Steve McCurry: “Lottiamo per l’ambiente e contro ogni forma di razzismo”

Il fotoreporter americano Steve McCurry è uno tra i più importanti e famosi fotografi viventi. Lo abbiamo incontrato al Forte di Bard in Valle d’Aosta e questo è il risultato della nostra chiacchierata. Partendo dal suo approccio alla fotografia siamo giunti a parlare delle sfide del nostro mondo, delle inegualità e della necessità di un cambiamento per migliorare il nostro pianeta. Bard (AO) – Non capita tutti i giorni di incontrare Steve McCurry. Probabilmente buona parte di voi avrà osservato almeno una volta nella vita una sua fotografia. “Ragazza Afgana”, ritratto di Sharbat Gula, è ritenuta da National Geographic – che la pubblicò come copertina nel numero di giugno del 1985 – la fotografia più riconosciuta della storia della rivista.È un onore stringergli la mano, per di più in un luogo meraviglioso, il Forte di Bard. Prima di noi è stato intervistato dalla troupe della RAI e poco dopo sarebbe toccato già ad un’altra TV. Non abbiamo molto tempo a disposizione e quindi non ci resta altro che iniziare questa piacevole chiacchierata in sua compagnia, partendo proprio dal valore che egli stesso da al trascorrere dei minuti.

Buongiorno Steve, prima di partire con le domande, volevamo ringraziarla da parte di tutta la redazione di Italia Che Cambia per aver accettato il nostro invito. Partiamo proprio da una sua affermazione: “Se sai aspettare le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto”. Qual è il suo rapporto con il tempo?

Nella fotografia, quando devi fotografare le persone, hai necessità di tempo per essere a tuo agio con loro e per loro essere confidenti con te, al fine di stabilire una sorta di connessione. E così inizia questa relazione che si conclude, fiduciosamente, in una buona fotografia.

Ha avuto modo di fotografare le meraviglie di questo mondo, le bellezze della natura e le bellezze umane. Ha anche avuto modo di vivere in prima persona le vicende meno belle del nostro pianeta. Ha ad oggi una visione positiva o negativa del futuro?

Ho viaggiato attorno al mondo per 45 anni e ho visto un sacco di cose terribili ed un sacco di cose meravigliose, persone e culture interessanti. Penso che il futuro del nostro pianeta è nelle nostre mani e la parte ottimistica vincerà. Servirà tanto lavoro, tanto tempo e tante lotte. Ci sono tante forze negative nel mondo che dobbiamo combattere. Penso che possiamo lottare insieme per il nostro ambiente, contro ogni forma di razzismo, contro chiunque deturpi il nostro pianeta.

Perché secondo lei la fotografia della Ragazza Afgana è divenuta così famosa? Crede che possieda qualcosa di particolare e diverso delle altre sue fotografie?

Il successo di questa fotografia o il perché questa fotografia sia divenuta famosa probabilmente dobbiamo lasciarlo a un critico d’arte o uno storico. Si potrebbe speculare a riguardo. È davvero difficile saperne la ragione, suppongo vi siano un sacco di ragioni che hanno portato a questo successo.n_8663_1

Qual è la foto che ricorda con più piacere e che è dentro il suo cuore?

Non ho mai avuto una mia fotografia preferita, forse alcune delle mie fotografie preferite sono state scattate da altri fotografi, ma per quanto riguarda i miei elaborati mi piacciono fotografie diverse per ragioni diverse. Non posso sceglierne una e dire che è la mia preferita.

Qual è il senso per lei della fotografia? Qual è il suo ruolo nella nostra società? Quanto è cambiato tale ruolo da quando lei attraversò il Pakistan e l’Afghanistan travestito con abiti tradizionali nel 1980?

Per me fare fotografia e le fotografie di una pubblicazione stampata non hanno per nulla cambiato il loro ruolo. Ora osserviamo le fotografie al computer e questa è di certo una grande differenza, ma io lavoro principalmente per libri ed mostre. Poi sì, ho un sito internet, un blog, Instagram, ma il mio cuore è nelle pagine stampate e nelle mostre.

Cosa c’è nel suo futuro?

Il mio prossimo obiettivo è di realizzare un libro sul Buddismo. La cultura buddista, le nazioni buddiste, praticando buddismo in diverse nazioni come in Giappone, e che si è sviluppato in tutto il mondo. Questo è il mio interesse, il mio progetto futuro sul quale lavorerò.1a

Cosa pensa dell’Italia come uomo e come fotografo?

Amo lavorare in Italia. Adoro stare in Italia. Il mio primo viaggio in questa nazione fu nel 1970. Sono stato qui tante volte, apprezzandone la cultura, le persone, l’arte, il cibo, il vino. E’ uno dei posti al mondo da me preferiti.

L’immagine Gateway to India, rappresenta due mondi che si incontrano, l’Occidente e l’Oriente. Pensa che le disuguaglianze nel mondo che lei ha saputo magistralmente documentare, nel corso degli anni, aumenteranno o diminuiranno?

È sempre esistita la disuguaglianza, in Asia,nel Sud del mondo. Ovunque esistono disuguaglianze. Penso e spero che il mondo stia cambiando, e che saremo in grado di alleviare parte degli stress e la disparità esistente tra i ricchi e i poveri. Io non riuscirò a vedere tutto ciò, ma si tratta solo di una differenza tra Est ed Ovest, la disuguaglianza esiste ovunque.

Una delle cose più importanti nel suo lavoro, diceva, era quello di scegliersi dei collaboratori valorosi. È stato difficile trovarli?

Ho lavorato con tante persone meravigliose in questi anni: assistenti, traduttori, guide, altri fotografi. È un lavoro entusiasmante, perlopiù con persone locali, dei luoghi in cui sono stato.1c

Il nostro giornale è chiamato “Italia Che Cambia”. Ci piace così chiedere a chi incontriamo qual è il loro rapporto con il cambiamento. Che cosa significa per lei questa parola?

Il cambiamento è inarrestabile e noi dobbiamo affidarci ad esso, anche se a volte è buono o volte no. Una cosa certa è che il mondo è limitato. C’è un tempo limitato, dobbiamo vivere la vita al meglio delle nostre possibilità perché non è infinita, dobbiamo semplicemente accettarlo e andare oltre.

Cosa fa Steve McCurry quando non ha una macchina fotografica tra le mani?

Quando non fotografo mi piace leggere, ascoltare la musica. Mi piace guardare i film. Adoro viaggiare, anche se non sto lavorando, questa è la mia passione e non si è mai fermata. Aggiungiamo che, quando è in viaggio, quel che fa principalmente Steve è fotografare. Dunque è proprio vero che quando il proprio desiderio è curato e seguito quotidianamente, esso non può più considerarsi un lavoro, ma una continua ricerca che non può fermarsi, e che continuerà ogni giorno, passo dopo passo, scatto dopo scatto.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/steve-mccurry-lottiamo-ambiente-razzismo/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

 

 

Il razzismo fa invecchiare chi lo subisce

L’American Journal of Preventive Medicine ha pubblicato i risultati di una ricerca ai confini fra sociologia, medicina e genetica, secondo la quale ci sarebbe un rapporto di causalità fra razzismo e invecchiamento precoce. Essere vittime del razzismo ci fa invecchiare prima? Sembrerebbe proprio di sì, almeno secondo quanto esposto dall’articolo pubblicato di recente dall’American Journal of Preventive Medicine. A fare da “garante” della validità dello studio, oltre all’autorevolezza della pubblicazione, è la firma di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la medicina nel 2009. Il team di lavoro che ha lavorato a questa ricerca è partito da un dato statistico, quello secondo il quale, negli Stati Uniti, gli afroamericani costituivano la parte della popolazione maggiormente colpita da malattie gravi legate all’età. La loro aspettativa media di vita è di 69,7 anni, contro i 75,7 anni dei bianchi. Un abisso. I ricercatori hanno cominciato a interrogarsi sul possibile legame fra questi dati sanitari e demografici e lo stress psicosociale scatenato dagli atti di razzismo. Come stabilire una relazione di tipo biologico?

I ricercatori hanno deciso di servirsi dell’accorciamento dei telomeri (sorta di “cappucci” protettivi del Dna che vengono erosi nelle malattie cardiovascolari, nell’artrosi e nell’Alzheimer) come di un marcatore di invecchiamento presso 92 afroamericani dai 30 ai 50 anni, in buona salute e in ambienti sociali differenti. Accanto agli esami sanguigni, sono stati effettuati dei test sull’esposizione di questi soggetti a fenomeni di razzismo. Gli esperimenti hanno evidenziato una significativa correlazione fra l’accorciamento dei telomeri e l’”esposizione” a fenomeni di razzismo. Ma c’è un dato ancora più sbalorditivo: i soggetti con una visione positiva del proprio gruppo etnico sono risultati più protetti quando non immuni dall’accorciamento dei telomeri. Visto il campione piuttosto ristretto, i ricercatori sono rimasti piuttosto cauti, ma questi risultati sono uno stimolo per ampliare l’indagine e per proseguire sul terreno “ibrido” di una ricerca capace di mettere insieme sociologia, medicina e genetica. Tanto da utilizzare per le discriminazioni l’efficace metafora delle “tossine sociali”.

Fonte; Le Monde

Vittime del disastro ambientale in Nigeria rifiutano le ridicole compensazioni della Shell

La Shell è accusata di razzismo finanziario, per avere proposto compensazioni ridicole al disastro ambientale nel delta del Niger del 2008. Si ritiene che occorreranno 30 anni per bonificare l’area inquinata di 75 km²Crimini-ambientali-Shell-1-586x389

Gli abitanti della regione di Bodo, Nigeria hanno rifiutato in un’assemblea pubblica le ridicole compensazioni proposte dalla Shell per il disastro ambientale causato da due sversamenti di greggio nel 2008. La multinazionale aveva offerto un indennizzo complessivo di 36 milioni di euro, pari a circa1300 € per ogni famiglia di pescatori colpiti.  Questa cifra equivale a circa 2-3 anni di guadagno dalla pesca nel delta del Niger, ma la devastazione causata da Shell richiederà30 anni di bonifiche. Le esatte dimensioni della catastrofe possono essere apprezzate solo dall’aereo: oltre 75 km² di foreste di mangrovie, ruscelli, paludi e canali ricoperti da uno strato di petrolio. LE stime sulla quantità sversata variano ta 4000 barili a 300000.  Le comunità locali affermano che non è ancora stato fatto nulla e che i pozzi sono tuttora inquinati. Cinque anni dopo la marea nera, le vie d’acqua intorno a Bodo hanno ancora un aspetto apocalittico. «E’ dappertutto. Il vento soffia il petrolio sopra gli orti, il nostro cibo sa di petrolio, i nostri bambini sono malati ed abbiamo malattie della pelle. La vita qui si è fermata», ha dichiarato un pescatore che ha dovuto ridursi a raccogliere legna per sopravvivere. Poco dopo il disastro , la Shell aveva tentato di chiudere la partita, offrendo solo 5000 € come risarcimento complessivo. Ora l’asticella si è un po’ alzata, ma la cifra proposta è del tutto insufficiente, tenuto conto che la capitalizzazione della multinazionale raggiunge quasi i 200 miliardi di euro. Avendo rifiutato il patteggiamento, ora sarà il tribunale a definire l’ammontare del risarcimento. Molte ong occidentali hanno condannato pubblicamente la Shell per la sua meschina avarizia, ed hanno iniziato a parlare di razzismo finanziario. Sarebbe opportuno ricordarselo al prossimo rifornimento di carburante, oppure quando si deve ridefinire cosa fare dei propri risparmi.crimini-ambientali-shell-2

75 km² di delta del Niger contaminati, 30 anni per le bonifiche  

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Fonte: ecoblog