Le ricerche scientifiche più inutili del 2013

La velocità di Holly e Benji, i problemi con l’alcool di James Bond, il clima della Terra di Mezzo. Ecco tre studi scientifici del 2013 dei quali avremmo potuto fare a meno3322893-586x580

Una parte consistente delle storie che vi raccontiamo, scaturiscono da ricerche e si basano su studi scientifici. Negli ultimi giorni del 2013 abbiamo deciso di passare in rassegna tre studi che, di certo, non concorreranno per il Nobel, ma che hanno avuto ampio risalto sugli organi di informazione. In Inghilterra li chiamano studi “tongue-in-cheek”, ovverosia ironici, scherzosi. Per la loro singolarità diventano notizia, anche se qualcuno scomoda il latino cui prodest?

Quanto è grande il campo di Holly e Benji?

Gli appassionati di calcio nati degli anni Settanta e Ottanta sono cresciuti con le corse di Holly e le parate di Benji, protagonisti dell’omonimo anime giapponese sul mondo del pallone. Tsubasa Ozora, un giovane e intraprendente studente giapponese, ha prodotto, per gioco, una ricerca per stabilire la lunghezza del campo di calcio sul quale Holly corre all’impazzata per molti minuti, durante i suoi interminabili contropiede. Il giovane studente ha scoperto che il campo misura addirittura 18 chilometri e che i calciatori della serie giapponese percorrono circa 250 chilometri a partita, a una velocità che arriva a 150 km/h. Il calcolo è stato fatto sulla base di una formula che prende in considerazione il raggio terrestre, la misura media dei giocatori e l’inclinazione della Terra. Ozora sogna di poter giocare nella nazionale giapponese e, con essa, vincere i mondiali di calcio, ma anche la passione per la fisica non andrebbe trascurata.

Il clima della Terra di Mezzo

I ricercatori dell’University of Bristol, grandi fan della saga di J.R.R. Tolkien, si sono interrogati sui cambiamenti climatici nella Terra di Mezzo, l’universo nel quale si muovono i personaggio del Signore degli Anelli. Uno scherzo fra amici? Macché: la ricerca è finita sulle pagine della Scientific American. I ricercatori inglesi hanno studiato, con accurate simulazioni gli effetti della pioggia nelle Montagne nebbiose, la produttività delle colture nelle terre nere di Mordor e il clima della Terra di Mezzo, di cui Tolkien ha fornito una mappa dettagliatissima, con montagne, coste, foreste e oceani.

Gli scienziati hanno precisato di aver svolto la ricerca nel tempo libero e senza finanziamenti, rivelando come l’universo tolkieniano assomigli, climaticamente, all’Europa occidentale e il Nord Africa. Insomma le zone più fredde e piovose assomiglierebbero al Leicestershire, mentre il regno di Mordor avrebbe un clima simile a quello del Texas. Lo scopo dei ricercatori? Intercettare l’interesse dei milioni di fan della saga di Tolkien e dirottarne l’attenzione sui cambiamenti climatici.

James Bond: altro che Spectre, il vero nemico è la bottiglia

Qualche settimana l’autorevole British Medical Journal ha pubblicato una ricerca di un gruppo di specialisti che si sono sbizzarriti in un fanta check up all’agente 007 al sevizio di Sua Maestà. Il verdetto dei medici è stato impietoso: James Bond sarebbe malato di cirrosi epatica, destinato a morire a 50 anni e, soprattutto, assolutamente incapace di compiere le imprese che gli vengono attribuite sul grande schermo, sia dal punto di vista fisico e mentale che da quello sessuale.

Con i quantitativi alcol ingurgitati, insomma, l’agente segreto più noto del mondo non solo non potrebbe tener testa agli scagnozzi della Spectre e sfuggire ai suoi negozi, ma farebbe flop anche sotto le lenzuola. Gli autori della ricerca hanno letto molto attentamente i 14 romanzi di Ian Fleming e hanno scoperto che Bond trangugia 92 unità alcoliche alla settimana, ovverosia il quadruplo del “limite di guardia” raccomandato dal National Health Service. È come se, tutti i giorni della settimana, Bond si ingollasse mezza bottiglia di vodka, oppure una trentina di bicchieri di vino a settimana.

Il personaggio di Bond, nacque fra gli anni Cinquanta e Sessanta, in un’epoca in cui la consapevolezza dei danni provocati dall’abuso di alcol non era alta come al giorno d’oggi. E proprio il suo creatore, Ian Fleming, morì a 56 anni, a causa dei disturbi cardiaci provocati da una vita di eccessi di alcolici e di tabacco.

Fonte: Gazzetta | British Medical Journal | Scientific American

L’effetto serra: il fantasma del palcoscenico

Una presenza spesso impalpabile per i media, una quotidiana e catastrofica realtà per gli esseri viventi piccoli e grandi, per la vita intera.termometro_cambiamento_climatico

Pochi giorni fa, il 10 novembre, ho cucinato una padella di zucchine con relativi fiori. Le zucchine a novembre sono fuori stagione, noi non mangiamo verdure fuori stagione, ma quelle zucchine erano del nostro orto. Il nostro orto non è in Sicilia o in Marocco, è a cinquecento metri di altezza nella Toscana centro-settentrionale. Le zucchine alla fine di agosto avevano detto “basta” e cominciato a ingiallire e seccare. Poi, dopo un ottobre intero a venti gradi e oltre, hanno pensato di essersi sbagliate e hanno ricominciato a vegetare e dare frutti e fiori. Intanto, i boschi sono ancora verdi. Di un verde spento che vira al marrone spento. Le rose in giardino stanno fiorendo e così i tagete; in giardino sta anche crescendo una bella pianta di pomodoro, il cui seme sarà stato nel terriccio del composto con cui abbiamo concimato le piante. I cavoli invece sono attaccati inesorabilmente da lumache e chiocciole che, a novembre, non sono in letargo mentre dovrebbero, ma sono vispe e probabilmente si stanno riproducendo fuori stagione. L’altro giorno, mentre raccoglievamo le olive, ci siamo “beccati” una dose abbondante di punture di zanzare. A novembre. Non è un’annata eccezionale, è il normale, tragico andamento dell’effetto serra negli ultimi decenni. Nonostante ci siano “autorevoli” personaggi e famigerati scienziati che continuano a negarlo, con una faccia tosta degna di miglior causa. Lo negano anche di fronte ai risultati di ricerche rigorosissime, accuratissime, approfondite e decennali degli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

“Gli dei accecano coloro che vogliono perdere” (Pindaro).

Chi vive in campagna non ha bisogno di ricerche scientifiche a meno che non sia stato anche lui accecato, non dagli dèi, ma dal fragore cacofonico dei media ufficiali, impegnati a distogliere l’attenzione da qualsiasi riferimento ai disastri ambientali che vada al di là della macabra superficialità. L’evidenza quotidiana e stagionale glielo dimostra senza possibilità di dubbio. In trent’anni, nella zona del Chianti in cui vivo, sono scomparsi prima i peschi: gelate sempre più tardive, estati sempre più calde; poi gli albicocchi: a loro sono bastate le gelate sempre più tardive; infine i ciliegi: non sopportano calure e siccità estreme. I vecchi ricordano quando da bambini andavano a rubare le ciliegie primaticce in questo o quel podere particolarmente fornito di rigogliosi e generosi ciliegi primaticci. I pomodori degli orti, che un tempo qui da noi maturavano verso la fine di giugno, ora cominciamo a mangiarli in agosto, perché tutte le piantine messe a terra prima di maggio, sono destinate a soffrire e ammalarsi per temperature che, magari estive in marzo, si abbassano improvvisamente intorno ai dieci gradi in aprile, a maggio, e negli ultimi anni persino nella prima metà di giugno. Un clima in convulsioni che stermina gli impollinatori: la primavera scorsa tacevano tutti i loro ronzii, i fiori disertati sfiorivano tristemente senza allegare. Chi coltiva la terra e produce il cibo sa che ogni anno per lui e per le sue creature diventa più difficile. La vita delle piante, la vita degli insetti e degli animali selvatici è sempre più precaria, non della naturale precarietà di tutte le vite, ma della precarietà di una nave nella tempesta. La tempesta è un clima che sta diventando inadatto alla vita come si è sviluppata sul nostro pianeta in centinaia di migliaia di anni. L’11 novembre 2013 un vento di tramontana soffiava con raffiche a ottanta chilometri orari; un vento di tramontana “eccezionale”, dovuto alla “eccezionale” discesa della temperatura di circa dieci gradi in una notte. Squassava i cipressi come se volesse strapparli dalla terra, faceva cadere coppi dal nostro tetto e da quello dei vicini, strappava le foglie ancora verdi degli alberi nel frutteto e nel bosco. La strada che porta a casa nostra è ora coperta di un tappeto di foglie, come dovrebbe essere in autunno, peccato che le foglie (di quercia) siano verdi. Mentre un amico di Alzano Lombardo nello stesso giorno mi diceva al telefono che da loro, quattrocento chilometri più a nord, era una giornata primaverile da camicia e giacchetta. Quando ero bambina in Lombardia a novembre mettevamo il cappotto, dopo il soprabito in ottobre e la giacca sopra il golf in settembre. Eppure mi sembra di sentire come trapani nel cervello le voci dal tono sicuro e arrogante che dicono che questi eventi eccezionali ci sono sempre stati. Ma è vero! Il problema è che non sono più “eccezionali”! Sono ormai quotidiane eccezionali tempeste, eccezionali siccità, piogge eccezionali, freddi eccezionali, caldi eccezionali. Ma una società ormai in preda a un marasma non inferiore a quello climatico tenta ancora di negare l’innegabile. I Padroni del vapore pagano scienziati (una parte infima ormai) e organi di “informazione” (la gran parte ormai) per negare, mettere in dubbio, o semplicemente omettere, nascondere, confondere. Nelle Filippine un tifone apocalittico, come non se ne sono mai verificati prima, uccide decine di migliaia di persone, non si sa quante e probabilmente non lo sapremo mai, ma la notizia nel giro di due giorni viene spazzata sotto il tappeto: bisogna dimenticarla e, soprattutto, evitare di mettere in relazione questo “evento eccezionale” nella sua intensità (ossia ricorrente in quelle zone, ma a un altro livello di impeto però) con l’eccezionale riscaldamento del pianeta. Dobbiamo continuare a produrre, consumare, inquinare, distruggere, distruggerci.

Non dobbiamo allarmarci, riflettere, correre ai ripari: che ne sarebbe dell’economia, del PIL, dei profitti, del dominio?

Ma che ne sarà di loro, dei dominatori, dei loro figli e nipoti? I potenti e i loro servi hanno scoperto la formula magica per l’invulnerabilità e l’immortalità?

O sono semplicemente incapaci di comprendere?

Quelli che venivano chiamati “scemi di guerra”? Il risultato di una società aggressiva, feroce, competitiva, che seleziona ai suoi vertici i più psicologicamente disturbati?

Il guaio è però che al giorno d’oggi noi gente comune, noi che ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli e magari anche per il futuro del pianeta e di tutti i viventi, abbiamo contratto la malattia degli “scordoni”: non abbiamo più memoria, spirito d’osservazione, capacità critica. E questo grazie alla nostra (tossica) dipendenza dagli “organi d’informazione”. Se la televisione ci dice che piove, usciamo con l’ombrello anche se c’è il sole. Se televisione, radio, giornali ci bombardano con le manfrine sul debito pubblico e la necessità di “tagliare” (lo stato sociale, ovviamente, non le grandi opere), noi ci preoccupiamo del debito pubblico. I “media” sono ormai i nostri sacerdoti, la nostra religione, la nostra cultura, la nostra memoria; grazie a loro non siamo più in grado di vedere la vita, la realtà. E così tutti in coro ci dimentichiamo l’effetto serra e le sue devastazioni e, se a novembre a Milano ci sono venti gradi all’ombra, diciamo: “Che bella giornata!”. Mentre dovremmo correre a comprarci il manuale dell’autosufficienza, convincere quattro amici e creare di corsa una comune agricola biologica fondata sulla permacultura, con le pale eoliche per l’energia, e sbrigarci a imparare a tessere la lana e il lino e ad addestrare cavalli e asini per viaggiare e trasportare.

Ma come? Siamo matti? Qui si vuole tornare all’età della pietra? Al neolitico?

Niente paura. Le popolazioni più longeve del pianeta sono popolazioni di agricoltori e piccoli allevatori che vivono in luoghi rimasti fuori dal gran flusso del “Progresso”; che vivono in maniera poco diversa da come vivevano i loro antenati nel neolitico, in genere immuni alle cause legali, agli assassinii, al ridurre i propri simili in schiavitù. Sono popolazioni arretratamente felici.

«Un po’ di pazzia a primavera

è opportuna anche per un re,

ma Dio protegga il folle

che pondera su questo portentoso spettacolo

sull’intero esperimento verde

come se fosse roba sua».

Emily Dickinson

Fonte: il cambiamento

Gli ingredienti della cucina naturale: l’uva

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L’uva e la vite, rappresentano un vero patrimonio dell’umanità, specie per i paesi della zona Mediterranea, proprio come l’olio. Questa pianta ha moltissime proprietà benefiche, che ne giustificano l’importanza anche nelle culture antiche. La vite nasceva spontanea in Asia, e in tutta l’area del Mediterraneo, e presso i Greci aveva rilievo anche a livello religioso tale da essere simbolo del dio Bacco. Parliamo della Vitis vinifera, dalla quale derivano tutti i vitigni destinati alla produzione di uva da vino e da tavola. L’uva, che sia destinata a fare del vino o ad essere mangiata, contiene molti sali minerali, soprattutto potassio, importante per il benessere della muscolatura, ma anche manganese, rame, fosforo, magnesio, silicio (che fa particolarmente bene a pelle e capelli), cloro e ferro. Per quanto riguarda le vitamine, la A (betacarotene,cioé antiossidante), la B1 (presiede al corretto funzionamento dell’apparato digerente e del sistema nervoso), la B2 (combatte le malattie della pelle, degli occhi e serve per l’accrescimento) la C (rafforza le difese immunitarie, i capillari e favorisce lo sviluppo di denti e ossa) e la PP (importante contro la pellagra). Questi principi nutrizionali, uniti ai polifenoli (di cui uno degli elementi più importanti sono i flavonoidi), fanno sì che l’uva abbia effetto antiossidanteantitumorale e antivirale, in particolare grazie al revestratolo, e favorisce la risoluzione dei problemi legati alla circolazione sanguigna. Il revestratolo, infatti, combatte l’insufficienza venosa, la flebite e la fragilità capillare, rafforza le pareti dei vasi sanguigni, ne favorisce la contrazione e quindi la risalita del sangue dagli arti inferiori al cuore. Sul fronte del vino, va anche detto che diverse ricerche scientifiche hanno chiarito che pochi bicchieri bevuti al pasto non sono dannosi. Anzi, migliorano la stabilità del plasma e contribuiscono alla diminuzione dell’LDL (lipoproteine a bassa densità conosciute anche come colesterolo cattivo) e all’aumento dell’HDL (lipoproteine ad alta densità conosciute anche come colesterolo buono), sempre grazie ai polifenoli. A beneficiare delle virtù benefiche dell’uva è anche la circolazione dell’occhio, poiché svolge azione astringente e previene le emorragie. A livello fitoterapico l’uva è utilizzata per numerosi problemi – oltre alla flebite – per le vene varicose, le gambe pesanti, la couperose, i disturbi della menopausa e quelli emorroidali. Per la bellezza della pelle l’uva è importantissima perché i sali minerali, le vitamine ed i polifenoli che contiene, aiutano sul fronte dell’azione antinvecchiamento, contrastano i radicali liberi e la formazione delle rughe, favoriscono la produzione di collagene ed il rinnovo dell’epidermide. Non ultimo hanno un’azione depigmentante sulle macchie scure. Introdurre l’uva nei pasti quotidiani è una saggia idea, perché tra i tanti pregi è rimineralizzante, lassativa e diuretica. In settembre, poi, i nostri nonni parlavano della famosa ‘cura dell’uva’. Attenzione a non esagerare, però, se si deve tenere la bilancia sotto controllo oppure se si soffre di diabete perché è molto zuccherina. Su 100 gr di uva fresca il potere calorico è pari a 61 kcal.

Fonte: tuttogreen