Una cattiva notizia per i consumatori e la raccolta differenziata ma buona per le aziende che anno ancora più tempo per adeguarsi. Con il rinvio diventa ancora più fondamentale la piattaforma online di Conai di supporto alle aziende per l’etichetta
Come già successo lo scorso anno, anche questa volta il DL “Milleproroghe” allontana l’obbligo dell’etichettatura ambientale sugli imballaggi. Doveva entrare in vigore il 1° gennaio del 2022 ma bisognerà aspettare il 1° luglio 2022.
Il provvedimento, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 228 del 30 dicembre 2021, prevede all’art. 11, la sospensione dell’obbligo di etichettatura ambientale degli imballaggi fino al30 giugno 2022, nonché la possibilità per gli operatori del settore di commercializzare i prodotti privi dei nuovi requisiti di etichettatura ambientale già immessi in commercio o già provvisti di etichetta al 1° luglio 2022, fino a esaurimento scorte.
La disposizione prevede inoltre l’emanazione, entro 30 giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di etichettatura degli imballaggi, di un decreto di natura non regolamentare a firma del Ministro della Transizione Ecologica per l’adozione di linee guida tecniche per la corretta etichettatura degli imballaggi. Un ennesimo rinvio che sicuramente non fa bene ai consumatori e alla raccolta differenziata ma che probabilmente permetterà alle aziende di adeguarsi al meglio.
Infatti per le aziende c’è uno strumento molto importante messo a disposizione da Conai, delle “Linee Guida sull’etichettaturaambientale degli imballaggi“, un documento frutto di un lavoro di squadra che CONAI ha promosso con una serie di tavoli di confronto, in particolare con UNI, Confindustria e Federdistribuzione. Per supportare ulteriormente le imprese, sempre il Conai ha sviluppato la piattaforma online etichetta-conai.com dove confluiscono una serie di strumenti e di documenti di supporto per gli operatori del settorecome, solo per fare un esempio, le Good Ideas con più di 60 etichette ambientali per gli imballaggi per farsi “ispirare dalle etichette più virtuose”.
L’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Eco dalle Città ha intervistato Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino. Dopo tre anni di fermo l’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Abbiamo chiesto un commento ad Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino.
Quali sono le novità registrate negli ultimi anni?
Prima di tutto voglio ringraziare le colleghe dell’ATO-Rifiuti: senza il loro lavoro la pubblicazione non sarebbe stata possibile. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati da una forte spinta alla raccolta differenziata con effetti ben visibili, benché i risultati non siano uniformi in tutti gli ambiti del nostro territorio. Nel trend di crescita è intervenuta nel 2017 la modifica del calcolo della raccolta differenziata il cui effetto immediato è stato un complessivo e consistente aumento della percentuale di RD, determinata però solo da una differente modalità di contabilizzazione. Più di recente invece abbiamo assistito ad una lenta crescita della raccolta differenziata nella città di Torino, grazie all’estensione dei servizi domiciliari che dovrebbe concludersi nel 2023. Pur con questi risultati l’ambito metropolitano è complessivamente ancora lontano dall’obiettivo fissato dalla normativa per il 2012 e pari al 65%: nel 2019 il nostro territorio raggiunge “solo” il 58% di raccolta differenziata; diversi ambiti hanno già traguardato l’obiettivo nazionale ma, fatta eccezione per la Città di Torino (che sta procedendo), in quelli in cui il risultato non è ancora stato raggiunto non sembrano previsti al momento interventi in grado di dare una ulteriore spinta e pertanto non si può ipotizzare nel breve periodo un sostanziale cambio di scenario. La qualità della raccolta, sebbene sia sempre difficile fare valutazioni specifiche e puntuali a causa dei diversi passaggi cui il rifiuto è sottoposto a scapito della tracciabilità, non risulta complessivamente eccellente. Più in particolare la raccolta differenziata della plastica mostra livelli accettabili (ma anche eccellenze) per quella multimateriale leggera (realizzata in 264 Comuni – 896.958 ab.), meno per quella monomateriale ( realizzata in 49 Comuni – 1.356.304 ab.) che necessita ancora di interventi di prepulizia prima del conferimento agli impianti di selezione. Per la RD plastica vi è inoltre un problema più strutturale e non determinato dalla raccolta del territorio; infatti ancora più della metà viene avviata a recupero energetico o discarica (per quantità residuali) poiché costituita oltre che da scarti veri e propri, da imballaggi non riciclabili, per i quali ancora troppo poco si sta facendo. Le altre raccolte differenziate (organico, carta/cartone, vetro) continuano a soffrire di una qualità non sempre eccellente che determina oltre che un minore incasso per i Comuni, una minore resa in termini di riciclo. La nuova negoziazione dell’Accordo Quadro, peraltro non conclusa (alla data di pubblicazione del rapporto non risultano sottoscritti tre dei sei Allegati Tecnici), spinge molto sulla qualità del rifiuto conferito: la condivisibile necessità di un miglioramento qualitativo delle raccolte si scontra con un territorio non sempre sufficientemente pronto a modificare abitudini e sistemi organizzativi.
Oltre ai valori di raccolta differenziata sembra si parli ancora troppo poco della produzione totale e del rispetto della gerarchia della gestione dei rifiuti: cosa è successo da questo punto di vista?
Sul fronte della produzione totale, diversi ambiti registrano valori significativamente alti ed anche in questo caso non si possono ipotizzare sostanziali modifiche, essendo interventi, allorquando presenti, sporadici e non inseriti in un quadro complessivo: per questo rischiano di risultare poco visibili a livello sovra-locale. Il raggiungimento di ambiziosi obiettivi di prevenzione dei rifiuti è possibile solo attraverso un complesso sistema di azioni e buone pratiche che, inserite in un disegno articolato, divengono elemento imprescindibile per la modifica del modello di produzione e consumo finalizzato alla prevenzione dei rifiuti, in modo da portare all’auspicato disallineamento fra crescita dei rifiuti e crescita economica.
E sul sistema impiantistico ci sono dati confortanti?
Anche grazie alle scelte lungimiranti fatte nel passato il territorio non presenta criticità per lo smaltimento del rifiuto non recuperabile, che peraltro vista la crescita della raccolta differenziata non solo è completamente assorbito dal termovalorizzatore (impianto che la Regione già da qualche anno ha individuato come impianto regionale), ma riesce a trattare anche una buona quantità di rifiuti speciali. Al tempo stesso però, la complessa situazione del sistema nazionale e le difficoltà di accesso alle infrastrutture di smaltimento, creano anche a livello del nostro territorio numerose criticità che rischiano di avere effetti sulla corretta gestione del rifiuto speciale, caratterizzata da impianti sempre più prossimi alla saturazione. Sebbene il nostro Rapporto ormai da diversi anni è limitato ai soli rifiuti urbani, il tema degli impianti di trattamento di rifiuti speciali è comunque di interesse, poiché tali impianti costituiscono il destino per i sovvalli delle raccolte differenziate oltre che per particolari tipologie di rifiuti urbani (ingombranti e abbandoni stradali soprattutto).
Ci sono altre criticità che emergono?
Il percorso di razionalizzazione della governance avviato negli anni scorsi e definitivamente tracciato con la L.R. 1/2018, pur con tutti i limiti della legge – il doppio livello CAV/ATO, due CAV per il territorio metropolitano, la frammentazione degli attuali Consorzi di Bacino – appare ancora lontano dal realizzarsi, mentre avanza il processo di aggregazione industriale che potrebbe portare ad un effetto di asimmetria fra livello della regolazione/controllo e quello della esecuzione. Permane, infine, come problema il fattore economico: la cittadinanza ed il sistema delle imprese sono sempre più sensibili all’impatto finanziario del sistema di gestione dei rifiuti e le modalità di gestione dei rifiuti secondo criteri di sicurezza per la salute e l’ambiente comportano investimenti e risorse crescenti rispetto al passato. Il mantenimento del difficile equilibrio tra queste istanze è a mio avviso un compito centrale per le istituzioni preposte al controllo e alla regolazione del sistema.
Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti
Sono 598 i Comuni che producono al massimo 75 chili di rifiuto secco pro capite l’anno. Nord-Est sempre in testa alla classifica grazie a porta a porta e tariffazione puntuale, Veneto e Trentino Alto Adige le regioni più virtuose Cresce il Sud, Centro immobile
Sono 598 i Comuni Rifiuti Free,quelli dove ogni cittadino produce al massimo 75 chili di secco residuo all’anno: 51 in più dello scorso anno. E questa è davvero una buona notizia, specialmente se si considera che la crescita maggiore è avvenuta nel Meridione. I comuni rifiuti free del Sud Italia sono passati, infatti, da 84 a 122 e pesano, ora, per il 20,4% sul totale dei comuni in graduatoria. Il merito di questa rimonta va, soprattutto, all’Abruzzo, che porta i comuni virtuosi da 15 a 38 (con un balzo dal 5 al 12% sul totale dei comuni della Regione), alla Campania che sale da 23 a 36 comuni (dal 4 al 7%) e alla Sicilia che passa da uno a otto comuni (da 0 a 2%), tra cui Misilmeri (PA) di oltre 30mila abitanti. I comuni del Centro rappresentano il 6,5% del totale dei Comuni in classifica e il Nord, nonostante l’incremento in numeri assoluti, per la prima volta scende dal 77% al 73,1%. Da segnalare la Lombardia che cresce di 22 comuni (da 85 a 107).
Tra i capoluoghi di provincia sono solo 4 le città che rientrano nei parametri dei Comuni Rifiuti Free: Pordenone, Trento e Treviso in testa, seguiti da Belluno.
Il Veneto si conferma la Regione con il numero più elevato di Comuni rifiuti free: 168 comuni per una percentuale sul totale del 30%, stabile rispetto allo scorso anno. Seguono il Trentino-Alto Adige con 78 comuni (28%), due in più rispetto al 2019 che lo aveva visto in forte crescita, e il Friuli-Venezia Giulia, che con 48 comuni rimane a quota 22%. Poi l’Abruzzo e il Molise che passa da nove a 13 comuni (dal 7% al 10%).
Questi i numeri principali di Comuni Ricicloni 2020, l’indaginepresentata oggi pomeriggio a Roma, durante la seconda giornata del talk show online EcoForum sull’Economia circolare dei rifiuti, organizzato da Legambiente, Editoriale La Nuova Ecologia e Kyoto Club. La premiazione dei Comuni rifiuti free – trasmessa in diretta streaming su eco-forum.it e sulle pagine Fb di Legambiente e de La Nuova Ecologia – è stata introdotta da Giorgio Zampetti Direttore Generale Legambiente e moderata da Laura Brambilla Responsabile Premio Comuni ricicloni. Sono intervenuti Alessia Rotta, Presidente Commissione Ambiente Camera dei Deputati, Luca Briziarelli, Vicepresidente Commissione d’Inchiesta sulle Attività Illecite Connesse al Ciclo dei Rifiuti e su Illeciti Ambientali, Maria Alessandra Gallone, Commissione Ambiente Senato della Repubblica, Paola Nugnes, Commissione Ambiente Senato della Repubblica, Enzo Favoino, Scuola Agraria del Parco di Monza e Lorenzo Barucca Responsabile Economia Civile Legambiente e Progetto Ecco.
Secondo gli ultimi dati ISPRA disponibili (2018), nel complesso in Italia la produzione dei rifiuti rimane ancora alta, con 499,7 kg/ab/anno, e se la raccolta differenziata intercetta, mediamente a livello nazionale, oltre la metà dei rifiuti prodotti con il 58,1%, si registra ancora un forte divario tra Nord (67,7%), Sud (46,1%) e Centro Italia (54,1%).
“Con il recepimento del pacchetto delle direttive europee sull’economia circolare – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si è definito il contesto in cui gli Stati devono muoversi da qui ai prossimi anni. Tra gli obiettivi principali: il limite massimo del 10% di rifiuti conferiti in discarica, percentuali molto ambiziose di riciclo dei rifiuti prodotti e un tetto per abitante di 100 chili di residuo secco (indifferenziato) prodotti annualmente. Come fotografa il nostro rapporto Comuni Ricicloni 2020, ad oggi la produzione dei rifiuti non recuperabili e conferiti in discarica al di sotto dei 75 chili per abitante all’anno è raggiunta solo da 598 Comuni: in aumento rispetto allo scorso anno ma ancora pochi. Proprio per questo è determinante applicare il sistema di tariffazione puntuale su tutto il territorio nazionale, in nome del principio chi inquina paga, supportando le amministrazioni che ce l’hanno fatta”.
Nell’indagine Comuni Rifiuti Free 2020, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto sono le uniche tre regioni che si vedono rappresentate in tutte e quattro le categorie del concorso: i comuni sotto i 5.000 abitanti, tra i 5.000 e i 15.000, oltre i 15.000 e Capoluoghi. Come a dire che nel triveneto la raccolta differenziata è di qualità indipendentemente dalla dimensione demografica, grazie a un sistema di raccolta e gestione efficace basato, nella maggior parte dei casi, su sistemi consortili, raccolta porta a porta e tariffazione puntuale. All’altro capo della classifica, con zero comuni rifiuti free, troviamo la Valle d’Aosta (stazionaria sullo zero), con la Liguria e la Puglia che perdono entrambe i loro due comuni virtuosi. Tra i comuni non capoluogo sopra i 15 mila abitanti, oltre a Misilmeri (PA), i vincitori di quest’anno sono Baronissi (SA), Castelfranco Emilia (MO), Porcia (PN), Porto Mantovano (MN), Castelfidardo (AN), Certaldo (FI), Pergine Valsugana (TN) e Vedelago (TV). Carpi (71mila abitanti) tra i vincitori 2019 passa invece in seconda linea. Nel dossier, i dati accorpati per consorzio indicano ai primi posti quelli al di sotto dei 100mila abitanti.In testa i due consorzi trentini Amnu Spa e Asia (Azienda Speciale per l’Igiene Ambientale), seguiti dal consorzio veneto Unione Montana Agordina. Per quanto riguarda i consorzi più grandi, quelli sopra i 100mila abitanti, troviamo al primo posto il Consorzio di Bacino Priula (TV), al secondo il Consiglio di Bacino Sinistra Piave (TV) e al terzo il consorzio A&T 2000 S.p.A (UD).
Comuni Ricicloni è un concorso volontario (cui concorrono le realtà che inviano i dati di produzione dei rifiuti nei tempi e nei modi stabiliti dagli organizzatori) e un dossier a cura di Legambiente, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in collaborazione con CONAI, Comieco, Corepla, CIAL, CoReVe, RICREA, Rilegno, Consorzio Italiano Compostatori e Assobioplastiche. Partner: FaterSmart e Eurosintex. L’EcoForum è il primo di 7 incontri tematici organizzati da Legambiente con istituzioni, imprese e associazioni per individuare le migliori proposte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo italiano dovrà presentare in Europa entro aprile 2021. I prossimi appuntamenti in programma saranno: Forum Acqua sul ciclo idrico integrato (28 ottobre), Forum Agroecologia circolare sulla sostenibilità in agricoltura (12 novembre), Forum Bioeconomia delle Foreste sulla gestione forestale sostenibile (19 novembre), Conferenza Città Clima sull’adattamento climatico in ambito urbano (25 novembre), Forum QualEnergia sulla lotta alla crisi climatica e sulla mobilità sostenibile (2-3 dicembre), Rapporto Ecomafia (11 dicembre)
In occasione degli Stati Generali della Green Economy in programma il 3 e 4 novembre in versione digitale causa Covid, abbiamo raggiunto Eco Ronchi per sapere quali saranno le riflessioni condivise sull’economia verde ai tempi della pandemia
Quest’anno Gli Stati Generali della Green Economy lanciano un appello alla Comunità europea facendo da megafono al mondo delle imprese. Di cosa si tratta?
Un appelloche qualifica un gruppo consistente di imprese italiane. Per ora l’iniziativa è europea con il gruppo più consistente a livello comunitario che si è espresso per tenere alta l’attenzione climatica nell’uso del Recovery fund. Abbiamo il timore che finanziando gli interventi per il clima possa finanziare anche gli investimenti che generano le emissioni di gas serra. Pensi a certe rottamazioni alla leggera di veicoli ad emissioni di Co2, oppure a certe infrastrutture stradali che comportano aumento di emissioni di gas serra. Insomma bisogna essere coerenti anche perché l’investimento nella carbonizzazione cioè in infrastrutture e impianti che abbiano elevate emissioni di gas serra o che abbiano comunque un aumento di gas serra è un investimento di corto respiro visto che significa buttare via i soldi. E quindi noi siamo convinti che destinare il 37% degli investimenti del Recovery and Resilience Facility, il più importante strumento di finanziamento del pacchetto Next Generation Eu, a favore del clima sia una quota apparentemente consistente ma in realtà è bassa. Bisogna portarla almeno al 50% anche per finanziare le misure di adattamento climatico di cui dicevamo prima, per la prevenzione del dissesto idrogeologico e l’aumento della resilienza del territorio verso le alluvioni e anche verso le ondate di calore.
Da ex subcommissario per il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto, cosa ne pensa della possibilità di finanziare l’impianto con il Recovery fund?
Non si finanzia più il carbone ma si finanzia la conversione verso l’idrogeno o tecnologie intermedie che abbassino le emissioni di gas serra, questo vuol dire. Quindi benissimo investire nell’Ilva ma non nell’altoforno a carbone, ma nelle misure verso la conversione all’idrogeno. Ovviamente nessuno pensa che si possa fare la conversione dell’Ilva all’idrogeno in 6 mesi. Forse neanche in qualche anno. Si tratta di investire verso la transizione anche prevedendo tappe intermedie. L’importante è che non si tenda a mantenere o aumentare le emissioni di gas serra, ma per ridurre le emissioni di gas serra.
Di recente l’Italia ha iniziato a recepire il pacchetto di direttive sull’economia circolare. Siamo sulla buona strada? L’emanazione dei decreti “End of waste”, per il riutilizzo delle materie prime seconde, procede a rilento…
Anche in questo caso, negli anni come Fondazione sullo sviluppo sostenibile ci siamo battuti parecchio. Tutti d’accordo sull’economia circolare. Del resto chi vuole mantenere un’economia inefficiente basata sullo spreco delle risorse con alti costi? Poi però quando si tratta di fare le misure non si riescono a cogliere le priorità. Il riciclo va favorito e agevolato. L’End of waste nella normativa europea è una procedura che con le nuove direttive è stata semplificata favorendo, con l’autorizzazione “caso per caso”, la procedura più semplice per il riutilizzo dei materiali. Noi in Italia cosa abbiamo fatto? Con sofferenza abbiamo recepito il potere di affidare alle Regioni le autorizzazioni al riciclo “caso per caso”. Ma siamo l’unico paese europeo che ha istituito una specie di procedura speciale di controllo di secondo livello affidata all’Ispra. Una procedura bizantina che ha come effetto l’appesantimento del riciclo con l’End of waste, rendendolo più complicato rispetto allo smaltimento e all’incenerimento. Speravamo nel pacchetto di recepimento delle direttive per semplificare certi passaggi. Ma non è accaduto.
Le percentuali di raccolta differenziata raggiunte in Italia sono sempre più alte. Ma il sistema impiantistico è adeguato al trattamento delle frazioni raccolte separatamente?
Se vuoi fare il riciclo hai bisogno di impianti che facciano la una buona selezione, una buona preparazione e una buona attività di riciclo. E’ evidente. Siamo tra i leader europei del riciclo quindi gli impianti li abbiamo. In alcune regioni sono carenti e succede che i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata viaggino per centinaia di chilometri. Compreso l’organico che per l’80% è perlopiù formato da acqua. Se portiamo questi rifiuti in giro verso le località in cui ci sono gli impianti direi che questa non è una buona soluzione anche dal punto di vista degli impatti energetici e ambientali.
Per accelerare la transizione verso l’economia circolare occorre non solo favorire il riciclo ma fare in modo che i materiali abbiamo un mercato. Che spinta potrebbe arrivare dall’applicazione dei cosiddetti appalti verdi, obbligatori ma poco utilizzati?
Nel network delle Green city, dove abbiamo fatto un po’ di istruttoria sul tema degli appalti verdi, risulta che le amministrazioni, soprattutto quelle piccole, hanno bisogno di essere supportate tecnicamente. Abbiamo proposto l’intervento dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, come supporto anche per stipulare questi appalti verdi che richiedono modalità tecniche e anche capacità di conoscere il mercato e le produzioni, per sapere se le specifiche che istruiscono poi corrispondono ai prodotti che io trovo sul mercato. Questa capacità ce l’hanno poche Regioni e pochi Comuni. Quindi molte stazioni appaltanti, pur avendo in genere buone intenzioni trovano difficoltà a gestire in maniera efficace gli appalti pubblici verdi. Non è semplice compilare la parte del bando sulle prescrizioni delle caratteristiche che devono avere i beni e i servizi forniti. È una difficoltà operativa che abbiamo riscontrato tra gli amministratori che vogliono applicare davvero i Criteri ambientali minimi, non quelli che cercano le scuse per non fare niente.
Trasformare in vere e proprie “fattorie per
lombrichi” i contenitori dedicati alla raccolta dei rifiuti: E’
l’obiettivo del progetto “Il Ciclo del Lombrico”, avviato in
provincia di Alessandria coinvolgendo i cittadini e le scuole con lo scopo di
diffondere la conoscenza della lombricoltura, quale pratica utile a ridurre il
quantitativo di rifiuti che produciamo in casa, produrre humus per i nostri
terreni e risparmiare sulla raccolta differenziata. Lo sapevate che esiste una soluzione semplice e
pratica per smaltire i rifiuti organici in casa riducendo la quantità di scarti
alimentari prodotti nelle nostre cucine? Tutto questo è possibile grazie ai
lombrichi, piccoli amici ma grandi lavoratori, capaci di trasformare questi
scarti in un prodotto naturale e utile per il nostro Pianeta. Grazie al
progetto “Il Ciclo del Lombrico”, ideato da Ruben Gemme e Mirko Pepe ed avviato nell’alessandrino,
chiunque potrà praticare il compostaggio domestico nel proprio giardino o
all’interno della propria abitazione! Come
vi abbiamo raccontato in un precedente articolo, la lombricoltura è una soluzione perfetta e a basso
impatto, nonchè una tecnica alternativa e sconosciuta ai più ma con grandi
potenzialità: si basa sulla trasformazione di scarti vegetali in humus ad opera
dei lombrichi e permette il riciclo di rifiuti organici e la conseguente
produzione di fertilizzante naturale in agricoltura e orticoltura, con
innumerevoli benefici dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
Obiettivo del
progetto è realizzare una “lombricompostiera infinita”, trasformando il
numero più elevato di contenitori dedicati alla raccolta dei rifiuti in vere e
proprie “fattorie per lombrichi”. Si tratta di un modello alternativo di
vivere, produrre e consumare e si basa proprio sul concetto di “ciclo
continuo”: la terra ci dona i suoi frutti per nutrirci, una volta consumati,
gli scarti rimasti finiranno nella vermicompostiera, che i lombrichi
lavoreranno producendo humus per concimare la terra, che in questo modo
produrrà nuovi frutti. L’humus prodotto dai lombrichi è inoltre un “super
concime”, in quanto ricco di minerali e sostanze essenziali per la
crescita sana delle piante e capace di migliorare il terreno dal punto
di vista nutritivo. Obiettivo è promuovere una cultura educativa e ambientale
tra le persone, mostrando come questa semplice pratica possa entrare a far
parte delle nostre abitudini quotidiane con innumerevoli vantaggi.
La
lombricompostiera verrà realizzata con la prerogativa di utilizzare
esclusivamente materiali di recupero: contenitori dismessi, plexiglass o
lamiere derivanti da scarti di lavorazione, che andranno a costituire la nuova
casa dei lombrichi. Come racconta Mirko, «I lombrichi amano la spazzatura
organica, per questo rappresentano una soluzione ottimale ed efficace sia in
scala domestica che industriale nella gestione dello smaltimento dei rifiuti».
Ebbene, si tratta
di una soluzione vincente sia da un punto di vista dell’ecologia che
dell’economia. In primis la vermicoltura ci consente di ridurre il quantitativo
di rifiuti che produciamo quotidianamente in casa ed inoltre chiunque può farne
uso: cittadini, condomìni, scuole, ristoranti, con risparmi economici
sulla tassa dei rifiuti. Pensate che una famiglia può riutilizzare un
normalissimo bidone della spazzatura che, ospitando una popolazione di un chilo
di Lombrichi, è capace di smaltire fino a due quintali di rifiuti all’anno!
Inoltre, realizzare un solo bidone con materiali di scarto permette di
recuperare fino a sei chili di plastica e un chilo di ferro, che in alternativa
sarebbero stati destinati allo smaltimento.
Con le iniziative
di “Il Ciclo del Lombrico”, la lombricoltura arriva ora anche nelle scuole.
“Rifiutiamo lo spreco!” è il progetto pensato per le scuole elementari,
per avvicinare i più piccoli al mondo dei lombrichi e a tutti i benefici che ne
derivano, attraverso un progetto didattico tutto improntato all’ecosostenibilità.
Il compostaggio dei rifiuti organici è infatti una pratica semplice, divertente
e molto istruttiva per i più piccoli, aiutandoli a prendersi cura della terra e
della natura. Protagonisti di quest’avventura sono proprio i bambini delle
scuole elementari di Rivalta Bormida e Cassine, che, insieme agli
aiutanti lombrichi, trasformano gli scarti delle mense in prezioso humus e lo
ridonano alla Terra, all’interno degli orti che le scuole mettono loro a
disposizione. Ad Alessandria, inoltre, Ruben e Mirko hanno portato la
lombricoltura all’interno della ristorazione sociale promossa dalla Cooperativa Sociale Coompany&, dove sono state collocate dieci vermicompostiere per
riporre gli scarti alimentari della frutta e della verdura coltivata negli orti
urbani della cooperativa.
«Il Lombrico, per
noi, è la base di tutto – affermano Ruben e Mirko – e grazie a lui stiamo dando
vita a diversi progetti con un unico comune denominatore: dare nuova e migliore
vita a ciò che ieri chiamavamo rifiuto!».
Un progetto virtuoso che vuole contribuire a sensibilizzare grandi e piccoli
fornendo le basi per la crescita organica del terreno, oltre che a costruire
nuove comunità resilienti e promuovere un’economia circolare chiudendo
il cerchio sugli sprechi alimentari.
Saranno 12mila gli alunni milanesi coinvolti nella prima fase di #Ambienteascuola, l’iniziativa del Comune e Amsa – Gruppo A2A, con il contributo dei consorzi Cial, Comieco, Corepla e Ricrea per promuovere l’educazione ambientale dei giovani. A Milano la Giunta approva il progetto pilota #Ambienteascuola – nato da un gruppo di lavoro che comprende Comune di Milano e Amsa, società del Gruppo A2A, con il supporto dell’Ufficio scolastico Territoriale di Milano – per portare in modo sistematico all’interno degli edifici scolastici la raccolta differenziata, promuovendo l’educazione ambientale dei giovani milanesi e contribuendo al raggiungimento di alcuni degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs) definiti dalle Nazioni Unite. Sono 540 le classi di Primarie e Secondarie di I e II grado, distribuite in una trentina di plessi scolastici nei nove Municipi, per un totale di 12mila alunni, che parteciperanno a questa prima fase, durante la quale saranno distribuiti circa 2.400 contenitori nelle classi e negli spazi comuni per plastica e metallo, carta e cartone e indifferenziata (l’umido prodotto dalle mense è già oggi gestito in tutte le scuole da Milano Ristorazione) e ottocento poster informativi, entro dicembre.
“L’avvio di una sistematica raccolta differenziata all’interno delle scuole è un passo importantissimo che questa Amministrazione ha voluto fortemente e che porterà la città, che già oggi arriva quasi al 60% di differenziata, a fare un ulteriore importante passo avanti in questa direzione – commentano gli assessori Laura Galimberti (Educazione) e Marco Granelli (Mobilità e Ambiente) –. Nel 2016 era stato richiesto ad Amsa di inserire all’interno del Piano Strategico degli anni successivi la creazione di un gruppo di lavoro per promuovere l’educazione ambientale e oggi possiamo dirci totalmente soddisfatti dei risultati”.
Il progetto prevede anche incontri formativi e informativi in ciascuna delle scuole coinvolte, sia per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, per illustrare il funzionamento e promuovere le corrette prassi del conferimento, sia per i docenti, ai quali saranno presentate anche le ulteriori opportunità didattiche collegate. Tra queste, il contest ‘Cestini in cerca d’autore’: ogni classe personalizzerà in modo creativo i propri contenitori utilizzando qualsiasi tecnica artistica e materiali di riciclo, sarà poi selezionata una scuola vincitrice per ogni ordine scolastico, che riceverà un premio di 500 euro, messi a disposizione da Amsa – Gruppo A2A.
Saranno inoltre realizzati una serie di video didattici, grazie al supporto dei consorzi Cial, Comieco, Corepla e Ricrea, per sensibilizzare gli studenti su diverse tematiche ambientali, a partire da cause, effetti e soprattutto concrete e quotidiane soluzioni per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Dopo un focus generale sul tema, infatti, ai ragazzi e alle ragazze sarà raccontato attraverso i video come ciascuno di loro possa fare tanto nella vita di tutti i giorni per contribuire a contrastare questo fenomeno: dal risparmio energetico alla produzione, smaltimento e trasformazione dei singoli materiali riciclabili, fino al corretto uso degli spazi pubblici urbani.
Al termine dell’anno scolastico Amsa produrrà un report per valutare sia l’impatto educativo sia gli effettivi risultati di raccolta differenziata. I risultati saranno poi utilizzati per progettare le azioni future, estendendo progressivamente la raccolta a tutti gli istituti scolastici.
“Il paradosso è nella disomogeneità del servizio nelle diverse aree del Paese (dalla raccolta differenziata alla presenza di impianti fino all’intera filiera dei ciclo): i costi che sono più alti proprio dove la qualità è peggiore”. On line il comunicato stampa con i numeri del Green Book 2018. Un paese diviso in due, nella raccolta differenziata: il nord con una media del 64% e quasi tutte le province sopra il 50%, mentre il sud con situazioni fortemente arretrate non raggiunge la media del 38%. Per i rifiuti rimane un forte squilibrio sugli impianti soprattutto in relazione ai target europei: un settore che avrebbe bisogno di investimenti per almeno 4 miliardi di euro. Da una mappatura degli operatori emerge una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud (al 33%). Nel Mezzogiorno si ricorre in modo preponderante al trattamento in discarica (62%) mentre al Nord il 69% dei rifiuti è avviato a trattamento negli impianti di recupero energetico. Ed è proprio dove il servizio è peggiore che la spesa media annuale per famiglia è più elevata. Questa la fotografia del settore rifiuti urbani scattata dal GREEN BOOK 2018, realizzato per UTILITALIA dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti e presentato oggi a Roma al Tempio di Adriano.
“Non si può non mettere in evidenza l’eterogeneità che caratterizza la situazione nazionale. Significative differenze anche sul livello qualitativo e sui costi del servizio, con il paradosso – osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – che si registrano costi maggiori là dove qualità ed efficacia del servizio sono invece inferiori. Dipende dal livello di industrializzazione e dalla presenza o meno di imprese strutturate. Il via libera del Parlamento Europeo al pacchetto di misure sull’economia circolare, comporterà un’evoluzione nell’organizzazione dei servizi e delle imprese, ma c’è molta attesa anche dall’avvio concreto della regolazione sul settore rifiuti da parte dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)”
“Utilitalia auspica che con il lavoro del regolatore – afferma Brandolini – potremo giungere gradualmente al superamento della legislazione concorrente tra Stato e Regioni, accelerare il riassetto della governance, favorire il superamento della frammentazione, e accelerare il percorso verso l’adozione di una tariffa corrispettiva, capace di commisurare il costo alla quantità e alla qualità del servizio, nel rispetto del principio europeo ‘chi inquina paga’”.
“Il Green Book scatta la fotografia del settore rifiuti all’avvio della regolazione di ARERA- rileva Valeria Garotta, direttore della Fondazione Utilitatis – I dati cristallizzano il mancato compimento del disegno normativo secondo cui il ciclo integrato dei rifiuti deve essere organizzato per ambiti territoriali di dimensioni adeguate: dal permanere dell’inoperatività di alcuni enti di governo d’ambito, all’elevata frammentazione gestionale; dagli squilibri territoriali nell’assetto impiantistico, all’elevato numero di gare bandite per singoli comuni e brevi durate. L’auspicio è che la prossima edizione del rapporto possa catturare importanti cambiamenti, messi in moto dall’intervento di ARERA. Inoltre, rispetto alle precedenti edizioni, il Green Book si arricchisce di una mappatura puntuale dei gestori nei singoli comuni e di un focus sui grandi centri urbani”.
PRODUZIONE E RACCOLTA DIFFERENZIATA
La produzione dei rifiuti prodotti in Italia ha ripreso a crescere nel 2016, dopo alcuni anni di stabilizzazione: l’incremento è stato del 2% rispetto all’anno precedente, soprattutto per via della ripresa economica. La raccolta differenziata ha raggiunto il 52,5% nel 2016, anche se con molte differenze tra aree del Paese: il nord arriva al 64%, il centro al 48,6% e il sud al 37,6%. Per quanto riguarda la riforma dell’assetto organizzativo del servizio di igiene urbana, sono oggi presenti 57 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), con una riduzione del 55% rispetto ai 129 ATO del 2007; prevalgono gli Ambiti regionali anche se ci sono ATO con dimensione che varia dalla scala regionale a quella sub-provinciale.
SPESA PER FAMIGLIA E GRANDI CITTA’
Dall’analisi sulle tariffe per il 2017, su una popolazione complessiva di oltre 18 milioni di abitanti nei comuni capoluogo, una famiglia tipo (3 persone che vivono in 100 metri quadri) nel 2017 ha speso mediamente 227 euro in un comune sotto i 50.000 abitanti e 334 euro in un comune con popolazione superiore a 200.000 abitanti. In media sempre nel 2017 al nord la spesa è stata di 271 euro, di 353 al centro e 363 al sud. Il paradosso è nella disomogeneità del servizio nelle diverse aree del Paese (dalla raccolta differenziata alla presenza di impianti fino all’intera filiera dei ciclo): i costi che sono più alti proprio dove la qualità è peggiore. Nel 2017 si registra un valore medio del costo per abitante di 232 euro, con punte minime di 155 e massime di 366.
IMPIANTI
Dalla mappatura degli operatori, sia per il servizio di raccolta che per la gestione degli impianti, emerge una situazione molto frammentata, con una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud (dove il 33% degli abitanti è servito da aziende pubbliche o miste). Quanto agli impianti e alla loro localizzazione, quelli di trattamento integrato aerobico e anaerobico sono concentrati al nord dove viene gestito il 98% della frazione organica da raccolta differenziata; gli impianti di compostaggio della stessa tipologia di rifiuti sono invece in prevalenza al sud (il 49% trattata in impianti a partecipazione pubblica e il 51% privati). Gli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) sono più diffusi al sud (con il 49% del trattamento). Per lo smaltimento in discarica il Sud supera il resto del Paese: con il 62% del rifiuto urbano residuo a livello nazionale smaltito in questo modo. La situazione si capovolge sugli impianti di recupero energetico: concentrati soprattutto al nord dove viene trattato il 69%, il 12% al centro e il 19% al sud.
DATI ECONOMICI
Nel 2016, dall’analisi dei 575 gestori individuati, il settore dell’igiene urbana ha registrato oltre 12 miliardi di fatturato, occupando 90.433 addetti. Il 75% delle aziende è rappresentato da monoutility legate al settore ambiente, il restante 25% da aziende multiutility. Gli operatori di piccole dimensioni (con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro) rappresentano il 55% del totale anche se contribuiscono a solo il 10% del fatturato nazionale. Il 37% del fatturato di settore è generato dal 3% di operatori con un volume d’affari superiore ai 100 milioni di euro. Gli operatori della categoria ‘Raccolta e Ciclo Integrato’ (cioè che gestiscono tutto il processo dalla produzione alla fine del rifiuto) rappresentano il 73% del totale, registrano il 73 % del fatturato e occupano l’89% degli addetti; la categoria ‘Gestione Impianti’ comprende il restante 27% degli operatori, genera il 27% del fatturato complessivo ed impiega l’11% della forza lavoro. Dal punto di vista dell’assetto proprietario il 34% delle aziende ha natura completamente privata e il 66% risulta partecipato dal pubblico.
INVESTIMENTI
La stima del fabbisogno nazionale di investimenti in raccolta differenziata e nuovi impianti – in base a un’analisi su un panel di gestori a partecipazione pubblica – viene valutata in circa 4 miliardi di euro. Gli investimenti complessivamente realizzati dai gestori del campione nell’arco temporale 2012-2017 ammontano a 1,4 miliardi di euro, pari a 82,5 euro per abitante in sei anni (14 euro a testa all’anno). Il 46% degli investimenti è destinato alla raccolta e allo spazzamento, mentre il 54% agli impianti di selezione, avvio a recupero e smaltimento. Nel 2017 il trend degli investimenti in raccolta sono aumentati del 73% rispetto al 2012. Sul versante degli impianti, c’è stato un netto calo degli investimenti in impianti di incenerimento (meno 55% rispetto al 2012); in controtendenza rispetto al recupero energetico risultano gli investimenti in discarica che nel 2017 crescono rispetto al 2012 di oltre il 200%. Gli investimenti in impianti di selezione e valorizzazione delle frazioni differenziate passano da 9 milioni di euro nel 2012 a circa 18 milioni di euro nel 2017. Infine, mentre gli investimenti in compostaggio e Tmb hanno un andamento crescente, quelli in digestione anaerobica sono fermi fino al 2016, per l’incertezza sul meccanismo di incentivazione. Rispetto agli investimenti realizzati sulla fase impiantistica, solo il 39% ha riguardato la realizzazione di nuovi impianti; mentre la voce più importante è sugli interventi di manutenzione straordinaria e revamping (46%), seguita dall’ampliamento di impianti esistenti (15%). Dai Piani di investimento dei gestori – parte dell’analisi – emerge un incremento complessivo di circa il 60% del volume di investimenti pianificati tra il 2018 e il 2021, rispetto a quelli realizzati nei quattro anni precedenti.
Riparte da Salerno il tour nazionale promosso dal Consorzio RICREA per informare ed educare i cittadini. Laboratori e quiz a premi con protagonisti gli imballaggi in acciaio come barattoli, scatolette, lattine, bombolette, tappi e chiusure.
Capitan Acciaio è pronto a tornare nelle piazze italiane per educare grandi e bambini a una corretta raccolta differenziata. Cosa si può ottenere con il riciclo di 2.000 barattoli, 50 bombolette o 5 fusti in acciaio? Rispettivamente il telaio di una bicicletta, una fontanella urbana e una panchina. Gli imballaggi in acciaio, materia prima permanente che si ricicla all’infinito senza perdere le proprie qualità, sono i protagonisti del tour itinerante promosso da RICREA, il Consorzio Nazionale senza scopo di lucro per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio, uno dei sei consorzi di filiera che compongono il Sistema CONAI. Dopo il successo ottenuto lo scorso anno, RICREA rimanda in campo il supereroe Capitan Acciaio nel viaggio lungo la penisola, per informare i cittadini sulle qualità degli imballaggi in acciaio ed educarli a una corretta raccolta differenziata. Il tour partirà l’8 maggio da Salerno, per poi fare tappa a Bari, Genova, Torino e Milano, e proseguire in altre città italiane.
“Barattoli, scatole, scatolette, lattine, fusti, secchielli, bombolette, tappi e chiusure in acciaio sono i protagonisti di un percorso circolare virtuoso e senza fine: da materia prima a imballaggio, a rifiuto differenziato, raccolto e avviato al riciclo per nascere a nuova vita, all’infinito – spiega Domenico Rinaldini, Presidente di RICREA – Abbiamo voluto organizzare queste nuove giornate di sensibilizzazione per migliorare gli ottimi risultati raggiunti e informare i cittadini sulla ‘convenienza ambientale’ della raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio”.
Negli ultimi 20 anni l’Italia ha avviato a riciclo complessivamente 5,6 milioni di tonnellate di imballaggi in acciaio, un quantitativo sufficiente per realizzare le carrozze di un treno lungo da Roma a Parigi composto da 50.700 vagoni, o 56.300 Km di binari ferroviari, pari ad oltre il doppio dell’intera linea ferroviaria italiana, con percentuali di riciclo sull’immesso al consumo che dal 2009 hanno superato quota 70%.
Nelle piazze principali delle città Capitan Acciaio sarà a disposizione per aiutare i cittadini a scoprire i vantaggi della raccolta differenziata e il valore del riciclo dell’acciaio, il materiale più riciclato in Europa. Sarà inoltre proposto il laboratorio ludico-ricreativo “RICREA il tuo giocattolo”, in cui bambini e ragazzi potranno creare il proprio giocattolo attraverso il riuso creativo degli imballaggi in acciaio; gli adulti invece potranno mettere alla prova la loro cultura sulle buone pratiche di raccolta differenziata con quiz a premi dedicati.
Maggiori informazioni su Capitan Acciaio in tour sulla pagina Facebook dedicata: facebook.com/CapitanAcciaio
A palazzo Thun sembrano aver compreso bene cosa significa una gestione virtuosa dei rifiuti e, cosa più importante, hanno capito il significato della strategia Rifiuti Zero. Trento con i suoi quasi 120 mila abitanti si conferma il comune da imitare in fatto di gestione rifiuti. Certo nessuno è perfetto ma a palazzo Thun sembrano aver compreso bene cosa significa una gestione accurata e virtuosa dei rifiuti e, cosa più importante, hanno capito il significato della strategia Rifiuti Zero. Stando ai dati che puntualmente ogni mese vengono diffusi dal Servizio Urbanistica e Ambiente a febbraio di quest’anno la raccolta differenziata si è attestata all’82,08% contro l’80,93% dello stesso mese del 2017.
Di seguito riportiamo integralmente la nota mensile del Comune di Trento, redatta da Luisella Codolo che riepiloga i dati salienti sulla gestione rifiuti nel mese di febbraio:
“Dal confronto con i dati di raccolta differenziata registrati nel 2017 si evidenzia:
-Febbraio 2017: 80,93% di raccolta differenziata
-Febbraio 2018: 82,08% di raccolta differenziata
– Valore medio 2017: 81,32 % di raccolta differenziata.
La percentuale di raccolta differenziata del mese di febbraio 2018 è in linea con la media dello scorso anno. L’andamento del 2018 potrà essere valutato solo nei prossimi mesi, quando il dato assumerà un valore statistico più significativo”.
Il 2016 ha fatto registrare un picco superiore rispetto all’andamento generale di crescita della RD in Italia? A cosa è dovuto? Risponde Andrea Cappello, tecnico Esper. Ispra ha recentemente messo a disposizione del pubblico i dati relativi alle produzioni di rifiuto in Italia. Andrea Cappello, tecnico Esper, ha estratto lo storico dei dati dal 2010 al 2016. Per quanto riguarda la raccolta differenziata dal 2010 al 2016 qual è stato l’andamento? Oggi è ancora un’Italia spaccata in tre?
I dati ci mostrano in realtà di una convergenza verso un’Italia duale ma dove il fatidico 65% di raccolta differenziata è ormai alla portata anche delle regioni del Sud, almeno di quelle più virtuose. Tra queste la Sardegna, l’Abruzzo e la Campania che soltanto qualche anno fa erano collocate nella parte più bassa della classifica. Il Nord-Italia complessivamente sfiora il 65% di raccolta differenziata: in regioni come il Veneto (72,9%) e Trentino Alto-Adige (70,5%) si possono fissare obiettivi ben più virtuosi.
Superano il 65% anche la Lombardia (68,1%) ed il Friuli Venezia Giulia (67,1%). Più indietro la Liguria, il Piemonte e la Valle d’Aosta che non raggiungono il 60%. L’Emilia Romagna raggiunge il 68% e, in linea con il recente Piano regionale, il 73% di raccolta differenziata è ormai un traguardo raggiungibile già nel breve periodo. Situazione più o meno omogenea per il Centro-Italia. Gli andamenti sono crescenti ed è prevedibile il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata nei prossimi anni. Le Marche e l’Umbria sono infatti già prossime al 60% mentre la Toscana supera di qualche punto il 50%. Incide negativamente sul dato del Centro-Italia il 42,4 del Lazio che però rispetto al dato del 2010 fa registrare un significativo passo in avanti con +25,8 punti percentuali passando dal 16,5 al 42,4% di raccolta differenziata: in termini di aumenti percentuali è questo il migliore risultato dopo la Basilicata (+26,0), che triplica il risultato del 2010, seguita dall’Umbria e dall’Abruzzo (+25,7) che lo raddoppiano. Per quanto riguarda invece il Sud-Italia, regioni come la Basilicata, la Puglia, la Calabria e il Molise rimangono ancora sotto quota 40. In questi contesti, però, risultano già presenti esperienze virtuose che si stanno velocemente diffondendo. La Sicilia si rimane più indietro e, purtroppo, vede aumentare il divario anche con le stesse regioni del Sud-Italia.
Il 2016 ha fatto registrare un picco superiore rispetto all’andamento generale di crescita della RD in Italia? A cosa è dovuto?
Certamente questi aumenti percentuali sono influenzati dal cambiamento introdotto dalla Legge nazionale nel 2016 a modifica delle nuove frazioni che adesso rientrano nelle raccolte differenziate. Ad esempio, se guardiamo alla serie storica del grafico sotto riportato, ci accorgiamo di una certa discontinuità nella linea spezzata. Mentre dal 2010 assistevamo ad un aumento medio annuo pari a circa il 6%, per il 2016 l’aumento è pari al 10,6% (nel grafico in rosso).
Quali sono le nuove frazioni che vengono conteggiate all’interno della produzione e raccolta dei rifiuti urbani?
Con il nuovo metodo sono contabilizzati anche gli inerti derivanti da piccole lavorazioni domestiche, che prima erano espressamente normati ai sensi dell’articolo 184 del D.lgs. n. 152/2006 come rifiuti speciali, e i rifiuti da spazzamento avviati a recupero, precedentemente calcolati al denominatore come rifiuti da avviare a smaltimento. Inoltre, il nuovo metodo di calcolo introduce una modalità per conteggiare il rifiuto organico avviato a compostaggio domestico ed inserirlo tra le raccolte differenziate. In quest’ultimo caso, la scelta di contabilizzare questa frazione è ambigua. Da un lato fa aumentare le percentuali di raccolta differenziata ma, dall’altro, fa aumentare le produzioni totali a fronte di un’azione che poteva essere inquadrata nell’ambito della prevenzione alla produzione di rifiuti. Nei mesi scorsi avevamo già evidenziato la differenza tra vecchio e nuovo metodo di calcolo per quanto riguarda la produzione di rifiuti. Quanto influisce sulla raccolta differenziata questo nuovo metodo di calcolo rispetto a quello precedente? Di quanto crescerà quindi percentualmente la RD di un Comune al netto della crescita effettiva tra un anno e l’altro?
Ispra nel rapporto rifiuti 2017 chiarisce che se avesse adottato la precedente metodologia di calcolo la percentuale di raccolta differenziata si sarebbe assestata al 50,6% con un aumento sull’anno precedente pari al 6,55%, in linea con gli andamenti che abbiamo riportato in rosso nel grafico a linee di cui sopra. Anche a livello comunale potremmo assistere a un simile scarto medio ma con una variabilità maggiore tra contesti geografici non limitrofi. Ad esempio, per quanto riguarda le terre da spazzamento, è da segnalare che l’86% delle circa 215.000 tonnellate avviate a recupero nel 2016 sono state prodotte dal Nord-Italia, dove sono presenti già da tempo diversi impianti per il trattamento di questi rifiuti, mentre al Sud-Italia ne sono state prodotte soltanto 8.500, pari a circa il 4% sul totale, incidendo marginalmente nel calcolo delle raccolte differenziate.