ingiustificata dal punto di vista scientifico del principio di precauzione, la classificazione come pericolosi di circa 2/3 dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti in Italia, qualcosa come 85 milioni di tonnellate all’anno. L’applicazione della nuova norma sconvolgerà l’operatività quotidiana non solo dei produttori dei rifiuti ma anche delle migliaia d’imprese impegnate nell’ordinaria gestione dei rifiuti e produrrà, a breve,diverse situazioni d’emergenza in tutta Italia, perché rifiuti che fino a ieri erano considerati non pericolosi non potranno più essere gestiti negli impianti che li hanno sinora trattati e dovrebbero essere conferiti presso impianti autorizzati a gestire rifiuti pericolosi, insufficienti però per tali quantità di rifiuti. “Si rischia così di produrre effetti contrari rispetto alla ratio della legge nella quale è contenuta, ossia aumentare il grado di competitività del sistema Italia, incrementando il negativo “turismo dei rifiuti” e favorendo di fatto la loro gestione in aziende estere. Un ulteriore colpo a un settore che già opera quotidianamente in un quadro normativo confuso, mutevole e contraddittorio”. Per questo Fise Assoambiente, Fise Unire, Federambiente e Atia-Iswa chiedono al ministero dell’Ambiente di emanare – come previsto dall’ordine del giorno approvato dalla Camera il 6 agosto 2014 – “una circolare esplicativa o altro atto amministrativo per garantire, nel più breve tempo possibile, alle imprese e ai cittadini italiani condizioni applicative in linea con le disposizioni europee. L’applicazione della norma e il cambio di status dei rifiuti speciali speculari determina fra l’altro la necessità di una revisione dei contratti (le cosiddette ‘omologhe’) in essere tra produttori e imprese incaricate della gestione dei rifiuti, che dovranno ora prevedere un diverso iter per il loro trattamento e richiedere modifiche autorizzative che, nella migliore delle ipotesi, comportano tempi molto lunghi”, conclude la nota.

(foto ansa ambiente)

 

Fonte:  ecodallecitta.it

Discariche illegali: l’Ue multa l’Italia per i rifiuti

La Corte di Giustizia europea multa l’Italia per il mancato rispetto della normativa sulla gestione dei rifiuti e delle discariche: 40 milioni a forfait, 42,8 milioni a semestre fino al rispetto della sentenza del 2007. L’Italia è stata multata dalla Corte di giustizia europea per il mancato rispetto della normativa Ue in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. Il nostro Paese sarà assoggettato a una multa forfettaria di 40 milioni di euro, a cui si aggiungeranno penalità fino a un massimo di 42,8 milioni per ogni semestre che passerà dalla sentenza fino alla messa in regola delle 218 discariche illegali presenti sul nostro territorio. I giudici europei hanno sentenziato che le procedure italiane non garantiscono la salute umana e la protezione dell’ambiente, soprattutto a causa dei mancati controlli sui rifiuti pericolosi e per l’assenza di un sistema che eviti la proliferazione delle discariche abusive. La Corte, già nel 2007, aveva constato l’inadempimento italiano alle direttive sui rifiuti. Oggi arriva la multa, frutto di sette anni di richiamo. “Le operazioni sono state compiute con grande lentezza, tanto che un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane”scrivono da Lussemburgo.

La sentenza del 2007

Era il 2007 quando la Corte dichiarò che l’Italia era “venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sulle discariche”. Sei anni dopo,
la Commissione Ue ha verificato l’inadempienza del nostro Paese alla sentenza. E ha segnalato le 218 discariche situate in 18 regioni, non conformi alla direttiva rifiuti. Non solo: 16 discariche contenevano pure rifiuti pericolosi e, per cinque discariche, l’Italia non aveva dimostrato che fossero state oggetto di riassetto o di chiusura, come richiesto dall’Ue. La Commissione ha quindi denunciato che 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva. L’Italia è stata pertanto condannata a una multa iniziale di 40 milioni di euro e a versare una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre, a partire dal 2 dicembre e fino all’esecuzione della sentenza del 2007. Dai 42,8 milioni, ogni volta che una discarica con rifiuti pericolosi sarà messa a norma, verranno detratti 400 mila euro. Saranno detratti 200 mila euro per ogni altra discarica che verrà messa a norma.

Cosa ha fatto l’Italia

Intendiamoci, qualcosa l’Italia ha fatto. Secondo il rapporto Ispra di gennaio scorso, le discariche restano il metodo più diffuso di smaltimento dei rifiuti in Italia (40%). Rispetto al 2011,c’è stato un calo dell’11,7%. La peggiore performance va al Centro Italia (56% dei rifiuti in discarica), poi c’è il Sud (51%) e il Nord (22%). Nel 2012, la regione con il maggior numero di impianti era l’Emilia Romagna (18), poi il Piemonte (16). Sempre nel 2012, la regione che aveva smaltito in discarica la minor quantità di rifiuti urbani prodotti era il Friuli Venezia Giulia (7%), seguita da Lombardia (8%) e Veneto (11%). Al Sud, invece, i dati sono ben diversi. Il Molise era addirittura al 105%, con il 60% proveniente dall’Abruzzo, la Calabria all’81%, la Sicilia all’83%. Dal 2003 a oggi, sono state chiuse 288 discariche, di cui 229 al Sud, 43 al Nord e 16 al Centro. Ancora troppo poco per i parametri Ue, che ora chiede all’Italia di pagare un prezzo molto alto.

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Fonte: ecoblog.it

Traffico illecito di rifiuti, la Finanza sequestra 58 tonnellate di rifiuti speciali a Salerno

La Guardia di Finanza di Salerno sequestra tre container di rifiuti speciali pronti per l’esportazione verso la Siria, il Sudan e l’Egitto1524808861-586x390

La notizia è di quelle da trattare con le dovute accortezze ma certamente è di interesse generale: tre container, di proprietà di tre differenti società (una laziale, una pugliese ed una calabra) sono stati sequestrati dagli uomini della Guardia di Finanza all’interno dell’area portuale sulle merci in entrata ed in uscita del porto di Salerno. I container contenevano 58 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi: i carichi in realtà riportavano quale causale sulla bolla di accompagnamento l’esportazione di motori e ricambi vari di veicoli usati dalle tre società coinvolte; grazie ad un esame documentale delle Fiamme Gialle e dei funzionari doganali si è potuti però rivelare quello che pareva un segreto di Pulcinella. Le evidenti incongruenze sui documenti hanno spinto i finanzieri ad un controllo più accurato: si è scoperto così che le tre partite di rifiuti erano costituite da parti meccaniche di veicoli fuori uso e di macchinari industriali obsoleti, e non da pezzi di ricambio, in violazione alle severe prescrizioni dettate dai regolamenti comunitari. I container erano diretti in tre zone “calde” del mondo, Siria, Sudan e Egitto, ove i vuoti di potere, la guerra e la propensione corruttiva dei doganieri rende lo smaltimento ed il traffico illecito di rifiuti un business piuttosto fiorente: i responsabili delle società esportatrici sono stati denunciati a piede libero per traffico illecito di rifiuti. Le tre differenti spedizioni transfrontaliere sono costituenti traffico illecito di rifiuti: i tre responsabili delle società sono stati denunciati anche per falsità ideologica, in quanto hanno falsamente dichiarato in atti pubblici (le bolle di accompagnamento e di giacenza) circostanze diverse da quelle accertate all’atto delle verifiche fisiche. Si tratta del secondo sequestro ingente di rifiuti speciali ferrosi inviati in quelle zone del mondo: soltanto la settimana scorsa infatti le Fiamme Gialle di Salerno avevano sequestrato un altro carico, direzione Egitto, di rifiuti speciali non pericolosi.

Fonte: ecoblog

6. I rifiuti in Groenlandia

Dalle città più popolose agli insediamenti più remoti, ovunque viviamo, generiamo rifiuti. Avanzi di cibo, rifiuti elettronici,  batterie, carta, bottiglie di plastica, vestiti, vecchi mobili: tutte queste cose vanno smaltite. 14

Alcune finiscono riutilizzate o riciclate; altre vengono bruciate per produrre energia oppure avviate alle discariche. Non  esiste un unico modo di gestire i rifiuti che vada bene ovunque. Il modo in cui gestiamo i rifiuti deve tener conto delle condizioni locali. Dopo tutto, i rifiuti nascono come una questione locale. Considerando la scarsa densità di popolazione, le lunghe distanze fra i centri abitati e l’assenza di infrastrutture stradali, vediamo come la Groenlandia affronta la questione della gestione dei rifiuti.

Intervista a Per Ravn Hermansen

Per Ravn Hermansen vive a Nuuk, la capitale della Groenlandia. Vi si è trasferito dalla Danimarca per occuparsi della gestione dei rifiuti presso il ministero degli Interni, della Natura e dell’Ambiente groenlandese.

Come si vive in Groenlandia?

«Vivere a Nuuk non è molto diverso dal vivere in qualsiasi altra città di medie dimensioni, come lo sono le città danesi. Ci sono gli stessi tipi di negozi e gli stessi servizi. Nuuk ha circa 15.000 abitanti. Mentre qui la popolazione parla sia groenlandese che danese, gli abitanti dei piccoli centri conoscono quasi esclusivamente il groenlandese. Vivo qui dal 1999 e penso che le persone consumino lo stesso tipo di prodotti che nel resto del mondo, come ad esempio i computer e i telefonini. Penso inoltre che le persone stiano diventando più consapevoli del problema dei rifiuti.»

Dove risiede l’unicità del problema dei rifiuti in Groenlandia?

«In Groenlandia vivono circa 55.000 persone e, come avviene nel resto del mondo, le persone generano rifiuti. Sotto molti punti di vista, il «problema» dei rifiuti in Groenlandia è piuttosto banale. Le aziende e le famiglie groenlandesi generano vari tipi di rifiuti e quello che dobbiamo fare è gestirli in modo tale da non recare danno all’ambiente. Per altri versi, il problema dei rifiuti in Groenlandia è unico nel suo genere per via dell’estensione del suo territorio, o meglio della dispersione geografica degli insediamenti. In Groenlandia ci sono sei città relativamente grandi, 11 centri minori e una sessantina di insediamenti fra i 30 e i 300 abitanti, disseminati lungo la costa. La maggioranza della popolazione è concentrata sulla costa occidentale, ma si trovano alcuni piccoli insediamenti e centri abitati anche sulla costa orientale.

Solo sei città dispongono di impianti di incenerimento, il che non è sufficiente a garantire un trattamento adeguato in termini ambientali dei rifiuti inceneribili. Inoltre, non esistono strade di collegamento fra le città e gli insediamenti e quindi non è facile trasportare i rifiuti agli inceneritori. Le merci vengono trasportate principalmente via mare. Al momento, abbiamo solo una vaga idea della quantità di rifiuti urbani prodotti in Groenlandia e riteniamo che sia in aumento. Una metà degli insediamenti dispone di quelli che definirei «forni inceneritori»; per il resto, abbiamo solo discariche e roghi all’aria aperta.15

In ultima analisi, penso che tutti i problemi in materia di rifiuti abbiano alcuni elementi in comune ma che ciascuno sia

unico nel suo genere. Quella dei rifiuti è una questione locale con ripercussioni più ampie. Qualsiasi soluzione deve tener conto di questo dualismo.»

Cosa succede ai rifiuti pericolosi e ai rifiuti elettronici?

«Gli impianti delle maggiori città disassemblano le apparecchiature elettriche ed elettroniche e gestiscono i rifiuti pericolosi, che sono quindi stoccati in loco in attesa di essere trasferiti in Danimarca. La Groenlandia importa ogni genere di merce, inclusi i generi alimentari, i capi di abbigliamento e gli autoveicoli, in gran parte in arrivo via mare da Aalborg. I rifiuti pericolosi e quelli elettrici ed elettronici sono trasferiti sulle navi che fanno ritorno in Danimarca.»

Ultimamente le multinazionali minerarie sono alla ricerca di riserve petrolifere o minerarie ancora intatte. Cosa ne è dei

rifiuti minerari?

«In Groenlandia applichiamo la politica «dello sportello unico», che consente alle imprese estrattive di ottenere dallo stesso ente pubblico tutti i permessi necessari. Ciò significa che le domande di autorizzazione, in cui sono contemplati

tutti gli aspetti dell’attività, inclusi i rifiuti, devono essere presentate all’Ufficio dei minerali e del petrolio. Quasi tutte le attività delle imprese minerarie si svolgono lontano dalle città e dai centri abitati. Per quanto riguarda i rifiuti inceneribili, le imprese possono stipulare accordi con gli enti locali per avere accesso agli impianti di incenerimento. Questo aumento della domanda esercita ulteriori pressioni sulla capacità di incenerimento locale.»

Come state affrontando questo problema?

«Una delle opzioni attualmente sul tavolo consiste nel costruire impianti di incenerimento regionali e nel trasferire lì i rifiuti. È chiaro che non possiamo costruire impianti di trattamento dei rifiuti in ogni città. Stiamo anche valutando la possibilità di produrre calore, di riscaldare le case bruciando rifiuti. Nelle città più piccole, abbiamo dato il via alla costruzione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici e la gestione dei rifiuti pericolosi. Negli insediamenti minori stiamo invece mettendo a disposizione alcuni contenitori per la raccolta dei rifiuti elettronici e pericolosi, che possono essere successivamente trasportati agli impianti di smaltimento delle varie città. Sono attualmente in corso due progetti pilota per il trasferimento dei rifiuti inceneribili nelle città dotate di impianti di incenerimento. Il governo groenlandese dispone di un piano nazionale di gestione dei rifiuti e le attività a cui mi riferivo fanno parte di Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)

questo piano.»

Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)

Terra dei fuochi, fusti tossici in un campo coltivato a Caivano

Ritrovati alcuni fusti tossici in un terreno agricolo a Caivano. Amianto a Varcaturo. La Terra dei Fuochi è un vero inferno in Italia.patriciello-620x350-586x330

Si scava nella Terra dei fuochi: un metro e mezzo di terreno, due al massimo, per coprire i veleni italiani, come la polvere nascosti sotto un tappeto della terra più martoriata dell’Europa continentale: quel lembo di inferno che va dall’hinterland napoletano fino a Caserta, passando dal Parco Nazionale del Vesuvio. Dal mare alla terra fino alla montagna, un territorio compromesso, avvelenato, che comincia a sputare fuori i suoi segreti di morte: il ritrovamento, ieri, di una discarica abusiva di fusti contenenti fanghi tossici (la cui natura, chimica e geografica, è ancora tutta da stabilire) in località Sanganiello nel comune di Caivano: proprio nella zona in cui il ministro Nunzia De Girolamo si era recata in visita su invito di don Patriciello. Una discarica interrata, nascosta sotto un metro e mezzo di terreno sul quale ci si apprestava a coltivare finocchi, dopo aver raccolto, nella passata stagione, dei broccoli e dei carciofi poi venduti. Venduti a persone ignare come Marianna Rubino, 9 anni, morta giovedì sera di leucemia linfoblastica acuta:

“Marianna è morta perché questo territorio è inquinato e noi mangiamo veleni. In questo territorio sono ancora troppo poche le persone impegnate e le istituzioni sono assenti. Io chiedo a tutte le mamme di unirsi, di svegliarsi se vogliono arrivare a vedere almeno i matrimoni dei loro figli.”

ha dichiarato disperatamente la madre al quotidiano IlMattino. Le operazioni di scavo a Caivano (Na) sono iniziate ieri mattina alle 11, coordinate dal generale Sergio Costa, comandante provinciale del Corpo Forestale: in meno di ore sono stati riportati in superficie una cinquantina di bidoni. Dentro, solventi, vernici e altre sostanze che l’Arpac dovrà analizzare.20130926_54271_r1-586x437

Su alcuni di questi bidoni, come si nota nella foto pubblicata da IlMattino, quella che potrebbe essere la pistola fumante, il motivo per cui nessun italiano, in qualunque regione esso sia residente, può girare la testa: la scritta “Milano”. La Forestale, negli ultimi tre mesi, ha individuato una superficie di circa 200mila metri quadri di veleni: interrati rifiuti tossici industriali a diretto contatto con la falda acquifera e le radici degli ortaggi. Secondo una testimonianza di un agricoltore della zona è oramai divenuto impossibile, oltre a vivere, anche lavorare:

“Non riusciamo a vendere più nulla. I nostri prodotti sono marchiati come quelli di Caivano. Un concessionario che lavora e distribuisce su Roma, mi ha annullato tutte le ordinazione. Nei negozi della capitale, si vendono solo gli ortaggi che hanno la scritta «Prodotto in Campania. No a Caivano».”

Sempre ieri a Varcaturo, lungo la costa domiziana, i carabinieri hanno messo i sigilli a un terreno di 6 mila metri quadrati: sottoterra, a un paio di metri di profondità, erano sepolte lastre di amianto, elettrodomestici in disuso, pneumatici, materiali di risulta.
A pretendere la verifica era stato un gruppo di mamme degli alunni di una vicina scuola elementare.

 

Fonte: ecoblog

 

Sistri, i primi arresti nella bufera appalti: e il sistema ancora non è attivo

Il Sistri (il sistema di tracciatura dei rifiuti pericolosi) è oggi nell’occhio del ciclone giudiziario, additato come la “truffa del secolo” dalla procura di Napoli: Carlo Malinconico, ex sottosegretario con delega all’Editoria del Governo Monti, è il nome eccellente tra gli arrestati di questa mattina.

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Mai partito, più volte l’avvio del sistema è stato procrastinato (all’inizio era il 2010 e l’ultima volta alla fine di marzo, con la promessa che dal 1 ottobre 2013 sarebbe partito tutto): un software, una chiavetta USB ed una “scatola nera” collegata al satellite, il Sistri consiste sostanzialmente in questo ma è in verità un enorme appalto pubblico dal valore iniziale di 146 milioni di euro, divenuti 400 milioni in cinque anni. 21 arresti e 10 milioni di euro di beni sequestrati: il bilancio sull’operazione della Guardia di Finanza di questa mattina è polposo quanto incredibile è la storia che c’è dietro al sistema di tracciatura dei rifiuti pericolosi. Il sistema fu ideato da Selex (gruppo Finmeccanica) nel 2007 e consiste sostanzialmente in un software, una chiavetta USB ed una vera e propria scatola nera da installare sui mezzi che trasportano i rifiuti, collegata direttamente al satellite. In teoria dal 30 aprile saranno avviate le procedure di verifica per l’aggiornamento dei dati delle imprese per le quali il sistema partirà ad ottobre, operazione che si concluderà entro il 30 settembre. Una verifica per tutte le altre imprese partirà dal 30 settembre fino al 28 febbraio 2014 e, dal 1 marzo del prossimo anno, il Sistri sarà completamente operativo (ed obbligatorio) per tutti. In teoria, perchè quanto accaduto stamattina era prevedibile e le continue proroghe all’avvio del sistema erano parte integrante del meccanismo criminale: un’appalto da 146 milioni di euro quadruplicato nel tempo, nemmeno una speculazione finanziaria ad alto rischio avrebbe fruttato così tanti soldi. Tra gli arrestati l’ex sottosegretario Malinconico, che per conto del ministero dell’Ambiente, in qualità di consulente prima e di presidente della commissione di vigilanza poi, espresse parere di regolarità tecnica sul contratto con la Selex e sul prezzo fissato. Peccato che, secondo la procura, Malinconico nel frattempo ha eseguito consulenze per l’imprenditore napoletano Francesco Paolo De Martino, per un totale di 1 milione di euro. Le consulenze, a loro volta “merce di scambio” erano la remunerazione, la stecca, che spettava a Malinconico per gli appalti Sistri (tra gli arresti anche l’ex amministratore delegato di Selex Service Management Sabatino Stornelli).

In origine sul sistema Sistri il ministro Alfonso Pecoraro Scanio appose il segreto di Stato, tolto dal successore Stefania Prestigiacomo: entrambi infatti saranno sentiti, con tutta probabilità, nelle prossime settimane. Nonostante il sistema non sia mai entrato in funzione, anzi l’attivazione è stata procrastinata numerose volte, le imprese appaltatrici hanno già incassato una parte delle somme (circa 70 milioni, secondo la procura) ed alle aziende è stato chiesto il pagamento delle rate relative alle imposte sul Sistri.

Fonte. Ansa

Bagnoli, un’altra storia di promesse mancate

L’area industriale di Bagnoli è sotto sequestro, 21 persone coinvolte nell’inchiesta per truffa ai danni dello Stato e disastro ambientale. Le bonifiche promesse nell’area sono state solo “virtuali”, ma sono comunque costate 107 milioni di euro.bagnoli

L’11 aprile, i magistrati hanno disposto il sequestro di un’ampia area di Bagnoli, quella dove – per intendersi – una volta si stagliavano l’Italsider e l’Eternit. Oltre al sequestro, sono state messe sotto inchiesta 21 persone per reati come truffa e disastro ambientale. Tra gli indagati, ci sono due ex vicesindaci di Napoli, ex amministratori, funzionari, dirigenti della società Bagnolifutura e imprenditori. L’indagine illustra come, dalla metà degli anni Ottanta e per oltre vent’anni, si sia tentato di trasformare (invano) una zona post industriale in un area turistica. A coordinare l’inchiesta, i pm Stefania Buda ei procuratori aggiunti Francesco Greco e Nunzio Fragliasso. Ciò che viene imputato ai 21 soggetti è di aver effettuato bonifiche ambientali “virtuali” della zona. Gli interventi per bonificare, hanno solo aggravato l’ambiente circostante. Anche se però solo virtuale, la bonifica “farlocca” è comunque costata 107 milioni di euro e da qui l’accusa di truffa ai danni dello Stato. Sono vicende avvenute: “in un contesto generalizzato di conflitto d’interesse in cui tutti gli enti pubblici istituzionalmente preposti al controllo dell’attività di bonifica, quali Arpac, Comune e Provincia di Napoli, si sono venuti a trovare”. Gli idrocarburi, inquinanti e cancerogeni, sono stati versati per diverso tempo in mare a causa del malfunzionamento della barriera idraulica che li avrebbe dovuti contenere, impedendo lo spargimento. Mancando i soldi per smaltire in modo regolare e a norma di legge i rifiuti pericolosi in discarica, si è ricorsi allo “stratagemma” di mescolarli con il terreno. Diverse morchie (residui dei metalli lavorati e inquinati da idrocarburi) sono stati mescolati al terreno e sotterrati nel Parco dello Sport (struttura dell’ex area industriale di Bagnoli) nottetempo, nell’arco di un fine settimana. Tutto ciò è stato portato avanti grazie a certificazioni false che bollavano le morchie come terreni “di riporto”. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha affermato senza indugio: “C’è il diritto di tutti noi, del sindaco, di chi vive in questa città, di chi vuole investire in quell’area a sapere cosa si può realizzare, quanta parte di bonifica è stata fatta e se c’è stato, come io ho sempre immaginato e pensato, sperpero di denaro pubblico”. Fortunatamente gli inquirenti hanno già risposto alle domande del primo cittadino: non solo la bonifica è fallita (con uno sperpero di diversi milioni di euro) ma la situazione sotto il profilo dell’inquinamento ambientale è ormai oltre i livelli accettabili. “È dal lontano 1995 che il WWF Italia aveva denunciato alla magistratura i gravi rischi ambientali connessi all’area di Bagnoli (come ad esempio lo smaltimento a mare di rifiuti tossici come l’amianto) – così il WWF commenta le notizie relative all’ex-sito industriale di Bagnoli -. Oggi Bagnoli, ieri l’Ilva di Taranto, prima ancora Pioltello Rodano: tutti casi che dimostrano che in Italia il principio comunitario ‘chi inquina paga’ non trova una vera applicazione. Sebbene gli interventi di risanamento e riqualificazione ambientale, nelle aree industriali dismesse potrebbero servire a creare migliaia di posti di lavoro, restituendo alle comunità e agli enti locali ampie porzioni di territorio risanate e quindi riconvertibili per attività di utilità sociale o produttive”. In Italia, ricorda il WWF, al 1 gennaio 2011 risultavano registrati 2.687 siti di bonifica, cioè aree su cui è stato pubblicamente riconosciuta la necessità e l’obbligatorietà d’intervento per un ripristino ambientale e per far cessare effetti inquinanti (anche nelle falde acquifere) a cui erano correlate patologie e danni ambientali. Le situazioni più gravi riguardano 57 di queste aree definite “Siti d’Interesse Nazionale” e la loro complessiva superficie è pari a poco meno del 3% del territorio nazionale: 550.000 ettari a terra e 180.000 ettari a mare. “L’impatto sulla salute di questi siti inquinati è stato oggetto di numerose indagini – spiega l’associazione in una nota-. In particolare nell’ambito del Programma Strategico Ambiente e Salute del Ministero della Salute è stato realizzato uno ‘Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento’ (SENTIERI) riguardante l’analisi sulla mortalità dei residenti in 44 dei 57 SIN. Lo studio ha analizzato circa 400.000 decessi relativi a una popolazione complessiva di circa 5.500.000 abitanti ed ha evidenziato lo stretto rapporto tra alcune attività produttive e aree da bonificare con il forte incremento percentuale di alcune patologie rispetto alle medie nazionali”.

Fonte. Il cambiamento

Sistri, dal 1 ottobre al via la tracciatura per i rifiuti pericolosi

Dal prossimo 1 ottobre sarà attivato dal Ministero dell’Ambiente il Sistri, il sistema di tracciatura dei rifiuti pericolosi: il primo target cui verrà rivolto saranno i produttori di rifiuti pericolosi con più di dieci dipendenti, e per tutti gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti pericolosi.

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Il Sistri è il sistema informatico che deve gestire l’intera filiera di produzione e smaltimento dei rifiuti speciali in tutta Italia: nato nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’Ambiente, allora il ministro era Stefania Prestigiacomo mentre Corrado Clini aveva il ruolo di direttore generale, il sistema Sistri, come recita il sito del Ministero

“semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell’illegalità.”

Il sistema è formato da un software, una chiavetta USB utile per le attività di gestione, e da una vera e propria scatola nera da installare sui veicoli, collegata direttamente ad un sistema satellitare: il Sistri sarebbe dovuto partire già nel 2010, ma proroghe, ricorsi, proteste di alcune associazioni di categoria, inadempienze normative e numerosi contrattempi nella messa a punto dell’intero sistema hanno fatto si che il suo avvio venisse prorogato continuamente. Fino a pochi giorni fa il termine ultimo era il 30 giugno 2013, oggi sappiamo che non è così:

Ho presentato il progetto a Confindustria che lo ha condiviso, apprezzando il grande rilievo che abbiamo voluto dare alla collaborazione con le imprese. Vanno letti in quest’ottica anche i sei mesi che ci separano dall’avvio del sistema per i produttori di rifiuti pericolosi. Obiettivo di questa fase preparatoria e’ anche quello di consolidare la collaborazione con le imprese coinvolte e di eliminare le pesantezze burocratiche e amministrative che sono state avvertite come un limite del progetto.

ha spiegato il ministro Clini il 21 marzo scorso: dal 30 aprile saranno avviate le procedure di verifica per l’aggiornamento dei dati delle imprese per le quali il sistema partirà ad ottobre, operazione che si concluderà entro il 30 settembre. Una verifica per tutte le altre imprese partirà dal 30 settembre fino al 28 febbraio 2014 e, dal 1 marzo del prossimo anno, il Sistri sarà completamente operativo (ed obbligatorio) per tutti. E’ un adempimento che discende dalle leggi nazionali e dalle direttive europee e rappresenta anche uno forte strumento di lotta alle ecomafie che sul traffico dei rifiuti costruiscono affari causando enormi danni al territorio e all’ambiente. Il nuovo programma per l’avvio del Sistri, superando le problematiche emerse in passato, confido possa rappresentare un presidio di legalità e trasparenza per tutta la filiera dei rifiuti. ha concluso il ministro Clini. Tutte le informazioni necessarie sul Sistri è possibile trovarle qui; salvo nuove proroghe ci siamo, dunque. Anche se permangono alcuni dubbi sull’efficacia di questo sistema: basterebbe iniziare per averne conferma o smentita.

Fonte: Ansa