Viggiano, traffico illecito di rifiuti petroliferi: Renzi interviene sull’inchiesta di Potenza

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3 aprile 2016 – Il premier Matteo Renzi è intervenuto, nel corso della trasmissioneIn Mezz’ora di Rai Tre, sull’inchiesta di Potenza. A Lucia Annunziata, ha precisato che l’emendamento alla Legge di Stabilità, quello che dava il via libera al progetto di estrazione di petrolio Tempa Rossa, è stato una scelta sua: “Ho scelto io di fare questo emendamento. Lo rivendico con forza. L’idea di sbloccare le opere pubbliche e private l’abbiamo presa noi”. Sull’accusa di essere legato alle lobby, Renzi replica: “Ci dicono a noi che siamo quelli delle lobby quando noi abbiamo fatto la legge su reati ambientali, le pene sull’anticorruzione, abbiamo fatto delle iniziative concrete e reali compresa l’approvazione in prima lettura alla Camera del conflitto d’interessi. Dire che noi siamo quelli delle lobby a me fa, tecnicamente parlando, schiattare dalla risate”.

Infine, il primo ministro si è detto a disposizione dei magistrati.

Viggiano, traffico illecito di rifiuti petroliferi: i pm interrogheranno Boschi e Guidi
11.28 – I pm di Potenza si recheranno a Roma nei prossimi giorni per sentire il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, e l’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, nell’ambito dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata.

2 aprile 2016 – Aumenta l’elenco delle persone indagate dalla Procura di Potenza sull’impianto di Tempa Rossa. Nelle ultime ore sono stati iscritti nel registro degli indagati il Capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi e il dirigente della Ragioneria dello Stato Valter Pastena, con le stesse ipotesi di accusa contestate agli altri indagati, associazione per delinquere, abuso d’ufficio e traffico di influenze.

Viggiano, traffico illecito di rifiuti petroliferi: dipendenti Eni ai domiciliari

31 marzo 2016, ore 09:57 – Cinque funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (in provincia di Potenza), dove l’ENI tratta il petrolio estratto in Val d’Agri, sono stati posti agli arresti domiciliari dai Carabinieri per la tutela dell’ambiente perché ritenuti responsabili, a vario titolo, di “attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti”.

L’indagine dei Carabinieri ha portato a un’ordinanza di custodia cautelare anche a carico di un dirigente della Regione Basilicata. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Potenza nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) e sono stati eseguiti nelle province di Potenza, Roma, Chieti, Genova, Grosseto e Caltanissetta. L’operazione è stata affidata ai Carabinieri del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) e le accuse riguardano lo smaltimento illecito di rifiuti in territorio di Pisticci (zona Tecnoparco): secondo quanto riferito dal TgNrba, che per primo ha diffuso la notizia, dei rapporti fra centro oli e tecnoparco Valbasento la magistratura si occupa da alcuni anni: in particolare l’antimafia aveva incentrato l’attenzione sul trattamento delle acque reflue e dei rifiuti. Secondo Il Quotidiano della Basilicata tra le persone coinvolte figurano l’ex sindaco di Corleto, Rosaria Vicino (ai domiciliari) mentre per l’ex vicesindaco del Comune del Potentino – Giambattista Genovese – è scattato il divieto di dimora. Divieto dall’esercizio dell’attività imprenditoriale, invece, per Lorenzo Marsilio, imprenditore di SudElettra.
Si tratta del filone della squadra mobile sugli appalti legati a Temparossa. Dell’inchiesta della magistratura potentina, cominciata un paio di anni fa e condotta dai pm Francesco Basentini e Laura Triassi, sul Centro Olio Eni di Viggiano (Pz) si era già parlato nel dicembre scorso, quando emersero ben 37 indagati, tra cui il responsabile del Distretto meridionale dell’ENI, Enrico Trovato, il suo predecessore, Ruggero Gheller e due ex direttori generali dell’Arpa Basilicata, Aldo Schiassi e Raffaele Vita. Secondo quanto riportava Il Fatto Quotidiano sono inoltre coinvolti altri dirigenti dei due enti ma anche della Regione Basilicata, della Provincia di Potenza e alcuni rappresentanti di Tecnoparco. In un altro filone dell’inchiesta è indagato Gaetano Santarsia, anche lui dirigente dell’Arpa. Le indagini hanno condotto la procura a fare diverse ispezioni per verificare lo smaltimento di rifiuti prodotti nella struttura, le emissioni in atmosfera, i livelli di diossina e la presenza di inquinanti nel terreno. Già nel maggio 2015 la spiaggia di San Basilio, lungo il litorale ionico in provincia di Matera, era stata invasa da fanghi neri di provenienza sospetta. Il 4 dicembre 2015 ENI aveva emesso un comunicato stampa nel quale affermava che “l’azienda si è affidata e si affida con assoluta serenità all’operato della Magistratura e alle sue decisioni. E’ nell’ambito di questo profondo rispetto che Eni sta collaborando con gli organi inquirenti con assoluta umiltà, trasparenza, correttezza e serietà”.

Sembra che nell’inchiesta, secondo fonti di Ecoblog, la magistratura stia indagando su un altro mostro ambientale lucano, i fanghi di Corleto Perticara.

Fonte: ecoblog.it

Renzi sdogana trivelle e inceneritori

Un futuro per l’Italia pieno di trivelle e di inceneritori, dove bruciare rifiuti è più conveniente che fare la raccolta differenziata e dilaniare territorio per cercare idrocarburi viene definito strategico. Un “affarone” che questo premier sta confezionando pezzo per pezzo dileggiando chi critica e obietta e preparandosi a farsi largo “a prescindere”.inceneritore_renzi

Mercato libero non più solo per i rifiuti speciali (quelli già girano da sud a nord e viceversa facendo girare tanti soldi e non sempre puliti), ma anche per i rifiuti solidi urbani che verranno bruciati non solo negli inceneritori già esistenti ma anche in nuovi impianti che sarà sempre più conveniente costruire ma che poi, per far tornare i conti, dovranno continuare a bruciare senza sosta e sempre di più. L’impegno per la raccolta differenziata è solo a parole, ma siccome sarà meno conveniente dell’incenerimento, sfidiamo anche il più allocco o il più in malafede a pensare o raccontare che sarà la priorità. E gli inceneritori saranno gestiti da società partecipate con l’aiuto dello Stato; così i cittadini pagheranno gli inceneritori prima con le tasse e anche dopo con le bollette. Il decreto sblocca Italia, messo a punto dal ministro Gian Luca Galletti, prevedrebbe una “rete nazionale integrata e adeguata di impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti”, dando di fatto il via libera alla circolazione dell’immondizia da una regione all’altra senza più bisogno di procedure particolari; tra gli obiettivi ci sarebbe anche quello della costruzione di nuovi impianti “di termotrattamento”, definiti “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”. Finora a far sentire a voce alta la sua protesta sono stati movimenti e cittadini della Lombardia, che, come le altre del Nord e Centro, sarà penalizzata da queste norme. E non solo: la Regione Lombardia, denunciando come svolta autoritaria il decreto stesso, ha deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale contro di esso. Intanto molto ci cova anche per le trivellazioni, insomma, come sostengono le associazioni ambientaliste, Renzi sembra proprio inseguire «il miraggio di un Texas nostrano», considerando «strategiche tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, diminuendo l’efficacia delle valutazioni ambientali, emarginando le Regioni e forzando sulle norme che avevano dichiarato dal 2002 off limits l’Alto Adriatico, per il rischio di subsidenza». La denuncia arriva da WWF, Legambiente e Greenpeace che chiedono ai membri della Commissione Ambiente della Camera dei deputati di decidere per l’abrogazione dell’articolo 38 del decreto legge Sblocca Italia n. 133/2014. «L’Italia stenta a definire una roadmap per la decarbonizzazione. Punto di riferimento delle politiche governative è ancora la SEN – Strategia Energetica Nazionale – mai sottoposta a Valutazione Ambientale Strategica, nella quale viene presentata una stima di 15 miliardi di euro di investimento (un punto di PIL!) e di 25 mila nuovi posti di lavoro legati al rilancio delle estrazioni degli idrocarburi in Italia» dicono le associazioni. «Ma è da tempo noto che il nostro petrolio è poco e di scarsa qualità. Secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi». Gli ambientalisti sottolineano come «l’accelerazione indiscriminata impressa dal Governo metta a rischio la Basilicata che è interessata in terra ferma da 18 istanze di permessi di ricerca, 11 permessi di ricerca e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio. E non è esonerato dalla corsa all’oro nero neanche il mare italiano. In totale le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5000 chilometri quadrati in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo dove si concentra più del 25% di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo». Ci sono 7 buoni motivi per chiedere l’abrogazione dell’articolo 38 del decreto legge 133/2014, perché le disposizioni in esso contenute:

1) consentono di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture strategiche ad una intera categoria di interventi senza individuare alcuna priorità;

2) trasferiscono d’autorità le VIA sulle attività a terra dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente;

3) compiono una forzatura rispetto alle competenze concorrenti tra Stato e Regioni cui al vigente Titolo V della Costituzione;

4)  prevedono una concessione unica per ricerca e coltivazione in contrasto con la distinzione tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi del diritto comunitario;

5) applicano impropriamente e erroneamente la Valutazione Ambientale Strategica e la Valutazione di Impatto Ambientale;

6) trasformano forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico legato alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in “progetti sperimentali di coltivazione”;

7) costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/13/UE e dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.

Fonte: ilcambiamento.it

Sat: un’ opera che violenta il territorio e le tasche dei cittadini

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Ancora una volta si torna a parlare delle opere inutili, costose, che distruggono l’ambiente e che vanno ad arricchire i soliti noti. Vi parliamo dell’Autostrada Tirrenica o Sat, e ne avevamo già discusso in un precedente articolo. Sostanzialmente l’opera inutile che vogliono creare è un’autostrada a pagamento che va da Rosignano fino a Civitavecchia, un opera che non è di nessun beneficio per i cittadini, che una strada già ce l’hanno. Si tratterebbe solo di mettere in sicurezza quella già esistente evitando inutili investimenti che danneggiano le tasche del cittadino, il territorio ed espropriando terre e devastando zone ricche di aziende agricole e di una notevole biodiversità. Un territorio come la Maremma che ha necessità di essere preservato e non violentato da altro cemento, essendoci già una strada principale, la vecchia Aurelia che serve tutta la zona che arriva fino a Civitavecchia. L’autostrada come è noto, attraverserebbe il territorio di tanti comuni, che rischiano di vedere la propria economia e il paesaggio maremmano celebre nel mondo, travolti da una grande opera che, a nostro parere, è costosa e inutile. La crisi economica e il conseguente calo del traffico autostradale stanno facendo saltare uno dopo l’altro i piani economico-finanziari delle nuove autostrade da realizzare in project financing.No-SAT-autostrada

La SAT col Project Financing si era impegnata a costruire l’autostrada senza l’aiuto di denaro pubblico, ottenendo in cambio varie facilitazioni e l’uso gratuito di una grande strada nazionale, l’Aurelia. Negli anni scorsi (2009-2012) la Sat ha già realizzato il lotto Rosignano-San Pietro in Palizzi (55 milioni di euro), e il lotto 6A Tarquinia-Civitavecchia (155 milioni) è in corso di realizzazione dal 2012, mentre i pezzi mancanti sono stati approvati, salvo la variante di Orbetello, ma ora sono terminati i fondi. Di conseguenza a febbraio di quest’anno la Sat ha chiesto 270 milioni di euro di contributo pubblico, cosa che non rientrava assolutamente nei patti. Il governo Renzi cade come la ciliegina sulla torta e s’impegna a ricercare le risorse necessarie per realizzare il completamento dell’autostrada Tirrenica anche prevedendo una integrazione delle risorse pubbliche. Un’ennesima conferma che questo nuovo governo continua a creare danno all’ambiente e alle tasche dei cittadini. Ne sono un esempio anche gli ultimi articoli in cui sono sempre più lampanti i regali che vengono fatti alle lobby e ai poteri forti. Su questa base la Sat ha elaborato, per presentarlo il 30 giugno, il nuovo piano finanziario con i 270 milioni di finanziamento pubblico.
Il Ministro Lupi ha confermato in commissione Lavori pubblici al Senato l’impegno del governo a trovare le risorse pubbliche per far quadrare il progetto della Tirrenica, e decreto sblocca-cantieri sarà approvato dal governo a fine luglio.

Per dimostrare che teniamo alle nostre terre e che siamo stanchi di questi continui soprusi, partecipiamo all’incontro si sabato 19 luglio 2014. Italia Nostra e il Coordinamento dei Comitati e Associazioni Ambientali prov. di Gr. e No Sat, invitano a partecipare al dibattito con i Sindaci, su “Tirrenica l’Autostrada che non s’ha da fare” che si terrà a Borgo Carige, sala Tirreno (ex Cinema) Capalbio, il giorno 19/07/2014 , ore 18. “Abbiamo organizzato questo dibattito perché partecipassero alla discussione, le Autorità Comunali, che hanno la responsabilità dei territori minacciati. Il governo deve ridiscutere un progetto sul quale attendiamo il parere della magistratura e quello dell’Europa per le troppe irregolarità già riscontrate. Noi non vogliamo l’autostrada, ma la messa in sicurezza dell’Aurelia.” Ci auguriamo che in una data così importante il 19 luglio 2014 l’affluenza sia alta per far sapere cosa ne pensiamo e per rendere noto all’opinione pubblica cose che l’autorità e i mass media sono soliti nascondere agli occhi dei più.

Fonte: ambientebio.it

Rinnovabili, il Wall Street Journal contro il decreto spalma incentivi

Il Wall Street Journal bacchetta il governo Renzi per il decreto spalma incentivi sulle rinnovabili, sostenendo che, con ogni probabilità, i capitali privati ed esteri cesseranno di investire in Italia | Il testo completo dell’articolo379571

Apparently the Italian government has an uneasy relationship with private capital. Piazza Colonna recently announced the government’s first privatizations in six years, to sell off up to €12 billion in assets, in order to pay down part of the public debt. So far, so good. Yet little more than one month ago, the government of new Prime Minister Matteo Renzi also tabled a proposal effectively targeting institutional equity investors to finance electricity-price cuts.
The proposal would retroactively cut feed-in tariffs for renewable energy plants by up to 20%. These government-set tariffs function as fixed-price contracts for renewable-energy producers. In Italy, the owners of renewable-energy plants are a diverse mix: international and domestic pension funds, private equity funds, global energy investment firms—many backed by sovereign wealth funds and other institutional investors.  The proposal to retroactively cut their returns comes on top of previous governments’ efforts to penalize owners of renewable energy plants, via a raft of new taxes and charges that have reduced investors’ returns roughly by half since 2011. Now the Renzi government is doubling down.
Though the feed-in tariffs are a popular punching-bag, average wholesale power prices in Italy have already declined to €48 per megawatt-hour in 2014, from €76 in 2008. That reduction has been driven in part by the construction of new renewable-energy power plants. But for some reason these reductions have not been passed on to consumers.
Wind turbines in Tuscany. Over the past five years, investors have poured more than €50 billion into Italian renewable energy, building some 17 gigawatts of solar-power capacity and six gigawatts of wind capacity. Renewables accounted for 34% of Italian power generation in 2012, up from 20% in 2008—the biggest jump among the major European economies over that time. As with all long-term investments, a clear legal framework was key to attracting the funds for Italian renewables. Now that the money is spent and the plants operating, Mr. Renzi wants to tear up the contracts and selectively wipe out equity investors, though renewable costs are only a small part of Italy’s energy bill.
Pointedly, the Italian government is not targeting inefficient and costly services provided by large energy companies, such as electricity conglomerate Enel. Recently, Enel presented a strategic plan to invest more than €9 billion in emerging markets—financed in large part by revenues generated from Italian consumers. Piazza Colonna’s proposal is also not addressing local distribution and supply companies controlled by Italian municipalities.
Finally, the feed-in tariff proposal is tailored not to affect Italian banks that made loans for the construction of the renewable plants. (Any write-down of loan portfolios by banks would only lead to for further capital increases by Italian banks, which the Italian government wishes to avoid.) With typical debt-to-equity financing ranging from 80-20 to 70-30, a 20% cut in feed-in tariffs neatly allows many if not most bank loans to be repaid, while equity investors bear the brunt of the retroactive haircut.  Legally, the Italian government may not have a leg to stand on: Retroactive regulatory changes and rewriting previously contracted tariffs could contravene the EU’s Energy Charter Treaty. The Spanish government attempted a similar move with its feed-in tariffs last year. Investors promptly sued, and the case is now before the European Court of Justice. If Madrid loses, the ruling could trigger multi-billion euro compensation payments.
Such a capricious move by the Italian government would be a negative portent for further investment in renewable infrastructure, or indeed in any sector in Italy. As it happens, the new Italian privatization agenda includes businesses subject to government regulatory power, such as the national post office, grid-operator Terna and utility giant Eni.
Mr. Renzi may believe that the markets have short memories, and that this route is easier than reforming the blatant inefficiencies in the Italian energy sector or cutting horrendously high taxes on energy users. Maybe he’s right, but good luck in attracting foreign investors in the future. Don’t come knocking on my door.

Mr. Bonte-Friedheim is the CEO of NextEnergy Capital Group.

Fonte: ecodallecittà.it

Rinnovabili, per il decreto spalma incentivi gli Usa bacchettano Matteo Renzi

Il Wall street Journal tira le orecchie al governo Renzi per il decreto spalma incentivi destinato alle rinnovabili paventando il rischio concreto che capitali privati e esteri scappino via dal Bel Paese. “A quanto pare il governo italiano ha un rapporto difficile con i capitali privati”: è questo l’incipit dell’articolo firmato da Michel Bonte-Friedhmein, ceo di NextEnergy Capital Group pubblicato ieri sul Wall Street Journal. Il titolo è altrettanto esplicito: Renzi piega i mulini a vento. In pratica Bonte-Friedhmein critica pesantemente le misure adottate per il taglio della bolletta energetica spiegando che proprio quelle stesse misure porteranno a una fuga di investitori stranieri spaventati dal decreto spalma-incentivi reso retroattivo. In sostanza, per i titolari di impianti per la produzione di energie rinnovabili oltre i 200 kilowatt e che percepiscono il 60% degli incentivi totali viene previsto che siano versati “spalmati” sui 20-24 anni con una riduzione dell’importo a compensazione dell’allungamento oppure con una riduzione secca dell’8%. Spiega nel suo articolo Bonte-Friedhmein:
La proposta di tagliare retroattivamente i loro ritorni arriva dopo i tanti sforzi dei precedenti governi di sanzionare i proprietari di impianti di energie rinnovabili, attraverso una serie di nuove imposte e tasse che hanno ridotto i rendimenti degli investitori di circa metà dal 2011. Ora il governo Renzi punta al raddoppio.Wind turbines are pictured in the villag

Negli ultimi cinque anni, gli investitori hanno versato oltre 50 miliardi di € per le energie rinnovabili in Italia il che ha portato alla costruzione di impianti per la produzione di circa 17 gigawatt di capacità di energia solare e 6 gigawatt di capacità eolica. La produzione di energie rinnovabili in Italia è passata dal 20% nel 2008 al il 34% nel 2012 per il più grande salto tra le grandi economie europee. Come per tutti gli investimenti a lungo termine, un quadro giuridico chiaro è stato fondamentale per attrarre i fondi. Scrive Michel Bonte-Friedhmein:

Ora che il denaro è stato speso e avviato il funzionamento degli impianti, il signor Renzi vuole strappare i contratti e selettivamente spazzare via gli investitori azionari, anche se i costi di rinnovabili sono solo una piccola parte della bolletta energetica in Italia. Volutamente, il governo italiano non prende di mira i servizi inefficienti e costosi forniti dalle grandi compagnie energetiche, come Enel che ha recentemente presentato un piano strategico di investimento di oltre 9 miliardi di € nei mercati emergenti finanziate in gran parte dai ricavi generati dai consumatori italiani.

E per concludere l’analisi aggiunge:

Mr. Renzi puo’ credere che i mercati hanno la memoria corta, e che questo percorso scelto può essere più facile che riformare le inefficienze palesi nel settore energetico italiano o tagliare le tasse orrendamente alte sugli utenti di energia. Forse ha ragione, ma gli auguriamo buona fortuna per attirare investitori stranieri nel futuro. Non bussare alla mia porta.

E non ci sembra un avviso da sottovalutare.

Fonte: ecoblog.it