Con la pandemia le ecomafie e i reati ambientali sono cresciuti? Ecco cosa ci dicono i dati

Gli ecoreati non conoscono crisi, dallo smaltimento illegale alle agromafie ai delitti ambientali: dal Rapporto Ecomafia 2021, condotto da Legambiente Piemonte in collaborazione con Libera Piemonte, emerge che tutti i settori dell’illecito ambientale sono in crescita. Il Piemonte si attesta al 9° posto in Italia con oltre 1.326 reati nel 2020 e al 5° per quanto riguarda l’illegalità nel ciclo di rifiuti.

«Va scongiurato in ogni modo il rischio di infiltrazioni ecomafiose nei cantieri del PNRR, opere che servono alla transizione ecologica del Paese». Sono queste le Parole di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, che a inizio febbraio ha presentato il Rapporto Ecomafia 2021 insieme a Libera Piemonte, per informare e riportare dati aggiornati sulla diffusione delle ecomafie nelle regioni italiane.

Nonostante le drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19, i reati ambientali scoperti nel 2020 in Italia hanno toccato quota 34.867 (+ 0,6% rispetto al 2019): in numeri parliamo di oltre 95 reati al giorno, 4 ogni ora. Come ha spiegato Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, «la pandemia non ha fermatole attività illegali. In questo periodo le Ecomafie hanno fatto un lavoro “eccezionale”, senza fermarsi. Nel 2020 sono diminuiti del 17% i controlli, eppure sono aumentati del 12% i crimini e del 14% gli arresti per ecoreati».

SCONGIURARE IL RISCHIO DI INFILTRAZIONI MAFIOSE NEI CANTIERI DEL PNRR

Il fatto chenemmeno l’emergenza pandemica sia riuscita a fermare o a far calare l’incidenza delle pratiche delinquenziali è per Legambiente un dato estremamente allarmante. La preoccupazione è rivolta ai soggetti che beneficeranno dei fondi del PNRR e che saranno chiamati a eseguire le opere finanziate. Parliamo, ad esempio, dei cantieri per la realizzazione di opere ferroviarie e portuali, impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di riciclo dei rifiuti, depuratori, interventi di rigenerazione urbana, infrastrutture digitali, ovvero le opere coinvolte nella transizione ecologica del Paese. Per quanto riguarda i dati, «un elemento di preoccupazione è rappresentato dalla crescita dei reati ambientali accertati nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) che corrisponde, per il 2020, al 46,6% del totale nazionale. Il Piemonte si colloca al nono posto nella classifica generale nazionale e al quinto per quanto riguarda l’illegalità nel ciclo di rifiuti».

INSERIRE L’INCENDIO BOSCHIVO E LE AGROMAFIE TRA I DELITTI AMBIENTALI

Dal 1994 Legambiente lavora sul tema degli Ecoreati. Come ha raccontato Stefano Ciafani, «ci abbiamo messo 21 anni a ottenere la legge sugli Ecoreati, legge di cui ancora oggi sottolineiamo la bontà e l’importanza». Come afferma, ora è fondamentale un deciso cambio di passo che porti a completare il sistema normativo inserendo i delitti ambientali e di incendio boschivo tra i reati per cui è possibile, vista la loro particolare gravità e complessità, prorogare i termini di improcedibilità previsti dalla riforma della giustizia, approvata dal Parlamento.

Con Libera condividiamo la volontà di lanciare un segnale forte su come andranno utilizzati i fondi del PNRR

Andrebbe anche aggiornato il Codice penale «inserendo tra i delitti anche le agromafie, il traffico di opere d’arte e di reperti archeologici e il racket degli animali». Risulta poi fondamentale alzare il livello qualitativo dei controlli pubblici ambientali in tutta Italia, a partire dal Centro-Sud. «Servono nuove risorse finalizzate all’aumento del personale per le valutazioni, le ispezioni e all’acquisto della strumentazione innovativa per effettuare i monitoraggi».

LA CRIMINALITÀ DEL CICLO DEI RIFIUTI

Nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: a guidare la classifica per numero di reati è la Campania, seguita a grande distanza dalla Puglia e dal Lazio (che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria). In Italia quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili che contano 27 inchieste), corrispondenti a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.

I DATI PIEMONTESI

Nella classifica dell’attività operativa (in applicazione della l.68/2015 sui reati ambientali) il Piemonte si classifica al quinto posto. La corruzione ambientale è lo strumento principale usato dalle mafie per legarsi al mondo economico, oltre che a quello istituzionale, raggiungendo obiettivi di lungo periodo e garantendosi affari illimitati. Nell’ultimo anno il Piemonte si classifica ottavo (con 14 inchieste che corrispondono al 3,6% sul totale nazionale). Nel 2020, nella classifica regionale dell’illegalità del ciclo dei rifiuti, il Piemonte si aggiudica la quinta posizione (in classifica con 569 reati accertati, il 6,8% del totale nazionale). La classifica degli incendi negli impianti di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti conferma anche in questo caso la quinta posizione del Piemonte a livello nazionale (con 101 incendi in corrispondenza degli impianti) mentre nella classifica regionale degli incendi dolosi, colposi e generici il Piemonte si trova al decimo posto (con un totale di 142 reati).

I FANGHI DI DEPURAZIONE CHE AVVELENANO L’AGRICOLTURA

I fanghi di depurazione rimangono uno dei tasti dolenti della gestione dei rifiuti, che molte volte attiva percorsi ecocriminali. Una delle inchieste più importanti è quella che ha riguardato una parte della provincia di Brescia, rivolta ai fanghi prodotti dall’azienda Wte che si sono rivelati contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti e che sono stati scaricati senza adeguati trattamenti nei campi agricoli di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

IL BUCO NERO DELLE CAVE ILLEGALI

Secondo Legambiente, risale agli ultimi mesi del 2020 una vicenda avvenuta in Piemonte e più precisamente a Romagnano, in provincia di Novara, lungo le sponde del fiume Sesia. In quest’occasione i Carabinieri forestali hanno messo i sigilli a una cava abusiva di materiale litoide e di sabbie che veniva riempita di fanghi. Come emerge, «il proprietario di un impianto di frantumazione di terre e rocce da scavo presente accanto alla cava è stato denunciato per gestione di rifiuti e attività estrattiva non consentita».

IL CAPORALATO NELL’ASTIGIANO

Un’operazione di particolare interesse per quel che riguarda le filiere illecite dell’agroalimentare ha riguardato il Piemonte e in particolare l’area dell’astigiano. «Nel Nord più economicamente sviluppato, con un’agricoltura specializzata e vicina alle grandi vie commerciali europee, venivano praticate forme particolarmente gravi di caporalato e sfruttamento della relativa manodopera».

La manodopera è nella maggior parte dei casi di origine straniera e originaria di paesi come Nigeria, Gambia, Senegal e Mali. «Nello specifico, alcuni criminali sfruttavano braccianti agricoli immigrati, durante la vendemmia nel Monferrato, pagandoli 3 € l’ora e facendoli lavorare fino a dieci ore ininterrotte al giorno, tutti i giorni del mese».

Tutti questi e molti altri dati sono disponibili nel Rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente e Libera Piemonte.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/ecomafie-reati-ambientali-dati/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

«PFAS: l’inquinamento poteva essere fermato già a metà degli anni 2000»

Il rapporto “La verità sul caso PFAS” sta destando grande attenzione, visti i dati che emergono. È frutto del lavoro di sintesi dell’associazione Greenpeace che denuncia: «Si poteva intervenire anni fa».

Con il rapporto “Le verità sul caso PFAS: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento”, Greenpeace denuncia come le autorità locali e gli enti di controllo ambientali potrebbero aver avuto un ruolo chiave nel ritardare gli interventi amministrativi (di bonifica) e le indagini penali a carico dell’azienda chimica Miteni.

Il rapporto è una sintesi dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso, acquisito da Greenpeace a seguito della chiusura delle indagini relative al procedimento penale n. 1943/16, ovvero relativo a “inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle province di Vicenza, Padova e Verona”.

«L’annotazione del NOE pone seri interrogativi sull’operato della Provincia di Vicenza che, in base agli esiti del progetto GIADA, condotto tra il 2003 e 2009, avrebbe dovuto richiedere verifiche approfondite proprio sullo stabilimento di Miteni – spiega Greenpeace – Quei dati evidenziavano notevoli incrementi di concentrazione di BTF (Benzotrifluoruri) nelle falde acquifere tra Trissino e Montecchio Maggiore ma, secondo il NOE, non sarebbero mai stati nemmeno formalmente inoltrati all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (ARPAV). D’altra parte, la documentazione del NOE rivela che ARPAV avrebbe potuto far emergere l’inquinamento già nel 2006, quando tecnici dell’agenzia regionale intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni: le operazioni di bonifica potevano partire in quel momento».

«Quanto emerge dal documento del NOE è gravissimo ma non ci risultano ulteriori filoni di indagine aperti dalla Procura di Vicenza a carico degli enti pubblici coinvolti», dichiara Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia «Ci auguriamo che la Procura agisca in fretta per definire un quadro chiaro ed esaustivo delle responsabilità e dei responsabili», conclude Ungherese. In particolare, il ruolo dei tecnici ARPAV è più volte al centro dell’annotazione del NOE tanto che gli investigatori del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso formalizzano, nero su bianco la “volontà dei tecnici ARPAV di non voler far emergere tale situazione” di inquinamento.

«Dai documenti acquisiti – prosegue l’associazione – appare difficilmente comprensibile anche la scelta della Procura di Vicenza di fissare al 2013 il termine ultimo di commissione dei reati: dalla relazione del NOE risulterebbe che i vertici di Miteni, IGIC e Mitsubishi Corporation potrebbero aver commesso reati fino al 2016 e oltre».

«La scelta della Procura di limitare gli accertamenti al 2013 implica l’inapplicabilità della normativa sui cosiddetti Ecoreati, entrata in vigore successivamente», aggiunge Ungherese. «Applicando la norma sugli Ecoreati, oltre alla possibilità di comminare pene più severe, si renderebbe minimo, almeno per alcuni degli imputati, il rischio della prescrizione».

Greenpeace segnala infatti come ancora una volta la prescrizione sui reati ambientali contestati rischia di far finire in un nulla di fatto, processualmente parlando, tutta la vicenda PFAS. La popolazione veneta, che continua a subire le gravi conseguenze dell’inquinamento da PFAS sulla propria salute, ha il diritto di sapere tutta la verità e di avere giustizia.

Fonte: ilcambiamento.it

Legambiente presenta Ecomafia 2016: accertati 27.745 reati ambientali e 188 arresti. 24.623 le persone denunciate e 7.055 i sequestri

Resta la morsa dell’ecomafia nel Mezzogiorno. La Campania in testa alla classifica regionale degli illeciti. Il Lazio è sempre la prima regione del centro Italia, la Liguria è la prima del Nordecomafier

Nella lotta all’ecomafia e agli ecoreati arrivano i primi segnali di una inversione di tendenza, dopo l’introduzione della legge sui delitti ambientali nel codice penale e un’azione più repressiva ed efficace. Nel 2015 diminuiscono gli illeciti ambientali accertati, sono 27.745. Per dirla in altro modo, più di 76 reati al giorno, più di 3 ogni ora. Salgono a 188 gli arresti, mentre diminuiscono le persone denunciate 24.623 e i sequestri 7.055. Sono 18mila gli immobili costruiti illegalmente. In calo le infrazioni nel ciclo del cemento e dei rifiuti. Crescono, invece, gli illeciti nella filiera agro-alimentare, i reati contro gli animali e soprattutto gli incendi, con un’impennata che sfiora il 49%. Roghi che hanno mandato in fumo più di37.000 ettari, più del 56% si è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso. In calo il business delle ecomafie che nel 2015 è stato di 19,1 miliardi, quasi tre miliardi in meno rispetto all’anno precedente (22 miliardi). Un calo dovuto principalmente alla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che hanno visto nell’ultimo anno prosciugare la spesa per opere pubbliche e per la gestione dei rifiuti urbani sotto la soglia dei 7 miliardi (a fronte dei 13 dell’anno precedente). Sono questi i primi dati che emergono da Ecomafia 2016 di Legambiente, le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, edito da Edizioni Ambiente con il sostegno di Cobat, e presentato oggi a Roma al Senato.

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Numeri e risultati che raccontano il lento ma grande cambiamento che ha preso il via nel 2015, con l’approvazione della legge sugli ecoreati, e continua nel 2016, anno in cui si cominciano a raccogliere i primi frutti di un’azione repressiva più efficace e finalmente degna di un paese civile che punisce davvero chi inquina. Nei primi otto mesi dall’entrata in vigore della legge sono stati contestati 947 ecoreati, con 1.185 denunce dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto e il sequestro di 229 beni per un valore di 24 milioni di euro. Sono 118 i casi di inquinamento e 30 le contestazioni del nuovo delitto di disastro ambientale. Ma per contrastare le ecomafie c’è ancora da fare, dato che la criminalità organizzata la fa ancora da padrone (sono 326 i clan censiti) e la corruzione rimane un fenomeno dilagante, è il volto moderno delle ecomafie che colpisce ormai anche il nord Italia. Senza dimenticare che la criminalità organizzata continua la sua pressione nelle aree boschive e agricole, e nel mercato illegale del legno, del pellet e della biodiversità. Per questo Legambiente, torna oggi a ribadire l’importanza di continuare a rafforzare il quadro normativo con leggi ad hoc che tutelino anche la filiera agroalimentare, i beni culturali e l’istituzione di una grande forza di polizia ambientale diffusa sul territorio. Alla presentazione del Rapporto Ecomafia hanno partecipato Rossella Muroni, Presidente di Legambiente,Piero Grasso, Presidente del Senato, Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Franco Roberti, Procuratore Nazionale antimafia, Tullio Del Sette, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Rosy Bindi, Presidente Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Ed ancora Alessandro Bratti, Presidente Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, Donatella Ferranti, Presidente Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, Giancarlo Morandi, Presidente Cobat – Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo, e Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente.

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“Anche quest’anno il Rapporto Ecomafia – dichiara Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente – ci racconta il brutto dell’Italia, segnata ancora da tante illegalità ambientali, ma in questa edizione 2016 leggiamo alcuni fenomeni interessanti che lasciano ben sperare. Dati e numeri, in parte in flessione, che dimostrano quali effetti può innescare un impianto normativo più efficace e robusto come i nuovi ecoreati, in grado di aiutare soprattutto la prevenzione oltreché la repressione dei fenomeni criminali. La prevenzione è la moneta buona che scaccia quella cattiva: è necessario creare lavoro, filoni di sviluppo economico e produttivo nei territori più a rischio, sostenere le centinaia e centinaia di cooperative e di imprese, che anche nel sud stanno cercando di invertire la rotta, puntando su qualità ambientale e legalità. E nel prevenire le ecomafie, oltre all’impegno dei territori e dei singoli cittadini, è importante una presenza costante dello Stato che deve essere credibile e dare risposte sempre più ferme, perché quando lo Stato è assente la criminalità organizzata avanza con facilità invadendo i territori, l’ambiente e le comunità locali. Quando invece lo Stato è presente, difficilmente gli ecomafiosi possono rubare e uccidere il nostro futuro”.

Dati Ecomafia – Nonostante il calo complessivo dei reati nel 2015, cresce l’incidenza degli illeciti nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), dove se ne sono contati ben 13.388, il 48,3% sul totale nazionale (nel 2014 l’incidenza era del 44,6%). La Campania con 4.277 reati, più del 15% sul dato complessivo nazionale, è la regione con il maggior numero di illeciti ambientali seguita da Sicilia (4.001), Calabria (2.673), Puglia (2.437) e Lazio (2.431). Anche su base provinciale la Campania gode di un primato tutt’altro che lusinghiero: le province di Napoli e Salerno sono tra le due più colpite, rispettivamente con 1.579 e 1.303 reati, seguite da Roma (1.161), Catania (1.027) e Sassari (861).

La corruzione è un fenomeno sempre più dilagante nel Paese, è l’altra faccia delle ecomafie, e facilita ed esaspera il malaffare in campo ambientale in maniera formidabile. Dal 1 gennaio 2010 al 31 maggio 2016 Legambiente ha contato 302 inchieste sulla corruzione in materia ambientale, con 2.666 persone arrestate e 2.776 denunciate. La Lombardia è la regione con il numero più alto di indagini (40), seguita da Campania (39), Lazio (38), Sicilia (32) e Calabria (27). La pressione dell’abusivismo continua senza tregua e non si ferma nemmeno dinanzi alla crisi generale del settore edilizio. Secondo le stime del Cresme, se nel 2007 l’abusivismo edilizio pesava per circa l’8% sul totale costruito, nel 2015 la percentuale è pressoché raddoppiata e destinata in prospettiva a crescere anche negli anni a seguire. Detta in altro modo,nel 2015 sarebbero stati costruiti altri 18.000 immobili completamente fuori legge. Impressionanti anche i dati complessivi sul ciclo del cemento: nel 2015 sono stati accertati quasi 5mila reati, 13 al giorno, e sono stati effettuati 1.275 sequestri. La Campania si conferma regione leader, con il 18% delle infrazioni su scala nazionale, davanti a Calabria, Lazio e Sicilia. Anche su scala provinciale, quelle campane battono tutte le altre, con in testa Napoli (301 reati), poi Avellino (260), Salerno (229) e Cosenza (199).

Per quanto riguarda le attività organizzate di traffico illecito dei rifiuti, secondo quanto disciplinato dall’articolo 260 del d.lgs. 152/2006, al 31 maggio 2016 le inchieste sono diventate 314, con 1.602 arresti,7.437 denunce e 871 aziende coinvolte in tutte le regioni d’Italia, a cui sia aggiungono 35 Stati esteri (14 europei, 7 asiatici, 12 africani e uno dell’America Latina), per un totale di oltre 47,5 milioni di tonnellate di rifiuti finiti sotto i sigilli. Solo nelle ultime 12 inchieste di quest’ultimo anno e mezzo (gennaio 2015-maggio 2016) le tonnellate sequestrate sono state 3,5 milioni, più o meno l’equivalente di 141 mila tir.

Preoccupano gli illeciti legati alla filiera dell’agroalimentare: nel corso del 2015 sono stati accertati 20.706 reati e 4.214 sequestri. Il valore complessivo dei sequestri effettuati ammonta a più di 586 milioni di euro. Il numero più alto di infrazioni penali è stato riscontrato tra i prodotti ittici con ben 6.299 illegalità accertate,mentre tra le tipologie specifiche di crimini agroalimentari la contraffazione è tra le più diffuse e colpisce principalmente i prodotti a marchio protetto, come l’olio extravergine di oliva, il vino, il parmigiano reggiano e così via. In espansione il fenomeno del caporalato: sono circa 80 i distretti agricoli, indistintamente da nord a sud, nel quale sono stati registrati fenomeni di caporalato. Nel 2015 le ispezioni sono cresciute del 59% ma con esiti davvero negativi, in pratica più del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende ispezionate sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive.

Le Ecomafie continuano i loro affari anche nel racket degli animali con 8.358 reati commessi nel 2015. A rischio anche i beni culturali: lo scorso anno ne sono stati recuperati o sequestrati dalle forze dell’ordine per un valore che supera abbondantemente i 3,3 miliardi. Un valore 6 volte superiore a quello registrato nell’anno precedente, quando si era “fermato” intorno ai 530 milioni. Invece per quanto riguarda i roghi, alla Campania va la maglia nera per il numero più alto di infrazioni, 894 (quasi il 20% sul totale nazionale), seguita da Calabria (692), Puglia (502), Sicilia (462) e Lazio (440).

“Dopo la legge sugli ecoreati e quella sulle agenzie ambientali – dichiara Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente – è fondamentale che il Parlamento approvi altre leggi in questa ultima parte di legislatura, che permettano di contrastare sempre più duramente le ecomafie, liberare il Paese dalla zavorra delle illegalità e promuovere la sua riconversione ecologica. C’è bisogno con urgenza della legge sui delitti contro gli animali, della norma per semplificare l’abbattimento degli ecomostri, di quella contro le agromafie e della costituzione di una grande polizia ambientale sempre più strutturata sul territorio che faccia tesoro dalle migliori esperienze maturate dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato negli ultimi decenni”.

Le Storie – Quest’anno Ecomafia si arricchisce di due nuovi capitoli, il primo “Ecogiustizia è fatta” che ripercorre le tappe della legge che ha introdotto gli ecoreati nel codice penale. Il secondo dal titolo “Ladri di biodiversità” contiene un focus sul mercato illegale del legno pregiato e dei pallet (imballaggi in legno usati per il trasporto delle merci). Secondo la Fao, il taglio illegale sarebbe la causa del 50% della deforestazione nelle foreste del Sud del Mondo. Secondo l’Unep e l’Interpol l’illegalità in questo settore avrebbe un valore che oscilla tra i 30 e i 100 miliardi di dollari. Il mercato nero dei pallet solo in Italia movimenterebbe legalmente qualcosa come 120 milioni di unità all’anno, per un volume d’affari di circa 720 milioni di euro. Chiude il capitolo il caso dei cosiddetti predoni del Po, le bande di pescatori di frodo, soprattutto di origine romena, che fanno razzia di pesci lungo i canali del Grande fiume d’Italia.

Le proposte: Le proposte: Se il 2015 è stato un anno spartiacque grazie all’introduzione della legge 68/2015, come dimostra questo Rapporto, rimangono ancora molti fronti aperti sul piano normativo. Per questo l’associazione ambientalista torna a ribadire che per una corretta applicazione della legge sugli ecoreati è fondamentale che le procure sviluppino una prassi operativa comune e condivisa, magari seguendo l’esempio di quegli Uffici giudiziari che già si sono mossi in questa direzione. Tra le altre proposte che lancia oggi Legambiente:

-mettere in campo un’azione di formazione sulla nuova legge per tutti gli attori del sistema di  repressione dei reati ambientali e definire linee guida nazionali per garantire una uniforme applicazione in tutto il paese della parte sesta-bis del Codice ambientale, quella che riguarda i reati minori che non rientrano tra i nuovi delitti previsti dalla legge 68, fino a oggi non completamente garantita (a tal proposito vale la pena segnalare l’accordo siglato in Emilia Romagna tra Procura generale, Procure della Repubblica, Noe dei Carabinieri e Corpo forestale dello stato che individua nell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia Romagna l’organo tecnico per l’asseverazione delle prescrizioni);

– una presa di posizione seria e unanime da parte delle classi dirigenti nazionali e locali contro l’abusivismo edilizio per dare nuovo vigore agli abbattimenti dei manufatti che ancora oggi sfregiano il territorio, con l’approvazione di una legge per snellire l’iter di abbattimento degli ecomostri;

– la rapida approvazione del ddl che tutela il Made in Italy enogastronomico, ora al vaglio delle competenti commissioni parlamentari. Un ddl che se approvato introdurrebbe nuovi delitti come il disastro sanitario e di agropirateria a tutela dei prodotti di qualità. In particolare si migliorerebbe il Codice penale per contrastare al meglio la contraffazione (con aggravante per i prodotti Igp e Doc), le frodi in commercio, la vendita di alimenti con segni mendaci anche con la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Inoltre sarebbe importante un nuovo intervento in tema di caporalato, odioso fenomeno che sta diventando sempre più esplosivo;

-una maggiore attenzione legislativa al patrimonio di biodiversità sotto attacco delle ecomafie, anche attraverso l’inserimento di un nuovo articolo nel Codice penale con adeguate sanzioni relative alle attività illecite inerenti fauna e flora protette;
-l’aggiornamento della legge per contrastare le archeomafie
 al fine di rendere sempre più adeguata la forza deterrente rispetto alla gravità dell’azione criminale su beni culturali e reperti archeologici. Se si esclude il delitto di ricettazione, che prevede pene fino a otto anni di reclusione, in generale le sanzioni previste a tutela dei nostri tesori sono davvero irrisorie;
-l’istituzione di una grande forza di polizia ambientale sempre più diffusa sul territorio nazionale,mettendo a sistema le migliori esperienze messe in campo dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato;
-un vero e proprio cambio di paradigma economico
: l’economia ecocriminale si combatte promuovendo un’economia civile, fondata sul pieno rispetto della legalità, sui principi della sostenibilità ambientale e della solidarietà, capace di creare lavoro, soprattutto per le giovani generazioni, e crescita pulita; contribuire alla custodia dei patrimoni del nostro Paese, a cominciare dalle sue ricchezze naturali e paesaggistiche, e alla valorizzazione dei suoi straordinari talenti.

Fonte: Legambiente

Il crimine ambientale rende sempre di più

Il crimine contro l’ambiente diventa un’attività sempre più lucrativa con un trend in aumento del 26%. Sconcertante? Sì, eppure è vero. Si tratta dell’attività più lucrativa al mondo, dopo il traffico di droga, la contraffazione e la tratta di esseri umani. E cosa si sta facendo per fermarlo?inquinamento_crimine

Il valore dei reati ambientali nel mondo è in crescita rispetto alle precedenti stime e costituisce un giro di affari che va da 91 a 258 miliardi di dollari (nel 2014 si aggirava tra i 70 e i 213): questo quanto riportato nell’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dell’Interpol The Rise of Environmental Crime. La criminalità ambientale – che comprende il commercio illegale di animali selvatici, i reati aziendali nel settore forestale, lo sfruttamento illegale e la vendita di oro e altri minerali, la pesca illegale, il traffico di rifiuti pericolosi e le frodi dei crediti di carbonio – cresce da due a tre volte più velocemente del PIL globale. Questo business supera il commercio illegale di armi di piccolo calibro (che ha un valore di circa 3 miliardi di dollari) e costituisce la quarta attività criminale più grande del mondo dopo il traffico di droga, la contraffazione e la tratta di esseri umani.
La quantità di denaro persa a causa dei reati ambientali è 10.000 volte superiore alla quantità di denaro speso dalle agenzie internazionali per combattere tali reati (20-30 milioni di dollari). Alla base di tale crescita sembrerebbero esserci legislazioni deboli e scarsità di finanziamenti alle forze di sicurezza, che faciliterebbero l’attività delle reti criminali internazionali, alimentando i conflitti, devastando gli ecosistemi e mettendo a rischio specie già minacciate dall’estinzione. Il rapporto esamina anche come il denaro generato dallo sfruttamento illegale delle risorse naturali finanzi i gruppi ribelli, le reti terroristiche e i cartelli criminali internazionali. Alcuni esempi.

  • Negli ultimi dieci anni i bracconieri hanno ucciso una media di 3.000 elefanti all’anno in Tanzania: si tratta di un valore di mercato annuo per i trafficanti di avorio di 10,5 milioni di dollari, una cifra cinque volte maggiore di tutto il bilancio nazionale del settore fauna selvatica del paese.
  • Le reti criminali organizzate transnazionali stanno usando la criminalità ambientale per riciclare il denaro della droga; l’attività estrattiva nelle miniere d’oro in Colombia, per esempio, è considerata uno dei modi più semplici per riciclare il denaro proveniente dal commercio di droga del paese.
  • I cartelli criminali internazionali sono anche coinvolti nel traffico di rifiuti pericolosi e prodotti chimici, spesso etichettando in modo errato questo tipo di rifiuti al fine di eludere le forze dell’ordine. Nel 2013, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) ha riferito che il commercio illegale di rifiuti elettronici verso il Sud-Est asiatico e il Pacifico è stato stimato in 3,75 miliardi di dollari all’anno.
  • Le reti criminali legate al conflitto nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo hanno speso circa il 2% dei loro proventi per finanziare fino a 49 diversi gruppi ribelli. Secondo alcune stime delle Nazioni Unite, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali in Congo orientale ha un valore di 722-862.000.000 dollari all’anno.
  • I crimini legati alla pesca, con un valore stimato di 11-23 miliardi di dollari, spesso coinvolgono reti criminali organizzate; alcuni gruppi criminali operano con il sostegno implicito dei loro governi. Recentemente la nave da pesca Viking è stata fermata in quanto operava illegalmente: in oltre 10 anni avrebbe infatti catturato 10.000 tonnellate di pesci appartenenti alla famiglia “Patagonian toothfish” con un valore di mercato di 200-300 milioni di dollari.

La relazione prende in esame l’aumento della corruzione in campo ambientale, dall’uso di società di comodo in paradisi fiscali per riciclare il denaro generato dal disboscamento illegale alla pirateria informatica e al furto di identità. Il commercio del carbonio è il mercato di materie prime in più rapida crescita al mondo; i casi di frode dei crediti di carbonio costituiscono somme di trasferimenti e profitti che si estendono a centinaia di milioni di dollari. In termini di danni agli ecosistemi generati da questo tipo di reati, non si può non pensare alle 30 tonnellate di mercurio tossico che ogni anno i minatori artigianali dell’Amazzonia sversano nei fiumi e nei laghi della regione, avvelenando i pesci e causando danni cerebrali agli esseri umani che vivono fino a 400 chilometri a valle. La perdita delle foreste a causa del disboscamento illegale provoca la perdita dei servizi ecosistemici (acqua e aria pulite) nonché i maggiori impatti sulla salute e sul benessere delle popolazioni. Le foreste sono anche di vitale importanza per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici. Il valore di crimini forestali, compreso il disboscamento illegale, è stimato in 50-152 miliardi di dollari all’anno. Dal report emergono anche segnali di successo. Fino a poco tempo, ad esempio, la foresta amazzonica ha avuto uno dei più alti tassi di deforestazione nel mondo; questa tendenza si è però invertita grazie alla più grande operazione di repressione dell’eco-criminalità avviata in Brasile nel 2003. Tale operazione, che ha ridotto la deforestazione in Amazzonia del 76% in soli cinque anni, ha portato all’emissione di multe per un totale 3.9 miliardi di dollari, 700 arresti, il sequestro di 1 milione di m3 di legname tropicale e la confisca o la distruzione di 11.000 proprietà, pezzi di macchinari ed attività.

Come risposta a questa preoccupante avanzata dei crimini all’ambiente, il rapporto raccomanda:

  • una normativa forte ed efficace, che preveda sanzioni – a livello nazionale ed internazionale – e anche misure mirate a distruggere i paradisi fiscali all’estero;
  • un aumento del sostegno finanziario commisurato alla grave minaccia che la criminalità ambientale rappresenta per lo sviluppo sostenibile;
  • incentivi economici e mezzi di sostentamento alternativi per coloro che si trovano in fondo alla catena della criminalità ambientale.

Si ringrazia Arpat

Fonte. ilcambiamento.it

Ecoreati: il Senato approva il ddl, ora tocca di nuovo alla Camera

Il lungo iter del disegno di legge sui reati ambientali sembra non finire mai: ora toccherà (nuovamente) alla Camera, previste pene più severe. Ieri l’Aula del Senato ha approvato il disegno di legge cosiddetto “ecoreati”: il testo è stato modificato in questo suo secondo passaggio, dovrà ora tornare alla Camera per ottenere il via libero definitivo e diventare così legge. Di ecoreati e di nuovi reati ambientali si parla da anni ma una legge ad hoc è ancora lontana dal vedere la luce, a meno che i deputati della Repubblica non siano celeri nel rivalutare positivamente il testo così come uscito dal Senato: si chiama bicameralismo, baby. Il problema è che nel frattempo si continua ad inquinare e a devastare molti territori (e si continuerà a farlo), cosa possibile grazie alla manica larga del codice penale in materia di reati ambientali. Nel testo uscito dal Senato la prima novità è l’istituzione di una nuova fattispecie di reato, relativo ai delitti contro l’ambiente, che comprenderà l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e abbandono di materiale radioattivo e l’impedimento al controllo. Le sanzioni, in questo caso, vanno dai 2 ai 6 anni. Il problema (non da poco) è che viene lasciato tutto a discrezione del magistrato: dalle quantità di materiale ritenuto pericoloso (e quindi perseguibile per legge) alle eventuali pene. Se ne discuteva anche ieri in Aula, con qualche senatore che sollevava proprio la questione discrezionalità. Per il delitto di disastro ambientale sarà prevista una pena dai 5 ai 15 anni: come si legge nel testo, si intende per disastro ambientale l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema o l’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ovvero l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva del fatto per l’estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. In totale il testo del ddl prevede quattro nuove fattispecie di reati ambientali: il delitto di inquinamento ambientale, il delitto di disastro ambientale, il delitto di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività e il delitto di impedimento del controllo. La norma introduce anche il divieto di esplosioni in mare per attività di ricerca e ispezione dei fondali.

“Da ministro dell’Ambiente mi recai nella Terra dei fuochi e mi assunsi come impegno quello di procedere verso una riforma complessiva della punibilità dei reati ambientali e mi pare che oggi si sia giunti a questo risultato. Il provvedimento non è soltanto un segnale politico. [..] non si tratta soltanto di un provvedimento che individua nuovi reati ma che consente anche per quei reati di carattere minore di estinguersi quando c’è una forma di collaborazione da parte di chi ha provocato questo danno ambientale, se è di contenuta entità.”

ha dichiarato il ministro della Giustizia, ex ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando.

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Fonte: ecoblog.it

Approvati 4 nuovi reati ambientali alla Camera: il voto passa al Senato

Oggi alla Camera è stata approvata la proposta di legge che presenta quattro nuovi reati ambientali. La discussione passa ora al Senato

Il nuovo provvedimento che introduce oggi 4 nuovi reati ambientali è stato votato alla Camera con 386 voti a favore, 4 contrari e 45 astensioni. La discussione passa al Senato e le nuove norme riconoscono il disastro ambientale, inquinamento ambientale, il traffico e abbandono di materiale radioattivo e impedimento del controllo. Dunque il Codice penale è stato così aggiornato e si introduce il reato dei delitti contro l’ambiente. Vediamo nel dettaglio in cosa consistono le pene, le aggravanti e gli sconti di pena le le prescrizioni. Già lo scorso mese un decreto legge denominato Terra dei Fuochi introduceva il reato combustione di rifiuti e dunque il nuovo pacchetto di leggi vanno a completare la parte degli ecoreati.Immagine

Andrea Orlando attuale ministro alla Giustizia e fino a qualche giorno fa ministro per l’Ambiente si è detto soddisfatto di questo nuovo pacchetto di leggi approvati in un tweet:

4 nuovi reati ambientali

Sono quattro, come dicevamo i nuovi reati che andranno ad aggiornare il Codice penale e sono il Disastro ambientale che prevede il carcere ai 5 ai 15 anni per chi altera l’ecosistema o gravemente o irreversibilmente; Inquinamento ambientale con la reclusione da 2 a 6 anni e multa dai 10mila ai 100mila euro per chi inquina e deteriora la biodiversità anche agricola, del suolo, delle acque e dell’aria e la pena è dimezzata nel caso non vi sia dolo o colpa; nel caso i delitti siano commessi ai danni di specie protette o in aree vincolate allora le pene sono raddoppiate; Per il traffico e abbandono di materiale di alta radioattività la pena prevista va dal carcere da 2 a 6 anni con una multa che oscilla tra i 10mila e i 50mila euro così come per chi lo commercia; infine per chi esercita un impedimento al controllo o lo nega, o lo ostacola, o lo intralcia è prevista una pena da 6 mesi a 3 anni. Il tempo di prescrizione è raddoppiato. Sarà sempre informato il procuratore antimafia dei delitti contro l’ambiente.

Nel merito abbiamo anche le aggravati che ricadono sotto l’associazione mafiosa e peraltro già previste nel Codice Penale a proposito della associazione a delinquere; come nel caso di altri reati la pena viene scontata se l’imputato inizia a collaborare. Nel caso dei reati ambientali resta in vigore la confisca anche se vi è stato patteggiamento e l’obbligo di bonifica.

Fonte: L’Unità