Approvazione ddl acqua, forum: “Disconosciuti completamente referendum e legge”

“Il testo approvato è radicalmente diverso, nella forma e nei principi, di quello proposto dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Tutto stravolto a partire dall’articolo 6 che disciplinava i processi di ripubblicizzazione”1

Oggi la legge sulla gestione pubblica del servizio idrico è stata finalmente discussa e approvata aula alla Camera, a distanza di circa 9 anni dal suo deposito corredato da oltre 400.000 firme. Peccato che il testo approvato sia radicalmente diverso, nella forma e nei principi, di quello proposto dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. PD e la maggioranza hanno stravolto il testo a partire dall’articolo 6 che disciplinava i processi di ripubblicizzazione. Oggi è caduta anche l’ultima foglia di fico dietro la quale il PD aveva provato a nascondersi. Infatti, la Commissione Bilancio ha cancellato la via prioritaria assegnata all’affidamento diretto in favore di società interamente pubbliche. Un disconoscimento palese e spudorato che ha ribaltato il senso di quella legge sottoscritta da 400mila cittadini e aggiornata alla luce dei risultati del referendum popolare del 2011. Il risultato di oggi è solo la cronaca di una morte annunciata, già nei giorni scorsi infatti molti dei deputati dell’intergruppo parlamentare per l’Acqua Bene Comune avevano ritirato la firma da un provvedimento che stravolgeva il senso. La cancellazione della volontà popolare di 27 milioni di italiani che si espressero in favore dell’acqua pubblica ai referendum arriva a pochi giorni dalla tornata referendaria del 17 aprile, sulla quale la maggioranza di Governo ha fatto campagna per l’astensionismo, il disconoscimento di un percorso di partecipazione come quello sulla gestione pubblica del servizio idrico rappresenta un preoccupante segnale per la democrazia nel nostro paese. Il movimento per l’acqua continuerà la loro battaglia contro questa legge anche nel passaggio al Senato e lancia contro i provvedimenti del Governo Renzi, a partire dal ddl Madia, una petizione nazionale insieme ai referendum sociali.

Fonte: ecodallecitta.it

Legambiente: «Sul referendum trivelle allarmismo strumentale»

Referendum 17 aprile. Legambiente: «Allarmismo strumentale, l’alternativa al gas delle trivelle esiste già, con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia. Ma il governo blocca gli investimenti nel biometano».

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L’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – non è sotto i nostri mari ma nei territori, e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”.

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente risponde che sono tutte bugie, citando numeri e studi. Il gas estratto nelle piattaforme oggetto del referendum non arriva al 3% dei consumi nazionali. E, com’è noto, il gas nel nostro Paese arriva attraverso i gasdotti.

“I numeri sono chiarissimi – prosegue Zanchini – già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. Il problema è che questi interventi sono bloccati proprio dalle scelte del Governo”.

Legambiente ha messo a confronto i dati sulle estrazioni di gas nei mari italiani con il potenziale di sviluppo del biometano in Italia, calcolato dal Cib (Consorzio italiano biogas), e i risultati fanno comprendere il grande vantaggio che l’Italia trarrebbe da questa scelta. Si potrebbero, infatti, realizzare impianti distribuiti in tutto il Paese per produrre biogas e biometano, dalla digestione anaerobica dei rifiuti o di biomasse e scarti agricoli, con vantaggi rilevanti nei territori, sia in termini economici che occupazionali, che di risoluzione dei problemi di smaltimento dei rifiuti. Secondo i dati dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole. Ma il problema, denuncia Legambiente, è che questi investimenti sono bloccati da barriere assurde. In primis il fatto, incredibile, che il biometano non possa essere immesso nella rete Snam. Da anni viene, infatti, ritardata l’approvazione di un decreto che dovrebbe permettere qualcosa di assolutamente scontato e nell’interesse generale. Uno stop che ha come unica motivazione quella di non aprire alla concorrenza nei confronti di quei gruppi che distribuiscono gas, come Eni, che sono proprio coloro che possiedono larga parte delle concessioni di gas nei nostri mari. Non si comprende la ragione dei rinvii da parte del Governo Renzi, come dei provvedimenti che hanno tagliato gli incentivi alle rinnovabili, se non con una politica che ha guardato solo a favorire le fossili come quella che, a partire dal decreto Sblocca Italia, ha caratterizzato l’azione del Governo. Del resto, a dimostrare i privilegi di cui godono le estrazioni di idrocarburi è un dato che ha dell’incredibile: 20 delle 26 concessioni che estraggono gas entro le 12 miglia dalla costa non pagano le royalties. La ragione sta nel fatto che sotto una certa quantità l’estrazione è “gratis”, come se quelle risorse non appartenessero agli italiani ma fossero proprietà privata dei gruppi energetici. “Altro che referendum inutile – aggiunge Edoardo Zanchini -. In Italia è in corso un vero e proprio conflitto tra interessi. Fino ad oggi il Governo Renzi, con lo Sblocca Italia e le scelte contro le rinnovabili, è stato dalla parte dei grandi gruppi energetici che controllano petrolio e gas. Il 17 aprile si vota anche per dare un segnale chiaro al Governo, perché l’interesse dei cittadini italiani è quello di cambiare questa realtà fatta di rendite e privilegi e di puntare sulle fonti rinnovabili per creare lavoro in Italia, opportunità per i territori e fermare davvero i cambiamenti climatici”.

 

Fonte: ilcambiamento.it

Il ministro Galletti contro il referendum trivelle del 17 aprile

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Gian Luca Galletti è il ministro dell’Ambiente, ma è un ministro dell’Ambiente del Governo Renzi e, come tale, si adegua alle direttive provenienti dal vertice di Palazzo Chigi: pertanto il prossimo 17 aprile o non andrà a votare o voterà no. In un’intervista rilasciata al Corriere Galletti ha spiegato che “col referendum si affronta il problema delle trivelle con l’ideologia, invece io dico di affrontarlo dal punto di vista scientifico”. La giustificazione di Galletti è che in un’economia basata al 90% sul petrolio occorre comunque acquistare questa risorsa dall’estero, quindi meglio autoprodurlo; il ministro cita Norvegia, Svezia e Gran Bretagna come paesi spesso citati come green che trivellano più dell’Italia e prefigura anche le conseguenze, secondo lui deleterie, che avrebbe la vittoria del sì: un disinvestimento di chi ha le concessioni con maggiori pericoli per l’ambiente. Naturalmente Galletti chiama in causa gli effetti sull’occupazione e stima in 10mila i posti di lavoro che si verrebbero a perdere nel caso di una vittoria del fronte del sì.

Galletti parla poi dei progetti relativi allo sviluppo sostenibile:

“Abbiamo in campo progetti importantissimi, che abbiamo accelerato anche dopo l’emergenza di quest’inverno sulle polveri sottili. Abbiamo un bando di 900 milioni per l‘efficientamento energetico, un altro bando in arrivo di 250 milioni per l’efficientamento energetico per le scuole, altri 35 per la mobilità sostenibile, 250 per le Regioni per acquistare autobus nuovi ecologici. Tutto questo fa 2 miliardi di euro: qua ci vuole una progettazione forte da parte delle Regioni, non è un problema di soldi. I soldi spesso ci sono ma non si riescono a spendere bene”.

Secondo Galletti, inoltre, non ci sono prove scientifiche della nocività delle trivelle e l’unica soluzione per restare nel mercato è uno sviluppo compatibile con l’ambiente. Per Galletti le trivellazioni off shore lo sono. E i rischi per gli ecosistemi marini?“Noi abbiamo adottato la direttiva off shore dell’Ue che prevede una serie di misure preventive e di emergenza: poi l’incidente può sempre capitare”, taglia corto Galletti. Prima si garantiscono i posti di lavoro, l’indotto che generano e, soprattutto, gli interessi dei grandi gruppi economici, secondariamente si pensa all’ambiente incrociando le dita e sperando che tutto vada bene. È il dualismo di sempre: salute contro lavoro, ecologia contro profitti. E la politica, questa politica, non ha mai dubbi sulla parte dalla quale schierarsi.

Fonte:  Corriere 

 

Referendum, nasce il comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”

“Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che si mobiliteranno per il voto”. Con l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum e far crescere la mobilitazione, è nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”.

È nato il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”. Lavorerà per invitare i cittadini a partecipare al referendum del 17 aprile contro le trivellazioni in mare e votare SÌ per abrogare la norma (introdotta con l’ultima legge di Stabilità) che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa di non avere più scadenze. La Legge di Stabilità 2016, infatti, pur vietando il rilascio di nuove autorizzazioni entro le 12 miglia dalla costa, rende “sine die” le licenze già rilasciate in quel perimetro di mare.trivellazioni

Far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale, è la vera posta in gioco di questo referendum. Il comitato nazionale si pone l’obiettivo di diffondere capillarmente informazioni sul referendum in tutti i territori e far crescere la mobilitazione, spiegando che il vero quesito è: “vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?”.

Il petrolio è una vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. Dobbiamo continuare a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile a discapito dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale? Noi vogliamo – dice l’appello del Comitato – che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’election day (l’accorpamento in un’unica data del voto per il referendum e per le amministrative) ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto e puntare sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum. Il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.

Primi firmatari del Comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”:

Adusbef, Aiab, Alleanza Cooperative della Pesca, Arci, ASud, Associazione Borghi Autentici d’Italia, Associazione Comuni Virtuosi, Coordinamento nazionale NO TRIV, Confederazione Italiana Agricoltori, Federazione Italiana Media Ambientali, Fiom-Cgil, Focsiv – Volontari nel mondo, Fondazione UniVerde, Giornalisti Nell’Erba, Greenpeace, Kyoto Club,  La Nuova Ecologia, Lav, Legambiente, Libera, Liberacittadinanza, Link Coordinamento Universitario, Lipu, Innovatori Europei, Marevivo, MEPI–Movimento Civico, Movimento Difesa del Cittadino, Pro-Natura, QualEnergia, Rete degli studenti medi, Rete della Conoscenza, Salviamo il Paesaggio, Sì Rinnovabili No nucleare, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, Unione degli Studenti, WWF.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/03/referendum-nasce-comitato-nazionale-vota-si-fermare-trivelle/

 

Il referendum sulle trivelle: il 17 aprile 2016 tutti alle urne

E’ cominciata la campagna per il referendum ambientale sulle trivelle del prossimo 17 aprile 2016: indipendentemente da come la pensiate andate a votaretrivellazioni

Il referendum contro le trivellazioni, promosso da nove consigli regionali appoggiati da numerosi movimenti e associazioni ambientaliste tra cui il coordinamento No Triv, si terrà il 17 aprile 2016 e sarà un appuntamento importante per due distinte ragioni. La prima riguarda, banalmente, la coscienza ambientalista nazionale, decisamente poco sviluppata (o forse è più politicamente corretto dire “formata”): il Consiglio dei Ministri infatti ha negato ai promotori dell’iniziativa referendaria (e quindi a tutti gli aventi diritto al voto) di recarsi alle urne durante un election-day in occasione dei rinnovi delle amministrazioni comunali, indicando la prima data utile (17 aprile) quella buona per votare.

Raggiungere il quorum sarà quindi un ottimo modo per dimostrare come l’ambiente sia un tema di interesse e attivismo pubblico sul quale sempre più persone si stanno formando un’opinione: indipendentemente da come la si pensi sui singoli quesiti, un ottimo esercizio di democrazia è esprimere la propria opinione e non c’è modo migliore di farlo tramite referendum. La seconda ragione riguarda invece la tematica proposta al referedum, che sarà abrogativo: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” Se vincerà il Sì verrà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente ma comunque non saranno interessate dal referendum tutte le 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano. Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni offshore già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere inshore, cioè sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa.

“Chiamare gli italiani a votare SI per fermare le trivelle non serve solo a difendere il paese e l’ambiente, ma a pretendere dal governo di cambiare rotta sulla strategia energetica nazionale e investire finalmente nell’economia delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, settore in cui paradossalmente dovremmo essere leader in Europa e non agli ultimi posti”

spiega il coordinamento NoTriv in un comunicato.

Greenpeace ha stilato l’elenco dei sei buoni motivi per votare “Sì” al referendum.

Fonte: ecoblog.it

Referendum anti-trivelle, Mattarella firma: niente Election Day. Greenpeace: “Sottrazione di democrazia ingiustificabile”

Il referendum sarà il 17 aprile. Ufficializzata quindi la decisione del governo di non accorpare la consultazione con le elezioni amministrative ma la decisione della Consulta su due quesiti esclusi potrebbe impattare sulla data

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L’Election Day non ci sarà. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto sulle norme in materia ambientale che indice il referendum popolare anti-trivelle per il 17 aprile. Viene quindi ufficializzata la decisione del governo di non accorpare la consultazione referendaria con le elezioni amministrative, come chiedevano gli ambientalisti e i presidenti delle Regioni interessati dalle trivellazioni in Adriatico. Il Colle si giustifica dichiarando che la firma è avvenuta in base al decreto 98 del 2011, che prevede la possibilità di abbinare tra loro referendum o elezioni di diverso grado ma non elezioni con referendum. Per l’unico precedente di abbinamento referendum-elezioni, nel 2009, è servita un’apposita legge. Secondo Greenpeace, che aveva avviato una raccolta firme on line per chiedere un’unica data, lo spreco di risorse pubbliche che sarebbe stato possibile risparmiare con l’Election Day “coincide con una sottrazione di democrazia ingiustificabile”. Per l’associazione questa scelta costerà agli italiani ” tra i 350 e i 400 milioni di euro di soldi pubblici”. Inoltre viene sottolineato come “la durata della campagna elettorale risulta compressa al limite della legge: è possibile, ad esempio, che non vi siano i tempi tecnici per garantire almeno i 45 giorni previsti dalla legge sulla par condicio”.

Opinione condivisa anche dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, che alla vigilia della firma di Mattarella, scriveva che il Governo Renzi “non solo sta investendo 360 milioni dei nostri soldi per far fallire il referendum, ma vuole anche impedire che ci sia il tempo e il modo per realizzare una campagna referendaria che metta al centro del dibattito pubblico e politico quelle scelte energetiche, come rinnovabili ed efficienza energetica, che il nostro Paese deve compiere in modo strategico e in coerenza con gli accordi presi alla Cop 21 di Parigi”.

La scelta di non accorpare i due appuntamenti ha suscitato anche le proteste anche del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che raggiunto da ilfattoquotidiano.it ha detto di essere “addolorato” per la decisione.
I cittadini sono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni limitatamente alle parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. La Corte costituzionale il 19 gennaio ha infatti dichiarato ammissibile solo il sesto quesito tra quelli promossi da Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto,Calabria, Liguria, Campania e Molise. Si tratta di quello che si concentra sulla previsione che i titoli abilitativi già rilasciati debbano essere fatti salvi, appunto, fino a quando il giacimento si esaurisce.

La scelta del governo appare ancora più scellerata se si pensa che rimangono ancora in piedi due conflitti di attribuzione su altrettanti referendum esclusi dalla Cassazione a gennaio: quello sul piano delle aree per ricerca ed estrazione di idrocarburi e quello sul doppio regime per il rilascio dei titoli. La camera di consiglio della Corte Costituzionale dovrà valutare il 9 marzo la loro ammissibilità. Se dovesse essere riconosciuta le Regioni dovranno notificare alla controparte l’ordinanza di ammissibilità e poi dovrà pervenire alla cancelleria della Corte la documentazione dell’avvenuta notifica. Ci sono quindi dei tempi tecnici per l’espletamento di tutta la pratica che potrebbero impattare sulla data del 17 aprile decisa per il referendum.

 

Fonte: ecodallecitta.it

“Effetto referendum”: Shell rinuncia alla ricerca di gas e petrolio nel golfo di Taranto

La Shell ha deciso di rinunciare alla ricerca del petrolio nel golfo di Taranto. Un altro punto a favore del movimento anti trivelle che, commentando la notizia, parla di “effetto referendum”.

La Shell ha deciso di rinunciare alla ricerca del petrolio nel golfo di Taranto. Il colosso olandese del settore petrolifero ha inviato una lettera al ministero dello Sviluppo in cui annuncia di voler rinunciare al permesso di cercare il petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria.Offshore-Drilling-Rig

Nelle scorse settimana anche Petroceltic ha abbandonato il campo rinunciando ad avviare ricerche davanti alle isole Tremiti. Se la decisione della società anglosassone è stata determinata dalla mancanza di capitali, il dietrofront della Shell sarebbe dovuto dall’incertezza generale della strategia italiana nel settore della ricerca e della produzione di idrocarburi. Nell’ottobre scorso, dopo un iter di 35 mesi, la compagnia aveva ottenuto il via libera ambientale all’analisi del sottosuolo. In seguito dieci regioni italiane dieci Regioni hanno presentato  sei quesiti referendari contro le trivellazioni in mare. Nel tentativo di evitare il referendum, dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale, il Governo ha vietato tutte le attività nelle acque nazionali, cioè entro le 12 miglia dalla costa. Una decisione determinante per la frenata della Shell: una parte delle aree ottenute dalla compagnia olandese è infatti dentro le 12 miglia. Il referendum si farà comunque, il 17 aprile. Non è stata infatti ascoltata la richiesta delle associazioni ambientalista di indire un Election Day, ovvero di accorpare il referendum sulle trivelle con il primo turno delle prossime elezioni amministrative. Ciò avrebbe facilitato la partecipazione democratica e comportato un risparmio fra i 300 e i 400 milioni di euro di soldi pubblici.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/effetto-referendum-shell-rinuncia-alla-ricerca-di-petrolio/

Trivelle in mare, la Consulta autorizza il Referendum

Dichiarato ammissibile uno dei quesiti e altri due sono al momento in ‘stand-by’ per conflitto di attribuzione. Tre dei sei quesiti erano invece stati superati dall’approvazione della legge di stabilitàgettyimages-479387824

La Consulta ha dichiarato ammissibile uno dei sei quesiti referendari presentati in materia di estrazioni petrolifere, promossi da nove regioni italiane: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Originariamente le regioni promotrici erano 10, ma all’ultimo è venuto meno il sostegno dell’Abruzzo. Il quesito che verrà sottoposto agli elettori riguarda la durata delle autorizzazioni già rilasciate per esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti. Al momento le autorizzazioni sono “fino alla durata utile del giacimento” mentre le sei regioni chiedono che sia stabilita una durata non superiore a 30 anni per le estrazioni e a 6 anni per le attività di ricerca. La decisione della Consulta ha fatto esultare i presidenti delle succitate regioni, in modo particolare il pugliese Emiliano che su questo tema è da sempre in netto contrasto con l’esecutivo nazionale pur essendo un esponente del PD. Queste le sue parole: “Mi auguro che la paura della coincidenza di questo referendum con quello delle riforme costituzionali non stronchi questa discussione. Certo il governo può fare un’altra norma ‘uccidi-referendum’. Mi auguro che a questo punto la eviti perché la campagna referendaria è partita oggi stesso e bisogna evitare che gli italiani pensino che di queste cose non si può discutere nel nostro Paese… i consigli regionali per la prima volta nella storia di Italia hanno capito che basta che cinque di essi non siano d’accordo su una legge dello Stato perché sia possibile chiedere il parere ai cittadini. E questa possibilità va utilizzata anche per altre leggi sopratutto quando, come succede in questo periodo, spesso i governi legiferano senza un adeguato coinvolgimento dal basso degli organismi intermedi e più in generale dei partiti”.

Soddisfazione anche da parte di Enzo Di Salvatore – il costituzionalista di riferimento delle regioni per questa campagna referendaria – che ha spiegato come altri due quesiti abbiano ancora chance di passare: “Tre quesiti erano stati superati in senso positivo dalle nuove norme poste in Legge di Stabilità, due andranno di fronte alla Corte per il conflitto di attribuzione, uno è passato: al momento il fronte referendario è sul 4-2 con Renzi. Il Governo voleva far saltare i referendum per non sovrapporli alle amministrative, visto che i sondaggi davano la vittoria anti trivelle al 67%. Ora restano in piedi i quesiti su Piano Aree e durata titoli: secondo me la Corte Costituzionale dichiarerà ok anche gli altri due, quindi se il Governo non vuole i referendum, dovrà modificare la legge anche stavolta a nostro favore. Siamo soddisfatti anche perché ripeto che lo scenario più probabile è che il Governo, che vuole a tutti i costi evitare i referendum, modificherà anche queste norme la decisione di oggi rende più forte il conflitto di attribuzione, e se passa quello sul ripristino del Piano Area, a quel punto abbiamo messo una bella ipoteca sullo stop alle trivelle in mare Adriatico per sempre”. Prosegue: “la paura di un referendum in materia energetica ha avuto il suo peso, non è la legge elettorale. Per ora c’è lo stop nelle 12 miglia, col Piano Area si riapre la partita in terraferma e sul mare continentale, laddove enti locali, regioni e governo si devono mettere d’accordo: questo sarà il referendum decisivo per il mare. Se Renzi lo vuole evitare, dovrà cambiare la norma e dire no alle trivelle”.

Fonte: ecoblog.it

Via libera al referendum “mutilato”

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle: il quesito riguarda la durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate.

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A proporlo sono nove Consigli regionali (erano dieci ma l’Abruzzo si è ritirato). Questo stesso quesito era già stato dichiarato ammissibile dalla Cassazione. I quesiti referendari proposti erano in tutto sei. In un primo tempo l’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti. Ma il governo aveva poi introdotto una serie di norme nella legge di Stabilità che avevano messo mano alla materia. E il governo non molla; non ha perso tempo e starebbe studiando, a quanto si apprende da fonti parlamentari, una selettiva modifica al decreto Sblocca Italia per poter boicottare e bypassare il referendum. Tra le ipotesi un provvedimento che intervenga sulla durata delle trivellazioni, oggetto del referendum dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale. «La Corte Costituzionale dà ragione ai movimenti ed alle Regioni referendarie e ammette il quesito sul mare. Con il conflitto di attribuzione è possibile il recupero anche degli altri due quesiti – spiega il coordinamento nazionale NoTriv – Apprendiamo con grande soddisfazione che la Corte Costituzionale ha ammesso il quesito referendario sul mare, così come riformulato dalla Corte di Cassazione. I cittadini saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento.La sentenza della Corte Costituzionale dimostra come le modifiche alla normativa apportate dal Governo in sede di Legge di Stabilità non soddisfacevano i quesiti referendarie, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione. Tre dei sei quesiti depositati da 10 regioni il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla Legge di Stabilità, il quarto viene ora ammesso dalla Consulta, mentre sugli ultimi due quesiti è stato promosso da sei Regioni un conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento. I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle Aree, abilmente abrogato dal Governo nella Legge di Stabilità. Il Piano obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le aree in cui è possibile avviare dei progetti di trivellazione. Si tratta di uno strumento di concertazione stato-regioni che risulta essere fondamentale soprattutto in vista del referendum confermativo delle riforme costituzionali che, con la riforma del titolo V, accentrano il potere in materia energetica nelle mani dello Stato». E sulle trivellazioni alle Tremiti aggiungono: «L’area interessata dal permesso di ricerca «B.R274.EL», al largo delle Isole Tremiti, delle coste del Molise e dell’Abruzzo, non è tutta oltre il limite delle 12 miglia. I tecnici del MISE ed il Ministro Guidi hanno preso un granchio».
«Non è la prima volta – dichiara Domenico Sampietro, del Coordinamento – è già accaduto con l’istanza del permesso di prospezione della Spectrum Geo che interessa 30.000 kmq. nel Mare Adriatico. Anche in quel caso le misurazioni ministeriali si sono rivelate inesatte». «Subito dopo la pubblicazione sul B.U.I.G. del 31/12/2015, un giorno prima dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità, del decreto di conferimento del permesso di ricerca B.R274.EL alla Società Petroceltic Italia S.r.l., eravamo stati chiari: l’area off shore interessata dall’istanza ricadeva in parte entro le 12 miglia“, rincara la dose Stefano Pulcini, del Coordinamento Nazionale No Triv.

Fonte: ilcambiamento.it

Contro le trivellazioni, verso un referendum di tutti

Si è svolta l’8 novembre a Roma l’assemblea nazionale “Verso il Referendum No TRIV”, appuntamento deciso in seguito al deposito in Cassazione dei quesiti referendari abrogativi contro le trivellazioni in mare e su terraferma. L’incontro ha rappresentato l’avvio di un processo condiviso e trasversale, preparatorio alla sfida del superamento del quorum e della vittoria dei sì al “referendum di tutti”.

 “Verso il Referendum No TRIV”. È stata chiamata così l’Assemblea Nazionale che si è tenuta a Roma l’8 novembre. Una data scelta per rimarcare, simbolicamente, il giorno in cui si è svolto il primo referendum contro il nucleare: era l’8 novembre 1987.trivel2

Quello di domenica scorsa presso il Parco delle Energie è stato il primo appuntamento assembleare italiano convocato dal Coordinamento nazionale No Triv e dalle centinaia di organizzazioni aderenti alla iniziativa, dopo il deposito in Cassazione dei quesiti referendari abrogativi contro le trivellazioni in mare e su terraferma. “Ci attende – annunciano i promotori del referendum – una lunga stagione di impegno e passione: c’è molto ancora da fare! Il traguardo è ambizioso, impegnativo ma a portata di mano: salvo pronunciamenti sfavorevoli da parte della Cassazione e della Corte Costituzionale, dovremo dimostrarci capaci di portare alle urne la metà più uno delle Italiane e degli Italiani aventi diritto al voto. È giunto il momento di incontrarsi, confrontarsi e discutere sulle scelte operative e sui prossimi passi da compiere”. Un invito pienamente accolto, considerata la straordinaria partecipazione civica, associativa e movimentista alla giornata romana. L’Assemblea, molto coesa e convergente nelle riflessioni e nelle conclusioni, ha dato il via a un lavoro preparatorio in attesa dell’esito delle decisioni della Corte di Cassazione, a breve, e della Corte Costituzionale entro la fine di gennaio. I partecipanti all’assemblea hanno dunque gettato le basi per la costituzione di un’organizzazione coordinata e democratica tra associazioni nazionali e locali, movimenti e comitati che sia espressione ampia della società civile e che articoli e condivida azioni comuni a sostegno della prossima “campagna” nazionale.trivel1

È stata così predisposta una prima sintesi esecutiva che consentirà di procedere immediatamente e con passi sostanziali alle nuove iniziative pianificate verso un referendum che vuole affermare l’opposizione convinta alle politiche energetiche fossili. In tal senso, un collegamento con la mobilitazione italiana per il clima e l’adesione alla marcia prevista a Roma il prossimo 29 novembre, in vista della COP21 di Parigi, rappresentano un momento di coesione e di attenzione collettiva sul più ampio tema dei cambiamenti climatici. Tra i prossimi passi individuati a Roma vi sono la convocazione di assemblee territoriali “Verso il referendum No Triv” e la declinazione nei diversi contesti regionali di una rete che coinvolga tutti i soggetti interessati alla costruzione di un percorso partecipato e trasversale. Una nuova assemblea nazionale è prevista per la prima metà di dicembre 2015.

Un referendum di tutti

Dall’Assemblea è emersa la forte e chiara volontà di proporre questo Referendum come il Referendum di tutti i cittadini italiani per esprimere una resistenza democratica, dichiarare la ferma opposizione alle politiche energetiche fossili perseguite anacronisticamente dal governo e una concreta proposta di conversione ecologica dell’economia.

“Dire che il referendum ‘è di tutti’ – ci spiega Roberta Radich, referente del Coordinamento Nazionale No Triv – vuol dire sia che non si tratta dell’espressione di alcuni comitati, sia che ha un significato più ampio rispetto al tema specifico delle trivellazioni. Il coordinamento No Triv è stato all’inizio promotore di un referendum che però, ora, è il referendum di tutti i cittadini italiani.shale-oil-boom

Il referendum, inoltre, da una parte andrebbe a bloccare una parte considerevole delle trivellazioni in mare e in terra (che il decreto sviluppo del 2012 e lo Sblocca Italia rendono possibili), dall’altra ha un significato fortemente simbolico. Uno degli articoli che saranno oggetto di abrogazione, infatti, indica le energie fossili come strategiche rispetto al piano energetico nazionale. Ciò vuol dire che con questo referendum si vuole andare verso una più generale conversione ecologica del nostro Paese. L’altro aspetto è democratico: si andrà infatti a toccare, con alcuni articoli, il tema del rapporto Stato-Regioni. Con lo Sblocca Italia lo Stato ha demandato a sé le decisioni in merito a lavori pubblici considerati strategici, togliendo così autonomia agli enti locali rispetto a decisioni riguardanti i cittadini. Si tratta di un passo indietro rispetto al decentramento decisionale garantito sia dalla Costituzione sia dalle successive normative in materia. È dunque importante che questa campagna referendaria renda evidente il disegno politico in atto in Italia: accentramento dei poteri, garanzia delle lobby finanziarie e petrolifere, restringimento degli spazi della socialità e della democrazia, distruzione dei diritti garantiti dalla Costituzione. In tal senso, questo referendum andrebbe a tutelare quella che è la ‘democrazia di prossimità’. Anche per questo il referendum è di tutti: ognuno di noi dovrebbe garantire il diritto di tutti di esprimersi rispetto alla tutela del nostro territorio. Il referendum ha dunque una duplice valenza: ambientale e politica”.

I quesiti referendari

Il 30 Settembre scorso è accaduto qualcosa di unico nella storia dell’Italia Repubblicana: la pressione esercitata da oltre 200 associazioni, comitati, movimenti territoriali e personalità della cultura e delle scienze, che danno lustro al nostro Paese, ha spinto le Assemblee di metà delle Regioni italiane a deliberare, in modo pressoché unanime e trasversale, la richiesta di sei quesiti referendari contro le trivelle in mare e su terraferma. Già questo, di per sé, rappresenta una grande vittoria.

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quesiti referendari deliberati dalle dieci Regioni sono sei.

Il primo, il secondo e il terzo quesito – spiega su Qualenergia.it  Enzo Di Salvatore, costituzionalista e co-fondatore del Coordinamento Nazionale No Triv – sono relativi allo Sblocca Italia e riguardano:
a) l’eliminazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dello stoccaggio sotterraneo di gas;

  1. b) l’abrogazione della previsione del vincolo preordinato all’esproprio che il nuovo “titolo concessorio unico” conterrà già a partire dalla fase della ricerca, al fine di tutelare il diritto di proprietà del privato;
  2. c) il cosiddetto “piano delle aree”, previsto al fine di pervenire – per la prima volta in Italia – ad una razionalizzazione delle attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi. L’obiettivo dell’abrogazione referendaria è, in questo caso, quello di consentire che la Conferenza unificata possa esprimersi sul piano nella sua interezza (terraferma e mare) e di evitare che, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con lo Stato, si ricorra all’esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo secondo una procedura semplificata;
  3. d) l’abrogazione delle norme che permettono che, in attesa che venga approvato il piano, lo Stato possa rilasciare nuovi permessi di ricerca e nuove concessioni di coltivazione, sulla base delle norme ormai abrogate dallo Sblocca Italia;
    e) la limitazione della durata delle attività previste sulla base del nuovo “titolo concessorio unico”.

Il quarto quesito riguarda invece le autorizzazioni alle opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi. Si propone, anche in questo caso, di abrogare la norma che prevede che, in caso di mancato accordo con la Regione interessata, lo Stato possa decidere “in solitudine”, secondo una procedura semplificata. Il quinto quesito ha ad oggetto una norma contenuta nella legge sul riordino del settore energetico del 2004, che disciplina anch’essa l’intesa regionale sugli atti dello Stato relativi alle attività petrolifere. Il sesto mira ad eliminare l’art. 35 del decreto sviluppo del 2012, che rende possibile, per il futuro, la ricerca e l’estrazione del gas e del petrolio entro le 12 miglia marine.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2015/11/contro-trivellazioni-verso-referendum-di-tutti/