Produttori europei di bevande analcoliche: entro il 2025 bottiglie al 25% in PET riciclato ma non solo

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I produttori di bevande analcoliche, di cui fa parte anche l’italiana Assobibe, puntano a utilizzare negli imballi il 25% di PET riciclato entro il 2025 e ad avere etichette e confezioni interamente riciclabili entro la stessa data. Entro il 2025 solo bottiglie plastica con un contenuto di PET riciclato di almeno il 25%, ma anche bottiglie, chiusure ed etichette in plastica interamente riciclabili e inoltre miglioramento della raccolta degli imballaggi utilizzati, rafforzando la collaborazione con i soggetti coinvolti e incremento del riutilizzo, dove questa soluzione offre particolari benefici a livello ambientale ed economico. Sono questi in sintesi i punti del programma europeo di Unesda, associazione europea dei produttori di bevande analcoliche (soft drink), che ha annunciato oggi l’impegno preso dai propri associati. In Italia l’iniziativa è stata rilanciata da Assobibe, l’associazione di Confindustria federata Unesda.

“L’obiettivo del settore, i cui imballaggi sono i più raccolti nell’UE – afferma David Dabiankov, direttore generale Assobibe – è quello di contribuire alla creazione di un modello circolare per gli imballaggi in plastica migliorandone la riciclabilità, il contenuto riciclato, la raccolta e il riutilizzo. E’ un messaggio davvero importante che questi impegni vengano estesi a tutta Europa: le imprese vogliono che i loro imballaggi, comprese le materie plastiche, siano raccolti e riciclati e non vengano gettati nelle strade, negli oceani e nei corsi d’acqua”. Secondo Dabiankov infine “una migliore raccolta e riciclo degli imballaggi, insieme a una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, sono elementi fondamentali per questi obiettivi e per aumentare quantità e qualità di materie plastiche riciclate da poter usare”. Assobibe ricorda infine che in Italia, l’83,5% degli imballaggi in plastica è già raccolto e recuperato, anche grazie al sistema Conai-Corepla per cui le imprese pagano per ogni tonnellata di materiale immesso in consumo.

Fonte: ecodallecitta.it

Nasce la prima associazione di imprese dell’economia circolare: FISE UNIRE diventa UNICIRCULAR

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Lo annuncia Andrea Fluttero: “Con questa svolta tuttavia intendiamo riflettere un cambio di prospettiva della nostra associazione, che vuole diventare sempre di più un punto di riferimento per tutte le imprese interessate al modello dell’economia circolare, basato sulle tre ‘R’: ridurre, riusare e riciclare”

Da oggi (giovedì 1°febbraio) FISE UNIRE diventa FISE UNICIRCULAR, Unione delle Imprese dell’Economia Circolare (www.unicircular.org)Un nuovo nome che chiarisce l’intento dell’associazione, ovvero rappresentare le “fabbriche” dell’economia circolare – imprese e associazioni di imprese – aiutandole nel loro percorso verso le istituzioni, gli stakeholder, il mercato. Lo annuncia Andrea Fluttero, già presidente di UNIRE e oggi alla guida di UNICIRCULAR, con il supporto dei Presidenti delle Associazioni aderenti: “UNICIRCULAR nasce in continuità con UNIRE: con questa svolta tuttavia intendiamo riflettere un cambio di prospettiva della nostra associazione, che vuole diventare sempre di più un punto di riferimento per tutte le imprese interessate al modello dell’economia circolare, il paradigma economico e culturale basato sulle tre “R”: ridurre, riusare e riciclare. Una prospettiva che, per le imprese, significa anzitutto cogliere opportunità legate a nuovi modelli di business, che possono assicurare vantaggi economici, ambientali e occupazionali, e l’ingresso in nuovi mercati nei quali la sostenibilità rappresenta un valore competitivo ”.

La nascita di UNICIRCULAR si colloca alla vigilia dell’approvazione definitiva del nuovo pacchetto di direttive rifiuti-circular economy, un’occasione importante da cogliere in modo proattivo. Per cogliere meglio queste opportunità, le aziende devono basarsi su una rappresentanza forte ed ampia, capace di dialogare in modo serio e credibile con l’opinione pubblica e con i decisori politici, europei, nazionali e locali, con l’obiettivo di partecipare alla definizione delle nuove norme che dovranno essere recepite nelle leggi nazionali come End of Waste, EPR (responsabilità estesa del produttore), Ecodesign Green Procurement.

UNICIRCULAR vuole inoltre essere un luogo di confronto e networking in cui le aziende associate possano scambiare esperienze, creare progetti e sviluppare il proprio business; nonché disseminatore della cultura dell’economia circolare all’interno delle stesse aziende, delle associazioni, del mondo politico e istituzionale, dei media e nell’opinione pubblica. Fare rete è nel DNA di UNICIRCULAR e per mantenere un dialogo continuo tra e con le aziende e con i suoi interlocutori l’Associazione ha rinnovato l’offerta digitale di informazioni grazie al nuovo sito web www.unicircular.org e aprendo i suoi account ufficiali sui social network Facebook eTwitter.

Il primo appuntamento che vede protagonista UNICIRCULAR nella sua nuova veste, sarà il Convegno “Circular Economy: le Direttive europee appena approvate“, organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che si terrà domani, 2 febbraio 2018, presso l’Auditorium del Ministero dell’Ambiente, e che vede il presidente Andrea Fluttero tra i relatori: una riflessione comune per analizzare le direttive rifiuti del Pacchetto Circular Economy, valutarne la portata e le implicazioni rispetto alla normativa italiana e al funzionamento delle diverse filiere di gestione dei rifiuti.

Chi è UNICIRCULAR?

UNICIRCULAR – Unione Imprese Economia Circolare fa parte di FISE – Federazione Imprese di Servizi e rappresenta un sistema che abbraccia numerose attività imprenditoriali: dal recupero di materia dai residui e dai rifiuti, riciclo e produzione di materie e prodotti secondari, re-manufacturing, preparazione per il riutilizzo di beni, componenti e articoli, ai servizi e alla logistica utili a modelli di business “circolari”. Aderiscono ad UNICIRCULAR sia imprese che associazioni di imprese; ad oggi, le associazioni in ambito UNICIRCULAR sono: 
ADA – Associazione Demolitori Auto;
ANPAR – Associazione Nazionale Produttori Aggregati Riciclati;
ASSORAEE – Associazione Recupero Rifiuti Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche; CONAU – Consorzio Nazionale Abiti Usati; UNIRIGOM – Unione Italiana Recuperatori della Gomma. Tra i partner attuali dell’Associazione: ENEA, CMR (Centro Materia Rinnovabile), REMADE IN ITALY, AIDIC (Associazione Italiana di Ingegneria Chimica) e CERTIQUALITY. UNICIRCULAR è inoltre socio fondatore di Fondazione per lo sviluppo sostenibile, partecipa al Consiglio Nazionale della Green Economy e ai relativi gruppi di lavoro, ed è componente del CTS ECOMONDO.
A livello europeo è membro di FEAD (gestori di rifiuti) e di EuRIC (riciclatori).

Fonte: ecodallecitta.it

 

Maglie e felpe da bottiglie di plastica: con il crowdfunding arriva il progetto Q-Bottles

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Felpe, polo e giacconi ottenuti da bottiglie di plastica salvate dalla discarica e dagli oceani: è il progetto Made in Italy Q-Bottles che è stato finanziato con il crowdfunding sulla piattaforma Ulule. Q-Bottles nasce interamente in Piemonte, con lo scopo di realizzare capi di abbigliamento confortevoli e resistenti, riciclando materie plastiche presenti sul territorio: un vantaggio per l’ambiente e per la moda. Secondo l’UNEP (United Nations Environment Programme) ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono negli oceani, causando 8 miliardi di dollari di danni agli ecosistemi marini. Grazie allo sviluppo della tecnologia anche la moda può dare il suo contributo per cercare di ridurre la quantità di rifiuti che ogni anno finiscono in discarica o abbandonati sui litorali. Per questo, Quagga, azienda italiana che realizza capi costituiti al 100% da fibre riciclate prive di sostanze nocive, ha lanciato sulla piattaforma di crowdfunding Ulule il progetto Q-Bottles, per trasformare semplici bottiglie di plastica in abbigliamento sostenibile, cruelty free e Made in Italy. Con Q-Bottles infatti ogni giacca, felpa e polo è stata realizzata con la plastica di bottiglie rinnovate, che non vengono così abbandonate nell’ambiente: grazie alle tecniche oggi disponibili, dalle bottiglie si riescono infatti ad ottenere tessuti d’avanguardia come per esempio un jersey in poliestere leggero, traspirante e resistente che viene poi colorato con tinture eco-compatibili. “Vogliamo dimostrare che è possibile ottenere il comfort e le caratteristiche del cotone utilizzando fibre ottenute dal riciclo di materie plastiche presenti sul territorio, con assoluti vantaggi in termini di ecocompatibilità: a fine vita i capi in poliestere possono essere nuovamente  riciclati“, spiegano i progettisti di Quagga. Il progetto Q-Bottles di Quagga nasce interamente in Piemonte: la fibra riciclata Newlife è stata prodotta da Sinterama Spa (Biella) con certificazione Global Recycle Standard stabilita da ICEA e Confidence in Textiles (Oeko Tex Standard 100). La trasformazione delle fibre in tessuto è invece opera di Alpimaglia Srl, in provincia di Torino. L’obiettivo di 50 prevendite che Quagga intendeva raggiungere con il progetto Q-Bottles su Ulule è stato ampiamente superato: il crowdfunding si è infatti chiuso con 146 capi etici e sostenibili prenotati, a dimostrazione che una moda responsabile e attenta all’ambiente, completamente Made in Italy, è possibile.12

Chi è Ulule:

Ulule è la principale piattaforma di reward-based crowdfunding d’Europa. Nata in Francia nell’ottobre 2010, ha permesso di finanziare più di 18.000 progetti con una raccolta di oltre 80 milioni di euro, diventando, con il 68% di tasso di successo, il portale di crowdfunding con la maggiore percentuale di raggiungimento del goal al mondo.

Fonte: agenziapressplay.it

Economia circolare: depuratore acque dai tappi di plastica

Una azienda italiana di Rovereto sta sperimentando in Romania un depuratore d’acqua basato su quello che prima era un rifiuto da riciclare: tappi di bottiglie di plastica.http _media.ecoblog.it_6_6c1_economia-circolare-depuratore-acque-dai-tappi-di-plastica.jpg

Il significato di “Economia circolare” è chiaro: niente si deve considerare come un rifiuto, ogni prodotto deve nascere già pronto per una seconda vita. Ma quando non è così, si deve comunque trovare una forma di riutilizzo della materia.

In questa direzione si muove quella che, per molti versi, è una invenzione tanto semplice quanto geniale: il Rotating Cell Biofilm Reactor (RCBR) realizzato dalla Eco-Sistemi di Rovereto (TN), che altro non è se non un depuratore per acque civili basato su comunissimi tappi di plastica. Il progetto RCBR ha ottenuto il supporto dell’incubatore green di Trentino Sviluppo – Progetto Manifattura e di Feed Money, un fondo cofinanziato dalla Provincia autonoma di Trento e dalla UE tramite il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR). L’idea è semplice: all’interno di un grosso cestello di metallo si inseriscono migliaia di tappi di plastica recuperati grazie alla raccolta differenziata. Questi tappi costituiranno il substrato su cui si andrà a insediare un film di batteri che depurano l’acqua. Avete mai visto come funziona un filtro per acquari tropicali? In piccolo è esattamente la stessa cosa. Eco-Sistemi, per convincere il grande pubblico e le istituzioni della bontà della propria idea, ha deciso di mettere alla prova la tecnologia RCBR tramite un progetto dimostrativo a livello europeo: un depuratore RCBR verrà testato dall’azienda di depurazione Ecotrust di Cluji Napoca in Romania. Verrà applicato alla depurazione dei reflui domestici per migliorare l’efficienza di fosse settiche e fosse Imhoff, cioè le vecchie fosse biologiche utilizzate in gran parte d’Europa nelle zone non servite dalle fognature pubbliche.

Oggi bisogna trovare il modo di combattere la diffidenza di chi realizza servizi di depurazione per il pubblico – spiega Dario Savini, amministratore delegato dell’azienda trentina – perché è in quest’ambito che RCBR, se applicato a larga scala, potrebbe veramente portare a un miglioramento della qualità della depurazione dell’ambiente e della vita dei cittadini“.

Credit Foto: Eco-Sistemi

Fonte: ecoblog.it

Riciclo incentivante: da Nord a Sud i progetti che cambiano le abitudini degli italiani

Riciclare correttamente per risparmiare su tasse dei rifiuti e bollette o per ricevere buoni sconti e premi: sono ormai decine i progetti che in tutta la Penisola mettono al centro il riciclo incentivante per promuovere l’economia circolare grazie alla tecnologia avanzata degli eco-compattatori di Eurven.
Le regioni più virtuose si confermano quelle del Nord, ma cresce l’attenzione al riciclo anche tra gli abitanti del Centro e del Sud Italia.

 

 

 Non è un segreto che sempre più italiani abbiano un occhio attento al corretto smaltimento dei rifiuti, complice la diffusione della raccolta differenziata sul territorio nazionale, ma anche dell’arrivo di esperienze innovative e vantaggiose per l’utenza come i compattatori incentivanti di Eurven.
L’azienda veneta leader nel settore dei compattatori, infatti, da anni lavora perché su tutto il territorio nazionale si diffondano progetti in grado di rendere la raccolta differenziata un gesto non solo corretto per l’ambiente, ma anche vantaggioso per le tasche dei cittadini.
Collocati in scuole, fabbriche, ospedali, supermercati, stazioni, aeroporti, centri commerciali, comuni e piazze di tutta Italia, i sistemi di raccolta – incentivanti e non – sono in grado di raccogliere mediamente 1.000 bottiglie di plastica al giorno, per un totale di circa 27 milioni di bottiglie al mese.
Cash for trash: le municipalizzate italiane riducono le tasse sui rifiuti
Innovazione e riciclo sono le parole chiave di “Cash for Trash”, il progetto che, in collaborazione con l’app 2Pay e con le municipalizzate italiane, permette di ridurre la tassa sui rifiuti. I cittadini che conferiscono correttamente i rifiuti negli eco-compattatori possono accedere agli sconti offerti dall’associazione commercianti del territorio o dai supermercati e ottenere 1 centesimo per ogni pezzo consegnato sul proprio borsellino elettronico tramite 2Pay, l’app su smartphone che semplifica il processo di pagamento abbattendo i costi delle transazioni. L’importo maturato può essere speso nei negozi convenzionati, per pagare la bolletta dei rifiuti o essere inviato al proprio conto corrente. Il progetto ha preso il via con il supporto di Evergreen in Veneto, Toscana, Liguria, Campania ed Emilia Romagna.

A Nord i cittadini risparmiano sulla Tari
Le regioni più virtuose sono quelle del Nord, dove si concentra oltre il 60% dei riciclatori incentivanti targati Eurven. Apripista il Veneto con numerosi progetti attivi, tra cui “Equaazione – Tu ricicli, io ti pago” che ha preso il via nei comuni di Conegliano, Adria, Piove di Sacco e Monselice e che sarà attivato tra marzo e aprile anche a Vittorio Veneto, Oderzo, Soresina, Piadena e Lavarone. Il progetto permette ai cittadini più virtuosi di risparmiare sulle tasse, riconoscendo un centesimo per ogni bottiglia inserita e pagando la TARI annuale al cittadino che nel mese avrà riciclato di più. I centesimi accumulati con il riciclo vengono scalati direttamente dalla bolletta della luce. Da fine gennaio ad oggi sono stati circa 250.000 i conferimenti nei quattro comuni in cui è già attivo l’eco-compattatore.
Ottimi risultati anche a Este (PD), dove presso il Centro Commerciale Extense con il progetto “Riduci, Ricicla, Ricompensa” sono state recuperate in soli due mesi 41.380 bottiglie di plastica: il macchinario premia i clienti consegnando loro buoni sconto da spendere presso i negozi del Centro Commerciale, compreso l’ipermercato Interspar.
In provincia di Belluno spicca il progetto “Acquistare Riciclando Feltre” promosso dal comune di Feltre, dove è stato inaugurato un eco-compattatore per raccogliere bottiglie di plastica, lattine e scatolame in acciaio. Installato a metà gennaio 2017, ha da subito suscitato curiosità da parte dei cittadini: ad oggi sono oltre 24.000 i pezzi conferiti. I coupon ricevuti in cambio dei rifiuti possono essere spesi presso oltre cinquanta attività commerciali del luogo e i musei comunali: con due coupon si può avere un biglietto d’ingresso ridotto anziché intero.
Molto particolare il progetto del Politecnico di Torino: si tratta di un compattatore di bottiglie in PET basato sull’interazione, che si propone di studiare i comportamenti dell’utente finale per proporre nuovi servizi. A ogni bottiglia consegnata al BlueTotem corrisponde una risposta interattiva sul video touch: l’utente può esprimere desideri e pareri sui progetti per lo stesso Campus e visualizzare una mappa interattiva costantemente aggiornata con le reazioni di tutti gli utilizzatori e la rete dei soggetti coinvolti nel corretto riuso del PET.

Al Centro Italia i rifiuti si trasformano in acqua
Al Centro il Lazio è tra le regioni con più installazioni di eco-compattatori e progetti. Tra i più interessanti c’è il progetto “Greeny Ecopunti – La plastica si trasforma in acqua” di Genazzano (RM) che mostra come anche i rifiuti possano trasformarsi in un bene prezioso: conferendo le bottiglie di plastica nell’eco-compattatore, i cittadini  ricevono in cambio ecopunti da caricare su una card e da utilizzare per prelevare gratuitamente l’acqua presso la Casa dell’AcquaSi (Lorenzoni). In un mese, il macchinario ha raccolto oltre 15.000 bottiglie di plastica.
Anche in Umbria crescono le iniziative: a Gubbio è partito a febbraio 2017 “Ricompattiamoci” con il posizionamento di due ecocompattatori. Gli abitanti della città possono conferire le bottiglie di plastica nelle macchine, inserire il codice fiscale dell’intestatario della tassa sui rifiuti e ritirare l’eco-bonus. Lo scontrino può essere utilizzato presso le attività commerciali del territorio aderenti, consultabili sul sito www.ricompattiamoci.it, oppure per ottenere uno sconto sulla TARI di 5 euro ogni 300 conferimenti o di 10 euro ogni 600 conferimenti. In 28 giorni di attività ci sono stati 12.000 conferimenti ciascuna, per un totale di 24.000. I cittadini che si sono identificati attraverso tessera sanitaria sono stati 450 e 5 di loro hanno già superato la soglia  dei 200 conferimenti.
Ad Assisi (PG) invece sono le scuole a cogliere l’opportunità di fare educazione ambientale attraverso il riciclo incentivante: all’interno di due istituti comprensivi sono stati installati i RAEE box, punti di conferimento incentivanti che in cambio di vecchi dispositivi erogano sconti e bonus a studenti e cittadini.

Sud Italia: Molise e Basilicata premiano cittadini e commercianti
Riciclare e sostenere i piccoli esercenti locali è lo scopo di Mon€y4Trash, l’innovativo progetto lanciato a fine gennaio dal Comune molisano di Gambatesa: conferendo bottiglie in plastica PET e lattine, infatti, non soltanto i cittadini ricevono sconti da spendere presso i negozi aderenti, ma anche i commercianti hanno la possibilità di risparmiare concretamente. Conservando gli scontrini erogati dal macchinario incentivante, gli esercenti possono detrarre la somma accumulata dalla TARI annuale. I cittadini hanno dimostrato grande sensibilità nei confronti dell’iniziativa: in media, vengono raccolti 1.500 rifiuti al giorno, tra lattine e bottiglie di plastica
Anche a Latronico, in provincia di Potenza, il progetto “La banca del riciclo” premia sia cittadini che commercianti: per ogni bottiglia di plastica o lattina conferita, il macchinario eroga al cittadino virtuoso un Ecopunto del valore di 0,08 centesimi di euro. Conservando gli Ecopunti dei clienti e arrivando ad un ammontare di almeno 20 euro (oppure un qualsiasi importo ma solo dopo 4 mesi), i commercianti che aderiscono all’iniziativa potranno essere rimborsati monetariamente dell’intera somma presentando gli scontrini in Comune. Dal 21 febbraio ad oggi sono stati conferiti nel macchinario 5.270 imballi.
“Dal Nord al Sud, tutti questi progetti mostrano come in Italia il riciclo incentivante sia la formula vincente per promuovere l’economia circolare”, spiega Carlo Alberto Baesso, General Manager di Eurven. “Riciclare correttamente per risparmiare su tasse dei rifiuti e bollette o per ricevere buoni sconti e premi è sicuramente un incentivo che stimola i cittadini e che permette di avere ricadute positive su economia locale e ambiente”.

 

 

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Chi è Eurven

Eurven è leader nei sistemi a monte di raccolta differenziata, compattazione e riciclo rifiuti. Tra i suoi clienti Coca Cola, Ikea, San Benedetto, Despar, Conad, Coop, Pam, Panorama, Autogrill, Unes, Gardaland, Mirabilandia, Leroy Merlin e molti altri.

Maggiori informazioni su: www.eurven.com

 

 

Fonte: agenziapressplay.it

 

Repair Cafè anche a Roma: riparare, riciclare, riusare

Riparare, aggiustare, riusare: sono parole chiave in un’epoca in cui il consumismo manipola le nostre menti e ci porta a sprechi enormi con enormi impatti sull’ambiente. Ed ecco che si stanno diffondendo i Repair Cafè. Ora ne è nato uno anche a Roma.repair-cafe

In zona Conca d’Oro, a Roma, si trova Aggiustatutto, il primo Repair Cafè in città. E’ aperto tutti i pomeriggi dalle 17 alle 19,30 grazie a tre amici che, da qualche mese,  hanno deciso di mettere  insieme le loro competenze e passioni. L’obiettivo di questa vera e propria officina sociale non è soltanto la promozione ecologica e ambientale, attraverso il recupero e il riuso di beni di consumo, ma anche diventare un vero e proprio spazio di incontro, di mutuo aiuto tra i soci e di scambio culturale tra generazioni e culture. Nella prospettiva di un ritorno ad uno stile di vita compatibile con l’ambiente, il recupero e il riciclo diventano anche uno stimolo importante alla creatività e all’immaginazione per adulti e bambini che danno nuova vita a oggetti “da buttare” di ogni tipo. Incontriamo Francesco Pelaia che nello spazio di Via Val di Lanzo, 45, tra ferri da stiro, phon, frullatori, lampade, giocattoli e una parete piena di attrezzi, ci racconta come è nato il progetto.

Qual è il significato di uno spazio come questo?

Ogni giorno, nelle nostre città, vengono gettate enormi quantità di oggetti, anche in buono stato. L’intento del Repair Café, è quello di dare agli oggetti una nuova prospettiva di utilizzo. Molte persone hanno dimenticato che è possibile riparare un oggetto o possono imparare a farlo. Riappropriarsi della tradizione del recupero è fondamentale, soprattutto considerando il periodo nel quale ogni azione a esso legata è un piccolo tassello a contrasto della crisi. Le azioni promosse dal Repair Café sono legate a un percorso sociale e culturale che mette in luce le competenze, spesso dimenticate, delle persone di età matura che possono trasmettere le proprie esperienze condividendo un obiettivo comune: la riparazione di un oggetto. Questa pratica virtuosa ha ricadute sull’ambiente grazie alla riduzione dell’utilizzo di materie prime e quello di energie per produrre nuovi oggetti. Il riuso contribuisce a ridurre le emissioni di CO2. Gli appuntamenti di riparazione insegnano a vivere gli oggetti sotto una nuova luce. E, ancora una volta, di apprezzarne il loro valore, divertendosi. Il nostro progetto vuole offrire al quartiere ed alla città un luogo dove attività artigiane “in via di estinzione” trovino spazio di espressione e di condivisione e dove si possa praticamente lavorare, recuperare e costruire manualmentecafe

A chi si rivolge il vostro progetto?

L’attività di Repair Café si rivolge a tutte le persone interessate a riutilizzare tutti quegli oggetti che l’obsolescenza programmata rende inutilizzabili o riparabili solo ad un costo troppo elevato oppure a tutto quanto meriti una “seconda vita” affettiva ad un costo ragionevole; sono benvenuti anche tutti coloro che siano curiosi di “sapere come funziona” di “sapere come si fa” vedendo artigiani all’opera o di cimentarsi partecipando al lavoro.

Come è nata l’idea di aprirne uno a Roma?

Sono stato sempre sensibile a queste tematiche, mi interessava molto il discorso della decrescita. Ho conosciuto questa realtà nata in Olanda e quindi sono partito per realizzarla insieme a due amici. Rodolfo Uberti Foppa e Guido Bertoldi.

Che lavoro fai?

Vengo da un altro mondo. Ero un dirigente nell’industria aeronautica. A un certo punto ho deciso di cambiare vita, nel 2007, e ho lasciato il lavoro. Non mi piaceva più l’ambiente che frequentavo e quel lavoro che non mi faceva stare bene. Con la liquidazione ho acquistato un appartamento e ci ho avviato un Bed and Breakfast.

Come hai iniziato ad aggiustare le cose?

Ho sempre avuto una buona manualità ma ho iniziato proprio occupandomi della manutenzione del Bed and Breakfast. Poi ho visto che la cosa mi piaceva e ho iniziato a svolgere l’attività di riparatore. Lo facevo nel garage di casa.

Come hai imparato ad aggiustare?

Mi è sempre piaciuto e mio nonno mi ha insegnato la maggior parte delle cose che so.

Quanto costa venire qui al repair cafè per far aggiustare un oggetto?

25 euro l’ora. Se hai bisogno di un intervento a domicilio non c’è diritto di chiamata e si paga solo se la riparazione è di propria soddisfazione.

Come si svolge la riparazione?

Si può chiedere di farla aggiustare oppure che venga insegnato ad aggiustarla da sé. E’ un’attività di recupero a basso costo. Spesso è il ricambio che costa molto e talvolta proponiamo una modifica compatibile con l’uso che si deve fare di quell’oggetto. Comprare un oggetto nuovo quando si può riparare quello vecchio, è un enorme spreco di rifiuti e di risorse che può essere evitato.

Spesso, dal punto di vista economico, conviene ricomprare una cosa nuova piuttosto che farla riparare.

Sì, è vero, ma altrettanto spesso le cose che usiamo hanno anche una storia, un valore affettivo. Per esempio una lampada di famiglia che nessun elettricista ti aggiusta e nessun professionista lo farebbe. Venendo da noi, invece, questo si può fare e risolvere il problema.

Organizzate corsi per imparare a riparare?

Facciamo delle serate tematiche durante le quali le persone vengono e provano a riparare un oggetto o a risolvere un problema di un impianto, di un mobile, di una finestra in casa loro. Anche solo vedere, ad esempio, una lavastoviglie o un altro elettrodomestico smontato o lo scarico di un lavandino o un rubinetto ci può aiutare a capire come fare quando si è a casa da soli e l’elettrodomestico in questione non funziona o abbiamo una perdita d’acqua. Ci sono delle macroaree di intervento. C’è una parte meccanica e una elettrotecnica. Poi c’è l’idraulica, l’elettricità e la falegnameria. Insegniamo come verificare cosa funziona oppure no. Ci sono parti molto comunemente soggette a guasti e si impara come individuarle facendo prove e diagnosi.

Quanto costa un corso?

Le serate sono a offerta libera e vengono molte persone soprattutto sull’idraulica. Per l’elettricità casalinga lo stesso. Per i grandi elettrodomestici meno.

Dal punto di vista tecnico, gli elettrodomestici hanno delle aree simili per quanto riguarda la riparazione?

I motori elettrici hanno tutti una serie di problematiche comuni. Spesso, per esempio, sono i fili di alimentazione che non funzionano, quasi al 30 o 40 per cento. In particolare all’ingresso del filo di alimentazione. Quindi si buttano spesso elettrodomestici che sarebbero perfettamente funzionanti se cambiassimo semplicemente il filo. Cioè è una riparazione di dieci minuti e con pochissima spesa. Cambiare la cinghia del motore di una lavatrice, allo stesso modo, richiede non più di 15 minuti.

Perché la maggior parte di noi non sa riparare?

Noi siamo stati educati a consumare e questa nostra propensione al  consumo fa sì che il recupero sia una controtendenza. L’altro aspetto è che noi valutiamo molto il nostro tempo libero in termini di utilità marginale. Il nostro tempo libero ha un valore enorme visto che è poco e quindi tendenzialmente non vogliamo dedicarlo ad attività che siano riconducibili ad altro lavoro. E’ ormai la norma che si preferisca spendere soldi piuttosto che perdere 30 minuti per riparare un oggetto. Non si percepisce, però, che non si tratta solo del costo relativo all’acquisto ma di un notevole costo sociale in termini di inquinamento e di smaltimento dei rifiuti. Gli elettrodomestici in genere hanno un impatto pesantissimo a livello ambientale. Anche perché ogni elettrodomestico per essere smaltito deve essere smembrato in quanto le sue componenti sono diverse tra rifiuti di plastica, elettrici, elettronici, metallici. E’ quindi complicato. Un frigorifero, ad esempio, fa un volume di rifiuto enorme.

La riparazione può essere la risposta all’obsolescenza programmata?

Non sempre, purtroppo. I produttori fanno pagare in modo esagerato le componenti di ricambio. Una scheda elettronica di un frigorifero costa 110 euro quando lo stesso frigorifero ne costa 200. Lo fanno perché a loro conviene venderne uno nuovo. L’obsolescenza programmata esiste proprio per fare in modo che gli elettrodomestici vengano regolarmente ricomprati e non è un mito come molti credono ma la realtà. In Francia esiste un progetto di legge a tutela dei consumatori proprio a sostegno di tutto questo. Infiltrazioni, umidità, guasti possono esserci, naturalmente, ma non sono tali da giustificare la quantità di casi. Sul tema dell’elettronica purtroppo è difficile intervenire perché le schede sono fatte in modo da rendere difficilissima la sostituzione delle singole componenti. A un certo punto dobbiamo arrenderci anche noi.

Fate corsi per i bambini?

Abbiamo pensato di organizzare un corso a gennaio proprio per i bambini con i giocattoli di Natale rotti. Sulle attività con i bambini così come anche sulle altre nostre attività ci piacerebbe fare corsi itineranti.

Quante persone si rivolgono al Repair Cafè?

L’idea piace a tutti ma poi dall’idea al fatto di iniziare davvero a cambiare la mentalità dell’usa e getta il passo è lungo. In Olanda hanno iniziato per esempio con un pullman itinerante.

Che cos’è la biblioteca degli attrezzi?

Vorremmo fare una libreria degli attrezzi. Si lasciano qui gli attrezzi a disposizione di tutti. Quegli attrezzi che non ci servono tutti i giorni. Così come anche tutti i tipi di cacciavite particolari e professionali che restano qui a disposizione dei soci: frese, decespugliatori, cacciaviti particolari che si usano raramente ma che sono essenziali per riparare i nostri elettrodomestici. In questo modo si evita di acquistare tutti la stessa cosa ma si mette in comune ciò che si ha.

Quali altri progetti ci sono?

Un progetto con le persone disabili che vorremmo presentare presso le varie sedi istituzionali. Un altro aspetto che ci interessa è coinvolgere le persone anziane. Non solo per insegnare loro delle cose ma anche per coinvolgerli come insegnanti di abilità che abbiamo perso.

Per quanto riguarda le donne?

Ci manca, in effetti, tutto un ambito che è sempre stato quello femminile di riparazione degli abiti, di rammendo e recupero che si è quasi completamente perso e che invece è essenziale recuperare.

Quello che fate può diventare un vero e proprio lavoro che dia un reddito per vivere?

Nel nostro caso no, non rientra per ora nei nostri obiettivi. E’ molto importante, però, pensare che per esempio attraverso i nostri corsi molte persone, ad esempio giovani, immigrati, disoccupati possano iniziare ad acquisire delle abilità da far crescere e che possano poi essere incanalate in un percorso professionale futuro.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Da Bruxelles anche buone notizie

Direttamente da Bruxelles, la testimonianza del nostro amico Alessandro Cagnolati che ci racconta come, anche nella città che in questi giorni è più di ogni altra teatro di paure e violenze, possano germogliare i semi di un’iniziativa che apre di fatto una nuova prospettiva con cui guardare al futuro.

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Quante volte ci è capitato di buttare via un elettrodomestico perché pensavamo che fosse irrimediabilmente rotto e, anche consultando il servizio di assistenza, ci hanno comunicato che era preferibile comprarlo nuovo piuttosto che aggiustarlo? Troppe volte! Ormai è diventata prassi comune quella di buttare via invece di riparare. Buttare però ha troppe valenze negative: si inquina, si è costretti a spendere soldi per ricomprare l’oggetto, si utilizzano ulteriori risorse energetiche e materie prime per produrne di nuovi, si perdono occasioni d’oro per dare ad un oggetto ancora una possibilità di tornare a essere utile! Anche se un oggetto è di un materiale che può essere riciclato si deve tenere conto che riciclare non è “indolore”. Riciclare significa utilizzare mezzi di trasporto molto inquinanti (Camion e TIR che consumano gasolio), significa usare energia per tutte le fasi di lavorazione (trasporto, separazione dei componenti, recupero delle materie prime, produzione dei nuovi componenti, etc.). Riciclare è quindi una “buona prassi” se non ve ne sono di migliori. Aggiustare in questo caso risulta essere una pratica migliore del riciclare. Una pratica “più sostenibile”.

Per quel che mi riguarda, è da quando sono bambino che il mio “istinto” mi porta ad aggiustare tutto ciò che si rompe. Confesso che, in alcuni casi, ero io stesso, per la curiosità di capire il funzionamento di un apparecchio, che arrivavo involontariamente a romperlo. Questo mi dava, ovviamente, la possibilità di “riparare” al danno provocato, aggiustandolo. Mi è anche capitato di non riuscire nell’intento, con mio grande rammarico e quello dei miei genitori che dovevano ricomprare l’oggetto in questione. Aggiustare un oggetto, spesso, può essere molto più facile di quanto si pensi (o ci facciano credere quelli dell’assistenza)! Con pochi piccoli passi si arriva a rendere l’oggetto funzionante come prima.

A volte, se si tratta di un apparecchio elettrico, (una radio, una lampada, un lettore DVD etc.) potrebbe trattarsi “semplicemente” della rottura di un fusibile, il cui costo non supera i 10 Centesimi, che si trova, più o meno nascosto, all’interno dell’apparecchio. In questi casi è sufficiente aprirlo, sostituire il fusibile, e tutto torna a funzionare come prima! In molti altri casi, come negli aspirapolvere, è il cavo di alimentazione il principale “imputato” del guasto. Basta sostituire, o più semplicemente, rimuovere la parte interrotta del cavo, per aggiustare l’apparecchio. Se quello che si è rotto è un oggetto meccanico il guasto sarà più facile da individuare (un perno spezzato, un ingranaggio rovinato, una leva piegata, un supporto piegato…) ma, a volte, più difficile da aggiustare. Si può aggiustare il componente, oppure sostituirlo o ricostruirlo. Oggi infatti, con l’avvento delle stampanti 3D è possibile riprodurre la parte guasta e rimpiazzarla. A volte si può eliminare la parte difettosa e rendere il nostro apparecchio funzionante ma con meno funzioni (ad esempio, un frullatore con due velocità di lavoro potrebbe essere riparato ed avere, dopo la riparazione, solo una delle due velocità).

Comunque sia, di fronte ad un oggetto rotto, ormai fuori garanzia e dichiarato “non riparabile” dall’assistenza, un tentativo di riparazione lo si può sempre tentare. Anzi direi che si deve! Anche perché non c’è nessun rischio che si peggiori la situazione. Prima di produrre ulteriori rifiuti un tentativo va sempre fatto. A tal proposito, ritengo che ogni persona dovrebbe impegnarsi a “custodire” gli oggetti irreparabili, invece di gettarli in discarica. Sarebbe un gesto di cortesia verso l’ambiente. Un gesto che ridurrebbe di molto i rifiuti che si producono annualmente. Se proprio non si riesce a riparare l’oggetto, si può sempre metterlo a disposizione di altre persone, inserendolo in uno dei tanti siti di annunci di vendita, di oggetti usati. Se una persona ne possiede uno uguale per marca e modello, può contattare il “donatore” e andare a prendere l’oggetto, che gli verrà regalato, per aggiustare il suo. Si creerebbe così un magazzino “virtuale” di oggetti rotti, ma utilizzabili per ripararne altri.

E allora prima di gettare via l’oggetto armiamoci di attrezzi e andiamo alla scoperta del guasto! Sono tre i punti fondamentali dell’arte della riparazione:

  1. Definire il sintomo (non si accende; si accende ma non risponde ai comandi; si accende e risponde ai comandi in modo casuale; si accende ma si spegne da solo; etc.). E’ importante che il sintomo si presenti sempre allo stesso modo.
  2. Localizzare il componente (meccanico o elettronico) che lo fa funzionare male, o per niente.
  3. Decidere la “strategia” di intervento (sostituire un componente rotto; aggiustare il componente; modificare l’oggetto; utilizzare l’oggetto modificato per altri scopi; etc.).

Eccovi ora un esempio dal mio repertorio di “aggiustamenti”

Per il fine settimana ero andato a trovare un amico sui colli bolognesi. Dopo un po’ che chiacchieravo con lui, vedo una lampada da tavolo, di quelle alogene da 12 Volts, buttata a terra in un angolo. Gli chiedo il perché si trovi lì e lui mi risponde che si è rotta e che la deve buttare. “Buttare???” No, non lo permetterò (almeno finché non avrò capito qual’è la vera entità del danno). Cacciaviti e tester alla mano, smonto la lampada e trovo subito il guasto. Si era bruciata una resistenza del circuito elettronico. Di sabato pomeriggio trovare una resistenza di quel tipo non è facile. Ci sarebbe servito un negozio di componenti elettronici. “E dove lo troviamo un negozio di elettronica, aperto di sabato pomeriggio, sui colli bolognesi?” mi chiede lui. Faccio fare “un paio di giri” ai miei neuroni e la soluzione salta fuori subito: “Cos’è che si trova spessissimo vicino ai cassonetti della spazzatura? I televisori a tubo catodico!”. Usciti in macchina cominciamo la nostra “caccia” e al terzo cassonetto, come immaginavo, troviamo un televisore a tubo catodico. Aprirlo e tirare via le scheda elettronica, con centinaia di resistenze di ogni tipo, è stato un gioco da ragazzi. Avevamo tutte le resistenze che ci servivano, e per giunta gratis! Tornati a casa ho sostituito la resistenza rotta con una del televisore e la lampada è tornata a funzionare!

E ora vi spiego come ho incontrato e che cosa sono i Repair Café

Capitato a Bruxelles quasi per caso, per un soggiorno previsto di due mesi, un giorno mi sono deciso e ho mandato una mail ad uno dei Repair Café che si tengono nella capitale belga. Avevo già letto un articolo sul giornale della COOP sull’iniziativa dei Repair Café nati in Olanda qualche anno fa. Nella mail chiedevo se potessi partecipare come volontario riparatore ad una sessione per aiutare e vedere “dal vivo” come funzionava l’iniziativa. Confesso che l’accoglienza con cui mi hanno ricevuto nella loro squadra mi ha davvero spiazzato! Già mi prefiguravo una cortese risposta che mi invitasse a rivolgermi altrove, o che non fosse possibile accettare altre persone… Invece, eccomi lì: attrezzi alla mano, pronto ad accogliere e riparare ogni sorta di oggetto. Dalla lampada da tavolo alla macchina distributrice di birra fredda.

Per chi non sa cosa sia un Repair Café (RC) dirò brevemente che è un’idea geniale, avuta da una donna olandese, tale Martine Postma, che – stanca di sentirsi dire che l’oggetto che aveva portato a riparare era meglio buttarlo e comprarlo nuovo – ha creato una rete di “momenti d’incontro” tra persone come lei e “angeli riparatori” che fossero disposti a mettere a disposizione le
loro conoscenze, i loro attrezzi ed il loro tempo per evitare che tali oggetti finissero in discarica.

Oggi i RC si stanno diffondendo a macchia d’olio. Solo in Olanda ce ne sono più di 200! Più di 150 in Belgio! In Germania, almeno 250! Ogni mese la squadra dei RC si organizza per accogliere decine di persone che hanno necessità di far riparare i loro oggetti. Le categorie principali degli oggetti riparabili nei RC sono cinque: elettrodomestici, informatica, sartoria, biciclette e falegnameria (piccoli oggetti). Ma ogni RC può scegliere di inserire altre categorie, in base ai volontari riparatori
disponibili: per esempio, in uno dei tanti RC che frequento in Belgio c’è un giovane liutaio che aggiusta strumenti musicali! Gli oggetti che più frequentemente capitano fra le mani sono certamente i piccoli elettrodomestici, sempre molto numerosi nelle nostre case. Ma non mancano macchinari “strani” e sconosciuti, come la macchina per far oscillare le gambe di persone costrette a letto e impossibilitate a muoversi. La parola Café, dopo Repair, significa che per le persone che aspettano il loro turno di riparazione c’è la possibilità di prendere un caffè, una tazza di te, una birra o mangiare una fetta di torta o di kisch, preparate dalle volenterose mani dello staff dei RC. C’è pertanto una sala d’aspetto dove le persone hanno la possibilità di incontrare e parlare con altre persone che hanno avuto lo stessa idea. Quasi tutte le persone che vanno ai RC hanno una sensibilità piuttosto sviluppata verso le problematiche legate alla sostenibilità ambientale, che vanno dalla produzione di rifiuti in costante aumento, al contrasto dell’obsolescenza programmata strategicamente utilizzata da molte industrie per vendere più prodotti. Si ha così l’occasione per scambiare le proprie idee, per raccontare le proprie esperienze, per ascoltare i buoni consigli di chi ha trovato già delle soluzioni. Una sostanziale differenza tra i RC e i laboratori di riparazione tradizionali sta nel fatto che gli oggetti che le persone portano con sé, vengono riparati insieme. La persona si siede accanto al riparatore e spiega cosa c’è che non va. Racconta qualcosa che riguarda il “paziente”. Una sorta di “anamnesi” condita spesso di aneddoti del tipo: “Questo tostapane io lo uso da 35 anni, tutti i giorni, me lo ha regalato mia nonna che lo ha usato a sua volta per 20 anni. Da qualche tempo non va più, ma credo sia il cavo (originale) che non fa più passare la corrente”! Allora il riparatore comincia a smontare l’oggetto raccontando cosa fa e perché. Spiega come cercare la causa del malfunzionamento o illustra le difficoltà nello smontare l’oggetto (in base alla mia esperienza, i più ostici sono gli aspirapolvere e le macchine fotografiche compatte). Se gli serve aiuto, per tenere fermo l’oggetto, chiede direttamente alla persona di aiutarlo. In certi casi, le persone arrivano con oggetti già metà smontati e dicono (quasi scusandosi come se avessero commesso un misfatto): “Sa, ho cercato di fare io la riparazione… ma a un certo punto mi sono dovuto fermare perché…” E qui ci sono varie cause per cui la riparazione non ha potuto essere effettuata. Spesso non hanno avuto il “coraggio” di continuare per timore di arrecare un danno maggiore. Oppure non avevano gli attrezzi giusti. O non sapevano come aprire l’oggetto perché, in effetti, ci sono varie viti “sapientemente” nascoste che lo hanno impedito.

Per la riparazione, a prescindere dall’esito, non viene richiesto nessun compenso, la persona che ha portato l’oggetto è libera di fare un’offerta in denaro. C’è chi lascia un Euro, chi venti e chi ringrazia gentilmente e torna a casa. Questi soldi, insieme ai soldi, delle vendite di caffè, tè e leccornìe varie, servono a sostenere le piccole spese di cui necessità un RC. In primis, c’è da pagare un’assicurazione che protegga i volontari da eventuali incidenti. Quasi sempre si lavora con oggetti che per funzionare utilizzano la corrente elettrica a 230Volts. Si opera con attrezzi a volte “pericolosi”, come i taglierini o il ferro per le saldature a stagno, che raggiunge temperature di oltre 200° C. C’è poi l’acquisto di attrezzature particolari, che i volontari non posseggono, e che vengono messe a disposizione di tutti. Concludo dicendo che oggi i RC sono assolutamente in linea con l’avvento dell’economia “circolare” che si sta sviluppando, in Europa e negli altri paesi sviluppati, per il necessario cammino verso la sostenibilità! In più, i RC hanno una valenza positiva, molto positiva, come ruolo di ritorno ad una socialità ancora più forte. Il loro valore aggiunto nel ruolo sociale si manifesta offrendo una ulteriore occasione di incontro col “vicino di casa”.

La Vita è bellissima!

Fonte: ilcambiamento.it

Ricicla rifiuti per creare case per senzatetto

Un artista californiano realizza piccole abitazioni trasportabili e destinate a chi non ha una dimora fissa. Geniale, vero? Ecco perché Gregory Kloehn ha lanciato questo progetto di solidarietà. “Homeless Home Project“: questo il nome dell’iniziativa sorta a favore dei senza fissa dimora che vivono al sud della West Coast. Il progetto porta la firma dell’artista californiano Gregory Kloehn che ricicla rifiuti e scarti di vario tipo per costruire vere e proprie casette per senzatetto.  L’uomo, in giro tra discariche abusive e sversato i vari distribuiti sul territorio, riesce sempre a trovare tutti i materiali possibili da assemblare per confezionare poi dei rifugi per chi non possiede quattro mura in cui dormire. Alla struttura portante fatta con vecchi pallet, Kloehn aggiunge infatti tutto ciò che la creatività e l’immaginazione gli propongono. Dall’oblò di una lavatrice che può diventare un infisso allo sportello anteriore di un frigorifero che assume le sembianze di una porta d’ingresso.

Si tratta di case trasportabili e create con materiale riutilizzato: le “little homeless homes”.1-_CASE_PER_SENZATETTO

(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Un’idea sostenibile e green, ma allo stesso tempo di natura solidale.

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(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Grandi quanto un sofà, queste case presentano tutte un tetto spiovente per far defluire l’acqua piovana e delle rotelle per spostarle da un posto all’altro. L’idea è partita quando un giorno, affacciandosi dal suo studio, un senzatetto chiese a Gregory una coperta per ripararsi dal freddo.

Oggi l’artista ha avviato una vera e propria campagna di sensibilizzazione a cui è possibile contribuire cliccando su questa pagina. 

Il progetto “Homeless Home Project” aiuta molti clochard ad imparare le tecniche per costruirsi un rifugio autonomamente e allo stesso tempo innesca un ciclo virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti abbandonati. Due piccioni con una fava.
fonte: strabiliami.it

Riciclaggio dell’alluminio: dal virtuosismo ambientale all’arte fotografica

Riciclare l’alluminio è una buona pratica per risparmiare denaro ma anche per creare oggetti d’arte. L’alluminio è un materiale metallico che si presta a una vastità di applicazioni e possibilità di riutilizzo, grazie alle sue molteplici proprietà: leggero, versatile, non tossico, non magnetico, ottimo conduttore di elettricità e calore, duttile; la riciclabilità dell’alluminio è una caratteristica peculiare di questo metallo, che garantisce costi energetici contenuti. Il riciclo dell’alluminio, oltre a evitare l’estrazione di bauxite, consente di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrlo partendo dalla materia prima: per ricavare dalla bauxite 1 kg di alluminio sono necessari 14 kWh, per ricavare invece 1 kg di alluminio nuovo da quello usato servono solo 0,7 kWh di energia. Il Decreto Ronchi ha incentivato la creazione, su tutto il territorio nazionale, di Consorzi di filiera che si occupano del recupero di differenti frazioni merceologiche: per quanto riguarda il mercato dell’alluminio il Consorzio di riferimento è il CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio): tra i compiti principali del Consorzio c’è quello di garantire il recupero proprio degli imballaggi in alluminio provenienti dalla raccolta differenziata fatta dai Comuni italiani, che già sulla plastica hanno raggiunto (dati Corepla e Legambiente) risultati interessanti. L’alluminio riciclato ha in verità proprietà equivalenti a quello originario e per questo motivo può essere impiegato per nuovi imballaggi, industria automobilistica, edilizia, casalinghi…e per l’arte! Questo è il tentativo di Malena Mazza, fotografa di moda che il prossimo 9 aprile inaugurerà a Milano una mostra fotografica dedicata al packaging in alluminio e agli oggetti in alluminio riciclato più comuni: la mostra, dal titolo “Aluminium, fashion&food”, si terrà fino al 23 aprile al padiglione Olona del Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. L’iniziativa artistica, promossa proprio dal Consorzio Imballaggi Alluminio, permetterà ai visitatori di osservare questo metallo, prezioso ed economico, sotto un’altra luce, più artistica ma non per questo meno funzionale.INVITO_Aluminium-fashion-and-food-620x350

Fonte: ecoblog.it

Le ricette della nonna per riciclare gli avanzi: #nunsijettalumangià

Nella settimana europea della riduzione dei rifiuti ecco un dolcissimo video di una nonnina che insegna al giovane nipote a riciclare gli avanzi

Lei è nonna Concetta (in alto nel video) e per la Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti 2014 (SEER 2014) dedicata quest’anno alla lotta allo spreco alimentare, ci svela un paio di ricette veramente interessanti per riciclare gli avanzi in cucina. La pasta che resta nelle buste può essere spezzata per comporre la “pasta del monaco” mentre se la pasta avanza dal pranzo già cotta la si riscaldata con passata di pomodoro e pane duro diventa una splendida zuppa, detta pancotto, perfetta per le fredde sere invernali. La sapienza dei nostri nonni, in fatto di lotta allo spreco alimentare era proverbiale: in passato gettare via il cibo era considerato un peccato mortale perché il cibo era poco e non solo andava diviso ma anche era importante non sprecarlo. L’idea di coinvolgere i nonni, gli anziani, nelle ricette di riciclo degli avanzi di cucina è del gruppo Positivo Si Cambia che invita tutti gli internauti a partecipare alla sfida: creare una ecoRicetta in cui vi sia almenti un ingrediente derivato da un avanzo. Poi bisogna scrivere gli ingredienti e spiegare la ricetta condividendo o un video o la foto della preparazione sulla pagina del gruppo facebook usando gli hastag #nunsijettalumangià e ‪#‎serr14. Tra le proposte giunte anche le ricette di nonna Teresa che racconta come non gettare via il pane vecchio di uno o due giorni con la preparazione di uno squisito dolce.

Voi avete ricette da suggerire per non gettare via il cibo?

Fonte: ecoblog.it